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sentenza 21 aprile 1993, n. 179 (Gazzetta ufficiale, 1aserie speciale, 28 aprile 1993, n. 18); Pres....

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sentenza 21 aprile 1993, n. 179 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 28 aprile 1993, n. 18); Pres. Casavola, Est. Santosuosso; Longo c. Soc. Wabco Westinghouse Compagnia Freni. Ord. Cass. 20 febbraio 1992 (G.U., 1 a s.s., n. 45 del 1992) Source: Il Foro Italiano, Vol. 116, No. 5 (MAGGIO 1993), pp. 1333/1334-1337/1338 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23187912 . Accessed: 28/06/2014 11:52 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 193.142.30.51 on Sat, 28 Jun 2014 11:52:50 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Page 1: sentenza 21 aprile 1993, n. 179 (Gazzetta ufficiale, 1aserie speciale, 28 aprile 1993, n. 18); Pres. Casavola, Est. Santosuosso; Longo c. Soc. Wabco Westinghouse Compagnia Freni. Ord.

sentenza 21 aprile 1993, n. 179 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 28 aprile 1993, n. 18);Pres. Casavola, Est. Santosuosso; Longo c. Soc. Wabco Westinghouse Compagnia Freni. Ord. Cass.20 febbraio 1992 (G.U., 1 a s.s., n. 45 del 1992)Source: Il Foro Italiano, Vol. 116, No. 5 (MAGGIO 1993), pp. 1333/1334-1337/1338Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23187912 .

Accessed: 28/06/2014 11:52

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

contenuto minimo essenziale del diritto alla tutela della salute,

garantito dall'art. 32 Cost.: il quale, considerato anche in cor

relazione con il principio di uguaglianza sostanziale (art. 3, 2°

comma), impone che la salute abbia una protezione piena, esau

stiva ed effettiva (sentenza n. 992 del 1988, Foro it., 1989, I,

1766). Orbene, la condizione dei pensionati di invalidità infra sessantacinquenni che abbiano redditi inferiori ai livelli previsti

per i pensionati di vecchiaia presenta tutti gli elementi ai quali si ricollegano le ragioni dell'esenzione in esame. Anche in que sto caso, infatti, si tratta di cittadini parimenti non abbienti,

che si trovano — per definizione legislativa e per specifico ac

certamento amministrativo o giudiziale — nell'impossibilità, a

causa delle loro menomate condizioni fisiche e per collegate ra

gioni di ordine sociale, di trovare fonti di guadagno ulteriore,

e che a causa dell'infermità o del complesso di infermità di cui

sono portatori, hanno presumibilmente un bisogno maggiore e

più frequente di far ricorso a prestazioni di cura, di prevenzio ne e di riabilitazione.

Appare quindi del tutto ingiustificata ed irrazionale (e tanto

più grave in quanto incide sull'effettiva garanzia di un diritto

fondamentale della persona) l'esclusione di questa seconda ca

tegoria di cittadini dall'esenzione doverosamente prevista per la prima. E l'irrazionalità di tale disparità di trattamento appa re ancor più evidente inserendo nel quadro della comparazione anche l'esenzione prevista per gli invalidi civili con riduzione della capacità lavorativa superiore a due terzi (e cioè di misura

pari alla riduzione della capacità di guadagno o della capacità lavorativa prevista per il diritto alla pensione di invalidità). Questa corte, del resto, ha già ritenuto che «l'inabilità connessa all'età

avanzata sia praticamente indistinguibile da quella derivante ai

parzialmente inabili da pregresse condizioni di salute ... si che

entrambe diano titolo, nelle medesime condizioni di bisogno,

ad un'identica prestazione assistenziale». In presenza di tale so

stanziale equivalenza tra le condizioni invalidanti — ha aggiun to la corte — «non hanno ragion d'essere differenziazioni nel

l'individuazione delle condizioni di bisogno che danno titolo al

sostegno solidaristico della collettività».

Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara l'illegitti mità costituzionale dell'art. 3, 1° comma, lettera b), d.l. 25 no

vembre 1989 n. 382 (disposizioni urgenti sulla partecipazione

alla spesa sanitaria e sul ripiano dei disavanzi delle unità locali), convertito, con modificazioni, nella 1. 25 gennaio 1990 n. 8, nella parte in cui esclude dal diritto all'esenzione dal pagamen to di tutte le quote di partecipazione alla spesa sanitaria, fino

al raggiungimento dell'età per il collocamento a riposo prevista

dall'assicurazione generale obbligatoria per i lavoratori dipen

denti, i titolari di pensione di invalidità con reddito inferiore ai livelli ivi determinati.

CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 21 aprile 1993, n. 179

{Gazzetta ufficiale, 1* serie speciale, 28 aprile 1993, n. 18); Pres. Casavola, Est. Santosuosso; Longo c. Soc. Wabco We

stinghouse Compagnia Freni. Ord. Cass. 20 febbraio 1992

(G.U., la s.s., n. 45 del 1992).

Lavoro (rapporto) — Parità uomo-donna — Diritto ai riposi

giornalieri per l'assistenza dei figli — Attribuzione al padre

lavoratore — Esclusione — Incostituzionalità (Cost., art. 3,

29, 30, 31, 37; 1. 30 dicembre 1971 n. 1204, tutela delle lavo

ratrici madri, art. 10; 1. 9 dicembre 1977 n. 903, parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro, art. 7).

È illegittimo, per violazione degli art. 3, 29, 30, 31 e 37 Cost., l'art. 71. 9 dicembre 1977 n. 903, nella parte in cui non esten

de, in via generale ed in ogni ipotesi, al padre lavoratore,

Il Foro Italiano — 1993.

in alternativa alla madre lavoratrice consenziente, il diritto

ai riposi giornalieri previsti dall'art. 10 l. 30 dicembre 1971 n. 1204, per l'assistenza al figlio nel suo primo anno di vita. (1)

Diritto. — 1. - La questione sottoposta dalla Corte di cassa

zione all'esame del giudice delle leggi — con ordinanza perve nuta a questa corte il 12 ottobre 1992 — concerne la legittimità costituzionale — con riferimento agli art. 3, 29, 30 e 31 Cost. — dell'art. 7 1. 9 dicembre 1977 n. 903 (parità di trattamento

tra uomini e donne in materia di lavoro), nella parte in cui

non estende, in via generale ed in ogni ipotesi, al padre lavora

tore, in alternativa alla madre lavoratrice consenziente, il diritto

ai riposi giornalieri previsti dall'art. 10 1. 30 dicembre 1971 n. 1204 (tutela delle lavoratrici madri), per l'assistenza al figlio nel suo primo anno di vita.

La rilevanza della questione risulta evidente e motivata dal

l'ordinanza di rimessione, poiché l'oggetto della domanda della

parte era appunto il pagamento della retribuzione per le ore

di riposo giornaliero usufruite — in alternativa alla moglie, an

(1) L'ordinanza di rimessione, Cass. 20 febbraio 1992, può leggersi in Mass. giur. lav., 1992, 567 (indicata con il n. 683, che è però il numero con cui essa è iscritta nel registro delle ordinanze presso la

Consulta), mentre la pronuncia di secondo grado relativa alla medesi

ma vicenda, e cioè Trib. Torino 22 marzo 1990, è riassunta in Foro

it., Rep. 1990, voce Lavoro (rapporto), n. 1533.

Tar Lombardia, sez. Ili, 19 aprile 1991 n. 161, id., Rep. 1991, voce

Impiegato dello Stato, n. 566, ha affermato in via interpretativa l'esi

stenza del diritto del padre di godere dei riposi di cui all'art. 10 cit., in alternativa alla madre che vi abbia rinunziato.

