sentenza 22 aprile 1997, n. 111 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 30 aprile 1997, n. 18);Pres. Granata, Est. Vari; Soc. Alleanza assicurazioni (Avv. Dolfin) c. Min. finanze; Associazioneproprietà edilizia della provincia di Chieti (Avv. Pitruzzella) c. Commissario prefettizio comunedi Chieti; interv. Pres. cons. ministri (Avv. dello Stato Salimei). Ord. Comm. trib. I gradoLivorno 7 novembre 1995 (G.U., 1 a s.s. ...Source: Il Foro Italiano, Vol. 120, No. 9 (SETTEMBRE 1997), pp. 2391/2392-2399/2400Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23191661 .
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2391 PARTE PRIMA 2392
costituisce quindi, anche se sotto altro profilo, ulteriore confer
ma della coerenza del complessivo disegno legislativo, che, sulla
base dell'inserimento delle facoltà di medicina nell'articolato ap
parato preposto al conseguimento degli obiettivi del servizio sa
nitario nazionale, non può non tener conto delle peculiarità del
l'apporto garantito dalla loro struttura e dal loro personale, al fine di prevedere una disciplina, che mantenga l'organicità e la funzionalità del sistema.
In questa ottica, è quindi ragionevole che la disciplina della
posizione dei medici universitari sia condizionata dalle esigenze
organizzativo-funzionali dei servizi di assistenza, cui sono pre
sposti; esigenze tanto più rilevanti, quanto più diviene intensa
la partecipazione funzionale delle facoltà di medicina al servizio
sanitario nazionale.
6. - Sotto questi profili, dunque, va confermata la precedente
giurisprudenza di questa corte, che aveva già dichiarato che «non
può non riconoscersi al legislatore, in sede di riforma dell'assi
stenza ospedaliera pubblica, la potestà di ampliare e potenziare
l'apporto, in tale ambito, delle università, e di disciplinare al
l'uopo in modo unitario l'omogeneo rapporto di servizio assi
stenziale del personale sanitario ospedaliero ed universitario, fatto
salvo per quest'ultimo l'adempimento dei compiti didattici e di
ricerca scientifica» (sentenza n. 103 del 1977). In questo quadro
pertanto la norma censurata non determina alcuna irragionevo le disparità di trattamento.
D'altra parte, il legislatore ha disciplinato le incompatibilità dei docenti universitari medici in modo autonomo rispetto agli altri docenti universitari e molto prima della 1. n. 412 del 1991, dato che già il d.p.r. n. 129 del 1969 aveva per essi previsto forme di incompatibilità sconosciute agli altri docenti universi
tari (ma ritenute non illegittime da questa corte nella stessa sen
tenza n. 103 del 1977), anche in considerazione dell'obiettivo
di coordinamento e potenziamento dell'apporto dell'università
ai fini della tutela della salute.
Le peculiari finalità perseguite dalla norma censurata, in un
quadro di ragionevole «compenetrazione» tra attività didattico
scientifica ed attività assistenziale, appaiono quindi congrue e
tali da escludere anche possibili incidenze negative sul canone
di buon andamento dell'amministrazione.
Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara non fonda
ta la questione di legittimità costituzionale dell'art. 4, 7° com
ma, 1. 30 dicembre 1991 n. 412 (disposizioni in materia di fi nanza pubblica), sollevata, in riferimento agli art. 3 e 97 Cost., dal Tar del Veneto, con l'ordinanza indicata in epigrafe.
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 22 aprile 1997, n. Ili
(iGazzetta ufficiale, la serie speciale, 30 aprile 1997, n. 18); Pres. Granata, Est. Vari; Soc. Alleanza assicurazioni (Avv.
Dolfin) c. Min. finanze; Associazione proprietà edilizia della
provincia di Chieti (Aw. Pitruzzella) c. Commissario pre fettizio comune di Chieti; interv. Pres. cons, ministri (Aw. dello Stato Salimej). Ord. Comm. trib. I grado Livorno 7
novembre 1995 (G.U., la s.s., n. 7 del 1996); Tar Abruzzo, sez. Pescara, 11 gennaio 1996 (G.U., la s.s., n. 21 del 1996) e 9 novembre 1995 (G.U., la s.s., n. 21 del 1996).
Tributi locali — lei — Questioni inammissibili di costituzionali tà (Cost., art. 3, 24, 42, 53, 76, 113; d.p.r. 22 dicembre 1986 n. 917, approvazione del testo unico delle imposte sui redditi, art. 22 a 38, 129; d.l. 30 settembre 1992 n. 394, disposizioni concernenti l'istituzione di una imposta sul patrimonio netto delle imprese, art. 1, 3; 1. 26 novembre 1992 n. 461, conver
sione in legge, con modificazioni, del d.l. 30 settembre 1992 n. 394, art. 1; d.leg. 30 dicembre 1992 n. 504, riordino della
finanza degli enti territoriali, a norma dell'art. 4 1. 23 ottobre
1992 n. 421, art. 5, 12, 17, 18).
Il Foro Italiano — 1997.
Tributi locali — lei — Questioni infondate di costituzionalità
(Cost., art. 3, 42, 53; d.leg. 30 dicembre 1992 n. 504, art.
1, 5, 6). Tribuli locali — lei — Questione inammissibile di costituziona
lità (Cost., art. 23, 76, 77, 128; d.leg. 30 dicembre 1992 n.
504, art. 6, 18). Tributi locali — lei — Questione infondata di costituzionalità
(Cost., art. 23, 76, 77, 128; d.leg. 30 dicembre 1992 n. 504, art. 6, 18).
Sono inammissibili le questioni di legittimità costituzionale: a) dell'art. 5, 7° comma, d.leg. 30 dicembre 1992 n. 504, nella
parte in cui prevede che ai fini dell'imposta comunale sugli immobili (lei) dovuta sui terreni agricoli si assume come valo
re imponibile il reddito dominicale iscritto in catasto moltipli cato per settantacinque; b) dell'art. 12 stesso d.leg., nella parte in cui, in materia di lei, conferisce al comune il potere di
procedere alla riscossione coattiva immediata delle somme li
quidate per imposta, sanzioni ed interessi anche in caso di
impugnazione del relativo accertamento ove le stesse somme
non vengano corrisposte tramite versamento diretto; c) del
l'art. 17, 1° comma, stesso d.leg. — in relazione agli art.
da 22 a 38 e 129 d.p.r. 22 dicembre 1986 n. 917 e agli art.
