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sentenza 21 dicembre 1983; Pres. Gesmundo, Est. Fusaro; Solfanelli (Avv. Gala, Vinci, Melani) c....

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sentenza 21 dicembre 1983; Pres. Gesmundo, Est. Fusaro; Solfanelli (Avv. Gala, Vinci, Melani) c. Bartolucci (Avv. Caminiti, Mati) Source: Il Foro Italiano, Vol. 108, No. 1 (GENNAIO 1985), pp. 267/268-271/272 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23177543 . Accessed: 28/06/2014 07:58 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 141.101.201.48 on Sat, 28 Jun 2014 07:58:32 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Page 1: sentenza 21 dicembre 1983; Pres. Gesmundo, Est. Fusaro; Solfanelli (Avv. Gala, Vinci, Melani) c. Bartolucci (Avv. Caminiti, Mati)

sentenza 21 dicembre 1983; Pres. Gesmundo, Est. Fusaro; Solfanelli (Avv. Gala, Vinci, Melani) c.Bartolucci (Avv. Caminiti, Mati)Source: Il Foro Italiano, Vol. 108, No. 1 (GENNAIO 1985), pp. 267/268-271/272Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23177543 .

Accessed: 28/06/2014 07:58

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PARTE PRIMA

Motivi della decisione. — La statuizione del primo giudice, di

rigetto delle domande di dichiarazione di nullità o di inefficacia o

di annullamento del contratto di cui trattasi non ha formato

oggetto di impugnazione e non va quindi riesaminata in questa sede.

L'indagine è limitata quindi alla sussistenza delle condizioni della risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta.

Stabilisce l'art. 1467 c.c. che «... se la prestazione di una delle

parti è divenuta eccessivamente onerosa per il verificarsi di

avvenimenti straordinari e imprevedibili, la parte che deve tale pre stazione può domandare la risoluzione del contratto... La risolu zione non può essere domandata se la sopravvenuta onerosità rientra nell'alea normale del contratto ».

Per la risoluzione in parola devono quindi ricorrere tre condi zioni: a) la straordinarietà e imprevedibilità degli eventi causativi del sopravvenuto squilibrio contrattuale; b) l'eccessività di tale

squilibrio; c) il superamento dell'alea normale del contratto. A giudizio della corte non ricorre alcuna delle suddette condi

zioni.

I due concetti di straordinarietà e imprevedibilità, pur potendo in concreto coincidere, sono concettualmente diversi, attenendo il

primo ad eventi che si pongono fuori della normalità statistica e il secondo ad eventi che non si possono presagire dall'uomo medio: criterio oggettivo il primo e soggettivo il secondo.

Possono dunque verificarsi eventi straordinari, ma prevedibili, ed eventi ordinari, ma imprevedibili: nessuno di questi è idoneo a condurre alla risoluzione in parola, perché i due requisiti devono concorrere.

I provvedimenti amministrativi, ai quali l'attore attribuisce lo

squilibrio contrattuale sopravvenuto nel suo contratto, possono ritenersi fuori della normalità statistica, e quindi straordinari, ma

non possono ritenersi imprevedibili. Infatti, essi furono ammessi in forza di poteri attribuiti dalla

legge agli organi di controllo della borsa e ciò che è previsto dalla legge e da essa disciplinato non può considerarsi impreve dibile, proprio perché fa parte delle regole del gioco.

Inoltre, essi sopravvennero appena il giorno successivo a quello della stipulazione del contratto in questione, dal che si deduce

che la situazione che quei provvedimenti tendono ad arginare era

già in atto il giorno precedente, occorrendo un certo lasso di

tempo perché si ponga mano a provvedimenti limitativi del

mercato borsistico rispetto al momento in cui si realizza la

situazione da disciplinare.

Pertanto, una persona di media capacità, di media accortezza e

di media conoscenza della borsa poteva ben prevedere, il 16

giugno 1981, che sarebbero sopravvenuti provvedimenti atti ad

arrestare il crescente andamento al ribasso.

Si accusano quei provvedimenti di illegittimità e si sostiene che

la loro imprevedibilità dipenderebbe anche da tale vizio.

