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sentenza 22 dicembre 1980, n. 188 (Gazzetta ufficiale 31 dicembre 1980, n. 357); Pres. Amadei, Rel....

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Page 1: sentenza 22 dicembre 1980, n. 188 (Gazzetta ufficiale 31 dicembre 1980, n. 357); Pres. Amadei, Rel. Malagugini; imp. Lintrami, Melotti, Bartoli, Panizzari ed altri; interv. Pres. cons.

sentenza 22 dicembre 1980, n. 188 (Gazzetta ufficiale 31 dicembre 1980, n. 357); Pres. Amadei,Rel. Malagugini; imp. Lintrami, Melotti, Bartoli, Panizzari ed altri; interv. Pres. cons. ministri(Avv. dello Stato Chiarotti). Ord. Assise Cuneo 10 aprile 1979 (Gazz. uff. 8 agosto 1979, n. 217);Trib. Torino 5 aprile 1979 e Trib. Monza 14 aprile 1979 (id. 10 agosto 1979, n. 210); Pret.Torino 30 novembre 1978 (id. 6 giugno 19 ...Source: Il Foro Italiano, Vol. 104, No. 2 (FEBBRAIO 1981), pp. 317/318-321/322Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23171329 .

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

si tratterebbe di inconveniente (del quale, peraltro, non potrebbe negarsi la gravità) di per sé — come tutti i meri inconvenien ti — non risolutivo della questione, non potendo, d'altronde, escludersi l'esistenza di un diritto sol perché se ne tema la pos sibile violazione, è la premessa (insindacabilità del recesso) che

va corretta.

È vero che, secondo la costante giurisprudenza di questa cor

te la valutazione del risultato dell'esperimento è rimessa al me

rum arbitrium del datore di lavoro, il quale può recedere senza

dare giustificazione alcuna della propria determinazione, ma ta

le principio trova una precisa limitazione nel sistema delle as

sunzioni obbligatorie.

Principio cardine di questo è, infatti, quello che obbliga il da

tore di lavoro ad applicare ai dipendenti assunti in forza della

legge n. 482/68 il normale trattamento economico, giuridico e

normativo: ciò per garantire una completa parità di trattamento

di costoro rispetto agli altri lavoratori, al fine di eliminare nella

fase di svolgimento del rapporto l'handicap che determina la

tutela in fase di assunzione, e che sia suscettibile — come, ap

punto per gli invalidi — di ripercuotersi negativamente anche

in quella successiva fase.

Tale norma, letta al negativo, vieta qualsiasi atto o negozio che si risolva in una condizione di minor favore per l'invalido, determinata dalla sua menomazione. A parte la sua formulazione

imperativa (« deve ») la sua natura cogente di ordine pubblico è connaturale alla sua funzione di limitazione dell'autonomia pri vata al fine di tutelare gli interessi di categoria bisognevoli di

particolare protezione, e che perciò lo Stato assume come pro

pri, e si desume, inoltre, dalla sanzione penale (art. 23, 3° com

ma) che la presidia.

Ne consegue che qualsiasi atto o negozio che venga con essa

a contrastare è nullo (art. 1418, 1° comma, cod. civ.), indipen dentemente da una espressa, testuale comminatoria della nullità,

perché la disposizione ora citata contiene un principio generale rivolto a prevedere e disciplinare proprio quei casi in cui alla

violazione di precetti imperativi non si accompagna una speci fica previsione di nullità del negozio con essi cofliggente; essendo

in tal caso compito del giudice accertare e stabilire, in funzione

della declaratoria di nullità, alla stregua dello scopo della legge

e della natura della tutela apprestata, se il precetto contraddetto

dall'autonomia privata abbia carattere imperativo, sia cioè det

tato a tutela dell'interesse pubblico e non di un interesse pri

vato.

