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sentenza 21 luglio 1994; Pres. De Donato, Est. Limitone; Avenoso (Avv. Ventura) c. Cassa dirisparmio di Vercelli (Avv. Piletta)Source: Il Foro Italiano, Vol. 118, No. 5 (MAGGIO 1995), pp. 1661/1662-1665/1666Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23190009 .
Accessed: 25/06/2014 02:00
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Altrettanto deve dirsi per il titolo della responsabilità relativo
alla chiamata in manleva da parte della convenuta nei confronti
del ministero di grazia e di giustizia, poiché, sia che si intenda il ritardo nella cancellazione dell'ipoteca da parte della cancelle
ria come inadempimento dell'ordine del giudice, sia che la fatti
specie si configuri come inadempimento contrattuale nei con
fronti dell'aggiudicataria (per aver trasferito un bene non libero
dalle iscrizioni ipotecarie, anche se libero dalle ipoteche, per l'effetto purgativo collegato al decreto di trasferimento ex art.
586 c.p.c. ed art. 2878, n. 7, c.c.), in relazione alla «vendita»
posta in essere dall'ufficio nei confronti della stessa, in ogni caso si tratterebbe di un'ipotesi di violazione di un obbligo pree sistente (ex contractu o iussu iudicis) e la disciplina applicabile è comunque quella di cui agli art. 1218 ss. c.c.
A questo punto è opportuno fare una breve digressione sul
l'effetto purgativo dell'ipoteca e sulle sue conseguenze. Con il decreto di trasferimento il giudice dell'esecuzione ordi
na la cancellazione delle ipoteche (art. 586 c.p.c.). In conseguenza di tale ordine l'ipoteca si estingue (art. 2878,
n. 7, c.c.). Destinatario dell'ordine è il conservatore dei registri immobi
liari, il quale deve (trattasi di obbligo legale) provvedere alla
cancellazione semplicemente dietro presentazione di una richie
sta scritta (art. 24 t.u. sulle tasse ipotecarie, 30 dicembre 1923
n. 3272) e del titolo della stessa, in questo caso il decreto di
trasferimento (art. 2884 e 2886 c.c.). Le spese, all'atto della richiesta, sono a carico dell'interessato
alla cancellazione.
Legittimato a richiedere la cancellazione, dunque, è chiunque vi abbia interesse (Cass. 1973 n. 3335, Foro it., Rep. 1974, voce
Ipoteca, n. 4). In sintesi, verificatasi la causa estintiva dell'ipoteca, qualun
que interessato può provvedere alla sua cancellazione (che, per
ciò, non ha effetto costitutivo dell'estinzione), a prescindere da
chi vi sia tenuto per contratto o per legge o per ordine giudizia
le, al quale ci si può sempre rivolgere per il pagamento delle
spese di cancellazione.
Nel caso in questione alla formalità della cancellazione avreb
be dovuto provvedere la cancelleria del tribunale in base all'or
dine del giudice dell'esecuzione (rivolto al conservatore), in for
za della disposizione di cui all'art. 164 disp. att. c.p.c., che
dispone che il giudice (rectius: il cancelliere), a seguito dell'alie nazione del bene espropriato, compia in luogo del debitore tutti
gli atti necessari al trasferimento del bene all'acquirente (tra scrizione del decreto, pagamento dell'imposta di registro ed In
vim, mutazioni catastali, ecc.). Le spese di tali formalità, se non diversamente disposto nel
l'ordinanza di vendita, sono a carico del debitore, cioè della
procedura esecutiva e, pertanto, di esse deve tenersi conto in
sede di riparto. Se la cancelleria non abbia provveduto all'incombente, qua
lunque interessato può rimediare, semplicemente presentando il decreto di trasferimento al conservatore dei registri immobi
liari in uno con la richiesta scritta di cui sopra. In un secondo tempo potrà farsi rimborsare le spese sostenu
te da chi di dovere.
Ciò posto, e tornando al titolo della responsabilità per la quale
gli attori oggi sono in causa, cioè contrattuale (riferita in ogni
caso al rapporto di compravendita tra la Confidi s.r.l. e gli
attori), deve rienersi applicabile alla fattispecie la norma di cui
all'art. 1227, 2° comma, c.c., secondo la quale il risarcimento
non è dovuto per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare
usando l'ordinaria diligenza. Tale intervento diligente deve essere inteso come sforzo di
evitare il danno attraverso un'agevole attività personale, ovvero
mediante un sacrificio economico relativamente lieve, o mediante
l'erogazione delle ordinarie spese di conservazione del patrimonio.