Ma dei motivi della asserita illegittimità non si fa parola: non

è perciò possibile esaminare questa lagnanza.

menti che condussero all'emanazione degli atti ricordati — quanto,

infine, sotto il profilo dell'oggettiva onerosità della controprestazione —

reputata, nella specie, inesistente, proprio per essere la prestazione stessa contrattualmente predeterminata e limitata all'importo del pre mio.

In armonia con la decisione in epigrafe, hanno ritenuto inammissibi

le la risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta, in dipendenza dei medesimi presupposti, le due (diverse) pronunce Trib. Milano 11

novembre 1982, id., 1983, I, 795, con osservazioni di G. Marziale; 11

novembre 1982, id., Rep. 1983, voce Borsa, n. 14; nonché Pret. Roma, ord. 13 gennaio 1982, id., 1983, I, 796, con osservazioni di G.

Marziale; Pret. Barletta, ord. 6 agosto 1981, Banca, borsa, ecc., 1984,

II, 402. Vi è da notare che, mentre Pret. Roma, ord. 13 gennaio 1982, cit.,

nega la risolubilità del contratto a premio semplice perché lo qualifica tout court come contratto aleatorio, il provvedimento in epigrafe e gli altri ora ricordati vi ravvisano più precisamente un contratto a normale

alea illimitata.

Sempre nell'ambito delle medesime vicende, Trib. Milano 23 settem bre 1982, ibid., ha negato la risolubilità per impossibilità sopravvenu ta, del contratto dont quale contratto con prestazioni alternative.

Al contrario, la risoluzione per eccessiva onerosità è ammessa, oltre che dalla sentenza riformata Trib. Sanremo 27 ottobre 1982, cit., anche da Pret. Trani, ord. 14 luglio 1981, Foro it., 1983, I, 797, con

osservazioni di G. Marziale. In dottrina, i problemi suscitati dalle delibere Consob 4/81, 929 e

931 sono considerati, da ult., in F. Ronci, Il contratto a premio semplice (dont): a margine di un caso recente, in Banca, borsa, ecc., 1984, I, 330, laddove la fattispecie in esame viene sussunta, quale

factum principis, tra le cause di eccessiva onerosità, rilevanti per la risoluzione dei contratti di borsa.

Il Foro Italiano — 1985.

La seconda condizione è costituita da un criterio di ordine

quantitativo, in quanto occorre che una delle prestazioni sia

divenuta eccessivamente onerosa.

Ciò avviene allorquando nella posizione contrattuale delle parti,

quale era al momento della stipulazione, si verifica una macro

scopica alterazione, per cui una prestazione subisce un cospicuo mutamento di valore rispetto all'altra: o perché sia aumentato il

costo di una prestazione ovvero perché si sia degradato il valore

della controprestazione. Ma, quando le parti, in previsione dei possibili mutamenti di

valore di una delle prestazioni, abbiano già predeterminato e

limitato contrattualmente l'onerosità, non può più definirsi questa come eccessiva.

Il concetto di eccessività comporta che, se lo stipulante avesse

preveduto il verificarsi del mutamento di valore, avrebbe contrat

to a condizioni diverse (e di fatti la controparte può evitare la

risoluzione offrendo di modificare equamente le condizioni del

contratto). Se però le parti hanno già previsto l'eventualità del mutamento

di valore ed hanno fissato in partenza i limiti di spostamento

dell'originario equilibrio, l'onerosità sopravvenuta fa anch'essa

parte delle regole del gioco e non infrange l'equilibrio delle

contrapposte prestazioni. Ciò è quanto avviene nel caso in esame, in cui le parti hanno

limitato l'onerosità all'importo del premio, che, essendo contrat tualmente previsto e quantificato, non può considerarsi eccessivo.

Il superamento dell'alea normale del contratto è un altro limite di rilevanza della sopravvenuta situazione di fatto.

Trattasi di un criterio di natura qualitativa, che tende ad accertare se l'evento sopravvenuto rientri o meno in quel certo

margine di rischio che è insito in ogni contratto ad esecuzione differita e si distingue da quello dell'onerosità eccessiva, che è di

natura quantitativa. Si tratta di verificare se l'alea si trovi in posizione esterna

rispetto al meccanismo contrattuale o, al contrario, si inserisca

nel contenuto di esso, divenendo elemento integrante. All'esito di questa verifica può rinvenirsi — astrattamente —

un mutamento generato da eventi straordinari e imprevedibili, che provochi uno squilibrio contrattuale eccessivamente oneroso,

ma che rientri nell'alea normale del contratto.

