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sentenza 21 luglio 1994; Pres. De Donato, Est. Limitone; Avenoso (Avv. Ventura) c. Cassa di...

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sentenza 21 luglio 1994; Pres. De Donato, Est. Limitone; Avenoso (Avv. Ventura) c. Cassa di risparmio di Vercelli (Avv. Piletta) Source: Il Foro Italiano, Vol. 118, No. 5 (MAGGIO 1995), pp. 1661/1662-1665/1666 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23190009 . Accessed: 25/06/2014 02:00 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 195.78.108.163 on Wed, 25 Jun 2014 02:00:10 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Page 1: sentenza 21 luglio 1994; Pres. De Donato, Est. Limitone; Avenoso (Avv. Ventura) c. Cassa di risparmio di Vercelli (Avv. Piletta)

sentenza 21 luglio 1994; Pres. De Donato, Est. Limitone; Avenoso (Avv. Ventura) c. Cassa dirisparmio di Vercelli (Avv. Piletta)Source: Il Foro Italiano, Vol. 118, No. 5 (MAGGIO 1995), pp. 1661/1662-1665/1666Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23190009 .

Accessed: 25/06/2014 02:00

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Altrettanto deve dirsi per il titolo della responsabilità relativo

alla chiamata in manleva da parte della convenuta nei confronti

del ministero di grazia e di giustizia, poiché, sia che si intenda il ritardo nella cancellazione dell'ipoteca da parte della cancelle

ria come inadempimento dell'ordine del giudice, sia che la fatti

specie si configuri come inadempimento contrattuale nei con

fronti dell'aggiudicataria (per aver trasferito un bene non libero

dalle iscrizioni ipotecarie, anche se libero dalle ipoteche, per l'effetto purgativo collegato al decreto di trasferimento ex art.

586 c.p.c. ed art. 2878, n. 7, c.c.), in relazione alla «vendita»

posta in essere dall'ufficio nei confronti della stessa, in ogni caso si tratterebbe di un'ipotesi di violazione di un obbligo pree sistente (ex contractu o iussu iudicis) e la disciplina applicabile è comunque quella di cui agli art. 1218 ss. c.c.

A questo punto è opportuno fare una breve digressione sul

l'effetto purgativo dell'ipoteca e sulle sue conseguenze. Con il decreto di trasferimento il giudice dell'esecuzione ordi

na la cancellazione delle ipoteche (art. 586 c.p.c.). In conseguenza di tale ordine l'ipoteca si estingue (art. 2878,

n. 7, c.c.). Destinatario dell'ordine è il conservatore dei registri immobi

liari, il quale deve (trattasi di obbligo legale) provvedere alla

cancellazione semplicemente dietro presentazione di una richie

sta scritta (art. 24 t.u. sulle tasse ipotecarie, 30 dicembre 1923

n. 3272) e del titolo della stessa, in questo caso il decreto di

trasferimento (art. 2884 e 2886 c.c.). Le spese, all'atto della richiesta, sono a carico dell'interessato

alla cancellazione.

Legittimato a richiedere la cancellazione, dunque, è chiunque vi abbia interesse (Cass. 1973 n. 3335, Foro it., Rep. 1974, voce

Ipoteca, n. 4). In sintesi, verificatasi la causa estintiva dell'ipoteca, qualun

que interessato può provvedere alla sua cancellazione (che, per

ciò, non ha effetto costitutivo dell'estinzione), a prescindere da

chi vi sia tenuto per contratto o per legge o per ordine giudizia

le, al quale ci si può sempre rivolgere per il pagamento delle

spese di cancellazione.

