Sentenza 22 dicembre 1961, n. 70; Pres. Cappi P., Rel. Branca; Miraglia c. Saccone; interv. Pres.Cons. ministri (Avv. dello Stato Varvesi)Source: Il Foro Italiano, Vol. 85, No. 1 (1962), pp. 13/14-15/16Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23151952 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
nel riordinare le pensioni dell'assicurazione obbligatoria
per la invalidità, la vecchiaia e i superstiti non solo si è
informata all'orientamento seguito dalla richiamata legisla zione, ma ha accentuato il favore per il lavoratore, rendendo
con particolari disposizioni più efficiente il principio della
conservazione delle posizioni assicurative (art. 4, 5, ecc.). D'altra parte lo stesso Istituto della previdenza sociale
ha largamente utilizzato gli stessi principi per casi che
il succitato art. 37, lett. b, non prevede espressamente, ma che ben si possono ricondurre nel quadro del vigente sistema previdenziale. Come più vicina alla ipotesi in esame
è da considerare quella che prevede i periodi durante i
quali il lavoratore ha prestato la sua opera in territorio
sottratto per effetto dei trattati di pace alla sovranità ita
liana ; periodi da non computarsi ai fini del quinquennio,
pur non essendo stati corrisposti i contributi assicurativi
(circolare n. 517 Odg 1948, richiamata al n. 42, lett. m, della circolare I.n.p.s. n. 1111 C. e V/134 del 3 ottobre
1957). È bene inoltre fare presente che la tutela del lavo
.iatore che espatria fu dal legislatore considerata fin dal
1919 con la legge 26 ottobre 1919 n. 1996 per la Cassa
di previdenza marinara (art. 31), con la legge 13 dicembre
1928 n. 290, che delegava il potere di regolare le condi
zioni degli assicurati obbligatori che espatriano per ragioni di lavoro (art. 2) e con decreto legisl. del 23 agosto 1946
n. 201.
Successivamente l'intensificarsi della emigrazione nel
periodo post-bellico ed il principio della libera circolazione
delle forze del lavoro suggerivano agli Stati la necessità di
stipulare accordi destinati a rendere intercomunicanti i vari
sistemi di previdenza, utilizzando oltre i limiti nazionali i
periodi di lavoro compiuti nel territorio dei singoli Stati.
Alla tutela del lavoratore all'estero non protetto da,
detti accordi ha provveduto l'art. 37, lett. b.
Pertanto la disposizione dell'art. 37, lett. b, decreto pres. 26 aprile 1957 n. 818 non contiene eccesso di delega.
Per questi motivi, rigetta la pregiudiziale dedotta dal
l'I.n.p.s. e dall'Avvocatura dello Stato ; dichiara non fon
data la questione di legittimità costituzionale sollevata di
ufficio dal Tribunale di Udine con la ordinanza 23 aprile
1960, riguardante l'art. 37, lett. b, decreto pres. 26 aprile 1957 n. 818 circa i periodi di lavoro subordinato all'estero
non protetti da accordi internazionali, in relazione all'art.
37 della legge 4 aprile 1952 n. 218 e in riferimento all'art.
76 della Costituzione.
CORTE COSTITUZIONALE.
Sentenza 22 dicembre 1961, n. 70 ; Pres. Cappi P., Rei.
Branca ; Miraglia e. Saccone ; interv. Pres. Cons, mi
nistri (Avv. dello Stato Varvesi).
[.«oazionc -—- Proroga legale — Decadenza — Accer
tamento delle condizioni tecniche dell'edificio —
Poteri del Genio civile — Incostituzionalità della
normativa (Costituzione della Repubblica, art. 24 ;
1. 23 maggio 1950 n. 253, disciplina delle locazioni,
art. 10).
iS'ono illegittimi, con riferimento all'art. 24 della Costituzione,
il n. 1 dell'art. 10 legge 23 maggio 1950 n. 253, nella parte in cui demanda al Genio civile l'accertamento delle con
dizioni tecniche e della necessità dello sgombero dell'im
mobile, e il n. 2 dello stesso articolo, in quanto l'accerta
mento della indispensabilità dello sgombero e della possi
bilità di uno sloggio temporaneo è demandato al Genio
civile. (1)
(1) L'ordinanza 11 giugno 1960, con la quale il Pretore
di Palermo ha rimesso alla Corte costituzionale la questione
d'incostituzionalità, ora riconosciuta fondata, è massimata in
Foro it., 1961, I, 184, con nota di richiami giurisprudenziali
La Corte, ecc. — Benché l'ordinanza di rinvio sembri riferirsi all'intero art. 10 della legge, l'impugnazione è evi dentemente circoscritta a quelle parti dell'articolo in cui, ai fini della cessazione della proroga, è demandato al Genio
civile l'accertamento delle condizioni dell'immobile e della
necessità dello sgombero, cioè al n. 1, seconda parte, e al n. 2, seconda parte.