Circa i contratti di borsa, la migliore dottrina esclude che

possano qualificarsi come aleatori, ai sensi degli art. 1448 e 1469

c.c., il che però non comporta che ad essi sia applicabile la

risoluzione per eccessiva onerosità di cui all'art. 1467 c.c.

Infatti essendo i titoli soggetti alle più ampie e brusche

variazioni di valore e dovendosi ritenere comprese, nel rischio

assunto dalle parti, anche le oscillazioni dovute ad eventi straor

dinari (guerra, inflazione, chiusura delle borse, manovre di aggio

taggio), i contratti di borsa sono contratti ad alea normale

illimitata, comprendendo qualsiasi evento che possa influire sul

valore della prestazione. Ed allora quei provvedimenti amministrativi ai quali si fa

riferimento in questa causa, pur essendo straordinari, rientrano

nell'alea normale dei contratti di borsa a termine.

Conseguentemente l'azione di risoluzione promossa dal Verran

do non può trovare accoglimento, per mancanza delle sue condi

zioni eccezionali.

Ogni altra questione rimane assorbita, essendo già decisive le

considerazioni svolte per una riforma totale della sentenza im

pugnata. (Omissis)

CORTE D'APPELLO DI FIRENZE; sentenza 21 dicembre 1983; Pres. Gesmundo, Est. Fusaro; Solfanelli {Avv. Gala, Vinci,

Melani) c. Bartolucci (Aw. Caminiti, Mati).

CORTE D'APPELLO DI FIRENZE;

Giudizio (rapporto tra il giudizio civile e il penale) — Dubbio in

sede penale sulla falsità di scrittura privata — Assoluzione

dell'imputato perché il fatto non sussiste — Conseguenze nel

giudizio civile (Cod. proc. pen., art. 28).

L'impossibilità, per il giudice penale, di accertare la verità circa

l'autenticità o falsità di un testamento olografo (che aveva

determinato l'assoluzione dell'imputato « perché il fatto non

sussiste ») vincola il giudice civile a ritenere non provata l'autenticità del documento prodotto in giudizio. (1)

(1) La sentenza che si riporta aderisce alla costante giurisprudenza della Corte di cassazione nella parte in cui esclude che in sede civile

possa disporsi un'ulteriore indagine tesa ad accertare la sussistenza di

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Svolgimento del processo. — Con atto notificato il 23 novem

bre 1981 don Adiviero Solfanelili ha proposto appello avverso la

sent. Trib. Livorno n. 513/81, notificata il 23 ottobre 1981, con la

quale è stata accolta la petizione di eredità da parte di Nicla e

Romano Bartolucci quali eredi legittimi di Linda Bartolucci ved.

Meini loro sorella e conseguentemente è stata loro attribuita la

metà indivisa della casa in Antignano di Livorno, via del Litorale

107 già 67, ang. via della Salute, intestata per l'intero all'appel lante in forza di testamento olografo riconosciuto non autentico.

A sostegno del gravame l'appellante deduce: che a fronte della

petizione d'eredità egli aveva opposto il testamento olografo 15

ottobre 1970 con il quale la de cuius l'aveva istituito erede

universale; gli attori avevano dichiarato di non conoscere né la

scrittura né la sottoscrizione del loro autore (art. 214 c.p.c.)

quindi egli ne aveva chiesto la verificazione (art. 216 c.p.c.). Era

stata eseguita una c.t.u. che aveva concluso per la contraffazione,

quindi il giudice aveva fatto rapporto ex art. 3 c.p.p. ed aveva

sospeso il giudizio ex art. 295 c.p.c. Esercitata l'azione penale ned

un fatto materiale posto in dubbio da un giudicato penale; da tale

premessa tuttavia la Corte d'appello di Firenze fa scaturire una soluzione che si pone in netto contrasto con quella adottata dalla Cassazione: questa è infatti ferma nell'affermare che l'assoluzione