Nel caso in questione alla formalità della cancellazione avreb

be dovuto provvedere la cancelleria del tribunale in base all'or

dine del giudice dell'esecuzione (rivolto al conservatore), in for

za della disposizione di cui all'art. 164 disp. att. c.p.c., che

dispone che il giudice (rectius: il cancelliere), a seguito dell'alie nazione del bene espropriato, compia in luogo del debitore tutti

gli atti necessari al trasferimento del bene all'acquirente (tra scrizione del decreto, pagamento dell'imposta di registro ed In

vim, mutazioni catastali, ecc.). Le spese di tali formalità, se non diversamente disposto nel

l'ordinanza di vendita, sono a carico del debitore, cioè della

procedura esecutiva e, pertanto, di esse deve tenersi conto in

sede di riparto. Se la cancelleria non abbia provveduto all'incombente, qua

lunque interessato può rimediare, semplicemente presentando il decreto di trasferimento al conservatore dei registri immobi

liari in uno con la richiesta scritta di cui sopra. In un secondo tempo potrà farsi rimborsare le spese sostenu

te da chi di dovere.

Ciò posto, e tornando al titolo della responsabilità per la quale

gli attori oggi sono in causa, cioè contrattuale (riferita in ogni

caso al rapporto di compravendita tra la Confidi s.r.l. e gli

attori), deve rienersi applicabile alla fattispecie la norma di cui

all'art. 1227, 2° comma, c.c., secondo la quale il risarcimento

non è dovuto per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare

usando l'ordinaria diligenza. Tale intervento diligente deve essere inteso come sforzo di

evitare il danno attraverso un'agevole attività personale, ovvero

mediante un sacrificio economico relativamente lieve, o mediante

l'erogazione delle ordinarie spese di conservazione del patrimonio.

Gli attori, quindi, avrebbero agevolmente potuto ottenere la

concessione del mutuo dalla Cassa di risparmio di Vercelli, qua

lora avessero autonomamente provveduto alla cancellazione del

l'ipoteca, con l'esborso della non rilevante somma di lire 629.500,

cosa che era in loro potere fare, dato che qualunque interessato

può chiedere la cancellazione e che il conservatore ha l'obbligo

di eseguirla.

Il Foro Italiano — 1995.

Successivamente, essi avrebbero potuto chiedere ed ottenere

il rimborso della somma pagata per la formalità.

Nessun danno, pertanto, è imputabile alla Confidi s.r.l. e, tanto meno, alla cancelleria del tribunale.

Resta, quindi, assorbita la questione della chiamata in giudi zio del ministero di grazia e giustizia.

TRIBUNALE DI VERCELLI; sentenza 21 luglio 1994; Pres.

De Donato, Est. Limitone; Avenoso (Aw. Ventura) c. Cassa

di risparmio di Vercelli (Aw. Piletta).

Interessi — Apertura di credito in conto corrente — Anatoci

smo — Nullità (Cod. civ., art. 1283, 1340, 1368, 1374).

È nulla, per violazione dell'art. 1283 c.c., la clausola, contenu

ta nel contratto di apertura di credito in conto corrente, che

prevede l'anatocismo, non potendosi configurare nella specie un uso normativo in favore dell'istituto bancario per assenza della opinio iuris seu necessitatis da parte del privato. (1)

Motivi della decisione. — L'opposizione è in buona parte fondata.

Due sono le doglianze che il debitore muove nei confronti

del computo del dovuto alla Cassa di risparmio di Vercelli: a) la permanenza del medesimo computo degli interessi, come sta

bilito nel contratto di mututo al punto n. 1 e nel contratto di

apertura di credito in conto corrente al punto n. 3, pur dopo l'avvenuta risoluzione dei contratti e dopo l'eseguito pagamen to delle somme stabilite a titolo di clausola penale per l'antici

pata risoluzione dei contratti; b) l'applicazione dell'anatocismo

trimestrale nel contratto di apertura di conto corrente.

In sintesi, si tratta di stabilire l'ampiezza del diritto a proce dere all'esecuzione nei confronti del debitore da parte della cas

sa di risparmio.

a) Computo degli interessi nei contratti di mutuo ed in quello di apertura di credito in conto corrente, dopo la risoluzione

dei contratti stessi.

