sentenza 21 marzo 1983; Pres. Farneti, Est. D. Neri; Soc. Cominter (Avv. Campagna, Turi) c.Fall. tomaificio Lancia (Avv. Lombardo)Source: Il Foro Italiano, Vol. 106, No. 11 (NOVEMBRE 1983), pp. 2857/2858-2861/2862Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23175450 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
finalità della legge, l'indagine comunque deve proseguire al fine
di accertare se vi siano dati positivi che la confermino.
Il primo punto da dibattere è quello relativo alla interpreta zione del vincolo di destinazione del finanziamento.
L'art. 1 del contratto, dopo l'indicazione delle macchine per
l'acquisto delle quali il finanziamento è stato richiesto, recita
(recependo le indicazioni contenute nel richiamato regolamento): « l'impresa si obbliga a mantenere, materialmente e giuridicamen te, la destinazione richiesta per tutta la durata del finanziamento, sotto pena di risoluzione del contratto ai sensi dell'art. 1456
c.c. ».
Quale sia la destinazione materiale dei macchinari che deve
essere mantenuta appare ovvio: essi dovranno essere utilizzati
nell'impresa e per l'impresa senza possibilità di cessione, a
qualsiasi titolo, a terzi. Più difficile la identificazione della « destinazione giuridica » in
quanto l'effettivo si presta ad interpretazione diversa.
Ritiene peraltro il collegio che l'interpretazione più corretta
sia quella in linea con la già richiamata finalità della legge che è
intesa ad incentivare le imprese artigiane in tanto e finché lo
siano. In altri termini per destinazione giuridica del prestito e delle
macchine con questo acquisite all'impresa deve intendersi desti
nazione compatibile con le finalità della legge, il che equivale a
dire destinazione al processo produttivo di una impresa artigiana. Che questa e non altra debba essere l'interpretazione della non
felice formulazione contrattuale (e, prima ancora, del regolamen to) si desume con estrema chiarezza dalle modalità degli « accer
tamenti sulla destinazione del finanziamento » previste dal rego lamento che al punto 8 della parte I prevede: « la banca al fine
di garantire l'adempimento dell'obbligo essenziale della destina
zione del prestito per tutta la sua durata è tenuta ad effettuare
gli opportuni accertamenti e controlli e a far sottoscrivere dal
l'impresa: inizialmente, il mod. 35b; e successivamente, alla fine di ogni anno solare, il mod. 35a ».
Orbene il mod. 35b (che i soci dell'impresa hanno regolarmen te sottoscritto: doc. 6 bis prodotto dall'Artigiancassa) contiene, tra
l'altro, la dichiarazione che il prestito è stato destinato all'acqui sto di un impianto di vaglio vibrante e di un generatore elettrico e il preciso impegno « di mantenere la destinazione
artigiana dichiarata per tutta la durata del prestito ». Che cosa debba intendersi per « destinazione artigiana » non
pare seriamente contestabile: l'utilizzazione della macchina, infat
ti, non può essere, in senso materiale, artigiana o non artigiana essendo ovviamente identica in ogni caso; in realtà è solo
l'impresa che la utilizza che può avere o meno tale qualificazio ne. In definitiva, dunque, l'impegno a mantenere la « destinazione
artigiana » per tutta la durata del prestito non può che significa re obbligo di non mutare le caratteristiche artigiane dell'impresa durante tale periodo.
Tale impegno non costituisce clausola impossibile (in quanto nulla osta al mantenimento di una certa dimensione dell'impresa) né vessatoria in quanto non prevede alcuna limitazione legale alla libertà di contrattazione con i testi.
Ulteriore conferma della tesi qui accolta si ricava dall'esame
del mod. 35a che, si ricordi, deve essere compilato annualmente dal mutuatario proprio al fine di documentare la persistenza della destinazione.
In tale documento (è in atti quello datato 31 dicembre 1979
compilato dalla Nuova Piacentina Inerti s.r.l.) viene richiamato in
più punti il carattere artigiano della impresa che evidentemente si presume necessario e perdurante (è cosi': « la sottoscritta
impresa artigiana ... iscritta nell'albo delle imprese artigiane » « firma dell'impresa artigiana »).