Pertanto, a parte che lo stesso patto di prova inserito nel rap

porto istituito con invalido obbligatoriamente assunto può rite

nersi eterointegrato, ex art. 1339, 1" comma, cod. civ., dalla sud

detta norma, sicché il suo oggetto è per legge limitato alla re

sidua capacità lavorativa dell'invalido, senza potersi estendere ad

una valutazione del suo rendimento rapportato a quello medio

del lavoratore valido, in ogni caso l'esperimento deve in concreto

essere condotto nel rispetto della rilevata norma cogente, nel sen

so che non può in alcun modo riguardare la validità che è pre

supposto dell'assunzione obbligatoria; e, inoltre, la prova stessa,

che è da riferire a mansioni determinate, deve essere condotta

in relazione a mansioni compatibili con lo stato fisico dell'inva

lido, in applicazione anche del generale principio che la presta

zione richiesta deve essere esigibile in ragione dell'inidoneità

fisiologica del prestatore. Dunque, il recesso per esito negativo

della prova, quali che siano le giustificazioni o motivazioni

eventualmente adottate dal datore di lavoro, ben può essere sin

dacato, sulla base delle obiettive circostanze che risultino averlo

determinato, al fine di controllare se la condizione di invalidità

abbia in qualche modo influito su di esso, e che perciò sia nullo.

La nullità può essere accertata, sulla base di mera allegazione

dell'interessato, anche d'ufficio, dal giudice, il quale, con pienez

za di indagine, può controllare se siano stati osservati i limiti

imposti dalla norma imperativa che vieta ogni discriminazione a

danno dell'invalido, sol arrestandosi di fronte all'apprezzamento

che il datore di lavoro abbia fatto dell'attitudine e della dili

genza dell'invalido nello svolgimento di mansioni compatibili con

la sua condizione, e, dunque, nell'ambito della sua effettiva e

concreta capacità lavorativa.

Trattasi dunque di un riscontro non di carattere soggettivo qua

le sarebbe quello sulla illiceità del motivo del recesso, bensì sul

le obiettive circostanze, attinenti all'inserimento del lavoratore in

un determinato posto di lavoro, e sulla estraneità alla valuta

zione della sua capacità tecnica di qualsiasi elemento che at

tenga alla menomazione a causa della quale gode della tutela

di legge.

Il giudice può cosi accertare e delineare il limite esterno della

facoltà imprenditoriale di sottoporre a prova l'assunto obbliga

toriamente, senza peraltro interferire nelle valutazioni che si man

tengono nell'ambito di detto limite.

Non ha motivi questa sezione per discostarsi dall'autorevolis simo insegnamento sopra riassunto e, pertanto, in accoglimento del ricorso, la sentenza deve essere cassata, con rinvio della

causa ad altro giudice, che si adeguerà agli esposti principi, e

provvederà anche in ordine alle spese del presente giudizio. Per questi motivi, ecc.

CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 22 dicembre 1980, n. 188

(Gazzetta ufficiale 31 dicembre 1980, n. 357); Pres. Amadei, Rei. Malagugini; imp. Lintrami, Melotti, Bartoli, Panizzari

ed altri; interv. Pres. cons, ministri (Avv. dello Stato Chia

rotti). Ord. Assise Cuneo 10 aprile 1979 (Gazz. uff. 8 ago sto 1979, n. 217); Trib. Torino 5 aprile 1979 e Trib. Monza

14 aprile 1979 (id. 1° agosto 1979, n. 210); Pret. Torino 30

novembre 1978 (id. 6 giugno 1979, n. 154).

Difensore e difesa penale — Autodifesa dell'imputato — Limiti — Questioni infondata, manifestamente infondata e inammissi

bile di costituzionalità (Cost., art. 2, 3, 10, 11, 21, 24; cod.

pen., art. 666, 667; cod. proc. pen., art. 125, 128; legge 4

agosto 1955 n. 848, esecuzione della Convenzione europea

per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fon

damentali, adottata a Roma il 4 novembre 1950, art. 6; legge 25 ottobre 1977 n. 881, ratifica ed esecuzione del patto in

ternazionale relativo ai diritti civili e politici, adottato e

aperto alla firma a New York il 19 dicembre 1966, art. 14).

