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sentenza 20 maggio 1985; Pres. Librando, Est. Dal Cero; imp. L.Source: Il Foro Italiano, Vol. 108, No. 12 (DICEMBRE 1985), pp. 561/562-563/564Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23180601 .
Accessed: 28/06/2014 10:11
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GIURISPRUDENZA PENALE
perizia si collochi in un passato prossimo, successivo alla custodia
preventiva dell'istante, che sia stata anche esaminata e consigliata da specialisti in psicologia (che hanno redatto periodiche relazio
ni). Nel caso in esame non solo il collegio può disporre della
perizia d'ufficio e di periodiche relazioni psicologiche di accade
mici, di dipendenti del centro psico-sociale di zona e della
direttrice della comunità per tossicodipendenti che ospita la
Spreafico, ma dispone inoltre dell'inchiesta socio-familiare redatta
dal centro di servizio sociale del ministero di grazia e giustizia.
Orbene tutte queste fonti di prova, pur dando atto della
passata esperienza tossicomanica della Spreafìco, mostrano con
dati storici e con argomentazioni logiche inequivoche, che la
giovane non solo non fa uso di stupefacenti (sotto la cui spinta commise i reati per cui è stato emesso l'ordine di carcerazione), ma è stata partecipe di una lenta e difficile evoluzione verso il
reinserimento sociale, caratterizzato dalla presenza stabile nella
comunità fraternità Capitanio di Monza, dall'accettazione e dalla
cura della piccola, che partorì quando era tossicodipendente, dalla ripresa relazione affettiva col padre della bambina.
Tale evoluzione avrebbe avuto sicuri effetti regressivi irreversi
bili per la madre ex-tossicomane e per il rapporto con la figlia, anche nel miglior ambiente carcerario, in cui sarebbe stata
sottoposta, per almeno un trimestre, alla osservazione della per
sonalità; al di là dei normali atteggiamenti artificiali che sortisco
no risultati fallaci e artificiosi nella media delle osservazioni della
personalità condotte in ambiente carcerario.
Nella specie inoltre, l'osservazione trimestrale nulla di nuovo
avrebbe potuto produrre per la valutazione della personalità della
Spreafìco, disponendo la sezione di una serie di elementi collegati nel tempo e attuali; anzi avrebbe avuto in questa circostanza una
nuda e cruda funzione di « assaggio di pena » che evoca la
persistente funzione retributiva della pena anche in presenza della
applicazione della misura alternativa alla detenzione che meno
dovrebbe risentire, in ragione della sua struttura, e dei suoi scopi, delle tesi retribuzioniste della pena.
In particolare, il vissuto di ex tossicomane della Spreafìco avrebbe risentito, con probabili conseguenti crisi di rigetto, come
vano ogni sforzo per il suo reinserimento sociale e si sarebbe
trasformato in quello di vittima di un'afflittività di ritorno at
tualmente immeritata.
Il complesso delle fonti di prova utilizzate, consente di ritenere
la fattispecie in esame come nuova e diversa rispetto ad altre
giunte al vaglio della Corte di cassazione in quanto questo
collegio non ha ritenuto equivalente all'osservazione della perso nalità la sola osservazione attuata durante la carcerazione preven
tiva; né elementi di giudizio non attuali in quanto acquisiti in
tempo lontano rispetto alla decisione.
Sembra infine ovvio valutare l'assoluta irrilevanza dei processi
penali pendenti a carico della Spreafìco, che si riferiscono tutti a
reati commessi in epoca precedente alla vita nella comunità di
cui si è detto, in quanto la loro rilevanza ai fini di una prognosi
di consumazione di altri reati e di sufficienza delle prescrizioni
per la rieducazione del reo, sussisterebbe solo se fossero gli unici
e decisivi elementi di valutazione.
TRIBUNALE DI FIRENZE; sentenza 20 maggio 1985; Pres.
Librando, Est. Dal Cero; imp. L.
TRIBUNALE DI FIRENZE
Tributi in genere — Reato tributario — Omessa annotazione di
corrispettivi — Reato configurable (DJ. 10 luglio 1982 n. 429,
norme per la repressione della evasione in materia di imposte
sui redditi e sul valore aggiunto e per agevolare la definizione
delle pendenze in materia iributaria, art. 1, 4; 1. 7 agosto 1982
n. 516, conversione in legge, con modificazioni, del d.l. 10
luglio 1982 n. 429, art. 1).