D'altra parte è assai indicativo che proprio nel citato documen to La Nuova Piacentina Inerti dichiari che la sua attività è
cessata in data 31 gennaio 1978: poiché detta data è quella di
cancellazione dall'albo delle imprese artigiane e non certo quello di cessazione dell'attività sociale, deve evidenziarsi come sia la
stessa impresa la prima ad essere convinta che, ai fini del
contratto di finanziamento, l'attività da certificare in relazione al
permanere della destinazione del prestito sia cessata con il
mutare della qualifica. Cosi' chiarito, in punto di diritto, il problema essenziale della
presente controversia, si debbono trarre le necessarie conclusioni
circa la fattispecie in esame.
Come si è già rilevato, i fatti sono pacifici e comunque la
convenuta non contesta sostanzialmente il venir meno del requisi to dell'artigianalità.
In ogni caso, poiché l'impresa « La Piacentina Inerti » è stata
cancellata dall'albo delle imprese artigiane (con decisione che la
convenuta ha qualificato illegittima ma che non ha impugnato) e
poi si è trasformata in s.r.l., è indubbio che siano venuti meno i
requisiti richiesti dalla 1. 25 luglio 1956 n. 860, espressamente richiamata dalla normativa sul credito dell'artigianato.
Da ciò deriva l'inadempimento da parte della mutuataria ad
una clausola essenziale del contratto e la conseguente facoltà, per la banca mutuante, di avvalersi della clausola risolutiva espressa di cui all'art. 1456 c.c., richiamata nell'art. 1 del contratto di
finanziamento.
Né vale certo invocare, come fa la convenuta, l'art. 1218 c.c. e sostenere che la cancellazione dall'albo non può farsi risalire alla
responsabilità dell'impresa in quanto è fin troppo ovvio che detta cancellazione non è che la conseguenza di un comportamento dell'impresa stessa che ha portato a modificarne la struttura e le caratteristiche.
Per tutte le esposte considerazioni e in accoglimento della
domanda attrice, deve essere dichiarata l'avvenuta risoluzione del
contratto concluso inter partes in data 1° marzo 1976 a far
tempo dal 31 marzo 1978, con le conseguenze previste dall'art. 3
del contratto stesso. (Omissis)
TRIBUNALE DI FORLÌ; sentenza 21 marzo 1983; Pres. Farneti, Est. D. Neri; Soc. Cominter (Avv. Campagna, Turi) c. Fall, tomaifìcio Lancia (Avv. Lombardo).
TRIBUNALE DI FORLÌ; t>„ì- r\ \t™t. r"»~
Contratti bancari — Sconto bancario — Sconto c. d. finanziario — Differenza — Fattispecie (Cod. civ., art. 1858).
Lo sconto di cambiali rilasciate dallo scontatore, anche se garan tite da terzi (c.d. sconto finanziario), non può essere ricondotto
nell'ambito dello sconto bancario (nella specie, è stato revocato il finanziamento concesso da una c.d. finanziaria ad un im
prenditore, poi fallito, dietro rilascio di cambiali da scontare
presso un istituto di credito). (1)
(1) Non constano precedenti editi, oltre la risalente pronuncia di
App. Roma 15 maggio 1961, Foro it., Rep. 1962, voce Borsa, n.