Con la sentenza in epigrafe la Corte costituzionale sviluppa ulterior

mente le precedenti enunciazioni lungo il filo del superamento della

concezione di una rigida distinzione dei ruoli di lavoratori e lavoratrici

in materia di diritti e doveri di assistenza del bambino. In particolare,

proprio con riferimento all'estensione al padre dei riposi in questione, ma nel caso di impossibilità di assistenza della madre del minore per decesso o grave infermità di lei, cfr. sent. 19 gennaio 1987, n. 1, id.,

1987, I, 313, con nota di richiami.

Pare opportuno segnalare le seguenti precisazioni presenti nella deci

sione sopra riportata:

1) ai fini del riconoscimento al padre lavoratore del diritto ai riposi

giornalieri, è necessario che anche la madre sia lavoratrice, e che sia

consenziente; 2) al datore di lavoro del richiedente deve essere presentata sia la

dichiarazione di assenso dell'altro genitore, sia la dichiarazione del da

tore di lavoro di quest'ultimo da cui risulti la comunicazione di rinun

zia della madre;

3) il diritto ai riposi non può essere esercitato durante i periodi di

astensione obbligatoria o facoltativa post partum, né in genere durante

i periodi di sospensione dell'obbligo di prestazione lavorativa;

4) in ossequio ai principi di correttezza e buona fede nell'esecuzione

del rapporto di lavoro, «mentre il datore di lavoro deve considerare

la prevalente rilevanza del dovere di assistenza ai figli dei lavoratori,

pure questi ultimi devono esercitare il loro diritto compatibilmente con

le specifiche esigenze dell'organizzazione aziendale, anche preavverten do il datore di lavoro, specie nel caso di successive modifiche della

scelta del genitore designato alla predetta assistenza». Tra le importanti pronunce della Corte costituzionale in materia di

«permessi di paternità», cfr., più di recente, sent. 15 luglio 1991, n.

341, id., 1991, I, 2297, con nota di richiami, che, sottolineando il supe ramento della separatezza dei ruoli della donna e dell'uomo, nella fami

glia e fuori di essa, ed una più paritetica partecipazione di entrambi

ai compiti di cura, assistenza e educazione dei minori (v. i rilievi al

riguardo contenuti nella sentenza sopra riportata), ha dichiarato l'ille

gittimità costituzionale dell'art. 7, 1° comma, 1. n. 903 cit., per viola

zione dell'art. 29, 2° comma, in relazione anche agli art. 30, 31, 2°

comma, 37, 3, 1° e 2° comma, Cost., nella parte in cui non consente

al lavoratore, affidatario di minore ai sensi dell'art. 10 1. n. 184 del

1983, l'astensione dal lavoro durante i primi tre mesi successivi all'ef

fettivo ingresso del bambino nella famiglia affidataria, in alternativa

alla moglie lavoratrice. In tema di riposi ex art. 10 1. n. 1204 cit., cfr. Cass. 19 gennaio

1990, n. 292, id., Rep. 1990, voce Previdenza sociale, n. 587; Cons.

Stato, sez. VI, 6 giugno 1989, n. 723, id., Rep. 1989, voce Impiegato dello Stato, n. 658; Cass. 20 ottobre 1987, n. 7736, id., Rep. 1988, voce Previdenza sociale, n. 686; 2 aprile 1987, n, 3187, id., Rep. 1987, voce Lavoro (rapporto), n. 539 e Nuovo dir., 1987, 949, con nota di

V.A. Poso; 13 febbraio 1987, n, 1602, Foro it., Rep. 1987, voce Previ

denza sociale, n. 701; 20 dicembre 1986, n. 7800, id., 1987, I, 1083, con nota di richiami.

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1335 PARTE PRIMA 1336

ch'essa lavoratrice subordinata e che vi aveva rinunziato — per l'assistenza alla figlia non maggiore di un anno.

2. - La questione è fondata.