1 e 3 d.l. 30 settembre 1992 n. 394, convertito, con modifica
zioni, nella l. 26 novembre 1992 n. 461 —, nella parte in
cui dispone l'indeducibilità dell'Ici dall'imponibile soggetto ad Irpef; d) dell'art. 18, 3
° comma, stesso d.leg., nella parte
in cui riserva per l'anno 1993 all'amministrazione finanziaria dello Stato i vari adempimenti relativi alla liquidazione, retti
fica delle dichiarazioni, accertamento, irrogazione delle san
zioni e degli interessi, nonché alla riscossione delle somme
dovute per lei, disponendo che essa operi a norma delle di
sposizioni che riguardano l'accertamento e la riscossione delle
imposte erariali sui redditi, nonché l'irrogazione delle relative
sanzioni, sollevate in riferimento agli art. 3, 24, 42, 53, 76
e 113 Cost. (1) Sono infondate le questioni di legittimità costituzionale: a) del
l'art. 1 d.leg. 30 dicembre 1992 n. 504, nella parte in cui
istituisce un'imposta patrimoniale ordinaria limitata ai soli beni
immobili; b) dell'art. 5 stesso d.leg., nella parte in cui la base
imponibile dell'imposta comunale sugli immobili è individua
ta nel valore lordo dei beni assoggettati a tributo determinato
applicando moltiplicatori fissi alle rendite iscritte in catasto;
c) dell'art. 6 stesso d.leg., nella parte in cui determina l'ali
quota dell'imposta comunale sugli immobili, in riferimento
gli art. 3, 42, 3° comma, e 53 Cost. (2)
(1-2) L'ordinanza di rimessione, Comm. trib. I grado Livorno 7 no vembre 1995, è massimata in Foro it., Rep. 1996, voce Tributi locali, n. 144.
Ad avviso della Consulta è inammissibile la questione di costituzio nalità dell'art. 5, 7° comma, d.leg. 30 dicembre 1992 n. 504, concer nente la determinazione — mediante il prodotto del reddito dominicale
per il coefficiente previsto dalla legge — del valore imponibile dei terre ni agricoli, sul rilievo che nel giudizio a quo non era sorta controversia in relazione a tali cespiti; sono parimenti respinte in limine — in quanto ritenute dalla Consulta relative a disposizioni non comprese tra quelle di cui il giudice rimettente era tenuto a fare applicazione — le questioni di costituzionalità degli art. 12 e 18, 3° comma, d.leg. 504/92 (concer nenti, rispettivamente, il potere del comune di riscuotere coattivamente le somme liquidate per imposta, sanzioni ed interessi e quello accordato in via transitoria all'amministrazione erariale di procedere alla liquida zione, all'accertamento, alla riscossione e all'irrogazione delle sanzioni e degli interessi alla stregua della vigente normativa concernente le im
poste erariali sui redditi). Analogamente è ritenuto inammissibile il dubbio di costituzionalità dell'art. 17, 1° comma, prospettato in relazione alla mancata deducibilità dal reddito soggetto ad Irpef delle somme pagate a titolo di lei, trattandosi di questione attinente al regime giuridico ed alla fase applicativa di imposte diverse da quella oggetto del giudizio principale.
La questione di legittimità sollevata nei confronti dell'art. 1 è ritenu ta infondata dalla corte in considerazione dell'«ampia discrezionalità riservata al legislatore in relazione alle varie finalità di cui, di volta in volta, si ispira l'attività di imposizione fiscale», (discrezionalità) che ben consente l'istituzione di un'imposta patrimoniale ordinaria sui soli beni immobili (sul principio — pacifico nella giurisprudenza della Corte costituzionale — che le scelte discrezionali del legislatore tributario non ammettono sindacato, se non siano arbitrarie od irrazionali, v., explu rimis e da ultimo, Corte cost. 5 febbraio 1996, n. 21, id., 1996, I,
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
È inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli art. 6 e 18 d.leg. 30 dicembre 1992 n. 504, nella parte in
cui prevedono che la determinazione dell'aliquota dell'impo sta comunale sugli immobili venga stabilita con deliberazione della giunta comunale, in riferimento agli art. 23, 76 e 77
Cost. (3) È infondata la questione di legittimità costituzionale degli art.
6 e 18 d.leg. 30 dicembre 1992 n. 504, nella parte in cui pre vedono che la determinazione dell'aliquota dell'imposta co
munale sugli immobili venga stabilita con deliberazione della
giunta comunale, in riferimento agli art. 23, 76 e 77 Cost. (4)
1. - Con le ordinanze in epigrafe la Commissione tributaria
di primo grado di Livorno e il Tar dell'Abruzzo sollevano que stioni che investono, sotto vari profili, la disciplina dell'imposta comunale sugli immobili (lei), istituita a far tempo dal 1993, con d.leg. 30 dicembre 1992 n. 504 recante «riordino della fi
nanza degli enti territoriali, a norma dell'art. 4 1. 23 ottobre
1992 n. 421».
Come si desume da quest'ultimo articolo, obiettivo della leg
ge è quello di favorire l'autonomia tributaria degli enti locali, a beneficio dei quali, una volta entrata a regime la disciplina, viene devoluto il gettito del tributo, istituito con contestuale
soppressione sia dell'Ilor sui redditi dei fabbricati a qualsiasi uso destinati, ivi compresi quelli strumentali od oggetto di loca
zione, i redditi dominicali delle aree fabbricabili e dei terreni
agricoli, nonché i redditi agrari di cui all'art. 29 d.p.r. 22 di
cembre 1986 n. 917 e successive modificazioni; sia dell'Invim, limitatamente agli incrementi di valore maturati successivamen
te al 31 dicembre 1992 (art. 17, 6° e 7° comma, d.leg. n. 504
del 1992).
1141; v. anche Corte cost. 26 luglio 1996, n. 322, id., Rep. 1996, voce Patrimonio (imposte sul), n. 14, che ha dichiarato la manifesta infon datezza della questione di legittimità costituzionale degli art. 7 d.l. 333/92 e 2, 1° comma, d.l. 16/93 nella parte in cui colpiscono solo i possessori di beni immobili a differenza delle altre categorie di cittadini che pos siedono patrimoni di altra natura), mentre quelle concernenti l'art. 5 sono respinte sul rilievo, da un lato, che non può dirsi irrazionale la mancata considerazione dei mezzi impiegati per acquisire o costruire
l'immobile, e, dall'altro, che il ricorso — dettato da ragioni di unifor mità e semplificazione dell'accertamento — alle rendite catastali per ottenere (mercé i moltiplicatori previsti dalla legge) la base imponibile del tributo integra un procedimento esattamente inverso a quello che
fu, a suo tempo, recepito dal d.l. 23 gennaio 1993 n. 16 per determina re la redditività media delle unità immobiliari urbane (v., sulla costitu zionalità dell'art. 7 d.l. 333/92, nella parte in cui prevede che l'importo dell'imposta straordinaria sugli immobili sia calcolato sulla base del va lore degli immobili determinato secondo le tariffe d'estimo di cui al d.m. 27 settembre 1991, Corte cost. 322/96, cit.).