47, con nota di Martorano, In tema di promessa di interessi nella cambiale e di c.d. sconto finanziario, in Banca, borsa, ecc., 1962, II, 427, il quale, a proposito della differenza fra sconto bancario e sconto c.d. finanziario, rimarca come nel primo caso la sovvenzione avvenga sotto forma di anticipato pagamento dell'importo di un credito cam biario che il cliente ha verso terzi, salvo il regresso per il mancato buon fine del titolo e previa deduzione dell'interesse (c.d. saggio di sconto); mentre nel secondo caso il cliente non vanta alcun credito verso terzi, ma riceve un prestito dall'istituto dietro il rilascio di cambiali per il quale egli figura quale obbligato diretto. Si tratta, quindi, di un'operazione di prestito su cambiali, che s'iscrive nello schema del mutuo. Infatti, le due ragioni che militano contro l'assimi lazione a tale figura negoziale del contratto di sconto vero e proprio non si riscontrano nella fattispecie dello sconto finanziario. (Per inciso, va ricordato che la dottrina ha elaborato diverse teorie sulla natura dello sconto bancario. Per l'avvicinamento dello sconto al contratto di
mutuo, cfr. Bonelli, Commentario al codice di commercio, Della
cambiale, Milano, 1914, n. 22, 46; Angeloni, Lo sconto, Milano, 1919, n. 56; La Lumia, L'obbligazione cambiaria e il suo rapporto fonda mentale, Milano, 1923, 7; Greco, Le operazioni di banca, Padova, 1931, 319, che vede nello sconto una cessione a scopo di mutuo
passivo fatta dal cedente per conseguire un prestito dal cessionario; Salandra, Corso di diritto commerciale, Roma, 1939, 228. Per l'avvi cinamento dello sconto alla compravendita di credito, cfr. Bolaffio, già in Foro it., 1907, I, 576; Navarrini, Trattato elementare di diritto
commerciale, Torino, 1911, 420; Brunetti, Operazioni bancarie su tratte documentate, in Riv. dir. comm., 1933, I, 234; Carnelutti, Teoria giuridica della circolazione, Padova, 1933, 44; Colagrosso, voce Sconto (diritto), in Enciclopedia bancaria, Milano, 1942, II, 542; Lordi, Istituzioni di diritto commerciale, Padova, 1943, II, 422; Arena, Lezioni di diritto commerciale, Messina, 1947, 250; Ascarelli,
Cambiale, voce del Novissimo digesto, 681, II, n. 89; Minervini, Lo
sconto bancario, Napoli, 1949, 95, a detta del quale nello sconto si
possono ravvisare tutti gli elementi tipici della compravendita, e cioè il trasferimento di un diritto di credito dallo scontatario allo scontato re verso il corrispettivo di un prezzo, due parti, duplice oggetto, relazione commutativa. Altra posizione dottrinale sostiene che il con
tratto di sconto risulta dalla combinazione dei due negozi di prestito e
di cessione del credito. Sarebbe quindi un contratto misto, con
coordinamento funzionale degli elementi propri di differenti tipi contrattuali; cfr. Colagrosso-Molle, Diritto bancario, Roma, 1960, II, 345. Infine, taluno ritiene che lo sconto sia un contratto sui generis, unitario ed autonomo: cfr. A. De Martini, Sconto di assegni bancari
e accreditamento in conto corrente, in Banca, borsa, ecc., 1948, II, 61;
Donadio, Sulla natura giuridica dello sconto bancario, id., 1948, I,
105). In breve, nel mutuo, colui che riceve la somma è obbligato in
via principale alla restituzione di essa, mentre nello sconto l'obbligo della restituzione può anche mancare: qualora il credito ceduto allo
scontatore vada a buon fine, nulla il cliente deve restituire alla banca
(cfr. Messineo, Il contratto di sconto dopo la riforma del codice
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2859 PARTE PRIMA 2860
Motivi della decisione. — Gli esatti termini della convenzione
conclusa dallo Zamagna con l'opponente s.p.a. Cominter risultano
chiaramente dall'atto di consenso ad iscrizione ipotecaria firmato
dallo stesso Zamagna e autenticato dal notaio Barletta di Forlf in
data 26 novembre 1980.
In tale atto si precisa infatti che lo Zamagna, che aveva
rilasciato all'ordine della Cominter s.p.a. n. 36 vaglia cambiari
dell'importo di lire 2.530.000 ciascuno, con scadenza mensile dal
10 gennaio 1981 al 10 dicembre 1983, per complessive lire
91.080.000, avrebbe usufruito del «netto ricavo» dello sconto di
tali cambiali pari a lire 55.000.000; che a garanzia del puntuale
pagamento dei vaglia cambiari lo stesso Zamagna concedeva
ipoteca a favore della Cominter sull'immobile di sua proprietà
(capannone artigiano con annessa palazzina), sito in comune di
Meldola, per la complessiva somma di lire 91.080.000 riconoscen
do altresì espressamente alla Cominter il diritto, nell'ipotesi di
mancato pagamento anche di un solo vaglia cambiario, di richie
dere l'immediata restituzione dell'intero residuo importo maggio rato delle spese e, per la parte di debito già scaduta, degli interessi di mora del 26 % annuo.