La giurisprudenza di questa corte (più avanti citata) ha già avuto diverse occasioni per sottolineare come la normativa degli anni '70 abbia dato sempre maggiore realizzazione ai valori co

stituzionalmente garantiti della parità fra uomini e donne, della

funzione sociale della maternità, dell'inserimento della donna

nel lavoro, e quindi della necessità di interventi della società

volti a tutelare la maternità stessa.

È stato anche rilevato che, assieme alla tutela della salute

e della condizione della madre, la nuova normativa ha preso anche in considerazione i superiori interessi del bambino come

oggetto di tutela diretta, quando non prevalente ed esclusiva.

Per quanto particolarmente riguarda la fase successiva al par

to, il rapporto madre-bambino, visto sotto il profilo dell'attiva

ed assidua partecipazione della prima allo sviluppo fisico e psi chico del figlio, è stato protetto attraverso una serie di istituti:

a) astensione obbligatoria della madre dal lavoro per i primi tre mesi successivi al parto (art. 4 1. 30 dicembre 1971 n. 1204), col diritto a percepire una indennità giornaliera pari all'80% della retribuzione (art. 15 1. cit.);

b) diritto della lavoratrice di assentarsi per sei mesi, trascor

so il periodo di astensione obbligatoria ma entro il primo anno

di vita del bambino, con conservazione del posto di lavoro (art.

7, 1° comma, 1. cit.); e corresponsione di una indennità pari al 30% della retribuzione (art. 15, 2° comma);

c) diritto della lavoratrice di assentarsi, altresì, durante le ma

lattie del bambino di età inferiore a tre anni, dietro presentazio ne di certificato medico (art. 7, 2° comma, 1. cit.);

d) diritto della lavoratrice ad uscire dall'azienda per due pe riodi di riposo, anche cumulabili durante la giornata, di un'ora

ciascuno, durante il primo anno di vita del bambino; periodi di riposo considerati come ore lavorative anche agli effetti eco

nomici; ma ridotti ad uno solo quando l'orario di lavoro è infe

riore a sei ore (art. 10 1. cit.); è) l'esercizio di questi diritti e delle modalità di lavoro riser

vati alle lavoratrici madri, nonché l'organizzazione ed il finan

ziamento degli asili nido sono ulteriormente disciplinati dal d.p.r. 25 novembre 1976 n. 1026 e dalla 1. 29 novembre 1977 n. 891.

3. - Nell'ambito della coeva normativa (1. 9 dicembre 1977

n. 903) intesa a realizzare la «parità di trattamento tra uomini

e donne in materia di lavoro», vengono riconosciuti al padre

lavoratore, anche se adottivo o affidatario, i diritti — sopra elencati sub b) e c) — di assentarsi dal lavoro ed il corrispon dente trattamento economico (previsti dal 1° e dal 2° comma

dell'art. 7 e dell'art. 15 1. n. 1204 del 1971) «in alternativa alla

madre lavoratrice ovvero quando i figli sono affidati al solo

padre». L'esercizio di questi diritti è subordinato alla rinunzia

dell'altro genitore, con relativa dichiarazione del suo datore di

lavoro.

Da tale disposizione di legge traeva origine una più moderna

evoluzione di questo aspetto del diritto di famiglia, nel senso

che, pur permanendo la coscienza della funzione sociale della

maternità, si è andato sempre più valorizzando il prevalente in

teresse del bambino e — superandosi una rigida concezione del

la diversità dei ruoli dei due genitori e dell'assoluta priorità del

la madre — si sono riconosciuti paritetici diritti-doveri di en

trambi i coniugi e la reciproca integrazione di essi alla cura dello

sviluppo fisico e psichico del loro figlio. La svolta veniva avvertita e favorita da questa corte con le

sentenze 14 gennaio 1987, n. 1 (Foro it., 1987, I, 313), 10 mar

zo 1988, n. 276 (id., Rep. 1988, voce Lavoro (rapporto), n. 677), 11 marzo 1988, n. 332 (id., 1989,1, 629), 19 ottobre 1988, n. 972 (id., 1988, I, 3165), 8 febbraio 1991, n. 61 (id., 1991, I, 697) e 15 luglio 1991, n. 341 (ibid., 2297).