Infine, la Consulta esclude l'incostituzionalità dell'art. 6 notando co me le doglianze del giudice rimettente circa l'elevatezza in sé dell'ali
quota lei non siano sorrette da elementi che possano portare a conside rarla frutto di un arbitrio lesivo della capacità contributiva.
Sulla costituzionalità delfici, v. Corte cost. 24 giugno 1994, n. 263, id., 1994, I, 2312, che ha dichiarato l'inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 4 1. 23 ottobre 1992 n. 421 e del
capo primo (art. 1-18) d.leg. 504/92 in riferimento agli art. 3, 42 e 53 Cost, (su tale sentenza — le cui conclusioni sono state recentemente ribadite da Corte cost. 17 luglio 1995, n. 328, id., Rep. 1996, voce Tributi locali, n. 140 — v., in dottrina, con varietà di accenti, Righi, in Bollettino trib., 1994, 1131; Baliello, in Riv. giur. trib., 1994, 837; Trimeloni, in Corriere trib., 1994, 1907; D'Amico, in Arch, locazioni, 1994, 485; Faisitta, in Riv. dir. trib., 1994, II, 542; Baggio, in Finan za loc., 1995, 1133). V. poi, sulla mancata esenzione dall'imposta co munale sugli immobili per quelli di proprietà degli Iacp, Corte cost. 12 aprile 1996, n. 113, Foro it., 1997, I, 1044, con nota di richiami.
(3-4) Le ordinanze di rimessione, Tar Abruzzo, sez. Pescara, 11 gen naio 1996 e 9 novembre 1995, sono massimate rispettivamente in Foro
it., Rep. 1996, voce Tributi locali, n. 141 e (con data diversa) n. 143. La corte ritiene l'inammissibilità della questione sollevata dalla più
recente ordinanza ravvisando l'irrilevanza della discussione concernente il riparto delle competenze tra giunta e consiglio comunale in punto di determinazione delle aliquote dell'lei in un giudizio ove risultava che
queste erano state fissate dal commissario prefettizio. Entrando — grazie all'ordinanza del novembre del 1995 — nel meri
to della questione della legittimità costituzionale degli art. 6 e 18 d.leg. 30 dicembre 1992 n. 504 attributivi alla giunta (in luogo del consiglio) comunale del potere di deliberare le aliquote lei, la Consulta esclude che possa integrare violazione del dettato costituzionale la circostanza
Il Foro Italiano — 1997.
L'imposta assume come base imponibile il valore degli immo
bili (art. 5, 1° comma), intendendosi per tali i fabbricati, le aree fabbricabili e i terreni agricoli, siti nel territorio dello Sta
to, a qualsiasi uso destinati, ivi compresi quelli strumentali o
alla cui produzione o scambio è diretta l'attività dell'impresa. Dall'esame dell'art. 1, 2° comma, della normativa in questio
ne si rileva che il presupposto dell'imposta è rappresentato dal
«possesso» dei beni. Di essa, secondo le specificazioni dell'art.
3, sono soggetti passivi il proprietario, ovvero il titolare del di
ritto di usufrutto, uso o abitazione, nonché — per gli immobili
concessi in superficie, enfiteusi o locazione finanziaria — il con
cedente cui viene attribuito, peraltro, diritto di rivalsa, rispetti
vamente, sul superficiario, enfiteuta o locatario (art. 3). 2. - I giudizi, avendo ad oggetto questioni fra loro connesse,
vanno riuniti per essere decisi con una unica sentenza.
3. - La Commissione tributaria di primo grado di Livorno
solleva un duplice ordine di censure che attengono, da un lato, alla struttura sostanziale del tributo, quale regolata dagli art.
1, 5, 6 e 17, 1° comma, d.leg. n. 504 del 1992, norme ritenute in contrasto con gli art. 3, 42 e 53 Cost, e, dall'altro, alla disci
plina delle fasi procedimentali che mettono capo alla riscossio
ne, quali si evincono dagli art. 18 e 12 del suddetto decreto
legislativo, disposizioni reputate viziate, la prima, per eccesso
di delega e, la seconda, per violazione degli art. 3, 24, 113 e
53 Cost, stessa.
4. - Di queste ultime censure l'avvocatura dello Stato eccepi sce, in via pregiudiziale, l'inammissibilità, riguardando norme
che non trovano applicazione nel giudizio principale. L'eccezione è fondata. L'art. 18, 3° comma, riserva, per l'anno
1993, all'amministrazioni finanziaria dello Stato i vari adempi menti relativi alla liquidazione, rettifica delle dichiarazioni, ac
certamento, irrogazione delle sanzioni e degli interessi, nonché
che nessuna disposizione della legge delega 23 ottobre 1992 n. 421 auto rizzava il legislatore delegato a derogare alla regola generale, posta dal l'art. 32 1. 142/90, che individua nel consiglio comunale l'organo cui
compete la «istituzione e l'ordinamento dei tributi». Ad avviso della
corte, può escludersi che l'art. 6 d.leg. n. 504 esorbiti dai limiti della
delega dal momento che la disciplina dell'lei è posta interamente dal
legislatore «mentre all'ente locale non è data la possibilità né di istituire né di dettare l'ordinamento dell'imposta, bensì soltanto di determinare
l'aliquota entro limiti predeterminati». Sul punto non si rivengono — ovviamente — precedenti nella giuris
prudenza costituzionale. In dottrina, v. C. Ciriello, II potere impositi vo degli enti locali nella determinazione dell'aliquota dell'Ici: una que stione di illegittimità costituzionale, in Tributi loc. e reg., 1996, 247
ss., spec. 253, che esprime l'avviso che l'attribuzione alla giunta comu nale della competenza a deliberare l'aliquota lei, disattendendo la nor mativa di principio contenuta nella 1. 142/90 in assenza di puntuale delega, dia vita ad un contrasto con gli art. 76 e 77 Cost.