È manifestamente infondata la questione di costituzionalità degli art. 125 e 128 cod. proc. pen., nella parte in cui impongono la nomina di un difensore d'ufficio anche all'imputato che ri

fiuti qualsiasi assistenza, in riferimento agli art. 2 e 24, 2° com

ma, Cost. (1) È infondata la questione di costituzionalità degli art. 125 e 128

cod. proc. pen., per i quali nel giudizio l'imputato deve, a

pena di nullità, essere assistito dal difensore, salvo che si trat

ti di contravvenzione punibile con l'ammenda non superiore a lire 3.000 o con l'arresto non superiore ad un mese, anche

se comminati congiuntamente, e deve essere munito di un di

fensore d'ufficio ove sia privo di un difensore di fiducia nei

casi in cui il ricorso al difensore è prescritto, in riferimento

agli art. 2, 3, 10, 11, 21 e 24, 2° comma, Cost., ed in relazione

all'art. 6, 3° comma, lett. c), della Convenzione europea per la

salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, ed all'art. 14, n. 3, lett. d), del patto internazionale sui diritti

civili e politici. (2) É inammissibile, perché non rilevante rispetto ad un processo

penale riguardante tutt'altre ipotesi di reato, la questione di

costituzionalità degli art. 125 e 128 cod. proc. pen., nella par te in cui consentono l'autodifesa per le ipotesi aggravate dei

reati di cui agli art. 666 e 667 cod. pen., ma non anche per le

ipotesi semplici degli stessi reati. (3)

La Corte, ecc. — 1. - Le questioni di costituzionalità proposte con le quattro ordinanze in epigrafe si riferiscono alle medesime

(1-3) L'ordinanza 5 aprile 1979 del Tribunale di Torino è rias

sunta in Foro it., 'Rep. 1979, voce Difensore penale, n. 9, ed è ri

prodotta in Giur. it., 1979, II, 409, con osservazioni di Chiavario.

Corte cost. 10 ottobre 1979, n. 125, Foro it., 1979, il, 2513, con

nota di richiami (cui adde E. Gallo, in Indice pen., 1978, 353;

Violante, in Mass. pen., 1978, 1240; Conso, in Giust. pen., 1979,

1, 224), menzionata in motivazione, aveva dichiarato infondata la

questione di costituzionalità degli art. 125 e 128 cod. proc. pen., nella parte in cui escludevano l'autodifesa tecnica, in riferimento

agli art. 2 e 24, 2° comma, Cost.

Sull'efficacia delle dichiarazioni internazionali in materia di di

ritti dell'uomo v. da ultimo, Cappelletti, Giustizia costituzionale

sovranazionale, in Riv. dir. proc., 1978, 1; Appunti per una fenome

nologia della giustizia nel XX secolo, in Riv. trim. dir. proc. civ.,

1978, 1404, il quale mette in evidenza come i testi di questo genere

(ora opportunamente raccolti e commentati in Vitta, Grementteri,

Codice degli atti internazionali sui diritti dell'uomo, 1981) possano

naturalmente influenzare l'opera dei giuristi — e quindi anche dei

giudici — non tanto per l'efficacia normativa che ad essi deriva dal

fatto di essere recepiti nei singoli ordinamenti statali o sovranazio

nali mediante leggi, leggi costituzionali, ecc., bensì in virtù del fatto

che essi costituiscono espressione di quella stessa cultura giuridica e

politica cui si ispirano gli ordinamenti giuridici degli Stati democra

tici, nell'ambito dei quali essi possono perciò essere utilizzati come

strumento d'interpretazione di qualunque testo normativo quale che

ne sia la forza secondo la gerarchia delle fonti.

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PARTE PRIMA

disposizioni di legge (gli art. 125 e 128 cod. proc. pen.) e, per ciò, le relative cause, trattate congiuntamente, possono essere riu nite e decise con unica sentenza.

2. - Con la sent. n. 125 del 1979 (Foro it., 1979, I, 2513) questa corte ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costi

tuzionale, sollevata dal Pretore di Torino e dal Tribunale di Cuneo con riferimento agli art. 2 e 24 Cost., degli art. 125 e 128 cod. proc. pen. nella parte in cui impongono la nomina di un difensore d'ufficio anche all'imputato che rifiuti qualsiasi as sistenza.