Queste sentenze, infatti, oltre a riconfermare e potenziare i

diritti della madre-lavoratrice, elevano ancor più la posizione del bambino quale autonomo titolare di interessi da salvaguar dare nell'ambito della legislazione protettiva, e sottolineano che

il figlio va tutelato, «non solo per ciò che attiene ai bisogni più propriamente fisiologici, ma anche in riferimento alle esi

genze di carattere relazionale ed affettivo che sono collegate allo sviluppo della sua personalità». In questo contesto, «anche

il padre è idoneo — e quindi tenuto — a prestare assistenza

materiale e supporto affettivo al minore»; e lo stesso dicasi ri

guardo alla paternità e maternità legali.

Il Foro Italiano — 1993.

4. - Nella delineata ottica della «nuova visione del ruolo dei

genitori nella vita familiare, ed in particolare del modo in cui

essi debbono con eguali diritti e doveri concorrere all'assistenza

alla prole», la citata sentenza n. 1 del 1987 di questa corte ha

esteso il principio previsto dall'art. 7 1. n. 903 del 1977 sulla

parità di trattamento fra uomini e donne anche ai riposi giorna lieri retribuiti, ritenendo che tale diritto va riconosciuto al pa dre lavoratore, ove l'assistenza della madre al minore sia dive

nuta impossibile per decesso o grave infermità.

In quella occasione la corte non potè prendere in considera

zione — in aggiunta ai casi predetti — impedimenti dovuti ad altre cause, in quanto «non meglio definite ed emerse in via

di mera ipotesi nei giudizi principali». Nella presente occasione, invece, a distanza di oltre cinque anni, la questione viene dalla

Corte di cassazione prospettata in questa sede in termini più

generali in relazione ai cosiddetti «permessi di paternità», rite nendosi «irrazionale che non sia assicurata al bambino la pre

senza nel primo anno di vita, durante i riposi giornalieri, anche

del padre, in sostanza — con l'assenso della madre — di quello

dei genitori che a loro giudizio sia meglio in grado via via di assisterlo, per un'atmosfera il più possibile di serenità». Ciò — aggiunge l'ordinanza — «potrebbe garantire meglio l'interes

se superiore del bambino, ora anche riconosciuto nella conven

zione internazionale sui diritti dell'infanzia 20 novembre 1989 dell'Onu, ratificata in Italia con la 1. 27 maggio 1991 n. 176».

Ma, soprattutto, l'ulteriore passo verso questo riconoscimento

dei diritti-doveri del padre e della migliore tutela del bambino renderebbe la norma denunziata conforme ai principi contenuti

negli art. 3, 29, 30, 31 e 37 Cost.

5. - La questione trova, invero, la sua soluzione nel giusto

equilibrio fra i diversi principi costituzionali — contenuti nelle ora citate norme di riferimento — e cioè della tutela della ma

ternità, dell'autonomo interesse del minore, della parità di dirit

ti doveri dei coniugi, nonché della parità degli uomini e delle donne in materia di lavoro, tenendosi altresì conto della moder

na evoluzione della legislazione e della giurisprudenza in tema

di rapporti sociali nell'ambito della famiglia. In effetti, la natura e la finalità dell'istituto dei riposi giorna

lieri, previsti dall'art. 10 1. 30 dicembre 1971 n. 1204, per le lavoratrici madri, nonostante il testuale riferimento al «riposo della "madre", non corrispondono più soltanto all'allattamen

to del neonato e ad altre sue esigenze biologiche, come si è

sopra esposto, ma a qualsiasi forma di assistenza del bambino.