La mera omissione delle annotazioni di corrispettivi (nella
specie complessivamente superiori a lire 78 milioni) nelle scrit
ture contabili obbligatorie non integra gli estremi della condot
ta di « dissimulazione di componenti positivi del reddito »,
propria dell'ipotesi di frode fiscale prevista dall'art. 4, 1"
comma, n. 7, d.l. n. 429/82, convertito in l. n. 516/82, ma
costituisce unicamente l'elemento materiale della contravvenzio
ne punita dall'art. 1 dello stesso d.l. (1)
Fatto e diritto. — In seguito a rapporto della guardia di
finanza di Firenze in data 6 aprile 1984 si instaurava procedimen to penale nei confronti di L. L. il quale, in esito a sommaria
istruttoria, veniva tratto in giudizio dinanzi a questo tribunale
per rispondere del delitto come in epigrafe ascrittogli. All'odierno dibattimento l'imputato è rimasto contumace.
Ritiene il tribunale che l'imputato vada assolto con ampia formula dall'imputazione contestatagli.
È pacifico, risultando ciò sia dal rapporto della guardia di
finanza di Firenze già citato, sia dalle stesse sostanziali ammissio
ni dell'imputato, che questi nel corso del 1982 omise di annotare
nel registro dei corrispettivi redditi per oltre 78.000.000 e che tale
omissione venne poi ripetuta al momento della redazione annuale
dei redditi per l'anno 1982 presentata nel giugno 1983. Senonché, a giudizio del collegio, il fatto commesso da L. non integra la
fattispecie delittuosa prevista dall'art. 4, 1° comma, n. 7, 1. 516/82 allo stesso contestata, e ciò in quanto la semplice omissione di atti
vità non può ritenersi sufficiente ad integrare quella dissimulazione
di componenti positivi presa in considerazione al n. 7 della succita
ta norma. A tale conclusione può pervenirsi, anche prescindendo dal significato lessicale del termine « dissimulazione » ben diverso da quello di « omissione », ove si consideri che il termine « occulta
re », contenuto nel decreto 10 luglio 1982 n. 429, venne sostituito
in sede di conversione in legge del decreto stesso con quello di
« dissimulazione »: è quindi evidente che lo stesso legislatore ha
voluto distinguere le due ipotesi, considerando più grave la « dissimulazione », tanto da punirla come delitto, e limitando
l'ipotesi, meno grave, contravvenzionale al solo caso in cui il
comportamento dell'agente si sia concretizzato in una omissione.
Del resto che la « dissimulazione » di cui al n. 7 del 1° comma
dell'art. 4 cit. non si possa identificare con la semplice omissione appare chiaro anche ove si consideri che tutte le
ipotesi previste da tale norma presuppongono da parte dell'agente
(1) Il quesito relativo alla sufficienza della semplice omissione delle annotazioni contabili nei registri obbligatori per l'integrazione della condotta di dissimulazione di componenti positivi del reddito, di cui
all'ipotesi di frode fiscale prevista dall'art. 4, 1° comma, n. 7, d.l. n.
429/82, convertito in 1. n. 516/82, aveva avuto risposte contrastanti nella dottrina intervenuta a commento della nuova normativa penale tributaria. Con la sentenza in epigrafe il Tribunale di Firenze viene sostanzialmente ad accogliere le argomentazioni addotte dalla maggio ranza degli autori.
La sufficienza di una condotta meramente omissiva è stata affermata, pur senza particolari motivazioni, da Ancona-Aiardi, Il manuale del nuovo diritto penale tributario, Rovereto, 1983, 158, che conseguente mente si pronunciano anche per la sussistenza di un rapporto di
specialità tra il delitto di frode fiscale in parola e la contravvenzione prevista all'art. 1, 2° comma, d.l. cit. Esclude l'esigenza di un richiamo ad aspetti di « artificio » propri della condotta anche Salafia, in Modifiche al sistema penale tributario, suppl. al n. 6 della rassegna Il Consiglio superiore della magistratura, Roma, 1983, 83.