Gli attori, quindi, avrebbero agevolmente potuto ottenere la
concessione del mutuo dalla Cassa di risparmio di Vercelli, qua
lora avessero autonomamente provveduto alla cancellazione del
l'ipoteca, con l'esborso della non rilevante somma di lire 629.500,
cosa che era in loro potere fare, dato che qualunque interessato
può chiedere la cancellazione e che il conservatore ha l'obbligo
di eseguirla.
Il Foro Italiano — 1995.
Successivamente, essi avrebbero potuto chiedere ed ottenere
il rimborso della somma pagata per la formalità.
Nessun danno, pertanto, è imputabile alla Confidi s.r.l. e, tanto meno, alla cancelleria del tribunale.
Resta, quindi, assorbita la questione della chiamata in giudi zio del ministero di grazia e giustizia.
TRIBUNALE DI VERCELLI; sentenza 21 luglio 1994; Pres.
De Donato, Est. Limitone; Avenoso (Aw. Ventura) c. Cassa
di risparmio di Vercelli (Aw. Piletta).
Interessi — Apertura di credito in conto corrente — Anatoci
smo — Nullità (Cod. civ., art. 1283, 1340, 1368, 1374).
È nulla, per violazione dell'art. 1283 c.c., la clausola, contenu
ta nel contratto di apertura di credito in conto corrente, che
prevede l'anatocismo, non potendosi configurare nella specie un uso normativo in favore dell'istituto bancario per assenza della opinio iuris seu necessitatis da parte del privato. (1)
Motivi della decisione. — L'opposizione è in buona parte fondata.
Due sono le doglianze che il debitore muove nei confronti
del computo del dovuto alla Cassa di risparmio di Vercelli: a) la permanenza del medesimo computo degli interessi, come sta
bilito nel contratto di mututo al punto n. 1 e nel contratto di
apertura di credito in conto corrente al punto n. 3, pur dopo l'avvenuta risoluzione dei contratti e dopo l'eseguito pagamen to delle somme stabilite a titolo di clausola penale per l'antici
pata risoluzione dei contratti; b) l'applicazione dell'anatocismo
trimestrale nel contratto di apertura di conto corrente.
In sintesi, si tratta di stabilire l'ampiezza del diritto a proce dere all'esecuzione nei confronti del debitore da parte della cas
sa di risparmio.
a) Computo degli interessi nei contratti di mutuo ed in quello di apertura di credito in conto corrente, dopo la risoluzione
dei contratti stessi.
(1) La sentenza va contro l'orientamento prevalente di dottrina e giu risprudenza in base al quale nelle operazioni bancarie non troverebbe
applicazione il divieto di cui all'art. 1283 c.c. in quanto sussistono in materia specifici usi normativi del settore che validamente derogano a tale divieto, secondo quanto previsto espressamente dallo stesso art. 1283. In questo senso, v. Cass. 30 maggio 1989, n. 2644, Foro it., 1989, I, 3127 e, per la giurisprudenza di merito, Trib. Milano 13 aprile 1989, id., Rep. 1989, voce Interessi, n. 14. In dottrina, fra gli altri, cfr. Ascarelli, Delle obbligazioni pecuniarie, in Commentario Scialoja Branca, Bologna-Roma, 1962, 563; Di Amato, Anatocismo e prassi ban
caria, in Giusi, civ., 1982, I, 1381; Libertini, Interessi, voce àe\\'Enci
clopedia del diritto, Milano, 1972, XXII, 137; Cavalli, Conto corren
te. II. Il conto corrente bancario, voce dell' Enciclopedia giuridica Trec
cani, Roma, 1988, VIII, § 3.3. Si sono espressi con qualche riserva, Gabrielli, Controllo pubblico e norme uniformi bancarie, in Banca,
borsa, ecc., 1977, I, 294; Salanitro, Le banche e i contratti bancari,
Torino, 1983, 76 e Bregoli, Anatocismo su conto chiuso?, in Opera zioni bancarie e procedure concorsuali, Milano, 1988, 239. Sull'obbligo della forma scritta ad substantiam degli interessi eccedenti la misura
legale, v., da ultimo, Cass. 25 agosto 1992, n. 9839, Foro it., 1993,
I, 2172, con nota di Valcavi, Sul carattere interpretativo della norma
che vieta le fideiussioni «omnibus» illimitate e sulla sua applicazione
retrospettiva alle liti pendenti.