La questione ora risolta rimanda al più generale problema della costi tuzionalità dei decreti legislativi contenenti disposizioni che non trova no puntuale fondamento nella legge delega. Su tale problema, la corte ha avuto modo di precisare che può ritenersi legittima la disposizione del decreto legislativo che, pur nel silenzio della legge di delegazione, rappresenti un «coerente sviluppo» e completamento della scelta espres sa dal legislatore delegante delle ragioni ad essa sottese (v. Corte cost. 6 aprile 1993, n. 141, Foro it., Rep. 1993, voce Pena (applicazione su richiesta), n. 30, e 6 giugno 1991, n. 250, id., 1992, I, 3193); in
dottrina, v. A. Cervati, Legge delega e delegata, voce deli'Enciclope dia deI diritto, Milano, 1973, XXIII, 951, per il quale il legislatore dele
gato non è libero di innovare radicalmente la legislazione precedente per adottare norme più rispondenti ai fini della delega laddove il legi slatore delegante non abbia adottato nuovi principi (v. anche, sui rap porti tra legge delega e decreto delegato, A. Cerri, Delega legislativa, voce dell'Enciclopedia giuridica Treccani, Roma, 1993, X).
Sui criteri che presiedono alla deliberazione delle aliquote lei e sui limiti che incombono sul punto alla giunta comunale, v. F. R. Dinacci, Determinazione aliquote lei: limiti e condizioni, in Ascotributi inserto, 1996, fase. 2, 5; A. Montesano, L'aumento dell'aliquota lei è possibile solo a fronte di spese certe e determinate, in Riv. giur. trib., 1996, 938; D. De Paolis, Istruttoria adeguata e motivazione congrua quali elementi essenziali della delibera determinativa dell'aliquota lei: sono
proprio necessari?, in Finanza loc., 1996, 381, e, in giurisprudenza, Tar Toscana, sez. I, 2 luglio 1996, n. 601, Foro it., Rep. 1996, voce Tributi locali, n. 147, e Cons. Stato, sez. V, 2 febbraio 1996, n. 135, id., 1996, III, 199, con nota di richiami.
Sull'organo competente a determinare l'aliquota lei successivamente alle modifiche apportate al d.leg. 504/92 dall'art. 3, comma 53, 1. 662/96, v. min. interno, circ. telegr. 21 febbraio 1997, n. 2/97, Fisco, 1997, 2730.
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2395 PARTE PRIMA 2396
alla riscossione delle somme dovute per lei, disponendo che es
sa operi a norma delle disposizioni che riguardano l'accerta
mento e la riscossione delle imposte erariali sui redditi nonché
l'irrogazione delle relative sanzioni. Dal canto suo l'art. 12 con
ferisce al comune il potere di procedere alla riscossione coattiva
immediata delle somme liquidate per imposta, sanzioni ed inte
ressi, anche in caso di impugnazione del relativo accertamento, ove le somme stesse non vengano corrisposte nei modi previsti dall'art. 10, 3° comma, e cioè tramite versamento diretto.
Considerato che, nel caso oggetto di controversia, il paga mento dell'imposta è avvenuto per versamento diretto, le dispo sizioni denunciate non rientrano fra quelle di cui il giudice ri
mettente è tenuto a far applicazione nel giudizio a quo, con
conseguente inammissibilità delle sollevate questioni per irrile
vanza ai fini della decisione.
5. - Le altre censure sono da ritenere in parte infondate e
in parte inammissibili per quanto appresso si dirà.
6. - La prima doglianza concerne gli art. 1 e 5, che, ad avviso
del rimettente, colliderebbero con gli art. 3, 42, 3° comma, e
53 Cost., per vari convergenti motivi. In primo luogo, si deduce
che i principi di uguaglianza e di capacità contributiva risulte
rebbero lesi da una disposizione quale quella dell'art. 1, istituti
va di un'imposta patrimoniale ordinaria che concentra la pres sione fiscale sui soli beni immobili, irrazionalmente discriminati
rispetto agli altri cespiti patrimoniali di pari entità, ma di diver
sa composizione qualitativa. In secondo luogo si lamenta che
l'art. 5 individui la base imponibile del tributo nel valore lordo
dei beni, sì da colpire un indice «meramente fittizio ed immagi nario» di ricchezza, senza tenere, invece, conto delle eventuali
passività che il proprietario abbia dovuto contrarre per acqui stare o costruire gli immobili tassati.
L'uno e l'altro ordine di considerazioni non possono essere,
tuttavia, condivisi.
La prima censura, investendo i criteri secondo i quali risulta
no definite dalla legge le situazioni significative di capacità con
tributiva, induce a rammentare l'ampia discrezionalità riservata
al legislatore in relazione alle varie finalità cui, di volta in volta, si ispira l'attività di imposizione fiscale. Tale discrezionalità, come la corte ha costantemente affermato, consente al legisla tore stesso, sia pure con il limite della non arbitrarietà, di deter
minare i singoli fatti espressivi della capacità contributiva che,
quale idoneità del soggetto all'obbligazione di imposta, può es
sere desunta da qualsiasi indice rivelatore di ricchezza (reddito,
consumo, patrimonio nella sua oggettività ovvero nel momento
specifico del suo incremento, ecc.). Allo stesso modo non è di per sé lesivo del principio di ugua
glianza e di capacità contributiva il fatto che il legislatore indi
vidui, di volta in volta, quali indici rivelatori di capacità contri
butiva, le varie specie di beni patrimoniali sia di natura mobi
liare che immobiliare, come risulta dalla legislazione vigente, in ordine alla quale si possono esemplificativamente ricordare:
l'imposta sul patrimonio netto delle imprese (1. 26 novembre 1992 n. 461), l'imposta sui fondi comuni di investimento mobi
liare (1. 23 marzo 1983 n. 77), l'imposta sul valore globale netto
dell'asse ereditario (d.leg. 31 ottobre 1990 n. 346), l'imposta sulla proprietà di autoveicoli ed autoscafi (d.l. 30 dicembre 1982
n. 953, convertito nella 1. 28 febbraio 1983 n. 53). Il fatto, dunque, che vengano colpiti dall'Ici solo cespiti aventi
natura immobiliare non è, di per sé, significativo di illegittimità della relativa disposizione.