(1) La sentenza va contro l'orientamento prevalente di dottrina e giu risprudenza in base al quale nelle operazioni bancarie non troverebbe

applicazione il divieto di cui all'art. 1283 c.c. in quanto sussistono in materia specifici usi normativi del settore che validamente derogano a tale divieto, secondo quanto previsto espressamente dallo stesso art. 1283. In questo senso, v. Cass. 30 maggio 1989, n. 2644, Foro it., 1989, I, 3127 e, per la giurisprudenza di merito, Trib. Milano 13 aprile 1989, id., Rep. 1989, voce Interessi, n. 14. In dottrina, fra gli altri, cfr. Ascarelli, Delle obbligazioni pecuniarie, in Commentario Scialoja Branca, Bologna-Roma, 1962, 563; Di Amato, Anatocismo e prassi ban

caria, in Giusi, civ., 1982, I, 1381; Libertini, Interessi, voce àe\\'Enci

clopedia del diritto, Milano, 1972, XXII, 137; Cavalli, Conto corren

te. II. Il conto corrente bancario, voce dell' Enciclopedia giuridica Trec

cani, Roma, 1988, VIII, § 3.3. Si sono espressi con qualche riserva, Gabrielli, Controllo pubblico e norme uniformi bancarie, in Banca,

borsa, ecc., 1977, I, 294; Salanitro, Le banche e i contratti bancari,

Torino, 1983, 76 e Bregoli, Anatocismo su conto chiuso?, in Opera zioni bancarie e procedure concorsuali, Milano, 1988, 239. Sull'obbligo della forma scritta ad substantiam degli interessi eccedenti la misura

legale, v., da ultimo, Cass. 25 agosto 1992, n. 9839, Foro it., 1993,

I, 2172, con nota di Valcavi, Sul carattere interpretativo della norma

che vieta le fideiussioni «omnibus» illimitate e sulla sua applicazione

retrospettiva alle liti pendenti.

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1663 PARTE PRIMA 1664

La clausola n. 1 dei contratti di mutuo (ne sono stati stipulati

più d'uno tra le parti) prevede che le somme mutuate produca no «interessi al tasso debitore annuo minimo del 15% ovverosia

in ragione del 4,50% in più del tasso ufficiale di sconto con

un minimo in ogni caso del 15%...».

Detta clausola, pacificamente, riguarda la fisiologia del rap

porto, cioè l'ipotesi in cui avvenga la normale restituzione del

debito nel rispetto delle scadenze e delle modalità pattuite. La clausola n. 6, invece, prevede l'ipotesi (patologica) del ri

tardato pagamento anche di una sola semestralità e, di conse

guenza, una serie di sanzioni patrimoniali: 1) decadenza dal be

neficio del termine e obbligo immediato di restituzione dell'in

tera somma mutuata; 2) «...con l'intersse maggiorato del 2%

rispetto al tasso vigente (...) fino a finale pagamento»; 3) rim

borso di imposte e tasse e accessori previsti dal contratto; 4)

«corresponsione di una semestralità di interessi sul capitale resi

duo a titolo di risarcimento dei danni per anticipata risoluzione

del contratto».

In particolare, la previsione del pagamento di una semestrali

tà aggiuntiva di interessi e la maggiorazione del 2% rispetto al «tasso vigente» hanno la struttura di clausole penali (art. 1382 c.c.), e la funzione di predeterminare l'ammontare del ri

sarcimento del danno per il caso di risoluzione del contratto

per inadempimento del mutuatario.

Ciò significa, innanzitutto, che la parte creditrice non può

pretendere — in mancanza di apposita convenzione, che qui non c'è — la risarcibilità dell'eventuale danno ulteriore.