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1663 PARTE PRIMA 1664
La clausola n. 1 dei contratti di mutuo (ne sono stati stipulati
più d'uno tra le parti) prevede che le somme mutuate produca no «interessi al tasso debitore annuo minimo del 15% ovverosia
in ragione del 4,50% in più del tasso ufficiale di sconto con
un minimo in ogni caso del 15%...».
Detta clausola, pacificamente, riguarda la fisiologia del rap
porto, cioè l'ipotesi in cui avvenga la normale restituzione del
debito nel rispetto delle scadenze e delle modalità pattuite. La clausola n. 6, invece, prevede l'ipotesi (patologica) del ri
tardato pagamento anche di una sola semestralità e, di conse
guenza, una serie di sanzioni patrimoniali: 1) decadenza dal be
neficio del termine e obbligo immediato di restituzione dell'in
tera somma mutuata; 2) «...con l'intersse maggiorato del 2%
rispetto al tasso vigente (...) fino a finale pagamento»; 3) rim
borso di imposte e tasse e accessori previsti dal contratto; 4)
«corresponsione di una semestralità di interessi sul capitale resi
duo a titolo di risarcimento dei danni per anticipata risoluzione
del contratto».
In particolare, la previsione del pagamento di una semestrali
tà aggiuntiva di interessi e la maggiorazione del 2% rispetto al «tasso vigente» hanno la struttura di clausole penali (art. 1382 c.c.), e la funzione di predeterminare l'ammontare del ri
sarcimento del danno per il caso di risoluzione del contratto
per inadempimento del mutuatario.
Ciò significa, innanzitutto, che la parte creditrice non può
pretendere — in mancanza di apposita convenzione, che qui non c'è — la risarcibilità dell'eventuale danno ulteriore.
Il debitore Avenoso Girolamo, quindi, nel caso — verificato
si — di inadempimento è tenuto soltanto al pagamento di una
semestralità aggiuntiva di interessi (al tasso convenzionale, non
essendo stato specificato per essa alcun altro diverso tasso) ed
alla corresponsione della maggiorazione del 2% annuo sul tasso
vigente degli interessi. Non ha pregio la sua opposizione, laddove egli lamenta di
dovere questa maggiorazione pur dopo la risoluzione del con
tratto.
Infatti, se è vero che con la risoluzione del contratto la prose cuzione del rapporto tra le parti, diretta alla definitiva compo sizione del loro reciproco assetto di interessi, trova regolamen tazione nella legge (art. 1353 ss. c.c.) e non più nel vero e pro
prio sinallagma contrattuale, il quale presuppone la fisiologia
(e non già la patologia) del rapporto medesimo, è anche vero
che le stesse parti, nel contratto, possono dare regolamentazio ne alla fase (futura ed eventuale) che segue alla risoluzione (in
questo caso per inadempimento del mutuatario), ed a questa
disciplina pattizia, destinata a operare soltanto al verificarsi del
l'inadempimento, le parti sono tenute come per legge, per il
disposto di cui all'art. 1372 c.c. (ma ancor prima per il rispetto del fondamentale principio generale secondo il quale pacta sunt
servanda). Poiché nel caso che occupa sono state le stesse parti a preve
dere nei contratti in esame le conseguenze patrimoniali dell'ina
dempimento del mutuatario, esse sono ora vincolate al rispetto di tale disciplina liberamente accettata.
Stante, però, l'opposizione del debitore, è fatto obbligo a que sto giudice di interpretare il senso della clausola penale, nel con
testo contrattuale in cui essa è collocata, anche allo scopo di
evitare un indebito arricchimento della parte creditrice.