Quanto poi all'altro profilo prospettato, e cioè quello della
mancata deduzione dalla base imponibile delle passività con
tratte dal proprietario per acquistare o costruire il bene, va con
siderato, anzitutto, che l'imposizione lei non tende a colpire solo i proprietari ma, più in generale, i titolari delle situazioni
previste dall'art. 3, in quanto idonee, nella loro varietà, ad in
dividuare di norma coloro che, avendo il godimento del bene, si avvantaggiano, con immediatezza, dei servizi e delle attività
gestionali dei comuni, a beneficio dei quali il gettito viene, a
regime, destinato, in sostituzione di altri tributi contestualmen te soppressi. In ogni caso non è irrazionale la mancata conside
razione dei mezzi impiegati per acquisire o costruire l'immobile; mezzi che a ben vedere affericono quali passività non a questo ultimo, bensì al patrimonio generale del soggetto che li assume in carico.
7. - Il medesimo art. 5 viene, ulteriormente, denunciato, per violazione degli art. 3 e 53 Cost., con specifico riferimento alle
Il Foro Italiano — 1997.
disposizioni contenute nei commi 2° e 7°. La prima di esse fa
rinvio, per la determinazione del valore dei fabbricati, alle ri
sultanze del catasto, stabilendo l'applicazione alle rendite ivi iscrit
te di moltiplicatori determinati con i criteri e le modalità di
cui al primo periodo dell'ultimo comma dell'art. 52 d.p.r. 26
aprile 1986 n. 131; la seconda prevede, invece, per la determi
nazione del valore dei terreni agricoli, l'applicazione al reddito
dominicale di un moltiplicatore pari a settantacinque. Ad avvi
so del rimettente, la determinazione della base imponibile se
condo il metodo dei moltiplicatori fissi si porrebbe in contrasto
con il principio di effettività della capacità contributiva e con
il principio di ragionevolezza a causa dell'elevatezza dei coeffi
cienti, della vincolatività e/o incontrovertibilità dei valori otte
nuti attraverso di essi, nonché, infine, della illogicità ed irrazio
nalità insita nella mancata previsione di correttivi idonei a tene
re conto dell'esistenza di regimi vincolistici di determinazione
del canone, comportanti una depressione sia del reddito sia del
valore dell'immobile.
Premesso che la questione relativa al 7° comma è da reputare
inammissibile, non risultando dall'ordinanza che innanzi al giu dice a quo sia in discussione la tassazione di terreni agricoli, è agevole osservare, quanto al 2° comma, che l'adozione dei
moltiplicatori fissi e l'incontrovertibilità della loro misura non
sono altro che la logica conseguenza dei dati utilizzati dal legis latore per pervenire alla determinazione del valore del bene. Il
ricorso ad elementi desunti, per evidenti ragioni di uniformità
e semplificazione dell'accertamento, dal catasto fabbricati, e in
particolare dalle rendite ivi iscritte, comporta, infatti, l'adozio
ne di un procedimento esattamente inverso a quello che fu, a
suo tempo, recepito dal d.l. 23 gennaio 1993 n. 16, convertito
nella 1. 24 marzo 1993 n. 75, per determinare la redditività me
dia delle unità immobiliari urbane. Secondo detta disciplina alla
determinazione delle rendite catastali si perviene, infatti, attra
verso l'applicazione, ai valori di mercato degli immobili, di coef
ficienti di redditività o (se si vuole) di saggi di interesse sul capi tale fondiario, fissati, come è noto, nella misura dell'uno, del
due e del tre per cento (rispettivamente per le abitazioni, per
gli studi professionali e per i negozi), sì da essere esattamente
speculari ai moltiplicatori. La giustificazione dell'entità dei moltiplicatori risiede dunque
nella logica ispiratrice del sistema sopra delineato e nella corre
lazione sussistente fra i vari elementi che lo compongono; siste
ma dotato, oltretutto, di una sua flessibilità, dovuta alla non
invariabilità sia delle rendite sia dei moltiplicatori, i quali, ben
ché fissati, per l'anno in contestazione innanzi al giudice a quo, e cioè il 1993, direttamente dal legislatore, sono suscettibili di
periodiche revisioni in caso di sensibili divergenze dai valori di
mercato (art. 5, 2° comma, d.leg. n. 504 del 1992, che fa rinvio
all'art. 52, ultimo comma, d.p.r. n. 131 del 1986). Sotto l'altro profilo dedotto non sembra poi a questa corte
che a mettere in dubbio la legittimità dei risultati così ottenuti
possa valere, come ipotizza l'ordinanza, la mancata previsione di correttivi volti a tener conto di fattori decrementativi legati, in specifiche situazioni, al regime vincolistico delle locazioni.
Infatti la disciplina stabilita nel citato comma 2° dell'art. 5 è
coerente, da un lato, con una scelta legislativa che, prevedendo un computo la cui base è rappresentata dai dati catastali, si
rifa, per l'accertamento della base imponibile, a criteri di deter minazione legale di valori tipo, e cioè a metodi che non posso no di per sé reputarsi contrari a Costituzione; e, dall'altro, con
una situazione legislativa volta, da qualche tempo, a superare il regime vincolistico delle locazioni.
8. - Resta, infine, da esaminare la doglianza che investe con
testualmente gli art. 6 e 17, 1° comma; quest'ultimo posto in
relazione, dall'ordinanza, con gli art. 22-38 e 129 t.u. 22 dicem
bre 1986 n. 917 e con gli art. 1 e 3 d.l. 30 settembre 1992 n.
394, convertito, con modificazioni, nella 1. 26 novembre 1992
n. 461.
Si lamenta in particolare la violazione degli art. 42 e 53 Cost,
per l'effetto espropriativo e lesivo della capacità contributiva, derivante dalla elevata entità dell'aliquota dell'Ici, assommata all'indeducibilità del tributo dall'imponibile dell'imposta perso nale sul reddito, nonché all'esistenza di ulteriori imposizioni fi
scali che, secondo il rimettente, colpirebbero pesantemente il
reddito ed il patrimonio immobiliare.