Premessa la portata generale della categorica affermazione — nell'art. 24 Cost. — del diritto « inviolabile » di difesa, la citata sentenza ha osservato come manchi, nel testo costituzio

nale, una specificazione cogente dei modi di esercizio di tale

diritto; con la conseguenza che spetta al legislatore, considerate le peculiarità strutturali e funzionali ed i diversi interessi in gio co nei vari stadi e gradi del procedimento, il dettare le concrete modalità per l'esercizio del diritto di difesa, alla condizione, s'in

tende, che esso venga, nelle diverse situazioni processuali, garan tito a tutti su un piano d'uguaglianza ed in forme idonee. Ora, la possibilità di una piena difesa personale — appellandosi alla

quale si contesta l'obbligatorietà della difesa tecnica d'ufficio —

è conosciuta all'imputato in tutto il corso del dibattimento ed a conclusione di esso (art. 443 e 468, 3° comma, cod. proc. pen.) incontrando soltanto il limite intrinseco della pertinenza delle di chiarazioni rispetto al giudizio, oltre ai limiti generali costituzio nalmente posti alla libertà di manifestazione del pensiero (esten dendosi, peraltro, anche all'imputato l'esimente di cui all'art. 598 cod. penale). Quanto alla difesa tecnica, l'obbligatorietà della no mina del difensore non significa affatto un vincolo a svolgere de terminate attività processuali; ma significa semplicemente, secon do la sent. n. 125, predisposizione astratta di uno strumento ri tenuto idoneo a consentire, in qualsiasi momento, l'esercizio del diritto inviolabile — e come tale irrinunciabile — di difesa, senza

pregiudizio dell'elasticità dei rapporti fra imputato e difensore e soprattutto senza pregiudizio della piena autonomia delle scelte

difensive, positive o negative, la cui incoercibilità rappresenta, oltre che un dato di fatto, l'immediato risvolto dell'inviolabi lità del diritto in questione.

3. - Lo stesso Pretore di Torino ripropone ora le medesime

questioni già esaminate e respinte dalla sent, n. 125/79, richia mandosi alla propria precedente ordinanza di rimessione, senza

aggiungere nuove considerazioni. Ne consegue che la questione sollevata dal Pretore di Torino con l'ord. 30 novembre 1978

(n. 251/79) va dichiarata manifestamente infondata.

4. - Le restanti ordinanze del giudice istruttore presso il Tri bunale di Monza (14 marzo 1979, n. 430/79), della Corte di as sise di Cuneo (10 aprile 1979, n. 447 del 1979) e del Tribunale di Torino (5 aprile 1979, n. 454/79) pongono anzitutto la que stione di legittimità costituzionale degli art. 125 e 128 cod.

proc. pen. (l'ord. 430/79 del solo art. 128 cod. proc. pen.) con riferimento all'art. 24 Cost., da interpretarsi però, ad avviso dei

giudici a quibus, alla luce dell'art. 6, 3° comma, lett. c), della

Convenzione europea dei diritti dell'uomo recepita nell'ordina mento interno italiano a far tempo dal 26 ottobre 1955, data di

deposito dello strumento di ratifica, autorizzato con legge 4 ago sto 1955 n. 848.

Sotto questo stesso profilo viene anche invocato l'art. 14, n. 3, lett. d), del patto internazionale sui diritti civili e politici ra tificato dalla Repubblica italiana con legge 25 ottobre 1977 n. 881

(ord. della Corte di assise di Cuneo, n. 447/79), mentre con di

stinta, ma collegata prospettazione viene denunziata la violazio ne degli art. 10 e 11 Cost. (ord. 14 marzo 1979 del g. i. del Tri bunale di Monza, n. 430/79), sempre con riferimento alle suc citate disposizioni della Convenzione europea e del patto in

ternazionale che vengono assunte di per sé a parametri del giu dizio di costituzionalità nell'ordinanza 5 aprile 1979 del Tribu

nale di Torino (n. 454/79).

