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Sentenza 22 maggio 1964; Pres. Trimarchi P., Est. Donati; Soc. Zebra film (Avv. Vigevani, Graziadei)...

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Sentenza 22 maggio 1964; Pres. Trimarchi P., Est. Donati; Soc. Zebra film (Avv. Vigevani, Graziadei) c. Bertoni (Avv. Formiggini Pasotelli); Bertoni (Avv. Formiggini Pasotelli) c. Soc. Rizzoli editore e Cineriz noleggio film (Avv. Majno, Ceva), Montanelli (Avv. Paggi, Zaso, Zamboni), Amidei, Fabbri, Zuffi, Rossellini (n. c.); Soc. Rizzoli editore e Cineriz noleggio film c. Bertoni; Bertoni c. Soc. Zebra film Source: Il Foro Italiano, Vol. 87, No. 6 (1964), pp. 1239/1240-1245/1246 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23156195 . Accessed: 28/06/2014 12:38 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 193.105.245.130 on Sat, 28 Jun 2014 12:39:00 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Sentenza 22 maggio 1964; Pres. Trimarchi P., Est. Donati; Soc. Zebra film (Avv. Vigevani,Graziadei) c. Bertoni (Avv. Formiggini Pasotelli); Bertoni (Avv. Formiggini Pasotelli) c. Soc.Rizzoli editore e Cineriz noleggio film (Avv. Majno, Ceva), Montanelli (Avv. Paggi, Zaso,Zamboni), Amidei, Fabbri, Zuffi, Rossellini (n. c.); Soc. Rizzoli editore e Cineriz noleggio filmc. Bertoni; Bertoni c. Soc. Zebra filmSource: Il Foro Italiano, Vol. 87, No. 6 (1964), pp. 1239/1240-1245/1246Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23156195 .

Accessed: 28/06/2014 12:38

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1239 PARTE PRIMA 1240

CORTE D'APPELLO DI MILANO.

Sentenza 22 maggio 1964 ; Pres. Trimarchi P., Est. Donati ;

Soc. Zebra film (Avv. Vigevani, Graziadei) c. Ber

toni (Avv. Formiggini Pasotelli) ; Bertoni (Avv. For

miggini Pasotelli) c. Soc. Rizzoli editore e Cineriz no

leggio film (Avv. Majno, Ceva), Montanelli (Avv. Pag

gi, Zaso, Zamboni), Amidei, Fabbri, Zuffi, Kossellini

(n. c.) ; Soc. Rizzoli editore e Cineriz noleggio film c.

Bertoni ; Bertoni c. Soc. Zebra film.

Persona propria (diritti sulla) — Persona nota alla

cronaca per il comportamento spregevole — At

tribuzione di latti non veri in sede di rielabora

zione artistica — Offesa alla reputazione — In

sussistenza — Fattispecie (Costituzione, art. 21 ; cod.

civ., art. 2043).

Non costituisce lesione del diritto della personalità, e non fa

quindi sorgere alcun diritto al risarcimento dei danni a

favore dei congiunti, Vattribuzione al protagonista, nel

corso della narrazione artistica (cinematografica o lette

raria) della sua partecipazione a vicende di carattere sto

rico, di atti difformi dal vero, quando la sua figura, quale

emerge da una valutazione complessiva, non risulti sostan

zialmente alterata o peggiorata. (1)