Il debitore Avenoso Girolamo, quindi, nel caso — verificato

si — di inadempimento è tenuto soltanto al pagamento di una

semestralità aggiuntiva di interessi (al tasso convenzionale, non

essendo stato specificato per essa alcun altro diverso tasso) ed

alla corresponsione della maggiorazione del 2% annuo sul tasso

vigente degli interessi. Non ha pregio la sua opposizione, laddove egli lamenta di

dovere questa maggiorazione pur dopo la risoluzione del con

tratto.

Infatti, se è vero che con la risoluzione del contratto la prose cuzione del rapporto tra le parti, diretta alla definitiva compo sizione del loro reciproco assetto di interessi, trova regolamen tazione nella legge (art. 1353 ss. c.c.) e non più nel vero e pro

prio sinallagma contrattuale, il quale presuppone la fisiologia

(e non già la patologia) del rapporto medesimo, è anche vero

che le stesse parti, nel contratto, possono dare regolamentazio ne alla fase (futura ed eventuale) che segue alla risoluzione (in

questo caso per inadempimento del mutuatario), ed a questa

disciplina pattizia, destinata a operare soltanto al verificarsi del

l'inadempimento, le parti sono tenute come per legge, per il

disposto di cui all'art. 1372 c.c. (ma ancor prima per il rispetto del fondamentale principio generale secondo il quale pacta sunt

servanda). Poiché nel caso che occupa sono state le stesse parti a preve

dere nei contratti in esame le conseguenze patrimoniali dell'ina

dempimento del mutuatario, esse sono ora vincolate al rispetto di tale disciplina liberamente accettata.

Stante, però, l'opposizione del debitore, è fatto obbligo a que sto giudice di interpretare il senso della clausola penale, nel con

testo contrattuale in cui essa è collocata, anche allo scopo di

evitare un indebito arricchimento della parte creditrice.

Deve porsi l'attenzione sull'espressione «tasso vigente», sulla

base del quale va computata la maggiorazione del 2% annuo

di interessi. Tale espressione, a giudizio del collegio, non può che essere

riferita al tasso legale vigente, non già a quello composito con

venzionale, previsto dal punto n. 1 del contratto di mutuo, e

questo per ima serie di considerazioni: 1) nel punto n. 6 del

contratto non è richiamato espressamente il punto n. 1; 2) nel

punto n. 6 si parla genericamente di tasso vigente, senz'altra

specificazione, tale da far ritenere il chiaro riferimento al tasso

di sconto, come maggioritario al punto n. 1; 3) esiste nel nostro

ordinamento un principio generale di favor debitoris, per il quale — nel dubbio — la disposizione contrattuale va interpretata nel senso per lui meno oneroso; 4) ciò è confortato, sia pure

indirettamente, dalla previsione di legge per cui il giudice ha

il potere di riduzione dell'ammontare della clausola penale «...se

l'obbligazione principale è stata eseguita in parte (cosa qui av

II Foro Italiano — 1995.

venuta) ovvero se l'ammontare della penale è manifestatamente

eccessivo...» (art. 1384 c.c.); 5) inoltre, presumendosi che le

clausole del singolo contratto corrispondano a condizioni gene rali dell'istituto di credito, come normalmente avviene, trova

applicazione l'art. 1370 c.c. (interpretatio contra stipulatorem),

per il quale dette clausole si interpretano, nel dubbio, a favore

della controparte. Di conseguenza, Avenoso è tenuto a pagare alla cassa di ri

sparmio — in forza della previsione contrattuale di cui al punto n. 6 dei contratti di mututo e per effetto della risoluzione —

la semestralità aggiuntiva di interessi (al tasso convenzionale), e l'importo residuo del debito, al tasso legale vigente degli inte

ressi (il 5% fino al dicembre del 1990, poi il 10%), maggiorato del 2%, quindi: il 7% fino al dicembre del 1990, e poi il 12%.