Deve porsi l'attenzione sull'espressione «tasso vigente», sulla
base del quale va computata la maggiorazione del 2% annuo
di interessi. Tale espressione, a giudizio del collegio, non può che essere
riferita al tasso legale vigente, non già a quello composito con
venzionale, previsto dal punto n. 1 del contratto di mutuo, e
questo per ima serie di considerazioni: 1) nel punto n. 6 del
contratto non è richiamato espressamente il punto n. 1; 2) nel
punto n. 6 si parla genericamente di tasso vigente, senz'altra
specificazione, tale da far ritenere il chiaro riferimento al tasso
di sconto, come maggioritario al punto n. 1; 3) esiste nel nostro
ordinamento un principio generale di favor debitoris, per il quale — nel dubbio — la disposizione contrattuale va interpretata nel senso per lui meno oneroso; 4) ciò è confortato, sia pure
indirettamente, dalla previsione di legge per cui il giudice ha
il potere di riduzione dell'ammontare della clausola penale «...se
l'obbligazione principale è stata eseguita in parte (cosa qui av
II Foro Italiano — 1995.
venuta) ovvero se l'ammontare della penale è manifestatamente
eccessivo...» (art. 1384 c.c.); 5) inoltre, presumendosi che le
clausole del singolo contratto corrispondano a condizioni gene rali dell'istituto di credito, come normalmente avviene, trova
applicazione l'art. 1370 c.c. (interpretatio contra stipulatorem),
per il quale dette clausole si interpretano, nel dubbio, a favore
della controparte. Di conseguenza, Avenoso è tenuto a pagare alla cassa di ri
sparmio — in forza della previsione contrattuale di cui al punto n. 6 dei contratti di mututo e per effetto della risoluzione —
la semestralità aggiuntiva di interessi (al tasso convenzionale), e l'importo residuo del debito, al tasso legale vigente degli inte
ressi (il 5% fino al dicembre del 1990, poi il 10%), maggiorato del 2%, quindi: il 7% fino al dicembre del 1990, e poi il 12%.
Analoghe considerazioni si devono fare per il pagamento del
la semestralità aggiuntiva di interessi a seguito dell'anticipata risoluzione del contratto di apertura di credito in conto corren
te, di cui al punto n. 6 di quest'ultimo (ove la semestralità è
pure riferita «...al tasso... vigente...»), per cui, non essendo
qui prevista alcuna specifica disciplina per la restituzione del
debito in linea capitale, deve intendersi che la restituzione av
verrà al tasso convenzionale, ferma restando la penale della se
mestralità aggiuntiva di interessi al tasso legale vigente.
b) Anatocismo trimestrale nel contratto di apertura di conto
corrente.
La clausola n. 3 del contratto di apertura di conto corrente
prevede che il debito produca interessi al «...tasso debitore ini
zialmente convenuto nella misura del 22,75% rivedibile trime
stralmente ed uguale a 2,75 punti in più del prime rate... che
attualmente è del 20%. In caso di non disponibilità di detto
tasso, il tasso di interesse sarà uguale a 4,75 punti in più del
tasso ufficiale di sconto».
Detta clausola contiene l'espressione «rivedibile trimestralmen
te», riferita al tasso debitore, che il consulente d'ufficio ha inte
so essere riferita alla capitalizzazione trimestrale degli interessi.
In realtà, la rivedibilità trimestrale, se le parole hanno un
senso letterale, non può che essere riferita alla modificabilità
(ogni tre mesi) del tasso debitore, in relazione alla variazione
del prime rate (che all'epoca del contratto era del 20%). Tanto è vero che, subito dopo, nello stesso punto n. 3, le
parti hanno preveduto, come tasso per cosi dire di riserva (in caso di non disponibilità del prime rate), il tasso ufficiale di sconto maggiorato del 4,75%.
La clausola n. 3 del contratto di apertura di conto corrente,
quindi, non prevede, almeno letteralmente ed in base al conte
sto contrattuale, la capitalizzazione trimestrale degli interessi.
Qualora, invece, si voglia far discendere l'applicazione dell'a
natocismo trimestrale, dal richiamo agli usi bancari, cioè qualo ra si voglia intendere l'espressione «rivedibile trimestralmente»
come «capitalizzabile trimestralmente», perché questa sarebbe
(o sarebbe stata all'epoca) la prassi bancaria, allora la clausola
non potrebbe operare per le ragioni che si vanno a spiegare. L'anatocismo (fenomeno giuridico per cui gli interessi, capi
talizzati, producono nuovi interessi) è stato visto con sfavore
dal legislatore di ogni tempo, a partire da Giustiniano, che vie
tava (però con lex imperfecta) in maniera assoluta le usurae
usura rum.
Anche il legislatore contemporaneo non favorisce l'anatoci
smo, richiedendo, perché gli interessi scaduti producano nuovi
interessi, o che sia presentata apposita e specifica domanda giu
diziale, o che sia stipulata idonea convenzione posteriore alla
loro scadenza (e sempre che si tratti di interessi scaduti per al
meno sei mesi: il che vuol dire che per i primi sei mesi l'anatoci smo non opera) (art. 1283 c.c.).
