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sentenza 21 luglio 1981, n. 137 (Gazzetta ufficiale 29 luglio 1981, n. 207); Pres. Amadei, Rel.Malagugini; imp. Avagliano. Ord. Giud. istr. Trib. Napoli 9 novembre 1977 (Gaz. uff. 22febbraio 1978, n. 53)Source: Il Foro Italiano, Vol. 104, No. 9 (SETTEMBRE 1981), pp. 2103/2104-2105/2106Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23173006 .
Accessed: 24/06/2014 20:13
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2103 PARTE PRIMA 2104
In proposito è sufficiente osservare che la soluzione della
questione scaturisce da tutto quanto già detto a proposito della
liceità della riserva allo Stato delle trasmissioni su scala na
zionale.
Il rilievo costituzionale della questione, invero, si esaurisce
nell'aspetto testé menzionato, è, cioè, limitato all'ipotesi in cui
l'interconnessione conduca ad una trasmissione che travalichi i
limiti di liberalizzazione delineati da questa corte con la sen
tenza n. 202/76. Ogni diverso aspetto del fenomeno, sia per
quanto riguarda i mezzi usati, sia per quanto riguarda l'ambito
e le modalità di esercizio delle trasmissioni sono materia de
voluta alla regolamentazione legislativa sulla cui urgente at
tuazione è già stata richiamata l'attenzione degli organi com
petenti. 6. - Il giudice a quo nella formulazione delle censure sollevate
sembra poi identificare un ulteriore specifico elemento di ille
gittimità nell'asserita discrezionalità che sarebbe attribuita al mi
nistero delle poste nella elaborazione del piano di assegnazione delle frequenze ai privati autorizzati. Ma tale profilo — che
concerne non già la sussistenza ma l'esercizio del diritto pre teso — appare inammissibile poiché, al di là della mera enun
ciazione della censurata discrezionalità, non si rinviene nel
l'ordinanza di rinvio alcuna motivazione circa la rilevanza e
la non manifesta infondatezza della specifica questione, ele
menti entrambi indispensabili perché possa essere validamente
promosso il giudizio incidentale di legittimità costituzionale del
le leggi. Per questi motivi, 1) dichiara non fondata la questione di le
gittimità costituzionale della normativa risultante dal combinato
disposto degli art. 1, 183, 195 d. pres. 29 marzo 1973 n. 156, in relazione a quanto prescritto dalla legge 14 aprile 1975 n.
103, con particolare riferimento, per quest'ultima, all'art. 45
nonché all'art. 2 legge 10 dicembre 1975 n. 693, ed agli art. 1, 2
segg. citata legge n. 103 del 1975, cosi come formulata in rela
zione agli art. 3, 21, 43 Cost, con l'ordinanza del Pretore di
Roma del 18 novembre 1980; 2) dichiara inammissibile la que stione riferita alle stesse norme di legge ed ai medesimi para metri costituzionali sollevata con la detta ordinanza sotto il
particolare profilo dei poteri discrezionali che la normativa im
pugnata attribuirebbe alla pubblica amministrazione in ordine al
la « determinazione dell'ambito di utilizzazione delle frequenze ».
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 21 luglio 1981, n. 137
(Gazzetta ufficiale 29 luglio 1981, n. 207); Pres. Amadei, Rei.
Malagugini; imp. Avagliano. Orci. Giud. istr. Trib. Napoli 9 novembre 1977 (Gaz. uff. 22 febbraio 1978, n. 53).
Istruzione penale — Comunicazione giudiziaria — Imputato in
fermo di mente — Mancata previsione della notifica al tutore — Questione inammissibile di costituzionalità (Cost., art. 24; cod. proc. pen., art. 304).
É inammissibile, perché sollevata nel corso di un procedimento
penale concernente un imputato non interdetto ancorché infer mo di mente, la questione di costituzionalità dell'art. 304 cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede che la comuni
cazione giudiziaria sia inviata, nell'ipotesi di procedimento pe nale contro imputato infermo di mente, anche a chi esercita
su di lui la tutela, in riferimento all'art. 24, 2" comma, Cost. (1)
La Corte, ecc. — 1. - Il giudice a quo dubita della legittimità costituzionale — con riferimento all'art. 24, 2° comma, Cost. —
dell'art. 304 cod. proc. pen. « nella parte in cui non prevede che la comunicazione giudiziaria sia inviata, nella ipotesi di
procedimento penale contro imputato infermo di mente, an
che a chi esercita su di lui la tutela ».