Queste norme sono state oggetto d'una interpretazione che, oramai consolidata in giurisprudenza, è accolta dalla
quasi unanimità della dottrina : si è ritenuto e si ritiene
che l'accertamento del Genio civile vincoli il giudice del
merito, e che questi abbia su di esso press'a poco un con
trollo di legittimità : può rilevare violazioni di leggi, con
traddizioni o palesi incongruenze, nonché patenti errori di
valutazione, chiedere chiarimenti e persino disporre la rin
novazione totale dell'atto, ma non può nominare un diverso
consulente nè ricavare da altre fonti il suo convincimento.
Se questa è la portata delle norme, e non v'è ragione di
dubitarne, la Corte costituzionale ritiene che esse contrastino
con l'art. 24, 1° e 2° comma. Cost. Infatti la singolarità del procedimento, che esse impongono, non garantisce com
piutamente quel diritto alla difesa a cui si ispira tale articolo.
Già è sintomatico che l'accertamento, così come è defe
rito al Genio civile dal cit. art. 10, nn. 1 e 2, si svolga in
modo tanto abnorme : la libertà d'apprezzamento del giu dice è limitata in relazione ad un singolo rapporto sostan
ziale, senza che dalla natura del rapporto si possa trarre
un motivo plausibile della particolarità di tale disciplina. La tutela processuale dei diritti delle parti ne apparisce,
per ciò solo, seriamente compromessa se è vero che l'esi
stenza d'un diritto implica, in virtù dell'art. 24 Cost., la
possibilità di farlo valere dinanzi all'autorità giudiziaria con i mezzi offerti in generale dall'ordinamento giuridico :
possibilità che le norme impugnate comprimono sensibil
mente poiché esse limitano la libertà d'apprezzamento del
giudice proprio sul punto principale della controversia :
dimodoché, su questo punto, almeno nella sostanza, la
decisione della causa finisce per essere sottratta al giudice ordinario, dipendendo dal giudizio d'un organo ammi
nistrativo.
L'accertamento del Genio eivile, pur essendo atto
istruttorio, tuttavia è opera d'un ufficio amministrativo, e
si compie, per di più, in occasione d'ima lite, in cui si con
tende non su interessi legittimi, ma su diritti soggettivi. La conseguenza è che, siccome la cessazione della proroga
dipende soltanto da tale atto, che non può essere sindacato
nel merito, il diritto soggettivo alla fine ha una difesa,
nella sua intensità, effettivamente incompleta : l'atto del
Genio civile, benché costituisca una tappa del processo, è
disciplinato come un qualsiasi provvedimento amministra
tivo, quasi che il locatore e il locatario avessero non un dirit
to-onere, ma piuttosto un interesse legittimo, alla prova. Il
che non rappresenta solo una chiara anomalia, ma im
porta fatalmente un difetto di tutela in rapporto agli
art. 24 e 3 Cost. : infatti con ciò si impedisce all'interessato
di avvalersi degli strumenti di prova, garantiti in gene rale a chi è parte in un giudizio.
Infine tra i motivi, che inducono a dichiarare l'illegit
timità delle norme impugnate, sta anche questo, che esse
non assicurano affatto il contraddittorio. In realtà l'ufficio
del Genio civile deve sentire le parti, ma può farlo e lo fa
separatamente per ciascuna, e le loro dichiarazioni non
sono verbalizzate o portate a conoscenza del giudicante ;
anche se si instaurasse avanti al Genio civile un vero e
proprio contraddittorio (il che, a dire il vero, non avviene),
resterebbe sempre il fatto che il giudice ne è estraneo :
tanto più in quanto l'accertamento del Genio civile molto
(ivi compresa Cass. 9 luglio 1960, n. 1841, id., Rep. 1960, voce
Locazione, nn. 319, 320, che aveva dichiarato manifestamente
infondata la questione), cui adde, in dottrina, Franchi, La pe
rizia civile, pag. 248 seg. Sugli art. 24, 1° e 2° comma, Cost., su cui s'indugia la sen
tenza riportata, cons. Corte cost. 11 luglio 1961, nn. 39 e 42,
Foro it., 1961, I, 1397 e 1409, con note di richiami.