La prima delle disposizioni censurate e cioè l'art. 6 prevede che l'aliquota dell'Ici sia stabilita, con deliberazione della giun
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
ta comunale, in misura unica e in una percentuale del valore
dell'immobile compresa fra il quattro e il sei per mille, con fa
coltà di elevazione al sette per straordinarie esigenze di bilan
cio; la seconda disposizione e cioè l'art. 17, 1° comma, stabili
sce, invece, l'indeducibilità dell'Ici agli effetti delle imposte era
riali sui redditi. Le doglianze, nell'evocare congiuntamente i parametri del
l'art. 42 e dell'art. 53 Cost., sottolineano l'effetto espropriativo
e, al tempo stesso, lesivo della capacità contributiva che, ad
avviso dell'ordinanza, deriverebbe, oltre che dall'elevatezza del
l'aliquota, dagli altri concorrenti fattori indicati. Dette conside
razioni inducono la corte a richiamare, in linea generale, il prin
cipio, peraltro non del tutto nuovo nella sua giurisprudenza, secondo il quale dalla legge tributaria nasce soltanto una obbli
gazione pecuniaria verso lo Stato ovvero gli altri enti pubblici
(sentenza n. 9 del 1959, Foro it., 1959, I, 313). Che il prelievo tributario si realizzi dunque attravreso la mera costituzione di
un vincolo obbligatorio, alla cui osservanza il soggetto passivo è tenuto con tutto il suo patrimonio, e non soltanto con il bene
colpito, è del resto confermato dal fatto che sarebbe certamente
riduttivo identificare la capacità contributiva, che è alla base
di tale vincolo, con la proprietà di uno specifico bene patrimo niale ovvero con quella di un reddito, esprimendo, invece, essa
l'idoneità generale del singolo a concorrere alle spese pubbliche, in relazione alla molteplicità degli obiettivi di politica fiscale che il legislatore può perseguire, con l'imposizione tributaria,
e che, talora, vanno anche al di là della mera esigenza dell'ac
quisizione di entrate al bilancio dello Stato.
Non è privo di significato, da questo punto di vista, il fatto
che la Costituzione repubblicana, diversamente dalla formula
dell'art. 25 dello statuto albertino (che prevedeva il contributo
ai «carichi dello Stato» in proporzione degli «averi»), faccia
riferimento al più ampio concetto di «capacità contributiva»
e, cioè, all'attitudine economica del singolo; capacità contribu
tiva della quale, secondo quanto risulta anche dagli atti dell'as
semblea costituente, costituiscono corollari, da un canto, la strut
turazione del sistema fiscale secondo criteri di progressività e,
dall'altro, l'esenzione dall'imposizione dei c.d. minimi vitali. Ciò se, da un canto, consente di ribadire quanto già più volte
affermato da questa corte, e cioè l'estraneità della materia espro
priativa all'ambitó dell'art. 53 Cost, (sentenze nn. 283 del 1993,
id., 1993, I, 2089; 22 del 1965, id., 1965, I, 585, e 9 del 1959, id., 1960, I, 31), induce, dall'altro, a constatare come sia pro
prio l'art. 53 la corretta prospettiva nella quale va ricondotto
il giudizio sull'uso ragionevole, o meno, che il legislatore stesso
abbia fatto dei suoi poteri discrezionali in materia tributaria,
al fine di verificare la coerenza interna della struttura dell'im
posta con il suo presupposto economico, come pure la non ar
bitrarietà dell'entità dell'imposizione. Ovviamente, l'esigenza che
si pone di riferire le valutazioni di costituzionalità, in via priori
taria, al fondamentale parametro dell'art. 53, non esclude che, in occasione di tale giudizio, possa emergere anche la coesisten
te lesione di altri interessi costituzionalmente protetti, tra i qua li quello oggetto dell'art. 42 evocato dal rimettente, ma certa
mente non solo esso. È sufficiente por mente al tema del favor
per la proprietà della casa di abitazione (art. 47 Cost.), argo mento che esula, tuttavia, dalla problematica posta dal giudice
rimettente, e sul quale, pertanto, la corte non ha in questa oc
casione motivo di pronunciarsi. Così stabiliti i limiti del controllo che compete al giudice delle
leggi, questa corte ritiene che le doglianze del giudice rimettente
circa l'elevatezza in sé dell'aliquota lei quale prevista dall'art.
6 non siano sorrette da elementi che possano portare a conside
rarla, nel rapporto che è dato ragionevolmente stabilire fra l'a
liquota stessa e il valore del bene in sé, frutto di un arbitrio
lesivo della capacità contributiva, ai sensi dell'art. 53 Cost. Ciò escluso, non v'è, di conseguenza, nessuna ricaduta nemmeno
sull'art. 42 Cost.
Quanto agli altri argomenti addotti a sostegno dell'eccessività
del livello della tassazione, la menzione fatta dall'ordinanza delle
ulteriori imposizioni fiscali che colpirebbero pesantemente il red dito ed il patrimonio immobiliare è di per sé troppo generica per poter essere presa in considerazione in una materia, quale
quella tributaria, contrassegnata, proprio per i delicati fini cui si ispira, da ampia discrezionalità del legislatore e nell'ambito della quale non spettano al giudice della legittimità delle leggi
valutazioni di opportunità o di convenienza riferite all'ordina
II Foro Italiano — 1997.
mento generale dei tributi ovvero all'entità del carico fiscale, salvo il controllo sotto il profilo dell'arbitrarietà o irragionevo lezza delle norme. Circa poi il più puntuale richiamo fatto dal
l'ordinanza all'art. 17, 1° comma, in tema di indeducibilità del
l'Ici, si rileva che la questione — benché prospettata con testua
le richiamo della disciplina della imposizione sui redditi fondiari (art. 22-38 e 129 t.u. n. 917 del 1986), nonché di quella dell'im
posta sul patrimonio netto delle imprese (art. 1 e 3 d.l. n. 394
del 1992) — viene focalizzata sul punto specifico della deducibi
lità dell'imposta di cui si tratta dall'imponibile Irpef. In ogni caso e a tacer d'altro, può obiettarsi che, trattandosi di questio ne che attiene al regime giuridico e alla fase applicativa di im
poste diverse da quella oggetto del giudizio principale, essa non
può, come già altra volta osservato (sentenza n. 21 del 1996,
id., 1996, I, 1141), trovare ingresso in questa sede e va, pertan
to, dichiarata inammissibile. 9. - Le questioni portate all'esame della corte con le due ordi
nanze del Tar dell'Abruzzo riguardano, invece, gli art. 6 e 18
d.leg. 30 dicembre 1992 n. 504, denunciati, rispettivamente, per violazione degli art. 23, 76, 77 e 128 Cost, (ordinanza emessa
I'll gennaio 1996, di cui al r.o. n. 460 del 1996) e per violazio
ne degli art. 23, 76 e 77 (ordinanza emessa il 9 novembre 1995, di cui al r.o. n. 461 del 1996).
10. - L'avvocatura dello Stato, assumendo che, nei giudizi
proposti innanzi al giudice a quo, non vi è, fra i motivi dedotti
dai ricorrenti, quello dell'incompetenza della giunta comunale,
eccepisce l'inammissibilità delle questioni sollevate da entrambe
le ordinanze.