5. - Le questioni cosi' prospettate non sono fondate.

Fermo il carattere generale della norma di cui all'art. 24, 2°

comma, Cost., intesa a garantire l'esercizio della difesa in ogni stato e grado di qualunque procedimento giurisdizionale, e fer

ma la conseguente legittimità di scelte legislative, anche differen

ziate, intese a disciplinare le modalità di esercizio del diritto di

difesa, nel senso chiarito da ultimo nella sentenza 125 del 1979, le prospettazioni del giudice a quibus pongono in definitiva un

duplice problema: di gerarchia delle fonti normative, da un

lato, e dell'ambito di operatività dell'art. 10 Cost., dall'altro.

Sotto il primo profilo la corte condivide il prevalente orienta mento della dottrina e della giurisprudenza per il quale, in man canza di specifica previsione costituzionale, le norme pattizie, re

se esecutive nell'ordinamento interno della Repubblica, hanno va lore di legge ordinaria.

Resta cosi esclusa la stessa prospettabilità, per questo aspetto, di una questione di legittimità costituzionale, tanto più quando (ord. 454/79) le disposizioni convenzionali vengono poste, di per sé sole, quali parametri di giudizio.

Né va trascurata la disposizione di cui all'art. 2, paragrafo 2, del citato patto internazionale, ai sensi del quale: « Les Etats

parties au présent pacte s'engagent à prendre, en accord avec leurs procédures constitutionnelles et avec les dispositions du

présent pacte, les arrangements devant permettre l'adoption de telles mesures d'ordre législatif ou autre, propres à donner ef fet aux droites reconnus dans le présent pacte qui ne seraient

pas déjà en vigueur ».

Si può, ancora ed infine, ricordare che le disposizioni di cui all'art. 6, n. 3, lett. c) della Convenzione europea dei diritti del

l'uomo, a mente delle quali « Tout accusé a droit notamment à: ...c) se défendre lui-méme ou avoir l'assistance d'un défen seur de son choix et, s'il n'a pas les moyens de rémunérer un

défenseur, pouvoir ètre assistè gratuitement par un avocat d'of

fice, lorsque les intèrets de la justice l'exigent»; non sembra su scettibile della interpretazione presupposta dalle ordinanze di rinvio.

Invero, la disposizione in parola vuole concorrere alla defini zione di un « giusto processo », di un « equo processo » fon

dato, tra l'altro, sulla uguaglianza delle parti, sulla « egalité des armes », come si è espressa la Commissione europea dei diritti dell'uomo. E la commissione stessa ha avuto occasione di affer mare che il diritto all'autodifesa non è assoluto, ma limitato dal diritto dello Stato interessato ad emanare disposizioni concer nenti la presenza di avvocati davanti al tribunale (ric. 722/60). La medesima commissione, esaminando un ricorso contro uno Stato il cui ordinamento interno impone la rappresentanza di un avvocato di fronte al tribunale superiore, ha ritenuto che la

disposizione in esame non obbliga gli Stati contraenti a garan tire agli imputati una assoluta libertà di ■ accesso ai tribunali di ultima istanza e che nulla si oppone ad una diversa disciplina purché emanata allo scopo di assicurare una buona amministra zione della giustizia (ric. 727/60 e ric. 722/60). Interpretazioni, queste, che sembrano perfettamente coerenti con il principio di cui all'art. 24, 2° comma, Cost., nella lettura datane da questa corte con la sent. n. 125 del 1979.

Sotto il secondo profilo questa corte non può che ribadire la

propria costante giurisprudenza che esclude le norme interna zionali pattizie, ancorché, generali, dall'ambito di operatività del l'art. 10 Cost. (sent. 48/79; 32/60; 104/69; 14/64, id., 1979, I, 1644; 1960, I, 1446; 1969, I, 2084; 1964, I, 465) mentre l'art. 11 Cost, neppure può venire in considerazione non essendo indivi

duabile, con riferimento alle specifiche norme pattizie in esame, alcuna limitazione della sovranità nazionale.