dall'imputazione di falso nel processo penale, sia pure per insufficienza di prove, rende incontrovertibilmente vero il documento prodotto nel

processo civile. In base a tale orientamento giurisprudenziale, infatti, l'equiparazione, ai fini del giudizio civile, tra il proscioglimento per insufficienza di prove e quello con formula piena sarebbe presente, ugualmente che per l'art. 25 c.p.p., anche nell'art. 28 c.p.p.: v., fra le

tante, Cass. 3 ottobre 1951, n. 2614, Foro it., Rep. 1951, voce Giudizio

(rapporto), n. 84 (e in Giur. it., 1952, I, 1, 486, con nota critica di

Jannuzzi, Autorità nel giudizio civile del giudicato penale sul falso, assolutorio per insufficienza di prove; Riv. dir. proc., 1952, II, 228, con nota critica di Carnelutti, Riflessioni sul proscioglimento per insuffi cienza di prove; 31 marzo 1954, n. 1005, Foro it., Rep. 1954, voce cit., n. 110; 5 luglio 1958, n. 2412, id., Rep. 1958, voce cit., n. 55; 4 aprile 1978, n. 1525, id., Rep. 1978, voce cit., n. 41 (e in Giur. it., 1982, I, 1, 282, con nota critica di Giarda, Assoluzione dubitativa ed operatività dell'art. 28 c.p.p.).

Nello stesso senso della presente sentenza v., invece, Trib. Roma 5 ottobre 1973, Foro it., Rep. 1974, voce cit., n. 70; Cass. 14 dicembre

1974, n. 4277, ibid., n. 59. Nel senso che la nozione di fatto materiale ai sensi dell'art. 28 c.p.p.

ricomprende solo il fatto nella propria oggettività naturalistica, avulso dall'antigiuridicità e dall'elemento psicologico e che al giudice civile non è preclusa una diversa valutazione del fatto stesso ai fini

propri del giudizio civile in relazione alla diversa configurazione giuridica che in tale giudizio lo stesso fatto può assumere v., anche, Cass. 1° giugno 1968, n. 1637, id., 1968, I, 2547; 15 settembre 1970, n. 1431, id., Rep. 1970, voce cit., n. 59; 4 dicembre 1971, n. 3501, id.,

Rep. 1971, voce cit., n. 92; 1° marzo 1973, n. 566, id., Rep. 1973, voce cit., n. 50; 23 luglio 1976, n. 2955, id., Rep. 1976, voce cit., n.

68; 10 luglio 1981, n. 4497, id., Rep. 1981, voce cit., n. 28; 31 maggio 1982, n. 3333, id., Rep. 1982, voce cit., n. 51; 1° settembre 1982, n.

4746, ibid., n. 32. Sulla necessità di esaminare la motivazione della decisione penale

per intendere, al di là del dispostivo, la reale portata del giudicato v., oltre alla sentenza cit. in motivazione, App. Napoli 12 marzo 1960, id.,

Rep. 1960, voce cit., n. 77; Cass. 23 ottobre 1961, n. 2335, id., Rep. 1961, voce cit., n. 53; App. Bologna 18 gennaio 1962, id., Rep. 1962, vo ce cit., n. 121; Cass. 27 febbraio 1970, n. 473, id., 1970, I, 1735; 24 febbraio 1978, n. 957, id., Rep. 1978, voce cit., n. 70.

L'interpretazione dell'art. 28 c.p.p. adottata dalla Corte di cassazione in materia di giudicato penale sul falso è fortemente contrastata dalla

dottrina; in particolare, sono interessanti le affermazioni di Chiovenda

(Principi di diritto processuale civile, Napoli, 1923, 851) e di Carnelutti

(Insufficienza di prove della falsità del documento impugnato, in Riv. dir. proc. civ., 1936, II, 48; Id., Riflessioni sul proscioglimento, cit.), poi riprese dagli altri autori: secondo quest'ultimo, ad esempio, a causa dell'art. 28 c.p.p. « la sentenza penale ha autorità nel giudicato civile per quanto riguarda i fatti accertati e un giudizio di non provata reità non prova nulla ». V., inoltre, Provinciali, Influenza del giudi cato penale di assoluzione dubitativa per falso circa l'autenticità del

documento impugnato, in Riv. dir._ proc., 1941, II, 214; Denti, La

verificazione delle prove documentali, Torino, 1957, 305 ss. In senso con forme alla giurisprudenza della Cassazione invece Scandini, Giudizio di verità e giudizio di non provata falsità del documento impugnato, in Riv. dir. proc. civ., 1936, II, 280; Scardaccione, Le prove, Torino, 1965, 188.