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15 PARTE PRIMA 16
spesso è concluso, e la legge lo consente, quando ancora
non si è promossa l'azione giudiziale ; aperto, prima o dopo,
il processo, dinanzi al magistrato le parti potranno difen
dersi su tutto, fuorché sul punto decisivo della causa :
potranno cioè rilevare contraddizioni od errori manifesti
dell'atto in cui s'è concluso l'accertamento, ma non sono
ammesse a discutere direttamente sulla realtà della situa
zione da accertare : insomma, su di essa, non partecipano
attivamente ed in mutuo contraddittorio allo svolgimento essenziale del processo. Le norme impugnate contrastano
perciò con l'art. 24, 2° comma, Cost., poiché il diritto alla
difesa è compromesso allorché il contraddittorio non sia
assicurato e sussistano ostacoli processuali a far valere le
ragioni delle parti. In conclusione, la seconda parte dell'art. 10, n. 1, dato
che si limita a demandare al Genio civile l'accertamento
della situazione a cui si riferisce la prima parte della stessa
norma, è totalmente illegittima. Non ne consegue con ciò
un vuoto legislativo, poiché l'accertamento sarà fatto dal
giudice, secondo le leggi e con nomina eventuale d'un
consulente.
A sua volta la seconda parte dell'art. 10, n. 2, oltreché demandare al Genio civile l'accertamento della necessità dello sgombero, gli consente di valutare la possibilità dello
sloggio temporaneo senza allontanamento dell'inquilino. Essa è illegittima solo in quanto attribuisce tale compe tenza al Genio civile. Perciò, caduta la norma, l'accerta mento non solo sulla necessità dello sgombero, ma anche sulla possibilità d'uno sloggio temporaneo, sarà fatto dal
giudice coi mezzi che la legislazione vigente gli offre. Per questi motivi, dichiara la illegittimità costituzionale,
in riferimento all'art. 24 Cost., dell'art. 10, n. 1, della legge 23 maggio 1950 n. 253, nella parte in cui esso demanda al Genio civile l'accertamento delle condizioni tecniche e della necessità dello sgombero dell'immobile, e dell'art. 10 n. 2, stessa legge in quanto l'accertamento della indispen sabilità dello sgombero e della possibilità d'uno sgombero temporaneo è demandato al Genio civile.
CORTE COSTITUZIONALE.
Sentenza 22 dicembre 1961, n. 69; Pres. Cappi P., Rei. Cassandro ; Crisci, Ravallese (Avv. Sorrentino) ed altri c. Finanze (Avv. dello Stato Simi) ; interv. Pres. Cons, ministri.
Impiegato dello Stalo — Carriere direttive — Inqua dramento - Incostituzionalità della normativa per eccesso di delejja — Questione infondata (Costi tuzione della Repubblica, art. 76, 77 ; 1. 20 dicembre 1954 n. 1181, delega al Governo per l'emanazione delle norme relative al nuovo statuto degli impiegati civili e degli altri dipendenti dello Stato, art. 2, 5 ; d. pres. 11 gennaio 1956 n. 16, ordinamento della carriera degli impiegati civili dello Stato, art. 54, 57).
È infondata la questione di legittimità costituzionale degli art. 54 e 57 decreto pres. 11 gennaio 1956 n. 16, in rela zione agli art. 2, n. 17, e 5 della legge 20 dicembre 1954 n. 1181 ed in riferimento agli art. 76 e 77 della Costi tuzione. (1)
(1) La Corte costituzionale dichiara infondata la questione d'incostituzionalità, il cui esame le era stato rimesso dalla VI Se zione del Consiglio di Stato con ordinanze deliberate il 17 novem bre 1959 e depositate il 18 maggio 1960 : l'una sul ricorso propo sto dal Crisci e da altri (Foro it., 1960, III, 176), e l'altra sul ri corso proposto dal Cocchiara, dal Ravallese e da altri (Le Leggi, 1960, 778).
Sui poteri conferiti al Governo con la legge di delega 20 di cembre 1954 n. 1181, cons. Corte cost. 17 maggio 1961, n. 24, Foro it., 1961, I, 713, con nota di richiami.