A sostegno della diversa tesi seguita nella sentenza che si riporta, si
precisa al contrario che, già sullo stesso piano lessicale, il concetto di « dissimulazione » postula un connotato essenzialmente fraudolento della condotta, sicuramente non ravvisabile nella semplice « omissione di annotazioni » (v. M. Romano, Osservazioni sul nuovo diritto penale tributario, in Dir. e pratica trib., 1983, I, 748; Stortoni, La nuova
disciplina dei reati tributari, in Giur. comm., 1983, I, 398; Traversi, I nuovi reati tributari, Milano, 1982, 122). Si rileva inoltre che
quest'ultima conclusione consegue necessariamente sia ad una valuta zione di carattere sistematico, che prenda in considerazione altri casi nei quali il legislatore ha fatto ricorso alla formula in questione (cfr. Conti, in Antolisei, Manuale di diritto penale, Leggi complementari, Milano, 1985, 686; Di Luca-Cortese, Frode fiscale. Gli elementi
costitutivi, in Fisco, 1984, 1272; opera un richiamo alla tradizione storica del termine anche Tagliarina I delitti in materia tributaria
{art. 2, 3 e 4 l. 7 agosto 1982 n. 5/6), in Indice pen., 1984, 26), sia al
significativo valore assunto dalla modifica del testo originario che usava il verbo « occultare » (Caraccioli, Aspetti sostanziali della l. n. 516/82, in Fisco, 1983, 3541; Grosso, Aspetti sostanziali della nuova normati
va, in Reati tributari, Bologna, 1984, 27; in argomento si veda anche
Nuvolone, Il nuovo diritto penale tributario, in Indice pen., 1984,
458, e Dell'Anno, Simulazione e dissimulazione: una possibile chiave
di lettura dell'art. 4, n. 7, l. n. 516/82, in Giust. pen., 1985, II, 49). Una diversa posizione è assunta da D'Avirro-Nannucci, I reati nella
legislazione tributaria, Padova, 1984, 408 ss.: premessa l'astratta
idoneità della pura condotta omissiva ad integrare il concetto di « dissimulazione », la si ritiene comunque esclusa dall'ambito di appli cabilità del citato art. 4, 1° comma, n. 7, in virtù di un rapporto di
specialità che intercorrerebbe con la fattispecie contravvenzionale di
cui all'art. 1, 2° comma.
Il Foro Italiano — 1985 — Parte II- 41.
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PARTE SECONDA
un comportamento positivo e fraudolendo e, quindi, ben diverso da ogni attività omissiva, che, per sua stessa natura, presuppone un comportamento meramente negativo. A ciò va poi aggiunto che, ove si giungesse a ritenere sufficienti le semplici omissioni
dell'annotazione di attività nelle scritture contabili obbligatorie per integrare quella « dissimulazione » presa in considerazione al
n. 7 del 1° comma dell'art. 4 1. n. 516/82, l'elemento materiale
dei reati contravvenzionali previsti dall'art. 1 legge cit. verrebbe a
coincidere pressoché perfettamente con quello del delitto punito dall'art. 4, con la conseguenza che lo stesso comportamento verrebbe ad integrare la materialità del reato contravvenzionale e
del delitto, il che appare decisamente assurdo. Né potrebbe, per evitare tali assurde conclusioni, sostenersi che l'elemento discri
minante andrebbe ricercato nell'elemento soggettivo, costituito dal
dolo specifico di evadere o di consentire l'evasione altrui per il
delitto e dalla semplice colpa per la contravvenzione. Senonché, a
parte il fatto che una tale distinzione non poggia in alcun modo
sulla lettera della legge, dato che all'art. 1 non si parla minima
mente di omissioni colpose, va osservato che una tale interpreta zione verrebbe arbitrariamente a ridurre le ipotesi contravvenzio
nali e situazioni affatto marginali, essendo evidente che nella
quasi totalità di casi l'omessa annotazione, specie se ripetuta per
importi rilevanti, non può non essere volontaria e diretta alla
evasione fiscale.
Da quanto precede consegue che, a giudizio del tribunale, il
comportamento dell'imputato integra solamente l'ipotesi contrav
venzionale prevista dall'art. 1 1. n. 516/82, con la conseguenza
che, essendo tale legge entrata in vigore solo il 1° gennaio 1983
mentre le omesse annotazioni si verificarono nel 1982, cioè
quando tale fatto non era ancora previsto come reato, L.L. va
assolto perché il fatto non costituisce reato.
TRIBUNALE DI ROMA; sentenza 23 febbraio 1985; Pres. ed
est. Muscarà; imp. Mennella e altro. TRIBUNALE DI ROMA;
Ingiuria e diffamazione — Diffamazione col mezzo della stampa — Esercizio del diritto di cronaca giornalistica — Reato —
Insussistenza — Fattispecie (Cod. pen., art. 51, 595).