6. - Infondata è pure la questione di legittimità costituzionale

degli art. 125 e 128 cod. proc. pen. sollevata con riferimento al l'art. 2 Cost.

Sul punto basta, infatti, richiamare motivazione e conclusioni

della sent. n. 125/79, ribadendo che i diritti fondamentali invio

labili, riconosciuti dall'art. 2 Cost., sono quelli ricollegati alle

specifiche norme costituzionali concernenti singoli diritti e ga ranzie. Nella specie, non ravvisandosi alcuna lesione del diritto

(quello di difesa personale) direttamente implicato, ne consegue che nessuna lesione della personalità dell'imputato, e nemmeno

un'alterazione della sua immagine ideale può derivare dall'obbligo in sé dell'assistenza del difensore nel giudizio penale.

7. - Il g. i del Tribunale di Monza dubita della legittimità co stituzionale dell'art. 128 cod. proc. pen. in riferimento all'art. 3

Cost, assumendo che la disposizione processuale in esame esclu

derebbe l'uguale capacità di autodifesa di ciascuno. L'assunto

non è fondata, posto che la disciplina processuale è certamente

uguale per tutti i soggetti che versano in identiche situazioni escludendo per tutti (eccettuati gli imputati di pochissimi reati

bagatellari) l'autodifesa esclusiva.

8. - Lo stesso giudice denuncia infine una pretesa violazione

dell'art. 21 Cost, poiché la norma dell'art. 128, 1° comma, cod.

proc. pen. negherebbe « la libertà assoluta di esprimere le idee

necessarie a respingere in maniera personale l'attacco portato alla propria libertà attraverso l'esercizio dell'autodifesa».

La questione è infondata. All'interno del processo, le libertà

costituzionali si specificano (nel contenuto, nei fini, nei limiti) come esplicazione del diritto di difesa garantito dall'art. 24 Cost.

La libertà di manifestazione del pensiero è quindi all'imputato riconosciuta, in tutta l'estensione richiesta dalla inviolabilità del

la difesa, e con il correlativo limite logico della pertinenza al

processo e dell'inserzione nelle forme processuali previste.

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Rispetto all'esercizio di tale libertà, la presenza o assenza di

un difensore tecnico nulla toglie né aggiunge e comunque an

che i rapporti fra difesa personale e tecnica, con le rispettive « manifestazioni di pensiero », trovano il loro riferimento co

stituzionale nell'art. 24 Cost., come problemi di assetto di di

ritti ed attività aventi un fine istituzionale specifico. Anche l'art. 21 Cost., definente l'ambito generale della libertà

d'espressione, non viene dunque in autonoma considerazione e

nulla può aggiungere agli spazi di libertà, anche di espressione

personale dell'imputato, concretanti l'inviolabile diritto di di

fesa ex art. 24 Cost.

Quest'ultimo disposto costituzionale segna insieme il contenu

to — di piena libertà di argomentazione — ed i limiti — di

« pertinenza » al processo — art. 443 cod. proc. pen. — delle

attività processuali anche consistenti in « manifestazioni del pen

siero ».

9. - Mentre la maggior parte delle ordinanze di rimessione —

già esaminate con la sentenza n. 125/79 o attualmente in esa

me — riguardano casi di rifiuto globale della difesa e del pro

cesso, l'ordinanza n. 430 del 1979 del giudice istruttore presso

il Tribunale di Monza riguarda un caso in cui l'imputato aveva

positivamente chiesto di autodifendersi. Tale diversa situazione

processuale non ha influito sulle argomentazioni del giudice a

quo, e comunque non può incidere sulla soluzione delle pro

spettate questioni di costituzionalità. Il cosiddetto « rifiuto del

processo » e della giustizia del nostro Stato è un atteggiamento

tutto politico di alcuni imputati, che di per sé non può assu

mere alcun rilievo formale rispetto al corso, alle forme, alle ga

ranzie ed all'attuazione anche coercitiva della giustizia penale.