Analoghe considerazioni si devono fare per il pagamento del

la semestralità aggiuntiva di interessi a seguito dell'anticipata risoluzione del contratto di apertura di credito in conto corren

te, di cui al punto n. 6 di quest'ultimo (ove la semestralità è

pure riferita «...al tasso... vigente...»), per cui, non essendo

qui prevista alcuna specifica disciplina per la restituzione del

debito in linea capitale, deve intendersi che la restituzione av

verrà al tasso convenzionale, ferma restando la penale della se

mestralità aggiuntiva di interessi al tasso legale vigente.

b) Anatocismo trimestrale nel contratto di apertura di conto

corrente.

La clausola n. 3 del contratto di apertura di conto corrente

prevede che il debito produca interessi al «...tasso debitore ini

zialmente convenuto nella misura del 22,75% rivedibile trime

stralmente ed uguale a 2,75 punti in più del prime rate... che

attualmente è del 20%. In caso di non disponibilità di detto

tasso, il tasso di interesse sarà uguale a 4,75 punti in più del

tasso ufficiale di sconto».

Detta clausola contiene l'espressione «rivedibile trimestralmen

te», riferita al tasso debitore, che il consulente d'ufficio ha inte

so essere riferita alla capitalizzazione trimestrale degli interessi.

In realtà, la rivedibilità trimestrale, se le parole hanno un

senso letterale, non può che essere riferita alla modificabilità

(ogni tre mesi) del tasso debitore, in relazione alla variazione

del prime rate (che all'epoca del contratto era del 20%). Tanto è vero che, subito dopo, nello stesso punto n. 3, le

parti hanno preveduto, come tasso per cosi dire di riserva (in caso di non disponibilità del prime rate), il tasso ufficiale di sconto maggiorato del 4,75%.

La clausola n. 3 del contratto di apertura di conto corrente,

quindi, non prevede, almeno letteralmente ed in base al conte

sto contrattuale, la capitalizzazione trimestrale degli interessi.

Qualora, invece, si voglia far discendere l'applicazione dell'a

natocismo trimestrale, dal richiamo agli usi bancari, cioè qualo ra si voglia intendere l'espressione «rivedibile trimestralmente»

come «capitalizzabile trimestralmente», perché questa sarebbe

(o sarebbe stata all'epoca) la prassi bancaria, allora la clausola

non potrebbe operare per le ragioni che si vanno a spiegare. L'anatocismo (fenomeno giuridico per cui gli interessi, capi

talizzati, producono nuovi interessi) è stato visto con sfavore

dal legislatore di ogni tempo, a partire da Giustiniano, che vie

tava (però con lex imperfecta) in maniera assoluta le usurae

usura rum.

Anche il legislatore contemporaneo non favorisce l'anatoci

smo, richiedendo, perché gli interessi scaduti producano nuovi

interessi, o che sia presentata apposita e specifica domanda giu

diziale, o che sia stipulata idonea convenzione posteriore alla

loro scadenza (e sempre che si tratti di interessi scaduti per al

meno sei mesi: il che vuol dire che per i primi sei mesi l'anatoci smo non opera) (art. 1283 c.c.).

In mancanza della domanda giudiziale o della convenzione

posteriore alla scadenza degli interessi, questi ultimi restano in

fruttiferi. Nel caso che occupa, né vi è la specifica domanda giudiziale,

e neppure la convenzione successiva.

Anzi, la convenzione stipulata tra le parti anteriormente alla

scadenza (qualora la si intenda come clausola anatocistica come

ha fatto il c.t.u.) deve ritenersi radicalmente nulla per violazio

ne di una norma imperativa (quella di cui all'art. 1283 c.c.). La legge, tuttavia, fa salvi gli usi contrari, cioè quegli usi

che prevedano l'anatocismo.