Tale inammissibilità, sia pure per motivi diversi da quelli pro
spettati dall'avvocatura, sussiste solo per la prima ordinanza.
Da questa si rileva, infatti, che la determinazione dell'aliquota è avvenuta, nella specie, ad opera del commissario prefettizio, sicché non può reputarsi rilevante ai fini del decidere una que stione che non concerne i poteri di quest'ultimo, bensì quelli della giunta. L'eccezione stessa va, invece disattesa per la se
conda ordinanza dal cui contesto risulta che il prospettato di
fetto di competenza dell'organo forma oggetto di specifica cen
sura da parte del ricorrente.
11. - Tuttavia, la questione, ancorché ammissibile in rito, è
infondata nel merito.
12. - Assume il rimettente che gli art. 6 e 18 d.leg. 30 dicem
bre 1992 n. 504, nella parte in cui prevedono che l'aliquota lei sia fissata con «deliberazione della giunta comunale», abbia
no inciso — pur in assenza di specifica delega in tal senso —
sul riparto di competenze tra consiglio e giunta, quale si desu
me dall'art. 32 1. 8 giugno 1990 n. 142, che, dopo aver intro
dotto il principio generale sulla competenza specifica del consi
glio e residuale della giunta, annovera fra gli atti fondamentali
di competenza del primo, «l'istituzione e l'ordinamento dei tri
buti» (2° comma, lett. g, dello stesso articolo). L'ordinanza,
nel rilevare, inoltre, che la competenza testé ricordata si pone in connessione con altre due attribuzioni del consiglio, e cioè
l'esercizio del potere regolamentare e l'approvazione del bilan
cio, ritiene che «la potestà degli enti locali di integrare la disci plina legislativa con disposizioni che la completano appare con
forme al disposto dell'art. 23» solo ove esplicata con atti gene rali ed astratti.
13. - Quanto alla denunciata violazione dell'art. 23 è il caso
di ricordare immediatamente che il principio della riserva di legge, in materia di prestazioni imposte, va inteso in senso relativo
come obbligo per il legislatore di determinare preventivamente e sufficientemente criteri direttivi di base e linee generali di di
sciplina dell'attività amministrativa (sentenza n. 1157 del 1996,
id., Rep. 1996, voce Riscossione delle imposte, n. 184). Non
ha perciò fondamento l'assunto dell'ordinanza, volto sostan
zialmente a prefigurare una sorta di proiezione del vincolo di
cui all'art. 23 anche sugli atti di competenza dell'ente locale,
ipotizzando, in sostanza, in aggiunta alla riserva di legge, e quasi
ad ulteriore sviluppo di essa, anche una sorta di riserva di rego
lamento.
14. - Neppure fondata è l'altra doglianza proposta dal rimet
tente e cioè quella riguardante l'eccesso di delega in cui le di
sposizioni censurate sarebbero incorse rispetto a quanto stabili
to dall'art. 4, 1° comma, lett. a), n. 6, 1. n. 421 del 1992, che
autorizzava l'emanazione di disposizioni dirette «all'istituzione,
a decorrere dall'anno 1993, dell'imposta comunale immobiliare
lei».
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2399 PARTE PRIMA 2400
La tesi che il governo, nell'emanare le disposizioni di cui agli art. 6 e 18, non avrebbe potuto prescindere dalla ripartizione di competenza fra giunta e consiglio, fissata nell'art. 32 1. n.
142 del 1990, viene a riproporre il tema generale dei criteri che
il legislatore delegato è tenuto ad osservare nell'esercizio del
compito al medesimo affidato, in relazione a quelli che se ne
possano considerare i limiti espliciti o impliciti. Tema sul quale la corte ha avuto occasione di evidenziare il naturale rapporto di «riempimento» che lega la norma delegata a quella delegan
te, alla luce della ratio che ispira quest'ultima. Pertanto, il si
lenzio della legge di delegazione non osta all'emanazione di norme
che rappresentino un coerente sviluppo e completamento della
scelta espressa dal legislatore delegante e delle ragioni ad essa
sottese (sentenza n. 141 del 1993, id., Rep. 1993, voce Pena
(applicazione su richiesta), n. 30), ancorché il potere debba es
sere esercitato in modo non solo conforme alle finalità che l'han
no determinato, ma anche aderente al sistema delineato nella
legislazione precedente (sentenza n. 28 del 1970, id., 1970,1, 683). Tale giurisprudenza non vale, tuttavia, a dar fondamento alla
tesi prospettata dall'ordinanza, proprio alla luce dei dati nor
mativi offerti dalla 1. n. 142 del 1990, fra i quali assume prima rio rilievo l'art. 1, il quale stabilisce che «ai sensi dell'art. 128
Cost., le leggi della repubblica non possono introdurre deroghe ai principi della presente legge se non mediante espressa modifi
cazione delle sue disposizioni»; formula che, secondo quanto comunemente si ritiene, vale quale criterio interpretativo per i
futuri successivi interventi legislativi in materia, nel senso che
i principi della 1. n. 142 restano operanti di fronte ad ogni altra
legge che non ne disponga ex professo la deroga o l'abrogazio ne. Ma anche a ritenere che il predetto art. 1 sia canone erme
neutico utilizzabile per definire, nel caso qui in esame, portata e contenuto della delega apprestata dalla 1. n. 421 del 1992, è da escludere che possa parlarsi di violazione della delega stes
sa, in ragione di deroghe apportate, nel suo silenzio, ai principi della 1. n. 142 del 1990. Nell'ambito dell'art. 32, occorre, anzi
tutto, distinguere fra i principi che si desumono dal 1° comma, a mente del quale «il consiglio comunale è l'organo di indirizzo
e di controllo politico amministrativo», e le disposizioni che
puntualmente indicano, nel successivo 2° comma, gli atti fon
damentali rientranti nella competenza del consiglio, tra i quali «l'istituzione e l'ordinamento dei tributi». Escluso dunque che
si possa parlare di modifica dei principi sopra ricordati, quel che ulteriormente convince dell'assenza del lamentato vizio di
eccesso di delega è la circostanza che, a ben vedere, le disposi zioni denunciate si limitano a specificare uno degli elementi co
stitutivi di una fattispecie normativa che di per sé non è ricon
ducibile al paradigma dell'art. 32, 2° comma.