In generale, è stata da più parti posta in dubbio la razionalità dell'art. 28 c.p.p.; cfr., al riguardo, Liebman, L'efficacia della sentenza

penale nel processo civile, in Riv. dir. proc., 1957, 5; Gionfrida, L'efficacia del giudicato penale nel processo civile, ibid., 18; Giarda, Spunti in tema di limiti oggettivi e soggettivi delle preclusioni e dei vincoli di cui agli art. 25 e 28 c.p.c., in Giur. it., 1976, IV, 225; Laserra, I resti dell'art. 28 c.p.p. e la loro incostituzionalità, in Riv. dir. proc. civ., 1982, 15.

Il Foro Italiano — 1985.

confronti dell'odierno appellante, questi, dopo una seconda peri zia grafica con lo stesso consulente tecnico civile ed una terza

con un collegio di tre periti, era stato assolto al dibattimento « perché il fatto non sussiste » con sentenza divenuta irrevocabile.

Riassunto il giudizio civile, il tribunale, invece di respingere la

petizione d'eredità, l'aveva accolta facendo erronea applicazione dell'art. 28 c.p.p., sul rilievo che il giudicato penale era stato

emesso per l'impossibilità di stabilire se il testamento fosse

contraffatto ovvero autentico; l'insufficienza di prove sul presup

posto del reato aveva, come si assumeva, determinato l'assoluzio

ne con la formula dell'insussistenza del fatto; in sede civile, tale

accertamento si risolve in difetto di prova dell'autenticità, neces

saria per l'accoglimento dell'istanza di verificazione, con efficacia

preclusiva di ogni altra indagine. Con il secondo motivo (di subordine) l'appellante chiede il

riesame delle prove raccolte in sede penale e l'eventuale espleta mento di nuova c.t. (Omissis)

Motivi della decisione. — (Omissis). Il punto focale della

controversia consiste nello stabilire la portata del giudicato penale

(assoluzione di don Solfanelli dal delitto di cui agli art. 485, 491

c.p. perché il fatto non sussiste) nel procedimento di verificazione

del testamento, instaurato in via incidentale nel giudizio di

petizione di eredità.

I principi che regolano la materia (art. 28 c.p.p.) sono noti e si

possono cosi enunciare.

1) Premesso che il fatto materiale rilevante è la (non) con

traffazione del testamento, onde non si dubita ch'esso costituì

oggetto del giudizio penale, nei limiti della contestazione ed in

diretta correlazione con la pronuncia, premesso questo, l'accer

tamento della (non) contraffazione fa stato in questo giudizio, nel

senso che al giudice civile è inibita una diversa affermazione; l'incertezza sul punto equivale ad accertamento negativo, con

efficacia preclusiva di altre fonti di prova in ordine alla sussisten

za del fatto materiale.

2) « Fatto materiale » vuol dire il fatto nella propria oggettività naturalistica, avulso dall'antigiuridicità e dall'elemento psicologico, giacché l'autorità del giudicato penale ex art. 28 c.p.p. è limitata

al fatto materiale così inteso; di modo che essa non preclude una

diversa valutazione del fatto stesso ai fini propri del giudizio civile in relazione alla diversa configurazione giuridica che in

questo giudizio lo stesso fatto può assumere.

3) In particolare, se il giudice penale esclude che una scrittura

sia falsa, tale statuizione fa stato in sede civile in ordine

all'autenticità del documento ed alla sua regolare formazione

(Cass. n. 1525/78, Foro it., Rep. 1978, voce Giudizio (rapporto) n. 41, ma in una fattispecie peraltro assai diversa).