(1) L'ordinanza 9 novembre 1977 del giudice istruttore del Tribu nale di Napoli è massimata in Foro it., 1978, II, 199, con nota di richiami.
Corte cost. 29 aprile 1975, n. 99, id., 1975, 1, 1613, menzionata in motivazione, è commentata da Fanchiotti, in Giur. costit., 1976, I, 735, e da Paolozzi, ibid., 1555.
Sulla capacità dell'imputato cfr. Conso, Capacità processuale pena le, voce dell'Enciclopedia del diritto, 1960, VI, 134: Cavallari, La
capacità dell'imputato, 1968; Dominioni, Imputato, voce dell'Enciclo pedia del diritto, 1970, XX, 809.
Sull'incapacità per infermità mentale in genere, Bruscuglia, Infer mità mentale e capacità di agire, 1971; Stanzione, Capacità e mag giore età nella problematica della persona umana, 1975.
Sull'autodifesa dell'imputato v., da ultimo. Corte cost. 22 dicembre 1980, n. 188, Foro it., 1981, I, 318.
2. - Va subito avvertito che dagli atti del processo a quo non risulta essere stata previamente dichiarata l'interdizione del
l'imputato, e che gli sia stato nominato un tutore, mentre è
appena il caso di accennare che non si verte in una ipotesi di interdizione legale, conseguente, in quanto pena accessoria, ad una condanna (art. 32 cod. pen.); ipotesi nella quale sarebbe
spettato al pubblico ministero promuovere i provvedimenti ne cessari (art. 587 cod. proc. penale).
Pertanto, la questione sollevata dal giudice a quo, qualora la si intendesse nei termini letterali in cui è formulata nel dispo sitivo della ordinanza di rimessione — senza tenere il debito conto della motivazione — dovrebbe dichiararsi irrilevante e
perciò inammissibile. Infatti, la sentenza di questa corte che
giudicasse doveroso l'invio della comunicazione giudiziaria al tutore dell'imputato o dell'indiziato infermo di mente, dichia rando l'illegittimità costituzionale, in parte qua, dell'art. 304 delcodice di procédura penale, non potrebbe spiegare effetto nel
giudizio a quo: in una fattispecie concreta, cioè, nella quale all'imputato che non risulta interdetto non è stato nominato un tutore.
3. - Vero è, peraltro, che il giudice a quo lamenta la « ca renza di disciplina concernente l'infermo di mente » e ciò nel momento in cui di fronte all'accertata incapacità naturale di un
imputato, è chiamato si a proscioglierlo, in quanto non impu tabile, dal reato ascrittogli, ma contestualmente è tenuto ad ap plicargli la misura di sicurezza dell'internamento in manicomio
giudiziario per il periodo minimo legislativamente determinato. In questa situazione il giudice avverte lo stato di abbandono
dell'infermo di mente e vorrebbe porvi rimedio. La questione di sostanza che viene in tal modo proposta, non
differisce, dunque, da quella che formò oggetto del giudizio concluso con la sentenza n. 186 del 1973 (Foro it., 1974, I, 307) di questa corte, nel senso che il vero thema decidendum con cerne « l'interposizione di uno speciale rappresentante legale nel l'atto di nomina del difensore e/o nella ricezione degli atti no tlficandi all'imputato che si assume essere infermo di mente » e cioè la necessità o meno di una eterointegrazione o di una
surrogazione delle capacità dell'imputato infermo di mente ai fini dell'effettivo esercizio del diritto inviolabile di difesa sotto il duplice profilo della difesa tecnica (mediante la consapevo le scelta di un difensore di fiducia o la consapevole rinuncia al la sua nomina) e dell'autodifesa, personalmente svolta.
Neppure vista in questa prospettiva la questione può, però, dirsi ammissibile.