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Trattasi, per unanime riconoscimento, di usi normativi, i quali sono caratterizzati da due elementi, uno materiale ed uno psico

logico. Il primo consiste nel fatto che un determinato comportamen

to, non pevisto da alcuna norma positiva, venga tenuto dalla

generalità (intesa in senso relativo ad una certa area territoriale) dei consociati, con caratteristiche di uniformità (costanza) e di

ripetizione (durata) nel tempo. L'elemento psicologico è dato dal convincimento, da parte

di chi osserva l'uso, che si tratti di un comportamento giuridi

camente doveroso (opinio iuris seu necessitatis). A differenza degli usi normativi (richiamati anche, ad esem

pio, dall'art. 1374 c.c.), gli usi negoziali (clausole d'uso: art.

1340 c.c., o usi interpretativi: art. 1368 c.c.), pur essendo carat

terizzati dalla costante ripetizione nel tempo di comportamenti

negoziali, sono sforniti della convinzione di obbedire ad un im

perativo giuridico (opinio iuris), e vengono inseriti automatica

mente nel contratto perché si presumono voluti dalle parti, a

prescindere da un richiamo espresso di legge (che, invece, è in

dispensabile per gli usi normativi).

Infine, chi invoca l'operatività dell'uso deve fornire la prova

della sua esistenza e del suo contenuto (Cass. 6 dicembre 1972,

n. 3533, Foro it., Rep. 1972, voce Consuetudine e uso, n. 3),

non essendo il giudice tenuto a ricorrere a fonti estranee alla

sua scienza ufficiale, né tanto meno a indagini personali invol

genti l'esercizio di attività istruttorie non richieste dalle parti

(vedi Cass. 17 maggio 1976, n. 1742, id., Rep. 1976, voce Pro

cedimento civile, n. 114). Ciò premesso, gli usi bancari possono ben prevedere l'anato

cismo, ma il collegio pone in discussione che il cliente della

banca, rectius: la generalità dei clienti delle banche di una de

terminata zona o dell'intero territorio nazionale, nel momento

in cui addivengono alla stipulazione di un contratto di finanzia

mento (sotto qualsiasi forma, di mutuo o di apertura di conto

corrente o che altro), ovviamente spinti dalla necessità di otte

nere denaro in prestito dal contraente istituzionalmente a ciò

deputato, siano intimamente convinti di obbedire ad un impera

tivo giuridico nell'accettare la clausola che preveda l'anatoci

smo, e non si trovino, in realtà, nella tipica condizione del con

traente debole (non è qui il caso di ricordare la ricca produzio

ne dottrinale che qualifica la banca come contraente forte e

che si pone il problema della tutela dei suoi clienti, esigenza

da ultimo avvertita con l'emanazione delle norme in materia

di trasparenza bancaria), cioè di chi è costretto à prendre ou

à laisser.

In altre parole, ciò che si vuole dire è che, molto probabil

mente, le clausole sull'anatocismo hanno più la valenza di clau

sole d'uso (usi negoziali) imposte ai privati, che non quella di

usi normativi, accettati dai medesimi come norme di diritto.

Stante però il divieto dell'anatocismo, salve certe condizioni,

le clausole d'uso che lo prevedono non possono trovare appli

cazione, poiché la legge ammette soltanto gli usi normativi con

trari e non gli usi contrattuali contrari.

Potrebbe perciò già concludersi qui dicendo che l'anatocismo

non spetta alla banca, in quanto l'uso che lo prevede non ha

la natura di uso normativo, bensì quella di uso contrattuale

«imposto» al contraente debole.

Ciò posto, però, occorre chiedersi se dal punto di vista pro

cessuale (probatorio) non sia stata qui comunque dimostrata

l'esistenza di un uso normativo che consenta l'anatocismo in

favore della banca.

Sotto questo profilo, tuttavia, l'istituto di credito è rimasto

totalmente inerte, o avendo invocato l'operatività di alcun uso

(né normativo né contrattuale) ed essendosi limitato a contesta

re la pretesa dell'opponente e a chiedere il pagamento del dovu

to secondo il computo fatto dal consulente d'ufficio.