In mancanza della domanda giudiziale o della convenzione
posteriore alla scadenza degli interessi, questi ultimi restano in
fruttiferi. Nel caso che occupa, né vi è la specifica domanda giudiziale,
e neppure la convenzione successiva.
Anzi, la convenzione stipulata tra le parti anteriormente alla
scadenza (qualora la si intenda come clausola anatocistica come
ha fatto il c.t.u.) deve ritenersi radicalmente nulla per violazio
ne di una norma imperativa (quella di cui all'art. 1283 c.c.). La legge, tuttavia, fa salvi gli usi contrari, cioè quegli usi
che prevedano l'anatocismo.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Trattasi, per unanime riconoscimento, di usi normativi, i quali sono caratterizzati da due elementi, uno materiale ed uno psico
logico. Il primo consiste nel fatto che un determinato comportamen
to, non pevisto da alcuna norma positiva, venga tenuto dalla
generalità (intesa in senso relativo ad una certa area territoriale) dei consociati, con caratteristiche di uniformità (costanza) e di
ripetizione (durata) nel tempo. L'elemento psicologico è dato dal convincimento, da parte
di chi osserva l'uso, che si tratti di un comportamento giuridi
camente doveroso (opinio iuris seu necessitatis). A differenza degli usi normativi (richiamati anche, ad esem
pio, dall'art. 1374 c.c.), gli usi negoziali (clausole d'uso: art.
1340 c.c., o usi interpretativi: art. 1368 c.c.), pur essendo carat
terizzati dalla costante ripetizione nel tempo di comportamenti
negoziali, sono sforniti della convinzione di obbedire ad un im
perativo giuridico (opinio iuris), e vengono inseriti automatica
mente nel contratto perché si presumono voluti dalle parti, a
prescindere da un richiamo espresso di legge (che, invece, è in
dispensabile per gli usi normativi).
Infine, chi invoca l'operatività dell'uso deve fornire la prova
della sua esistenza e del suo contenuto (Cass. 6 dicembre 1972,
n. 3533, Foro it., Rep. 1972, voce Consuetudine e uso, n. 3),
non essendo il giudice tenuto a ricorrere a fonti estranee alla
sua scienza ufficiale, né tanto meno a indagini personali invol
genti l'esercizio di attività istruttorie non richieste dalle parti
(vedi Cass. 17 maggio 1976, n. 1742, id., Rep. 1976, voce Pro
cedimento civile, n. 114). Ciò premesso, gli usi bancari possono ben prevedere l'anato
cismo, ma il collegio pone in discussione che il cliente della
banca, rectius: la generalità dei clienti delle banche di una de
terminata zona o dell'intero territorio nazionale, nel momento
in cui addivengono alla stipulazione di un contratto di finanzia
mento (sotto qualsiasi forma, di mutuo o di apertura di conto
corrente o che altro), ovviamente spinti dalla necessità di otte
nere denaro in prestito dal contraente istituzionalmente a ciò
deputato, siano intimamente convinti di obbedire ad un impera
tivo giuridico nell'accettare la clausola che preveda l'anatoci
smo, e non si trovino, in realtà, nella tipica condizione del con
traente debole (non è qui il caso di ricordare la ricca produzio
ne dottrinale che qualifica la banca come contraente forte e
che si pone il problema della tutela dei suoi clienti, esigenza
da ultimo avvertita con l'emanazione delle norme in materia
di trasparenza bancaria), cioè di chi è costretto à prendre ou
à laisser.
In altre parole, ciò che si vuole dire è che, molto probabil
mente, le clausole sull'anatocismo hanno più la valenza di clau
sole d'uso (usi negoziali) imposte ai privati, che non quella di
usi normativi, accettati dai medesimi come norme di diritto.
Stante però il divieto dell'anatocismo, salve certe condizioni,
le clausole d'uso che lo prevedono non possono trovare appli
cazione, poiché la legge ammette soltanto gli usi normativi con
trari e non gli usi contrattuali contrari.
Potrebbe perciò già concludersi qui dicendo che l'anatocismo
non spetta alla banca, in quanto l'uso che lo prevede non ha
la natura di uso normativo, bensì quella di uso contrattuale
«imposto» al contraente debole.