4. - L'art. 304 cod. proc. pen., nel testo vigente (art. 3 legge 13 dicembre 1972 n. 773) configura la comunicazione giudiziaria come strumento per consentire all'imputato o all'indiziato di reato di apprestare la propria difesa sin dal primo atto preistrut torio o dal primo atto dell'istruzione, sia quest'ultima condotta con il rito formale ovvero sommario. La comunicazione giudi ziaria, perciò, è intesa a garantire il diritto inviolabile di di fesa di questi soggetti e di essi soltanto, consentendo loro di nominare un proprio difensore e di svolgere tutte le attività di autodifesa che esprimono la loro personale partecipazione al
processo penale. Alla stregua di tali concetti, questa corte, con la già citata
sentenza 186 del 1973, ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale, tra l'altro, dell'art. 304 cod. proc. pen. sollevata in riferimento agli art. 2, 3 e 24 Cost, nel corso di procedimenti penali a carico di imputati che si assumevano infermi di mente. Ha affermato allora la corte che la garanzia costituzionale del diritto inviolabile alla autodifesa, sancito dal l'art. 24, 2° comma, Cost, e la unanimente ritenuta coincidenza nel sistema positivo tra la capacità di essere imputato e la ca
pacità di agire, salve le eccezioni specificamente previste dalla
legge (art. 155, 3° e 4° comma, cod. pen.; 192, 2° comma, e
193, 1° comma, cod. proc. pen.) escludono la possibilità dì im
pedire all'imputato, « per effetto di interposizione rappresenta tiva», di partecipare personalmente all'accertamento critico del la verità nel processo. Quanto agli « inconvenienti connessi al
l'eventuale carenza di una responsabile valutazione da parte dell'imputato non pienamente capace di intendere e di volere delle conseguenze del suo comportamento processuale » la corte ha ravvisato un « congruo rimedio » nell'attività del difensore,
tempestivamente nominato, e nella capacità dell'organo giudi ziario di vagliare criticamente la fondatezza delle dichiarazion'
dell'imputato. Questa medesima corte, peraltro, con la successiva sentenza
n. 99 del 1975 (id., 1975, I, 1613), ha ritenuto l'illegittimità costituzionale dell'articolo del codice processuale penale ora nuo vamente in esame « nella parte in cui non prevede che la comu nicazione giudiziaria, nei casi di procedimento penale a carico
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE .E CIVILE
di imputato minore degli anni diciotto sia inviata anche all'eser cente la patria potestà o tutela su di lui». Ciò perché «il di ritto di difesa » nel duplice aspetto della difesa tecnica e dei l'autodifesa «è in primo luogo garanzia di contraddittorio» e « può dirsi assicurato solo nella misura in cui si dia all'interes sato la possibilità di partecipare ad una effettiva dialettica pro cessuale », il che, per i minori degli anni diciotto, « non è pie namente realizzabile senza l'intervento, oltre che del difensore, dell'esercente la patria potestà o la tutela».
5. - A quest'ultima sentenza fa puntuale riferimento il giudice a quo nel sollevare la questione di costituzionalità del mede simo art. 304 cod. proc. pen. sollecitando una ulteriore « esten sione » dell'obbligo di inviare la comunicazione giudiziaria (a
soggetto diverso da quelli indicati nella disposizione di legge denunziata); estensione che sarebbe « imposta da una condi zione di incapacità dell'imputato » analoga a quella del minore.
Il g. i. presso il Tribunale di Napoli muove dalla esatta con siderazione che funzione della comunicazione giudiziaria è quel la di consentire all'indiziato o all'imputato di provvedere per
tempo alla propria difesa, sia tecnica, con la nomina di un
difensore, sia materiale, attraverso la raccolta e il vaglio delle
prove. Una simile attività implica nel soggetto interessalo la
presenza delle facoltà psichiche che certamente mancano nel
l'imputato infermo di mente (come possono mancare nel mino
re), con la conseguenza che nell'ipotesi di procedimento penali contro di esso sarebbe necessaria « la conoscenza della esistenza
del procedimento da parte del tutore, il quale potrà con la sua
attività personale supplire alla incapacità difensiva del folle, in
tegrando l'autodifesa del prevenuto». Le argomentazioni del giudice a quo non possono essere con
divise.