Con lo stesso atto lo Zamagna si impegnava inoltre ad assicu rare in favore della Cominter l'immobile ipotecato, a corrispon dere alla stessa Cominter, nella ipotesi in cui « il deprezzamento del valore della lire avesse superato il 18 % annuo », un « coefficiente di rettifica » sull'importo residuo da pagare ogni 31
dicembre, nonché a corrispondere, nel caso di mancato pagamento di un effetto entro 20 giorni dalla scadenza, una somma pari al 4 % dell'importo insoluto « quale rimborso spese amministrative e
stragiudiziali per il recupero » ed infine autorizzava la Cominter a trattenere « dal netto ricavo dello sconto delle cambiali »
l'importo relativo alla garanzia fideiussoria richiesta. Sulla base di tale atto, in data 28 novembre 1980, veniva
iscritta ipoteca sull'immobile dello Zamagna per la somma di lire 91.080.000 a garanzia dei vaglia cambiari di pari importo e
infine, con dichiarazione scritta in data 9 dicembre 1980, lo
Zamagna dava atto di ricevere dalla Cominter s.p.a. la somma di lire 50.027.596 precisando che dal « netto ricavo dello sconto
delle 36 cambiali ipotecarie » ammontante a lire 55.000.000 erano
state dalla Cominter detratte lire 4.672.404, quale importo della
garanzia fideiussoria, nonché lire 300.000 per una annualità della
polizza incendio.
Tali essendo i termini della convenzione in oggetto deve
anzitutto escludersi che la stessa integri un'operazione di sconto di titoli cambiari secondo l'esatta definizione che di tale fattispe cie fornisce l'art. 1858 c.c.
Ai sensi di tale norma, infatti, lo sconto è il contratto col
quale la banca « previa deduzione dell'interesse anticipa al clien te l'importo di un credito verso terzi non ancora scaduto, mediante la cessione, salvo buon fine, del credito stesso ».
È pertanto elemento essenziale di tale contratto la cessione da
parte dello scontatario alla banca di un credito verso terzi non ancora scaduto, cessione a fronte della quale la banca anticipa
l'importo del credito stesso.
civile, in Operazioni di borsa e di banca, Milano, 1954, 452). Inoltre, nello sconto vi è una attribuzione patrimoniale a favore della banca (rappresentata dal trasferimento del credito verso terzi) corrispettiva dell'erogazione della somma scontata; mentre nel mutuo vi è soltanto l'obbligo di restituzione della somma ricevuta, manca quindi il dato della corrispettività (cfr. Scalfì, Corrispettività e alea nei contratti, Milano-Varese, 1960, 39). Né l'una né l'altra differenza permangono, invece, nello sconto finanziario (cfr. Colagrosso-Molle, cit., 347). Invero, per quanto concerne il primo punto, il cliente rilascia effetti a firma propria e quindi è obbligato in via principale e diretta alia restituzione della somma; quanto al secondo punto, colui che riceve la somma deve contemporaneamente rilasciare alla banca una cambiale per l'importo corrispondente, ma tale rilascio non costituisce attribu zione alla banca di un elemento patrimoniale ulteriore (credito verso terzi) che si aggiunge al credito per la restituzione verso lo scontata rio, ma vale solo a rafforzare il diritto alla restituzione della somma, favorendone altresì lo smobilizzo attraverso la incorporazione nel titolo di credito. Va infine osservato che l'ulteriore criterio differenziale tra sconto e mutuo — che dovrebbe consistere nell'elemento della realità della seconda figura (cfr. Minervini, cit., 57) — non incide sulla identità tra lo scopo finanziario e il mutuo. È infatti possibile contestare che la realtà costituisca una caratteristica essenziale del contratto di mutuo (cfr. Martorano, Il conto corrente bancario, Napoli, 1955, 40); e se è pur vero che nella prassi bancaria l'impegno di corrispondere al cliente una certa somma dietro rilascio di effetti
può precedere l'effettivo utilizzo del credito (come avviene nei contrat ti c.d. di finanziamento), ciò non esclude che tale operazione corri
sponda allo schema negoziale del mutuo, di cui il codice conosce e
disciplina l'impegno preliminare. Lo sconto finanziario si risolve, quin di, in un'operazione di finanziamento allo scontatario con la garanzia del coobbligato cambiario (Molle, I contratti bancari, in Trattato di diritto civile e commerciale Cicu-Messineo, Milano, 1981, I, 375).