Costituisce esercizio del diritto di critica e di cronaca giornalisti
ca, e pertanto esula dall'ipotesi di diffamazione col mezzo della
stampa, rijerire delle iniziative di un partito politico volte a
favorire il rilascio di un ostaggio, mediante alcune concessioni
agli autori del sequestro, ed avanzare, nel contesto del resocon
to giornalistico, critiche, anche in termini oggettivamente pesan
ti, nei confronti di alcuni rappresentanti di rilievo dello stesso
partito (nella specie, si è ritenuto scriminato ex art. 51 c.p. un
articolo apparso sul quotidiano « l'Unità » durante le trattative
per la liberazione del giudice D'Urso, rapito dalle Brigate rosse,
e nel quale i dirigenti del Partito radicale Aglietto, Pannello e
Rutelli venivano definiti « amici », « fiancheggiatori », « inter
preti autorizzati » e « servitori » dei terroristi, in quanto dichia
ratamente propensi a cedere al ricatto dei rapitori, che preten devano la diffusione da parte dei mass media di un loro
comunicato, quale condizione per il rilascio del magistrato) .(1)
(1) A dispetto dei severi « decaloghi » di regole deontologiche recentemente dettati per i giornalisti dalla Cassazione in due discusse
pronunzie (Cass. 18 ottobre 1984, n. 5259, Foro it., 1984, I, 2711, con nota di Pardolesi; sez. un. 30 giugno 1984, Ansaloni, ibid., II, 531, con nota di Fiandaca), la sentenza conferma l'orientamento « liberale »
sui reati di stampa che, anche da ultimo, si rinviene nella giurispru denza di merito: cfr. Pret. Firenze 2 maggio 1985, id., 1985, II, 399, con nota di richiami; Trib. Roma 14 aprile 1984 e 25 febbraio 1984,
ibid., 124, con nota di richiami; Trib. Roma 13 febbraio 1982,
(cinque), id., 1982, II, 256 e id., Rep. 1983, voce Ingiuria e
diffamazione, nn. 34-36; Trib. Roma 5 febbraio 1983, Zollo e altri in Esiste ancora il reato di diffamazione? - Analisi di un clamoroso caso
giudiziario, a cura del Centro di iniziativa giuridica Pietro Calaman
drei, Roma, 1984, con i pareri pro ventate di Gregori, Mantovani, Musco e Nuvolone. Quest'ultima sentenza citata è per l'appunto una
delle decisioni che hanno segnato la tappe di una lunga battaglia a
colpi di querele combattuta, per divergenze circa il comportamento da tenere in occasione del sequestro D'Urso, fra esponenti del Partito radicale e giornalisti del quotidiano ufficiale del PCI « l'Unità ». La
vicenda, come mostra la sentenza in epigrafe, non è ancora conclusa:
essa, per le questioni giuridiche che vi sono sottese, può ben assumersi a paradigma di quella che ormai sembra di poter definire una vera
Con querela presentata in data 8 aprile 1981 Adelaide Aglietta, in proprio e nella qualità di presidente del gruppo parlamentare
radicale, Giacinto Pannella detto Marco e Francesco Rutelli, in
proprio e nella qualità di segretario nazionale del Partito radicale, lamentavano che il quotidiano « l'Unità» dell'I 1 gennaio 1981
aveva pubblicato in prima pagina un articolo dal titolo « Infame
ricatto: pubblicate tutto entro 48 ore o uccideremo D'Urso », il
cui contenuto risultava lesivo dell'onore e della reputazione del
e propria frattura fra la corte di legittimità ed i giudici del merito in tema di diffamazione a mezzo stampa.
Agli orientamenti più benevoli che abbiamo appena richiamato (cui adde, circa la questione dell'ammissibilità della c.d. scriminante putati va, Trib. Torino 14 ottobre 1981, Foro it., Rep. 1983, voce cit., n. 33, e in Giur. merito, 1983, 1005, con nota di Ferrante) si contrappone una pressoché costante tendenza della Cassazione volta a delimitare as.;ai rigidamenfe l'ambito entro cui deve restare circoscritto l'esercizio dell'attività giornalistica. Le due citate pronunzie, invero forse immeri tatamente famose, non hanno fatto che ribadire principi e canoni già enunciati ripetutamente: Cass. 26 ottobre 1983, Pannella e Zollo, Foro
it., 1984, II, 386, con nota di Rapisarda (è un'altra delle sentenze che vedono fronteggiarsi uomini politici radicali e giornalisti comunisti sul caso D'Urso); 26 marzo 1983, Dotti, id., Rep. 1984, voce cit., n. 33; 15 ottobre 1982, Fassari, id., Rep. 1983, voce cit., n. 31; 22 giugno 1982, Bacchetti, ibid., n. 29; 21 aprile 1982, Bocca, ibid., n. 28; 16
aprile 1982, Bianchi, ibid., n. 26; 25 marzo 1982, Giardina, ibid., n.