La sua prospettazione si basa, infatti, su di un duplice pre
supposto. Da un lato, egli mostra di ritenere che l'incapacità naturale di intendere e di volere di un soggetto, riferita ovvia
mente al momento in cui è stato commesso il reato a lui impu
tato, sia un dato normalmente conoscibile e conosciuto dal
giudice sin dal primo atto di istruzione. Dall'altro lato, sembra
dare per certo che l'ordinamento preveda l'obbligatoria designa zione del tutore (o di altro rappresentante legale) per l'impu tato che risulti — e quando risulti — totalmente infermo di
mente. Al contrario, nessuno dei due presupposti è riscontrabile
nel vigente sistema penale.
Non il primo, almeno di norma, perché neanche un previo accertamento dello stato di totale infermità mentale di un de
terminato soggetto, financo se prosciolto per questo motivo da
una precedente imputazione ed internato in un manicomio giu
diziario, può provare, di per sé, la persistenza dell'infermità
mentale del medesimo soggetto nel momento in cui si realizza
una diversa e successiva fattispecie criminosa che gli viene at
tribuita. Al contrario, sempre di norma, è proprio l'interrogato rio dell'imputato che fornisce al giudice i primi elementi per valutare se l'imputato stesso fosse o meno affetto da ma'attia
mentale che ne escludesse la capacità di intendere e di volere.
Non si verifica poi certamente — e tanto basta di per sé —
il secondo presupposto, perché nel nostro sistema penale non
è prevista in via generale la obbligatoria nomina di un tutore
(o di un curatore speciale o di altro rappresentante) dell'impu
tato infermo di mente, tale accertato nel corso di un procedi mento penale.
Nel sistema medesimo si riscontra un solo segno di atten
zione nel senso e ai fini qui considerati per l'imputato incapace
per infermità mentale, ma non interdetto, là dove (all'art. 155,
ult. comma, cod. pen.) si stabilisce che se il querelato è un in
fermo di mente e nessuno ne ha la rappresentanza, la facoltà
di accettare la remissione di querela è esercitata da un curatore
speciale, nominato ai sensi degli art. 11 e 14 cod. proc. penale.
Le ulteriori disposizioni riguardanti gli infermi di mente o non
si riferiscono all'imputato (art. 121 cod. pen. che prevede l'eser
cizio del diritto di querela ad opera di un curatore speciale
quando la persona offesa sia inferma di mente e non vi è chi
ne abbia la rappresentanza o chi la esercita si trovi in conflitto
di interesse con il rappresentato; art. 153 cod. pen. che attri
buisce l'esercizio del diritto di remissione della querela al tu
tore dell'interdetto a cagione di infermità mentale) ovvero, se
concernono l'imputato, ne presuppongono l'interdizione con la
conseguente nomina del tutore (art. 192, 2° comma, cod. proc.
pen. che riconosce il diritto di impugnazione al tutore per le
persone soggette a tutela; art. 193, 1° comma, ultima parte, cod.
proc. pen., che esige il concorso della volontà di chi esercita
l'autorità tutoria per la validità della dichiarazione dell'impu
tato interdetto contraria all'impugnazione per lui proposta da!
difensore). Su un piano diverso si colloca, poi, la disposizione
dell'art. 636, 3° comma, cod. proc. pen. che prescrive, per l'ap plicazione di misure di sicurezza a carico di un infermo di
mente, che l'invito a rendere le dichiarazioni ritenute oppor tune nel suo interesse sia diretto al tutore, al curatore e, in man canza di costoro, al coniuge, a un ascendente o a un discen dente che non siano in conflitto di interessi con l'infermo di mente.
È perciò evidente la diversità della situazione in esame ri
spetto a quella dell'imputato minore degli anni diciotto. La mi nore età è un dato certo, di piana risultanza anagrafica e per ciò di immediata evidenza, mentre l'esistenza di soggetti eser centi la (patria) potestà o la tutela è presupposta, in via ge nerale ed obbligatoria, dall'ordinamento. Il raffronto che, pro posto in questi termini non è concludente, potrebbe portare a ben diverso risultato se fosse instaurato tra la situazione del mi nore degli anni diciotto e l'interdetto per infermità mentale,
soggetto, come tale, a tutela.