Da ciò consegue altresì che l'esistenza di un credito dello
scontatario verso terzi assume rilievo di presupposto del contratto
in esame la cui mancanza si è talora ritenuto determini la nullità
o la risolubilità del contratto stesso.
Tali elementi certamente mancavano nel caso di specie dato
che il fallito, per ottenere la somma richiesta, non cedette alla
Cominter alcun credito di cui fosse titolare, verso terzi, con
scadenza successiva, ma si limitò a rilasciare effetti cambiari da
lui direttamente firmati (sia pure con avallo dei fratelli Zamagna Massimo e Atos) talché la prestazione della Cominter e cioè il
versamento della somma al fallito non può ritenersi avere realiz
zato quell'« anticipazione » che è la funzione tipica che le banche
assolvono con il contratto di sconto.
Né può giovare alla tesi dell'opponente il rilievo che nella
prassi bancaria siano talora attuate operazioni finanziarie siffatte, solitamente indicate con il termine di « sconto finanziario », essendo comunque le stesse, per concorde opinione della dottrina e
della giurisprudenza (v., in particolare, App. Roma 15 maggio 1961, Foro it., Rep. 1962, voce Borsa, n. 47, citata dalla curatela)
giuridicamente diverse, sia per gli elementi costitutivi che per la
funzione attuata, dall'operazione di sconto bancario legislativa mente disciplinata e risolvendosi, in definitiva, in una normale
operazione di prestito a fronte del rilascio di effetti, estranea alla
nozione dello sconto in senso proprio. A parte poi la considerazione che assai discutibile (e talora se
ne è esclusa l'ammissibilità) appare la configurabilità di un
contratto di sconto allorché parte contraente non sia una banca o
un istituto di credito autorizzato. Alla stregua di tali rilievi e come esattamente sostiene il
difensore della curatela, nella convenzione conclusa dallo Zama
gna con la Cominter non può che ravvisarsi un normale contrat
to di finanziamento per effetto del quale la Cominter versava allo
Zamagna l'importo di lire 55.000.000 dietro rilascio da parte dello stesso, a copertura del capitale ricevuto e degli interessi
pretesi dalla controparte, di 36 effetti cambiari a sua firma
diretta, a scadenza mensile dal 10 gennaio 1981 al 10 dicembre
1983, per complessive lire 91.080.000.
Tale convenzione, considerata in tali suoi elementi essenziali,
già rivela un'evidente sproporzione delle prestazioni ad esclusivo
vantaggio della Cominter apparendo sicuramente eccessivo, a fronte di un finanziamento di lire 55.000.000 (ma in realtà la
somma ricevuta dallo Zamagna fu di lire 50.027.596) da rimbor sarsi in 36 rate mensili e quindi in soli tre anni, l'addebito di
interessi per complessive lire 36.080.000 (lire 90.080.000 - lire
55.000.000). Tale squilibrio appare, poi, vieppiù evidente ove si consideri
che per effetto delle molteplici garanzie offerte dallo Zamagna la
Cominter vedeva pressocché eliminato il rischio dell'operazione. Non solo, infatti, i titoli cambiari rilasciati dallo Zamagna
furono firmati per avallo dai fratelli del medesimo, ma lo Za
magna, a garanzia del pagamento degli effetti, concesse alla Cominter di iscrivere ipoteca per pari importo sull'immobile di sua proprietà, ipoteca destinata a fornire una sicura garanzia
all'opponente se è vero che, come è pacifico in causa, l'immobile in questione vale oltre 1. 250.000.000 ed è soggetto a ipoteche di
grado precedente per un importo complessivo che non supera lire 86.000.000.
Quale ulteriore garanzia la Cominter pretese poi la fideiussione di terzi, fideiussione che, a quanto afferma l'opponente, sarebbe stata prestata da tale s.p.a. Isabella alla quale la Cominter stessa avrebbe pagato direttamente il costo dell'operazione (lire 4.672.404) detraendo il relativo importo dalla somma di lire 55.000.000 richiesta dallo Zamagna.