L'ipotetica esistenza dell'uso normativo, che peraltro — co

me detto — non è stata neppure invocata dalla parte creditrice,

è rimasta pertanto sfornita di prova sotto un triplice aspetto:

1) non è stata dimostrata l'esistenza (né al momento della

stipulazione del contratto, né successiva) di un comportamento

generalmente diffuso, costante, e ripetuto nel tempo, secondo

il quale in tutti i contratti stipulati dalle banche in una certa

zona sia sempre stata inserita la clausola dell'anatocismo (ele

mento materiale);

Il Foro Italiano — 1995.

2) non è stato dimostrato che tale clausola (eventualmente)

sia stata inserita ed accettata dalle parti, ma soprattutto dal

contraente necessitato (cioè debole), con la convinzione che si

trattasse di norma giuridicamente vincolante (elemento psicolo

gico) (al contrario, è notorio che gli utenti delle banche sono

convinti che queste, nei loro confronti, facciano appio sulla lo

ro maggiore forza contrattuale);

3) non è stato dimostrato il contenuto specifico (per cosi dire

quantistico) dell'uso, cioè se effettivamente fosse norma di com

portamento tra le banche ed i loro utenti di una certa zona

di praticare a tutti proprio quel tipo di anatocismo, con capita

lizzazione trimestrale (e non, ad esempio, semestrale) degli inte

ressi, ed a quel determinato tasso pattuito dalle parti di questa

causa (invero, è richiesta non soltanto la prova dell'esistenza

dell'uso, ma anche la prova del suo contenuto specifico: Cass.

6 dicembre 1972, n. 3533, cit.). A fronte di ciò, il tribunale non può che dichiarare l'illegitti

mità (radicale nullità) della clausola pretensiva dell'interesse sul

l'interesse (se intesa in questo senso), stipulata prima della sca

denza di quest'ultimo e la non debenza di alcun altro interesse

sull'interesse, per assenza, o — il che è processualmente la stes

sa cosa — per mancanza di prova sull'esistenza di un uso nor

mativo contrario, che faccia lecita la corresponsione dell'ana

tocismo.

In conclusione, dall'interpretazione dei contratti (di mutuo

e di conto corrente) stipulati da Avenoso, emerge che egli è

tenuto a pagare alla Cassa di risparmio di Vercelli: — in forza dei contratti di mutuo, e per effetto della loro

risoluzione: una semestralità aggiuntiva di interessi al tasso pra

ticato durante il rapporto ed il capitale residuo, con gli interessi

al tasso legale maggioritario del 2%; — in forza del contratto di apertura di credito in conto cor

rente, e per effetto della sua risoluzione: una semestralità di

interessi al tasso legale vigente, calcolata sull'importo del credi

to utilizzato, e il capitale utilizzato, oltre agli interessi stabiliti

al punto n. 3 (convenzionali), con esclusione dell'anatocismo,

anche per la fase anteriore alla risoluzione.

L'esito del giudizio renderebbe necessaria un'ulteriore consu

lenza tecnica, allo scopo di ricalcolare il quantum effettivamen

te dovuto da Avenoso alla Cassa di risparmio di Vercelli, che,

però, per economia processuale, verrà eventualmente disposta

direttamente nell'ambito della procedura esecutiva in corso.

La pendenza in fase avanzata della procedura esecutiva a ca

rico dell'opponente giustifica la concessione della provvisoria

esecutività della sentenza, ai sensi dell'art. 282 c.p.c., in quanto

l'assenza di esecutorietà pregiudicherebbe (anche in maniera non

irreparabile) il risultato del processo, tenuto conto della posi

zione delle parti, ed in particolare di quella del debitore, sogget

to all'imminenza della vendita di ulteriori immobili, rispetto a

quelli necessari (e forse sufficienti) per la soddisfazione integra

le del debito come sopra determinato.

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