Non è, dunue, incidendo sull'art. 304 cod. proc. pen. che s!
può soddisfare l'esigenza avvertita dal giudice a quo, che que sta corte ritiene meritevole di attenta considerazione. La solu zione del problema da lui posto esigerebbe — per colmare la ritenuta lacuna dell'ordinamento — la produzione di una appo sita disciplina, innovativa rispetto al sistema vigente, che non
solo affermasse la necessità dell'interposizione di un soggetto idoneo ad integrare la affievolita capacità ovvero a supplire alia
totale incapacità di difesa — nel duplice senso sopra chiarito —
dell'imputato infermo di mente, ma stabilisse altresì' il tempo e la procedura per un tale adempimento nonché gli effetti che
ne conseguirebbero sullo svolgimento del processo anche in re
lazione ai poteri conferiti a questo nuovo soggetto. Provvedere su una siffatta domanda implica una serie di
scelte affidate alla discrezionalità del legislatore e quindi eccede
dai poteri di questa corte, che deve, perciò, dichiarare inammis
sibile la questione proposta dal giudice istruttore di Napoli. Per questi motivi, dichiara inammissibile la questione di le
gittimità costituzionale dell'art. 304 cod. proc. pen. sollevata, con
riferimento all'art. 24, 2° comma, Cost, dal giudice istruttore
presso il Tribunale di Napoli con l'ordinanza indicata in epi
grafe.
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 25 giugno 1981, n. 110
(Gazzetta ufficiale 1° luglio 1981, n. 179); Pres. Amadei, Rei.
De Stefano; Cassese (Avv. Agostini) c. I.n.a.d.e.l. Ord. T.A.R.
Lombardia 13 ottobre 1978 (Gazz. uff. 17 ottobre 1979, n. 284);
Pret. Brescia 13 luglio 1979 (id. 9 gennaio 1980, n. 8).
Impiegato degli enti locali — Indennità premio di servizio —
Superstiti aventi diritto — Genitori — Esclusione — Illegit
timità (Cost., art. 3; legge 8 marzo 1968 n. 152, nuove norme
in materia previdenziale per il personale degli enti locali,
art. 3).
È illegittimo l'art. 3 legge 8 marzo 1968 n. 152, nella parte in cui
non comprende i genitori ultrasessantenni o inabili a proficuo
lavoro, nullatenenti e a carico del dipendente da ente locale tra
le categorie dei superstiti aventi diritto all'indennità premio di
servizio nella forma indiretta, secondo l'ordine di precedenza
indicato dall'art. 7 legge 22 novembre 1962 n. 1646, in riferi
mento all'art. 3 Cost. (1)
(1) La sentenza che si riporta ricalca le argomentazioni già svolte da
Corte cost. 6 agosto 1979, n. 115 (rei. De Stefano), Foro it., 1979, I,
25Ù2, con nota di richiami, che ha dichiarato l'illegittimità dell'art. 3
legge 152/1968 nella parte in cui non comprende tra le categorie dei
superstiti aventi diritto all'indennità premio di servizio nella forma
indiretta i collaterali inabili permanentemente a qualsiasi proficuo
lavoro, nullatenenti e conviventi a carico dell'impiegato. Ulteriore questione di costituzionalità dello stesso art. 3 legge
152/1968 è stata sollevata da Pret. Roma, ord. 16 aprile 1980, id.,
1980, I, 2363, con nota di richiami, per la parte in cui la norma (2°
comma, lett. b) subordina il riconoscimento del diritto all'indennità
premio di servizio alla prole maggiorenne del dipendente da ente
locale, deceduto in attività di servizio, alle condizioni che sia inabile a
proficuo lavoro, nullatenente e vivesse a carico del dipendente al
momento del decesso, in relazione all'art. 7 legge 177/1976 che
prescinde da tali condizioni per il riconoscimento dell'indennità di
buonuscita agli orfani maggiorenni dei dipendenti statali.
Sulla natura previdenziale dell'indennità premio di servizio, cfr. Cass.
1° marzo 1979, n. 1316, id., 1980, I, 203, con nota di richiami,
secondo cui le relative controversie rientrano nella giurisdizione del
giudice ordinario.
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