Quest'ultimo punto merita qualche riflessione. Secondo la lette

ra e la ratio dell'art. 28 c.p.p. l'autorità di cosa giudicata ha

riferimento all'accertamento dei fatti materiali, cioè al giudizio di

esistenza o inesistenza del fatto. Se cosi è, il problema dell'effica

cia della pronuncia nasce quando il giudice penale abbia pronun ciato come se il fatto non fosse avvenuto, ma senza negarlo. Il

problema esiste, in particolare, quando nel giudizio civile il fatto

materiale rilevante dev'essere accertato in senso positivo, quando cioè la fattispecie legale civile pretende un accertamento positivo in senso storico-giuridico. Nel giudizio di verificazione di scrittu

ra privata, oggetto dell'accertamento è infatti l'autenticità della

scrittura, nel senso che occorre stabilire positivamente che il

testamento olografo è autentico nello scritto e nella sottoscrizione, non tollerando la fattispecie legale un accertamento meramente

negativo, limitato cioè alla mancanza di prova della contraffazio

ne. -v j È chiaro, a questo punto, che se si accettasse la relazione

logica per la quale « non dimostrata contraffazione » equivale ad

« autenticità », il problema sarebbe risolto. Ma urta, contro siffat

to modo di ragionare, non tanto il sospetto di semplicismo e di

superficialità, quanto il rilievo, di peso ben maggiore, che la mera

trasposizione dei concetti, « non contraffazione » eguale ad « au

tenticità », equivale ad attribuire autorità di cosa giudicata ex art.

28 c.p.p. non più e non soltanto al « fatto materiale » ma

all'accertamento dell'effetto giuridico di esso, accertamento che

appartiene invece, indefettibilmente, al giudice civile. Il senso di

quanto precede si coglie appieno quando si riflette sulla distin

zione tra l'art. 27 e l'art. 28 c.p.p.: nell'ambito dell'art. 27

l'effetto giuridico è accertato dal giudice penale, che pronuncia sull'illiceità del fatto e sulla responsabilità del condannato; nel

l'ambito dell'art. 28, invece, oggetto del giudicato penale è la

mera sussistenza del fatto, mentre l'accertamento dell'effetto giu ridico appartiene al giudice civile chiamato a decidere su una

fattispecie che ha tra i suoi elementi costitutivi il fatto penalmen

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PARTE PRIMA

te rilevante. Quando si dice dunque che l'incontestabilità dei fatti

materiali accertati nel giudicato penale non preclude una diversa

valutazione giuridica dei fatti stessi ai fini dell'azione civile, si

dice anche che spetta al giudice civile accertare l'effetto giuridico che consegue alla fattispecie civile, cui rimane estraneo l'effetto

giuridico conseguente alla fattispecie penale. Ma quando si afferma che l'esclusione della falsità materiale fa

stato in sede civile « in ordine all'autenticità del documento », non si può voler dire che per il giudice civile quel documento è

autentico; si vuol dire semplicemente che anche per il giudice civile quel documento non è falso, che al giudice civile è

preclusa ogni ulteriore indagine per sciogliere il dubbio rimasto al

giudice penale. Peraltro egli è libero di affermare che, in relazione alla

fattispecie legale civile, l'accertamento di non contraffazione è

insufficiente, occorrendo invece l'accertamento positivo dell'auten

ticità.

Al fine di stabilire la portata dell'accertamento dei fatti mate

riali compiuti dal giudice penale con efficacia vincolante ex art.

28 c.p.p., l'esame interpretativo della sentenza penale dev'essere esteso alla motivazione tenendo conto del collegamento logico tra

questo ed il dispositivo (cfr. da ult. Cass. n. 2157/82, id., Rep. 1982, voce cit., n. 33).

Ebbene, il giudice penale spiega: «... non può assolutamente

addivenirsi nel caso in esame all'accertamento della verità sull'au tenticità o falsità del documento in questione... ». Di qui l'asso luzione con ampia formula « perché il fatto non sussiste »: « tale

insufficienza di prove sulla falsità dell'olografo, tale dubbio sul l'autenticità dello stesso, si risolve in favore dell'imputato »; e ciò in relazione al principio di cui all'art. 479 c.p.p.

Si vede dunque che nel giudicato penale non esiste un accer

tamento positivo di autenticità, esiste invece un accertamento

negativo, cioè di non falsità.