Anche le obbligazioni, chiaramente iugulatorie, assunte dal
fallito per l'ipotesi di una sua inadempienza evidenziano lo
squilibrio delle posizioni dei due contraenti.
Si considerino in particolare le clausole dell'atto di consenso all'iscrizione ipotecaria più sopra riportate con le quali lo Za
magna si impegnava a corrispondere interessi di mora nella misura del 26 % annuo (clausole tra l'altro nulle in quanto, essendo le rate scadute già comprensive degli interessi corrispet tivi, l'accordo preventivo in ordine alla corresponsione di interes si di mora sulle stesse costituisce violazione del divieto di
anatocismo) nonché a corrispondere una somma pari al 4 %
dell'importo insoluto « quale rimborso spese amministrative e
stragiudiziali per il recupero ».
In tale contesto, poi, anche la clausola prevedente « l'adegua mento ISTAT » per l'ipotesi di un deprezzamento della lire
superiore al 18 % annuo appare ulteriormente significativa di uni notevole sproporzione delle prestazioni contrattuali ad esclusivo
vantaggio dell'attuale opponente. L'elevatezza degli interessi previsti, la molteplicità delle garan
zie offerte alla Cominter che vedeva in tal modo pressocché
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
eliminato il rischio dell'operazione nonché la gravosità degli
obblighi accessori assunti dallo Zamagna consentono quindi di
ravvisare nella convenzione in oggetto un atto notevolmente spro
porzionato ai danni del fallito e come tale revocabile ai sensi
dell'art. 67, 1° comma, n. 1, 1. fall.
Né può ritenersi offerta dalla Cominter una valida prova della
asserita inscìentia decoctionis prova che, ai sensi di quanto
prevede la norma citata, avrebbe consentito all'opponente di
evitare la revoca dell'atto.
A tal fine, infatti, la Cominter avrebbe dovuto dimostrare o la
effettiva inesistenza, alla data dell'atto, di uno stato di insolvenza
dello Zamagna o comunque la inesistenza, alla stessa data, di
elementi esteriori idonei a rivelare tale stato.
Tale onere non è stato certamente assolto dato che gli elementi
offerti dall'opponente non solo nulla provano in ordine alle
condizioni economiche del fallito alla data dell'atto ma neppure sono idonei a dimostrare l'inesistenza, alla stessa data, di sintomi
rivelatori di uno stato di insolvenza.
Le prodotte certificazioni della Pretura e del Tribunale di Forlì
attestanti" l'inesistenza, a carico dello Zamagna, di sequestri e di
procedure esecutive e fallimentari portano infatti la data del 6
-8 agosto 1980 mentre l'atto di consenso ed iscrizione ipotecaria fu firmato dallo Zamagna il 26 novembre 1980 e il finanziamento
fu versato dalla Cominter il 9 dicembre 1980.
Anche le informazioni privatamente ricevute dalla Cominter (e, in quanto tali, sfornite, tra l'altro, di data certa) recano la data
del 25-28 luglio 1980 mentre la copia di bilancio, che sarebbe stata alla Cominter consegnata dallo Zamagna, fa addirittura
riferimento alla data del 30 maggio 1980.
Né, infine, l'asserita inesistenza di protesti o pignoramenti a
carico del fallito alla data del 30 novembre 1980 può ritenersi
provata dalla dichiarazione in data 7 maggio 1981 prodotta dall'opponente come documento n. 17 atteso che di tale dichiara zione non risulta assolutamente la provenienza.
Ciò premesso e ai sensi dell'art. 67, 1° comma, n. 1, 1. fall., il
contratto concluso dalla Cominter s.p.a. con il fallito deve essere
revocato divenendo pertanto inefficace nei confronti del fallimen to ogni obbligazione con lo stesso assunta dallo Zamagna.
Da ciò consegue automaticamente l'inefficacia dell'ipoteca (tal ché è superfluo esaminarne la revocabilità ai sensi dell'art. 67, 2°
comma, 1. fall.) concessa dal fallito alla Cominter con atto 26
novembre 1980 a garanzia del pagamento dei 36 vaglia cambiari
per complessive lire 91.080.000 apparendo la concessione di
ipoteca parte integrante della convenzione revocata e non poten do, comunque, la garanzia ipotecaria sopravvivere alla riconosciu
ta inefficacia del credito cambiario garantito.