Ciò posto, però, occorre chiedersi se dal punto di vista pro
cessuale (probatorio) non sia stata qui comunque dimostrata
l'esistenza di un uso normativo che consenta l'anatocismo in
favore della banca.
Sotto questo profilo, tuttavia, l'istituto di credito è rimasto
totalmente inerte, o avendo invocato l'operatività di alcun uso
(né normativo né contrattuale) ed essendosi limitato a contesta
re la pretesa dell'opponente e a chiedere il pagamento del dovu
to secondo il computo fatto dal consulente d'ufficio.
L'ipotetica esistenza dell'uso normativo, che peraltro — co
me detto — non è stata neppure invocata dalla parte creditrice,
è rimasta pertanto sfornita di prova sotto un triplice aspetto:
1) non è stata dimostrata l'esistenza (né al momento della
stipulazione del contratto, né successiva) di un comportamento
generalmente diffuso, costante, e ripetuto nel tempo, secondo
il quale in tutti i contratti stipulati dalle banche in una certa
zona sia sempre stata inserita la clausola dell'anatocismo (ele
mento materiale);
Il Foro Italiano — 1995.
2) non è stato dimostrato che tale clausola (eventualmente)
sia stata inserita ed accettata dalle parti, ma soprattutto dal
contraente necessitato (cioè debole), con la convinzione che si
trattasse di norma giuridicamente vincolante (elemento psicolo
gico) (al contrario, è notorio che gli utenti delle banche sono
convinti che queste, nei loro confronti, facciano appio sulla lo
ro maggiore forza contrattuale);
3) non è stato dimostrato il contenuto specifico (per cosi dire
quantistico) dell'uso, cioè se effettivamente fosse norma di com
portamento tra le banche ed i loro utenti di una certa zona
di praticare a tutti proprio quel tipo di anatocismo, con capita
lizzazione trimestrale (e non, ad esempio, semestrale) degli inte
ressi, ed a quel determinato tasso pattuito dalle parti di questa
causa (invero, è richiesta non soltanto la prova dell'esistenza
dell'uso, ma anche la prova del suo contenuto specifico: Cass.
6 dicembre 1972, n. 3533, cit.). A fronte di ciò, il tribunale non può che dichiarare l'illegitti
mità (radicale nullità) della clausola pretensiva dell'interesse sul
l'interesse (se intesa in questo senso), stipulata prima della sca
denza di quest'ultimo e la non debenza di alcun altro interesse
sull'interesse, per assenza, o — il che è processualmente la stes
sa cosa — per mancanza di prova sull'esistenza di un uso nor
mativo contrario, che faccia lecita la corresponsione dell'ana
tocismo.
In conclusione, dall'interpretazione dei contratti (di mutuo
e di conto corrente) stipulati da Avenoso, emerge che egli è
tenuto a pagare alla Cassa di risparmio di Vercelli: — in forza dei contratti di mutuo, e per effetto della loro
risoluzione: una semestralità aggiuntiva di interessi al tasso pra
ticato durante il rapporto ed il capitale residuo, con gli interessi
al tasso legale maggioritario del 2%; — in forza del contratto di apertura di credito in conto cor
rente, e per effetto della sua risoluzione: una semestralità di
interessi al tasso legale vigente, calcolata sull'importo del credi
to utilizzato, e il capitale utilizzato, oltre agli interessi stabiliti
al punto n. 3 (convenzionali), con esclusione dell'anatocismo,
anche per la fase anteriore alla risoluzione.
L'esito del giudizio renderebbe necessaria un'ulteriore consu
lenza tecnica, allo scopo di ricalcolare il quantum effettivamen
te dovuto da Avenoso alla Cassa di risparmio di Vercelli, che,
però, per economia processuale, verrà eventualmente disposta
direttamente nell'ambito della procedura esecutiva in corso.
La pendenza in fase avanzata della procedura esecutiva a ca
rico dell'opponente giustifica la concessione della provvisoria
esecutività della sentenza, ai sensi dell'art. 282 c.p.c., in quanto
l'assenza di esecutorietà pregiudicherebbe (anche in maniera non
irreparabile) il risultato del processo, tenuto conto della posi
zione delle parti, ed in particolare di quella del debitore, sogget
to all'imminenza della vendita di ulteriori immobili, rispetto a
quelli necessari (e forse sufficienti) per la soddisfazione integra
le del debito come sopra determinato.
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