10; 11 marzo 1982, Pandolfo, ibid., n. 24; 12 gennaio 1982, Lo
Greco, ibid., n. 20; 16 luglio 1981, Caprara, ibid., n. 19; 11 febbraio
1981, Gravato, ibid., n. 17; 16 giugno 1981, Cederna, id., 1982, II, 313; 16 giugno 1980, Costa, id., Rep. 1982, voce cit., n. 22; 28 dicembre 1980, Faustini, ibid., n. 28; le intransigenti indicazioni della Cassazione si trovano accolte in talune decisioni di merito, che restano, però, ■solate: App. Milano 10 novembre 1983, id., 1984, II, 185, con nota di richiami, che ha ritenuto diffamatoria la qualifica « confidente dei servizi segreti », pur risultata effettivamente vera nel corso del processo; Trib. Bolzano 21 gennaio 1982, id., Rep. 1983, voce cit., n. 15.
A produrre una tale divergenza nella lettura del reato di diffamazio ne a mezzo stampa, sembrerebbe una sfasatura di prospettiva: la
Cassazione, infatti, mostra di richiamarsi ad astratti modelli di lealtà e di correttezza che nella realtà non esistono, e commisura il parametro della legittimità dell'attività giornalistica su un agente-tipo di cronista preoccupato dalla continua, certosina verifica delle informazioni e della loro fonte. I giudici del merito, invece, sembrano aver presente la professione di giornalista in concreto, e cioè la prassi corrente seguita nelle redazioni per l'assunzione ed il controllo delle notizie e per la loro elaborazione ed estensione, che costringe il cronista alla massima rapidità (sul punto, Fiandaca, Nuove tendenze repressive in tema di diffamazione a mezzo stampa?, in Foro it., 1984, II, 532, il quale pone in rilievo come oggi, nello svolgimento del proprio lavoro, il
giornalista si serva abitualmente di determinate fonti notiziali, come ad es. le agenzie di stampa e la radiotelevisione, cui di fatto è attribuita una fiducia privilegiata; cfr. altresì Vassalli, Libertà di stampa e tutela penale dell'onore, in Arch, pen., 1967, 23).
Il caso oggetto della sentenza in epigrafe, oltre alla questione se sia ed in quali termini legittima la cronaca vera in quanto resoconto dei fatti aderenti il più possibile alla realtà (specificamente sul punto, Ramacci, Cronaca e verità, in Studi Musotto, Palermo, 1981, IV, 253 spec. 272; Cavalla, L'obiettività nell'informazione, in AA.W., Tutela dell'onore e mezzi di comunicazione di massa, Milano, 1979, 214 ss.), investe anche la problematica del resoconto giornalistico come forma di manifestazione del pensiero legittimata a trascendere la forma di semplice resoconto dei fatti, per diventarne commento e interpretazione. Si consideri che nel caso di specie il nodo della
polemica fra i radicali e l'organo del PCI non era semplicemente politico, ma implicava la delicatissima e drammatica questione del bilanciamento, di fronte al ricatto dei terroristi, fra la ragion di Stato, che imponeva la fermezza nel nome della salvaguardia dei principi fondamentali dell'ordinamento giuridico, e le pressanti istanze di tutela del diritto alla vita e all'incolumità fisica del giudioe D'Urso tenuto in
ostaggio (sotto questo profilo, la vicenda è stata analizzata da A. Lener, La « cultura » delle riviste di giurisprudenza, in Foro it., 1983, V, 272; per un inquadramento della questione nel diritto tedesco, cfr.
Daubler, Euromissili, « political question » e diritto costituzionale
tedesco, nota a Bundesverfassungsgericht 16 dicembre 1983, id., 1985, IV, 22).
In un tale contesto, la sentenza su riportata ha ritenuto dì giustificare espressioni di critica anche assai severe. Come del resto è stato rilevato, esistono materie nelle qjiali possono innestarsi giudizi e valutazioni personali dei giornalisti: tali sarebbero, ad es., la politica e la religione (Delitala, I limiti giuridici della libertà di stampa, in Iustitia, 1959, 383 ss.). In simili situazioni è tanto più arduo porre dei limiti all'attività giornalistica, quanto più essa appare riconducibile nell'ambito del diritto alla libera manifestazione del pensiero, garantito dall'art. 21 Cost, (circa il bilanciamento fra i due beni giuridici della libertà di espressione e dell'onore, entrambi di rango costituzionale, cfr. Musco, Bene giuridico e tutela dell'onore, Milano, 1974, passim).
C. Rapisarda
Il Foro Italiano — 1985.
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