Nella logica dell'ordinamento giuridico, rifiuto di difendersi e

volontà di autodifendersi sono ugualmente qualificabili come

scelte, non importa se attive o negative, concernenti il modo

di avvalersi dei diritti inviolabili e irrinunciabili, che l'ordina

mento (indipendentemente dagli atteggiamenti verso di esso) ri

collega alla formale posizione di imputato. Né l'uno né l'altro

tipo di scelta è pregiudicato dalla nomina obbligatoria del di

fensore d'ufficio, posto che questa non incide in nessun modo

sulla partecipazione (o non partecipazione) dell'imputato al pro

cesso, non ne impegna la personalità, ed è in ogni caso preor

dinata alla completezza del contraddittorio processuale, nell'in

teresse dell'imputato stesso ed in modi che, pur non definiti da

norme processuali vincolanti, non possono non tenere conto

delle scelte defensionali del vero titolare del diritto di difesa,

appunto l'imputato. 10. - Il Tribunale di Torino (ord. 454/79) pone « incidental

mente » questione di legittimità costituzionale degli art. 125, 1"

comma, e 128, 1° comma, cod. proc. pen. in riferimento all'art.

3 Cost., in quanto nella ipotesi di cui agli art. 666 e 667 cod. pen.

l'autodifesa esclusiva è consentita con riferimento alle ipotesi ag

gravate ed esclusa, invece, quando l'imputazione sia un reato non

circostatato.

La questione è inammissibile per la sua totale irrilevanza nel

giudizio a quo, in cui le imputazioni contestate sono quelle di

cui agli art. 337 e 635 cod. penale.

Per questi motivi, 1) dichiara manifestamente infondata la

questione di legittimità costituzionale degli art. 125 e 128 cod.

proc. pen., in riferimento agli art. 2 e 24 Cost, sollevata dal

Pretore di Torino con l'ordinanza 30 novembre 1978; 2) dichia

ra non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli

art. 125 e 128 cod. proc. pen., in riferimento agli art. 2, 3, 10,

11, 21 e 24 Cost, nonché agli art. 6, n. 3 lett. c) della Conven

zione europea dei diritti dell'uomo e 14, n. 3, lett. d), del patto

internazionale sui diritti civili e politici sollevate dal g. i. del

Tribunale di Torino con le ordinanze indicate in epigrafe; 3)

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale

degli art. 125 e 128 cod. proc. pen., in riferimento all'art. 3

Cost, sollevata « incidentalmente » dal Tribunale di Torino con

l'ordinanza 5 aprile 1979.

I

CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 22 dicembre 1980, n.

184 (Gazzetta ufficiale 31 dicembre 1980, n. 357); Pres. Ama

dei. Rei. Malagugini; imp. Had Hassan Mustafà. Ord. Pret.

Milano 17 febbraio 1978 (Gazz. uff. 26 luglio 1978, n. 208).

Notificazione di atti penali — Notificazioni all'imputato all'estero

— Omessa elezione di domicilio in Italia — Applicazione del

rito degli irreperìbili — Questione infondata di costituziona

lità (Cost., art. 3, 24; cod. proc. pen., art. 177 bis).

Il Foro Italiano — 1981 — Parte 1-21.

£ infondata la questione di costituzionalità dell'art. 177 bis cod.

proc. pen., nella parte in cui prescrive che, nei confronti del

l'imputato dimorante all'estero ad indirizzo noto, al quale sia stato inviata e risulti recapitata la lettera raccomandata contenente l'avviso del procedimento pendente a suo carico con l'invito a dichiarare od eleggere domicilio nel territorio nazionale senza che vi abbia provveduto, si proceda col rito

degli irreperibili, in riferimento agli art. 3, 1" comma, e 24, 2° comma, Cost. ( 1 )

II

CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 22 dicembre 1980, n.

183 (Gazzetta ufficiale 30 dicembre 1980, n. 357); Pres. Ama

dei, Rei. Malagugini; Lazic. Ord. Trib. Milano 10 marzo

1976 (Gazz. uff. 15 settembre 1976, n. 246).