Secondo V id quod plerumque accidit può presumersi che nel

primo anno di vita l'interesse del figlio esiga maggiormente il

rapporto fisico e psicologico con la madre. Ma già la originaria formulazione dell'art. 7 1. 9 dicembre 1977 n. 903, riconoscen

do al padre lavoratore, in alternativa alla madre (sia pure a

seguito di rinunzia della stessa), il diritto di assentarsi per sei mesi dal lavoro per assistere il figlio nel primo anno di vita

e durante le malattie del bambino di età inferiore a tre anni, ha ribadito non solo il diritto-dovere di entrambi i genitori ad

assistere il figlio, pur se di tenera età, ma soprattutto il supera mento della concezione di una rigida distinzione dei ruoli e che

un equilibrato sviluppo della personalità del bambino esige spesso l'assistenza da parte di entrambe le figure genitoriali anche per

aspetti di carattere affettivo e relazionale. Il che è stato confer

mato dai citati precedenti giurisprudenziali di questa corte, che

hanno esteso ad altre ipotesi gli stessi criteri».

In coerenza con la ratio di questa evoluzione normativa e

giurisprudenziale, ed in conformità dei principi costituzionali sopracennati, può, pertanto, ritenersi che l'art. 7 1. 9 dicembre

1977 n. 903, sulla parità di trattamento tra uomini e donne in

materia di lavoro va inteso nel senso che anche al lavoratore

padre spetta, in alternativa alla madre lavoratrice e col suo con

senso, il diritto ai periodi di jiposo giornaliero alle condizioni previste dall'art. 10 1. 30 dicembre 1971 n. 1204, per assistere

il figlio nel suo primo anno di vita. La delicata scelta di quel genitore che, assentandosi dal lavo

ro per assistere il bambino, possa meglio provvedere a tali esi

genze, non può che restare affidata all'accordo degli stessi co

niugi, in spirito di leale collaborazione e nell'esclusivo interesse

del loro figlio (art. 143 e 144 c.c.). 6. - Nel ritenere opportuno, a questo punto, fare qualche

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

precisazione relativamente all'esercizio dei predetti diritti rico nosciuti dalla presente pronuncia, la corte rileva anzitutto che

anche per i periodi di riposo previsti dall'art. 10 1. n. 1204 del 1971 valgono alcuni criteri stabiliti dall'art. 7 della legge sulla parità (n. 903 del 1977), nel senso che il diritto del padre lavo ratore viene riconosciuto sempre che anche la madre sia lavora

trice, e previa presentazione al proprio datore di lavoro sia del

la dichiarazione di assenso della madre, sia della dichiarazione del datore di lavoro dell'altro genitore, da cui risulti la comuni

cazione della rinunzia della madre.

Inoltre, il diritto ai riposi giornalieri retribuiti non può eserci tarsi durante i periodi in cui il padre lavoratore o la madre

lavoratrice godano già dei periodi di astensione obbligatoria (art. 4 1. n. 1204 del 1971), o di assenza facoltativa (art. 7 stessa

legge), o quando, per altre cause, l'obbligo della prestazione lavorativa sia interamente sospeso.

Poiché, infine, il rapporto di lavoro deve svolgersi col rispet to da entrambe le parti dei principi di correttezza e buona fede, anche con riguardo ai riposi giornalieri, mentre il datore di la voro deve considerare la prevalente rilevanza del dovere di assi

stenza ai figli dei lavoratori, pure questi ultimi devono esercita

re il loro diritto compatibilmente con le specifiche esigenze del

l'organizzazione aziendale, anche preavvertendo il datore di

lavoro, specie nel caso di successive modifiche della scelta del

genitore designato alla predetta assistenza.

Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara l'illegitti mità costituzionale dell'art. 7 1. 9 dicembre 1977 n. 903 (parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro), nella

parte in cui non estende, in via generale ed in ogni ipotesi, al

padre lavoratore, in alternativa alla madre lavoratrice consen

ziente, il diritto ai riposi giornalieri previsti dall'art. 10 1. 30 dicembre 1971 n. 1204 (tutela delle lavoratrici madri), per l'as

sistenza al figlio nel suo primo anno di vita.

CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 8 aprile 1993, n. 149 (Gazzetta ufficiale, 1* serie speciale, 14 aprile 1993, n. 16); Pres. ed est. Casavola; Treossi c. Soc. Brema. Ord. Trib.

Forlì 18 aprile 1992 (G.U., la s.s., n. 35 del 1992).

Lavoro (rapporto) — Contratto di formazione e lavoro — Ob

blighi di leva — Omessa previsione della sospensione auto

matica del termine — Questione infondata di costituzionalità

(Cost., art. 3, 52; d. 1. c.p.s. 13 settembre 1946 n. 303, con

servazione del posto ai lavoratori chiamati alle armi per servi

zio di leva, art. 1; d.l. 30 ottobre 1984 n. 726, misure urgenti a sostegno e ad incremento dei livelli occupazionali, art. 3; 1. 19 dicembre 1984 n. 863, conversione in legge, con modifi

cazioni, del d.l. 30 ottobre 1984 n. 726, art. 1).

È infondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di

legittimità costituzionale degli art. 3, 5° comma, d.l. 30 otto

bre 1984 n. 726 (cosi come modificato dalla legge di conver

sione 19 dicembre 1984 n. 863) e 1 d.l.c.p.s. 13 settembre

1946 n. 303, nonché dell'art. 3, 1° comma, d. I. 726/84, nella

parte in cui non è prevista la proroga del termine apposto al contratto di formazione e lavoro nel caso di sospensione del rapporto per servizio di leva del lavoratore, in riferimento

agli art. 3 e 52 Cost, (in motivazione, si è ritenuto che, essen

do lo schema causale del contratto di formazione e lavoro

caratterizzato non solo dallo scambio di prestazione lavorati

va e retribuzione, ma anche da una finalità formativa, qualo ra fatti oggettivamente impeditivi come gli obblighi di leva, la malattia, la gravidanza e il puerperio, precludano il rag

giungimento di tale finalità, si deve ammettere la proroga per un periodo pari alla sospensione). (1)

(1) La sentenza interviene sulla dibattuta questione concernente gli effetti sulla durata del contratto di formazione e lavoro derivanti dagli

li Foro Italiano — 1993.

Diritto. — 1. - La presente questione, prospettata alla corte

dal Pretore di Forlì', investe — in riferimento agli art. 3, 1°

comma, e 52, 2° comma, Cost. — da un lato, il combinato

disposto degli art. 3, 5° comma, d.l. 30 ottobre 1984 n. 726 (misure urgenti a sostegno e ad incremento dei livelli occupazio

nali), convertito, con modificazioni, nella 1. 19 dicembre 1984 n. 863, e 1 d.l.c.p.s. 13 settembre 1946 n. 303 (conservazione del posto ai lavoratori chiamati alle armi per servizio di leva); dall'altro, l'art. 3, 1° comma, del citato d.l. n. 726 del 1984

(convertito, con modificazioni, nella citata 1. n. 863 del 1984). Costituiscono, precisamente, oggetto di censura le norme sud

dette laddove: a) non è prevista la proroga automatica del ter

mine apposto ad un contratto di formazione e lavoro, in caso

di sopravvenuta sospensione del rapporto per chiamata al servi

zio di leva del lavoratore, e per il periodo corrispondente alla

sospensione (art. 3, 5° comma, d.l. n. 726 del 1984 e art. 1

d.l.c.p.s. n. 303 del 1946); ti) non è prevista detta proroga oltre

il termine massimo di ventiquattro mesi, salva la diversa e con

giunta volontà delle parti (art. 3, 1° comma, d.l. n. 726 del 1984). L'illegittimità costituzionale delle anzidette disposizioni di legge

è sostanzialmente dedotta, in riferimento all'art. 3, per l'ingiu stificata disparità di trattamento che, nel contratto di formazio

ne e lavoro, si determinerebbe a danno di alcuni lavoratori che,

per assolvere l'obbligo di leva, non possono conseguire la fina lità formativa del contratto; in riferimento all'art. 52, 2° com

ma, Cost., per il pregiudizio che la decorrenza del termine e

la sua improrogabilità arrecherebbero alla posizione del lavora

tore chiamato al servizio di leva.