Infatti, diversamente da quest'ultima disposizione, nel caso
qui considerato, secondo le specifiche indicazioni in tal senso
della 1. n. 421 del 1992, è il legislatore stesso, in parte diretta
mente e in parte attraverso lo svolgimento della delega conferi ta al governo, a prevedere e a disciplinare il tributo, mentre
all'ente locale non è data la possibilità né di istituire né di det
tare l'ordinamento dell'imposta, bensì soltanto di determinarne
l'aliquota entro limiti predeterminati, fermo restando che, in
caso di mancata delibera, vale comunque il minimo fissato per
legge, secondo quanto espressamente prevede l'art. 6 d.leg. n.
504 del 1992. Anche per questa ragione è da escludere che si
tratti di una disposizione esorbitante dai limiti della delega; men
tre restano fuori dalla considerazione della corte, trattandosi
di disposizioni intervenute in epoca successiva, da un canto la
riforma del sistema di governo comunale realizzato dalla 1. 25
marzo 1993 n. 81, alla quale si richiama la parte privata e,
dall'altro, la recente nuova disciplina dell'Ici contenuta nell'art.
3, 53° comma, 1. 23 dicembre 1996 n. 662.
Per questi motivi, la Corte costituzionale, riuniti i giudizi,
1) dichiara inammissibile la questione di legittimità costitu zionale degli art. 5, 7° comma, 12, 17, 1° comma — in relazio
ne agli art. 22-38 e 129 t.u. 22 dicembre 1986 n. 917 e agli art. 1 e 3 d.l. 30 settembre 1992 n. 394, convertito, con modifi
cazioni, nella 1. 26 novembre 1992 n. 461 — e 18, 3° comma,
d.leg. 30 dicembre 1992 n. 504 (riordino della finanza degli enti
territoriali, a norma dell'art. 4 1. 23 ottobre 1992 n. 421), solle
vata dalla Commissione tributaria di primo grado di Livorno, in riferimento agli art. 3, 24, 42, 53, 76 e 113 Cost., con l'ordi
nanza emessa il 7 novembre 1995;
2) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzio
II Foro Italiano — 1997.
naie degli art. 1, 5 e 6 del suddetto d.leg. n. 504 del 1992, sollevata in riferimento agli art. 3, 42, 3° comma, e 53 Cost., con la medesima ordinanza;
3) dichiara inammissibile la questione di legittimità costitu
zionale degli art. 6 e 18 del già citato d.leg. n. 504 del 1992,
sollevata, in riferimento agli art. 23, 76, 77 e 128 Cost., dal
Tar dell'Abruzzo, sezione di Pescara, con l'ordinanza emessa
I'll gennaio 1996;
4) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzio
nale degli art. 6 e 18 del medesimo d.leg. n. 504 del 1992 solle
vata, in riferimento agli art. 23, 76 e 77 Cost., dal medesimo
Tar, con l'ordinanza emessa il 9 novembre 1995.
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 2 novembre 1996, n.
369 (Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 6 novembre 1996, n. 45); Pres. Ferri, Est. Granata; Como (Avv. Marotta,
Leone), Noli (Aw. Cacciavillani, Manzi), Ambrosone (Aw.
Ambrosone), Ruggiero (Avv. Tatarano, Lavitola): interv.
Pres. cons, ministri (Avv. dello Stato Laporta). Ord. App.
Napoli 17 gennaio 1996, Trib. Lecce 30 gennaio 1996, App. Salerno 8 febbraio 1996, Trib. Lamezia Terme 8 febbraio 1996, Trib. Palmi 2 febbraio 1996, Trib. Firenze 17 gennaio 1996, Trib. Larino 29 febbraio 1996, App. Catania 2 febbraio 1996, Trib. Cosenza 20 febbraio 1996, Trib. Benevento 30 gennaio
1996, Trib. Napoli 24 gennaio 1996, Trib. Messina 5 marzo
1996, App. Venezia 5 marzo 1996, Trib. Benevento 27 feb braio 1996, App. Venezia 5 marzo 1996, Trib. Benevento 27
febbraio 1996, Trib. Brindisi 29 gennaio 1996, App. Roma
12 marzo 1996 (G.U., la s.s., nn. 13, 17, 19, 20, 21, 23,
24, 26, 27 del 1996).
Espropriazione per pubblico interesse — Occupazione appro
priativa — Risarcimento del danno — Equiparazione all'in
dennità di esproprio — Incostituzionalità (Cost., art. 3, 28,
42, 97; d.l. 11 luglio 1992 n. 333, misure urgenti per il risana
mento della finanza pubblica, art. 5 bis; 1. 8 agosto 1992 n.
359, conversione in legge, con modificazioni, del d.l. 11 lu
glio 1992 n. 333, art. 1; 1. 28 dicembre 1995 n. 549, misure
di razionalizzazione della finanza pubblica, art. 1, 65° comma).
Espropriazione per pubblico interesse — Occupazione appro
priativa — Risarcimento del danno — Equiparazione all'in
dennità di esproprio — Questione inammissibile di costituzio
nalità (Cost., art. 3, 28, 42, 97; d.l. 11 luglio 1992 n. 333, art. 5 bis; 1. 8 agosto 1992 n. 359, art. 1; 1. 28 dicembre 1995
n. 549, art. 1, 65° comma).
È incostituzionale l'art. 5 bis, 6° comma, d.l. 11 luglio 1992
n. 333, convertito in l. 8 agosto 1992 n. 359, come statuito
dall'art. 1, 65° comma, I. 28 dicembre 1995 n. 549, nella par te in cui applica al risarcimento del danno da occupazione
appropriatila i criteri di determinazione stabiliti per l'inden
nizzo in caso di espropriazione per pubblica utilità. (1) È inammissibile, perché difetta ogni accertamento del giudice
a quo sull'esistenza di una dichiarazione di pubblica utilità
che è presupposto dell'occupazione appropriativa, la questio ne di legittimità costituzionale dell'art. 5 bis, 6° comma, d.l. 11 luglio 1992 n. 333, convertito in l. 8 agosto 1992 n. 359, come sostituito dall'art. 1, 65 °
comma, l. 28 dicembre 1995 n. 549, in riferimento agli art. 3, 42, 28 e 97 Cost. (2)
(1-2) La sentenza si può leggere in Foro it., 1996, I, 3257, con nota di richiami di S. Benini e ibid., 3585 con nota di De Marzo, Occupa zione appropriativa atto secondo: adesso tocca a! legislatore?
Se ne riproducono le massime per pubblicare lo scritto di G. Verde.
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