Può inoltre rilevarsi, ad abundantiam, che essendo stata l'ipo teca iscritta a garanzia di titoli all'ordine per il riconoscimento
dell'efficacia della stessa sarebbe stato in ogni caso necessario il
possesso dei titoli stessi da parte della Cominter e che invece
quest'ultima ha prodotto in giudizio solo due delle trentasei
cambiali rilasciatele dallo Zamagna.
Ciò premesso, il credito della Cominter nei confronti del
fallimento non può che avere ad oggetto la restituzione in via
chirografaria della prestazione effettuata al fallito e cioè dell'im
porto di lire 50.027.596 da essa Cominter versato allo Zamagna in data 9 dicembre 1980.
Su detto importo possono inoltre liquidarsi, ai sensi dell'art. 55
1. fall., gli interessi legali dalla data del pagamento (9 dicembre
1980) al 3 aprile 1981, data della dichiarazione di fallimento, e
cioè lire 788.105 talché il credito definitivo della Cominter risulta
di lire 50.815.701 (lire 50.027.596 + lire 788.105).
La somma di lire 51.100.000 per cui la società opponente è
stata ammessa al passivo del fallimento si rivela, pertanto, pie
namente satisfattoria di ogni ragione di credito dell'opponente
stessa.
Concludendo, quindi, il contratto concluso dalla s.p.a. Cominter
con Zamagna Rino va revocato e conseguentemente va dichiarata
l'inefficacia della ipoteca iscritta dalla stessa s.p.a. Cominter nei
confronti dello Zamagna presso la conservatoria dei registri
immobiliari di Forlì il 28 novembre 1980 art. 2112.
L'opposizione come sopra proposta dalla Cominter avverso lo
stato passivo del fallimento deve, pertanto, essere respinta. (O
missis)
TRIBUNALE DI CAGLIARI; sentenza 28 febbraio 1983; Pres.
Carrega, Est. Landi; Brizzi (Avv. Racugno, Mereu) c. I.n.p.s.
(Avv. Spiga).
TRIBUNALE DI CAGLIARI; si
Lavoro e previdenza (controversie in materia di) — Mancata com
parizione di entrambe le parti all'udienza di discussione — Con
seguenze (Cod. proc. civ., art. 181, 307, 309, 420).
Nelle controversie in materia di lavoro e previdenza, il giudice, constatata la mancata comparizione delle parti alla udienza di
discussione, è tenuto, ai sensi dell'art. 181 c.p.c., a fissare una
nuova udienza, di cui il cancelliere dà comunicazione alle parti costituite (nella specie, deve, pertanto, ritenersi illegittima l'e
stinzione del processo di primo grado, disposta dal pretore in
violazione degli art. 181, 1° comma, 307, 1° comma, e 309
c.p.c.). (1)
(1) Quali siano le conseguenze, nel processo del lavoro, della mancata comparizione di entrambe le parti alla prima udienza è
questione di cui sono state offerte soluzioni assai disparate sia in dottrina che in giurisprudenza.
La decisione in epigrafe, dopo aver esposto e scrutinato le diverse ricostruzioni prospettate dalla giurisprudenza di merito, ritiene di poter risolvere il problema nel senso della piena applicabilità degli art. 181, 1° comma, 307, 1° comma, e 309 c.p.c. (cioè di norme relative al
procedimento davanti ài tribunale): in caso di mancata comparizione di entrambe le parti il giudice deve fissare una nuova udienza e se anche questa andrà deserta disporre la cancellazione della causa dal ruolo con conseguente possibilità di riassunzione nel termine di un anno. Questa soluzione si fonda su tre argomentazioni: a) nella
disciplina del processo del lavoro non si rinvengono lacune in senso
tecnico (tali da giustificare un ricorso all'analogia), essendo quella lex
specialis rispetto alla lex generalis data dal I libro e dai titoli I e M
del II libro del c.p.c. (in virtù del rinvio contenuto nell'art. 311
c.p.c.), per cui è alle disposizioni sul processo ordinario che deve farsi riferimento ogni qualvolta manchi una disciplina ad hoc negli art. 409
ss. c.p.c.; b) l'udienza di cui all'art. 181, 1° comma, c.p.c. non è
udienza di mero rinvio e quindi vietata ai sensi dell'art. 420, ult.