Il testamento non risulta contraffatto e non lo risulta anche

per il giudice civile. Ma « non contraffatto » non equivale qui ad « autentico ». Non equivale, perché: 1) come già osservato, la

trasformazione di « non contraffazione » in « autenticità » allar

gherebbe la portata del giudicato penale dal semplice fatto materiale all'accertamento dell'effetto giuridico di esso, che invece è riservato al giudice civile; 2) si altererebbero le regole della

prova legale: la verificazione di scrittura costituisce, alternativa mente col riconoscimento e l'autenticazione, uno dei modi attra

verso i quali la scrittura privata acquista in giudizio l'efficacia

probatoria piena di cui all'art. 2702 c.c.; infatti la regola di prova legale enunciata da tale norma ha come suo presupposto l'auten ticità della sottoscrizione, la quale può essere prestabilita nella forma dell'autenticazione (art. 2703 c.c.) ovvero essere acquisita nel processo attraverso il riconoscimento (anche tacito: art. 215

c.p.c.) e la verificazione. Nella specie, la serie logica probatoria è

scandita dalla dichiarazione di non conoscere la scrittura e la sottoscrizione della de cuius (art. 214/2 c.p.c.) e dal procedimento di verificazione, il quale ha la funzione di attribuire autenticità alla scrittura; ha quindi un contenuto di accertamento positivo, nel senso che se le prove dell'autenticità risultassero insufficienti, la verificazione dovrebbe essere rigettata: cfr. Cass. n. 1272/73 (id., Rep. 1973, voce Prova documentale, n. 31). (Al contrario, la

querela di falso ha un contenuto di accertamento negativo, nel senso che se le prove della falsità risultassero insufficienti, la

querela dovrebbe essere rigettata). Appare ora chiara l'impossibi lità di stabilire l'equivalenza « non dimostrata contraffazione » e « autenticità » senza stravolgere il contenuto del giudizio di

verificazione, rispetto al quale l'accertamento del fatto materiale

compiuto dal giudice penale ha autorità di cosa giudicata. Si

aggiunga che, nel caso concreto, mentre la statuizione penale è netta (insussistenza del fatto) l'accertamento del fatto materiale è

esplicitamente e dichiaratamente equivoco: il testamento non è contraffatto e non è autentico.

Se questo è il fatto materiale, non si vede come il testamento

possa diventare autentico nel giudizio civile. Significherebbe, si

ripete, attribuire autorità di cosa giudicata non all'accertamento del fatto materiale ma alla statuizione, all'accertamento dell'effetto

giuridico di esso. Il giudice penale ha accertato che il testamento non è contraffatto e non è autentico, e ne ha tratto la conseguen za giuridica: insussistenza della fattispecie penale.

Ora il giudice civile deve prendere per buono, indefettibilmen

te, l'accertamento che il testamento non è contraffatto e non è

autentico, e a sua volta trarne la conseguenza giuridica secondo la fattispecie legale civile; deve cioè statuire sull'istanza di verificazione muovendo dal fatto indiscutibile che il testamento non è contraffatto e non è autentico; la sola conseguenza

Il Foro Italiano — 1985.

giuridica è il rigetto della verificazione, perché questa non ha

come contenuto l'accertamento positivo dell'autenticità della sche

da testamentaria, e non può basarsi sull'accertamento della non

contraffazione, perché l'accertamento della non contraffazione è

controbilanciato dall'accertamento della non autenticità.

In effetti la regiudicata funziona non soltanto come accerta

mento della non contraffazione ma anche come accertamento

della non autenticità, giacché entrambi costituiscono il presuppo sto logico indefettibile della statuizione (assoluzione perché il

fatto non sussiste). Si mette in rilievo che l'accertamento è

bifronte, appunto per rendere con plastica evidenza l'assurdità

dell'equivalenza non contraffazione = autenticità, in un caso

concreto caratterizzato dall'accertamento che non vi sono prove sufficienti né per affermare la contraffazione né per affermare

l'autenticità del testamento.

La conclusione non può dunque essere che quella medesima

della sentenza impugnata che merita quindi conferma.

Il motivo subordinato rimane assorbito nella motivazione che

precede, centrata sull'efficacia preclusiva del giudicato penale anche rispetto alle fonti di prova.