Notificazione di atti penali — Notificazioni all'imputato all'este

ro — Imputato già edotto del procedimento — Mancata pre visione della notifica di un invito ad eleggere domicilio in Ita

lia — Questione infondata di costituzionalità (Cost., art. 3, 24;

cod. proc. pen., art. 177 bis).

È infondata la questione di costituzionalità dell'art. 177 bis cod.

proc. pen., nella parte in cui non prevede che l'imputato di

morante all'estero e già al corrente della pendenza a suo ca

rico di un procedimento penale sia avvertito dall'autorità

procedente della facoltà di dichiarare o eleggere domicilio ai

fini delle notificazioni, in riferimento agli art. 3 e 24, 2° com

ma, Cost. (2)

III

CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 22 dicembre 1980, n.

182 (Gazzetta ufficiale 30 dicembre 1980, n. 357); Pres. Ama

dei, Rei. Malagugini; Sciancalepore. Ord. Pret. Milano 5 giu

gno 1978 (Gazz. uff. 10 gennaio 1979, n. 10).

Notificazione di atti penali — Notificazioni all'imputato non de

tenuto — Consegna al convivente o al portiere — Notizia al

destinatario tramite raccomandata — Regolamentazione della

consegna di questa — Questione infondata di costituzionalità

(Cost., art. 3, 24; cod. proc. pen., art. 169).

È infondata la questione di costituzionalità dell'art. 169, 1" e

3" comma, cod. proc. pen., come modificato dalla sentenza

n. 170 del 1976 della Corte costituzionale, nella parte in

cui dispone che alle notificazioni non eseguite mediante con

segna alla persona si provveda mediante consegna al con

vivente o al portiere, in quest'ultimo caso dandosene avviso

all'interessato con lettera raccomandata, secondo le norme

che regolano il servizio postale, in riferimento agli art. 3 e

24, T comma, Cost. (3)

IV

CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 22 dicembre 1980, n.

181 (Gazzetta ufficiale 30 dicembre 1980, n. 357); Pres. Ama

dei, Rei. Malagugini; imp. Macchi. Ord. Pret. Milano 15

marzo 1978 (Gazz. uff. 27 settembre 1978, n. 271).

Notificazione di atti penali — Notifica al portiere o a chi ne fa

le veci — Notizia al destinatario tramite raccomandata — Con

segna al portiere al servizio esclusivo del destinatario — Que

stione infondata di costituzionalità (Cost., art. 3, 24; cod. proc.

pen., art. 169; r. d. 21 ottobre 1923 n. 2393, norme per la no

tificazione degli atti giudiziari a mezzo posta, art. 7).

È infondata la questione di costituzionalità dell'art. 169, 3° com

ma, cod. proc. pen. e dell'art. 7 r. d. 21 ottobre 1923 n. 2393,

nella parte in cui consentono che la raccomandata destinata

ad avvertire l'imputato dell'avvenuta notificazione a mani del

portiere possa essere anch'essa consegnata al portiere mede

simo, in riferimento agli art. 3 e 24, 2° comma, Cost. (4)

(1-5) L'ordinanza 10 marzo 1976 del Tribunale di Milano (Pres.

Galli), cui si riferisce la sentenza n. 183, è massimata in Foro it.,

1976, II, 336; le ordinanze 17 febbraio, 15 marzo e 5 giugno 1978

del Pretore di Milano, cui si riferiscono rispettivamente le sentenze

n. 184, n. 181 e n. 182, sono massimate in Foro it., Rep. 1978, voce No

tificazione pen., n. 146; 1978, II, 428; 1979, II, 95; le ordinanze 21

giugno 1975 del Pretore di Chieri e 26 marzo 1977 del Pretore di

Guglionesi, cui si riferisce la sentenza n. 179, sono massimate in

Foro it., 1977, II, 152, 366, con note di richiami.

Le sentenze della Corte costituzionale menzionate in motivazione

23 aprile 1965, n. 31, 9 giugno 1967, n. 70, 4 maggio 1972, n. 77,

19 giugno 1974, nn. 177 e 178, e 14 luglio 1976, n. 170, sono ripro

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