comma, c.p.c., bensì è finalizzata « al compimento di una procedura fissata dalla legge per giungere alla declaratoria di cancellazione o di
estinzione della causa »; c) i casi in cui può disporsi la cancellazione
(cosi come l'estinzione e la rimessione al primo giudice) sono tassati
vamente fissati dal legislatore (art. 307 e 354 c.p.c.), argomentazione tesa a contrastare la tesi secondo cui dovrebbe disporsi l'immediata
cancellazione anziché fissare una nuova udienza. iPer quanto sub a) v., nello stesso senso, Frisina, In tema di
inattività delle parti nel nuovo processo del lavoro, in Giust. civ.,
1983, 244 ss., spec. 247, 258; ritiene invece sussistenti lacune in senso
tecnico, da colmarsi con l'applicazione analogica delle disposizioni contenute negli art. 163 ss. c.p.c., tranne quelle « che sono in
contrasto con un processo che il legislatore ha voluto effettivamente
ispirato alla concentrazione ed alla immediatezza, o... quelle che
presuppongono l'assenza di un principio di preclusione e/o un proces so caratterizzato dalla mancanza di poteri direttivi del giudice, o
quelle dettate con riferimento ad un processo il cui atto introduttivo abbia la forma dell'atto di citazione e non del ricorso », A. Proto
Pisani, Lavoro (controversie individuali in materia di), voce del Novissi
mo digesto, appendice, Torino, 1983, 91 dell'estratto. Inutile dire che
discende da questa seconda ricostruzione l'inapplicabilità delle norme
sulla inattività delle parti nel rito ordinario. Per quanto sub b), assai rilevante è Cass. 26 marzo 1982, n. 1884,
(Foro it., 1982, I, 1280), che afferma l'inapplicabilità dell'art. 348
c.p.c. al rito del lavoro, sulla base della sussistenza in questo
procedimento di preclusioni, di ampi poteri ufficiosi del giudice, di un
principio di concentrazione dell'attività processuale. Per la Cassazione la 1. n. 533/73 « ha bandito, per scongiurare i danni che dal singolo
processo si riverserebbero su tutti quelli pendenti nello stesso ufficio, i
rinvìi che non siano indispensabili per il rispetto del diritto di
difesa ». Rispetto alla configurazione del rinvio non come dilatorio ma
come funzionale ha affermato, inoltre, con ragionamento valido anche
con riferimento alla applicabilità degli art. 181 e 309 c.p.c.: «Non
s'intende di quale funzione si tratti. Se, come pare, il riferimento
riguardasse la funzione cui è preordinato il meccanismo previsto dall'art. 348 l'argomento non sarebbe puntuale poiché oiò che va
verificato è se differendo l'udienza si persegua una finalità compatibile con il rito del lavoro. Il che...deve escludersi. Invero, quando non
vi sono attività da svolgere, l'imperativo che il legislatore detta al
collegio è quello di decidere». L'udienza di cui all'art. 348, 1° comma, c.p.c., è qualificata di mero
rinvio anche da Cass. 26 novembre 1980, n. 6287, Foro it., Rep. 1980,
voce Lavoro e previdenza (controversie), n. 379. Sulle udienze di meno rinvio, cons. Tarzia, manuale del processo
del lavoro, Milano, 1980, 134.
Infine, per quanto sub c), nello stesso senso {con specifico riferimen
to alla rimessione): Cass. 15 giugno 1965, n. 1236, Foro it., Rep.
1965, voce Appello civile, n. 256; contra Trib. Napoli 21 maggio
1981, id., 1981, I, 2858. Nel senso della tipicità, v., in dottrina, Bianchi D'Espinosa-Baldi, Estinzione del processo (dir. proc. civ.), voce dell'Enciclopedia del diritto, Milano, 1966, XV, 918; Liebman, Manuale di diritto processuale civile, Milano, 1974, II, 259; 1976, III,
74; Andrioli, Diritto processuale civile, Napoli, 1979, 837 ss.
Per quanto riguarda, più in generale, la soluzione offerta per il caso
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