TRIBUNALE DI ROMA; ordinanza 12 novembre 1984; Pres.

Modugno, Est. Toffoli; Lopez (Aw. Grenga) c. Soc. MA A

e Reggimenti (Aw. Peroni).

TRIBUNALE DI ROMA;

Assicurazione (contratto di) — Assicurazione obbligatoria r.c.a. —

Azione diretta del danneggiato verso l'assicuratore — Autovei

colo danneggiante condotto da persona diversa dal proprietario — Chiamata in giudizio del « responsabile del danno » —

Individuazione — Fattispecie (L. 24 dicembre 1969 n. 990,

assicurazione obbligatoria della responsabilità civile derivante

dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti, art. 23).

Il danneggiato che esperisca l'azione diretta verso l'assicuratore,

qualora il danno sia stato causato da un veicolo condotto da

soggetto diverso dal proprietario, è tenuto a chiamare in

giudizio non solo il proprietario dell'autovettura, ma anche il

conducente della stessa (nella specie, trattandosi di soggetto tra

sportato a titolo di cortesia e non sussistendo la responsabilità del

proprietario in quanto tale, è stata ordinata l'integrazione del

contraddittorio in relazione al solo conducente). (1)

(1) A soli quattro mesi di distanza dalla pronuncia a sezioni unite

con cui la Cassazione aveva tentato di sopire la querelle relativa

all'individuazione del « responsabile del danno » ex art. 23 1. 990/69

(sent. 11 luglio 1984, n. 4055, Foro it., 1984, I, 2466, con nota di

richiami da integrare con la recente Trib. Milano, ord. 13 gennaio

1984, Resp. civ., 1984, 101, sull'integrazione del contraddittorio nei

confronti dell'utilizzatore dell'autoveicolo concesso in leasing) giunge la

prima avvisaglia del riaccendersi del dibattito. Il provvedimento ripor tato manifesta il proprio dissenso rispetto alla linea argomentativa seguita dalle sezioni unite, col rifiutarne la ricostruzione del rapporto assicurativo obbligatorio tutta giocata sull'equazione contraente-assicu rato = proprietario.

In particolare, il collegio capitolino — nel replicare alle affermazioni della corte di legittimità — sostiene che: a) non è solo il proprietario ad essere obbligato a stipulare l'assicurazione, pena la sanzione

prevista all'art. 32 (v. — tra le più recenti. — Cass. 13 aprile 1981, Nitz, Foro it., Rep. 1982, voce Assicurazione (contratto), n. 168; 21

giugno 1978, Angeletti, id., Rep. 1979, voce cit., n. 329; 10 febbraio

1978, Culotta, id., Rep. 1978, voce cit., n. 298; 5 luglio 1977, Brufani, ibid., n. 299; Trib. Napoli 28 gennaio 1980, id., Rep. 1981, voce cit., n. 212; Pret. Bologna 26 febbraio 1980, id., Rep. 1980, voce cit., n.

200); b) il sistema assicurativo instaurato dalla 1. 990/69 mira alla

copertura delle responsabilità di tutti i soggetti che si vengono a

trovare in relazione con l'autoveicolo (del resto, la prassi seguita dalle

compagnie assicuratrici nella redazione della polizza conferma l'irrile vanza della coincidenza tra contraente-assicurato e proprietario, mentre una tale identificazione era propria del previgente sistema di assicura zione facoltativa); c) se cosi non fosse, « i trasportati godrebbero o meno dei benefici di cui all'assicurazione obbligatoria a seconda che il veicolo sia guidato dal proprietario o da un'altra persona, pur debitamente autorizzata ».

Un rilievo, per concludere. Il tribunale s'ingegna di ' smontare

pezzo a pezzo, la ricostruzione operata dalle sezioni unite per sconfes sare l'assunto che reputa soddisfatto il precetto ex art. 23 con la chiamata del solo proprietario. Ma al momento di applicare l'opposta soluzione (ossia, quella che ritiene necessaria la chiamata in giudizio tanto del proprietario quanto del conducente), si trova di fronte ad una singolare situazione; il danneggiato del caso di specie era stato

trasportato sull'autoveicolo a titolo amichevole e, in quanto tale, non

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