La Corte, ecc. — I due giudizi, poiché riguardano le
identiche questioni di legittimità, possono essere decisi con
unica sentenza.
La prima delle due questioni di legittimità costituzio
nale, che il Consiglio di Stato ha ritenuto non manifesta
mente infondate, delle tre sollevate dalle parti, consiste tutta nello stabilire quali siano il contenuto e i limiti della
formula « conservazione delle posizioni giuridiche acqui site », contenuta nel n. 17 dell'art. 2 legge 20 dicembre 1954 n. 1181. È appena necessario, infatti, osservare che, una volta fissato questo contenuto e stabiliti questi limiti, saranno insieme fissati e stabiliti il contenuto e i limiti della delegazione legislativa conferita al Governo, per la
parte che riguarda il presente giudizio. Le parti private sostengono di quella formula una inter
pretazione così vasta da ricomprendere in essa, tanto il
rispetto dei rapporti di anzianità relativa, quanto di quelli di subordinazione gerarchica, quanto, infine, delle aspet tative di carriera. La Corte non ritiene che questa inter
pretazione sia corretta.
Vero è che non sarebbe esatto ridurre tale formula a
quella del « rispetto dei diritti quesiti », ovvero assimilarla ad altre che si incontrano nel nostro diritto positivo, come ad esempio quella dell'art. 227 legge comunale e provinciale, che vieta di modificare « il trattamento economico già rag giunto » o « il trattamento di quiescenza » in vigore ad un momento determinato della carriera degli impiegati e sala riati di comuni, provincie e consorzi. Tuttavia, l'espres sione che il legislatore ha adoperato : « conservazione delle
posizioni giuridiche acquisite », si accosta sostanzialmente alle altre che si sono ricordate, e fa ritenere che quello che la legge volle che il Governo, delegato ad emanare norme sul nuovo statuto degli impiegati civili e degli altri dipen denti dello Stato, osservasse, pur nel minor rigore della formula adoperata, che lascia, come è del resto di ogni delegazione, una certa discrezionalità al legislatore dele
gato, fosse il rispetto di quanto e soltanto di quanto possa considerarsi già entrato nel patrimonio giuridico dell'im
piegato. Il che non si può dire davvero dei rapporti gerar chici e delle mere aspettative di carriera (per le quali, si vuol dire, non si siano verificati i relativi presupposti giu ridici), nè, nella specie, dei rapporti di anzianità relativa, che non potevano non essere in qualche modo modificati o alterati, una volta che si ritenga, come ha ritenuto il Con
siglio di Stato, che la fusione nell'unica carriera direttiva dei ruoli di gruppo A e di gruppo B fosse legittima, e con forme alla lettera e allo spirito della legge di delegazione. Del resto, il legislatore delegato ha pure cercato di eliminare gli inconvenienti che la fusione dei ruoli di gruppo A e di gruppo B comportava. Sono appunto frutto della cura del Governo di tenersi nei limiti della delegazione, l'asse gnazione automatica degli impiegati del ruolo di gruppo A alla carriera direttiva nella qualifica corrispondente al grado prima coperto, e quella, invece, non automatica, ma sog getta ad un giudizio del Consiglio di amministrazione « in base alle funzioni esercitate e ai precedenti di servizio », degli impiegati del ruolo di gruppo B ; la progressione nella carriera in favore degli appartenenti al ruolo di gruppo A, qualora i rapporti di anzianità fossero tali da condurre a preporre agli impiegati di ruolo di gruppo A quelli del ruolo di gruppo B ; la disposizione, infine, che vieta di ammettere allo scrutinio per la promozione alla qualifica superiore gli ex impiegati di gruppo B, fino a quando non abbiano maturato la necessaria anzianità per l'ammissione a tale scrutinio gli impiegati di pari grado, provenienti dal ruolo di gruppo A.
Nemmeno fondata ritiene la Corte l'altra questione di legittimità, che sorgerebbe dall'asserito contrasto delle norme impugnate con l'art. 5 della legge di delegazione. Non può essere controverso, infatti, che la norma contenuta in quell'articolo concedesse al Governo la facoltà di proce dere alla revisione degli organici e che questa facoltà consi stesse nel modificare il numero dei posti assegnati a cia scuna qualifica delle diverse carriere « al fine di adeguarli alle effettive esigenze del servizio ». Che essa dovesse essere esercitata necessariamente in un momento successivo a
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