2. - La questione non è fondata.

Nel contratto di formazione e lavoro, previsto dalla norma

impugnata, lo schema causale, rispetto al tìpico contratto di

lavoro subordinato, risultando arricchito dall'elemento della for

effetti sospensivi del rapporto di lavoro quali gli obblighi di leva e la

gravidanza. Se appare ormai consolidato in giurisprudenza e dottrina l'assimila

zione dei contratti di formazione ai contratti a termine (vedi, in altra

parte di questo fascicolo, Cass. 23 dicembre 1992, n. 13597 e Pret. Frosinone 19 dicembre 1992, in materia di recesso ante tempus e di osservanza di obblighi e requisiti) molto più dibattuta è la questione se il contratto di formazione e lavoro debba qualificarsi come un con tratto a causa mista in cui la finalità formativa abbia tale rilevanza da giustificare sospensioni e proroghe per gli eventi di cui agli art. 2110 e 2111 c.c.

In senso negativo, cioè per una applicazione rigida dei principi gene rali in materia di contratti a termine con conseguente impossibilità della

proroga, v. Pret. Milano 2 dicembre 1991, Riv. it. dir. lav., 1992, II, 919; Pret. Udine 20 giugno 1991, ibid., 558, con nota di M. Mariani; Pret. Milano 24 gennaio 1991, Foro it., Rep. 1991, voce Lavoro (rap porto), n. 620 e, in caso di gravidanza, Pret. Milano 10 agosto 1990,

id., Rep. 1990, voce cit., n. 590; Trib. Firenze 3 novembre 1989, ibid., n. 589.

Contra, per la particolare rilevanza della finalità formativa, v. Pret. Monza 5 aprile 1989, id., Rep. 1989, voce cit., n. 1618 e, in materia di gravidanza, Pret. Milano 20 maggio 1992, Notiziario giurisprudenza lav., 1992, 490 e Pret. Soresina 11 aprile 1989, Foro it., Rep. 1989, voce cit., n. 664.

È comunque probabile che questa sentenza della corte contribuisca a far pendere la bilancia verso quest'ultima posizione, cosi come la recente sentenza della Cassazione 9 novembre 1992, n. 12066, id., Mass., 1057 e Mass. giur. lav., 1992, 457, in materia di gravidanza.

La sentenza in epigrafe è importante anche perché modifica un prece dente orientamento della corte (sentenza 25 maggio 1987, n. 190, Foro

it., 1988, I, 361, con nota di M. De Luca, Contratto di formazione e lavoro: una tipologia contrattuale efficace per l'occupazione flessibile (con finalità formative), che, pur ribadendo la finalità formativa dei

contratto di formazione e lavoro, affermava che la caratteristica preva lente di tali contratti fosse nel favorire la costituzione di rapporti di

lavoro per i giovani. Va altresì' sottolineato che la 1. 19 dicembre 1990 n. 407, all'art. 8,

prevede espressamente l'applicabilità del contratto di formazione e la

voro solo per mansioni non generiche, riaffermando quindi l'importan za della formazione professionale del lavoratore come causa tipica dei

contratti in esame il che, pur nella considerazione che essi rientrino

nella più larga categoria dei contratti a termine, giustificherebbe coe

rentemente la proroga del rapporo di lavoro qualora una causa legale

sospensiva impedisca oggettivamente il completamento dell'/ter formativo. In dottrina, v., in riferimento alle problematiche qui trattate, la nota

di E. D'Avossa a Tar Sicilia, sez. Catania, ord. n. 311, 9 maggio 1990, in Dir. e pratica lav., 1990, 2845 e Nicolini, Servizio militare di leva

e contratto di formazione, id., 1987, 3363.

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