(1) Cfr. Cass. 24 aprile 1962, n. 816, Foro it., 1962, I, 1722, relativa alla narrazione delle vicende dell'ex-questore Caruso

cui sarebbe stata attribuita la formazione dell'intera lista dei

martiri delle Fosse ardeatine anziché quella di soli cinquanta di essi ; la Cassazione dichiara che l'alterazione di un fatto vero, come l'attribuzione di un fatto non vero, può dar luogo in sede

civile al risarcimento dei danni, sempre che sia possibile valutarne

l'incidenza sul danno che l'offeso avrebbe comunque sofferto, senza possibilità di risarcimento, per effetto dei fatti realmente

commessi. Nello stesso senso, Trib. Udine 18 ottobre 1961, id.,

Rep. 1962, voce Responsabilità civile, n. 409. Sul caso Caruso vedi

App. Firenze 11 marzo 1960, id., 1961, I, 1028 (con riferimento

completo ai precedenti della lite), nella quale tra l'altro si af

ferma che costituisce diffamazione la omissione di fatti favorevoli

a persona per il resto posta in cattiva luce ; sentenza annullata

dalla citata sentenza della Cassazione.

Ancora, a proposito di alterazione della verità storica in

un'opera cinematografica, questa volta nel senso che essa non

costituisce alcuna violazione del diritto della personalità quando non arrechi alcun danno all'onore ed al decoro della persona del

protagonista, Trib, Roma 25 febbraio 1956, id., 1956, 1,1384, con nota di De Cupis.

Nel senso che non sussiste alcun diritto alla riservatezza

per ciò che attiene alla partecipazione del soggetto alla vita

collettiva, in ciò che la pubblicità di esse è giustificata dalle

finalità storiografiche o di informazione della narrazione cinema

tografica, cfr. Pret. Roma 3 maggio 1962, id., Rep. 1962, voce Persona propria, nn. 6, 7, annotata da Giacobbe, in Giusi, civ., 1962, I, 1814 ; Pret. Roma 9 maggio 1962, Foro it., Rep. 1963, voce cit., n. 26 ; Trib. Roma 5 luglio 1960, id., Rep. 1961, voce

cit., n. 14. Tale diritto sussiste invece con riferimento alla vita

privata: Cass. 20 aprile 1963, n. 990, id., 1963, I, 877, e 1298, con nota di De Cupis.

Sulla necessità di rispettare la verità dei fatti, vedi Trib.

Napoli 10 gennaio 1961, id., Rep. 1962, voce Responsabilità civile, n. 407 ; Trib. Udine 19 ottobre 1961, ibid., nn. 408-410 ; Cass. 7 dicembre 1960, n. 3198, id., 1961, I, 43 ; Trib. Roma 30 marzo 1957, id., 1958, I, 136.

Vedi infine, sempre a proposito di opera cinematografica, Trib. Roma 11 novembre 1961, id., Rep. 1962, voce cit., nn. 403, 404, per la quale la creazione di episodi di fantasia intorno a

quelli già descritti dalla stampa non sminuisce ma contribuisce ad accrescere il carattere diffamatorio del film.

Per la dottrina più recente sull'argomento si confrontino, oltre alle numerose opere già citate in nota alle decisioni pubbli cate su questa rivista, De Cupis, Riconoscimento sostanziale ma non verbale del diritto alla riservatezza (nota a Cass. 20 aprile 1963, n. 990), in Foro it., 1963, I, 1298 ; Diritto alla riservatezza, in Temi, 1960, 178 ; Ancora sul diritto alla riservatezza, in Dir. e giur., 1959, 131 ; Ondei, Un caso limite della libertà delVarte, in Foro pad., 1963, I, 513 ; Due licenze esegetiche : diritto alla ri servatezza e diritto di cronaca, id., 1961, I, 465 ; Belcaro, Esiste il diritto alla riservatezza, in Democrazia e diritto, 1963, 286 ; Sgroi, Il diritto alla riservatezza di nuovo in Cassazione, in Giusi, civ.,

La Corte, ecc. — Il tribunale ha rilevato che, con il

libro « Il generale Della Rovere » e con l'omonimo film,

per quanto riguarda la figura del Bertoni sono stati dif

fusi : 1) fatti non veri, che per la loro natura costituirebbero

offesa dell'onore, del decoro, della reputazione del Bertoni ;

2) fatti veri, che, in quanto « rientrano, benché marginal mente, nella storia della guerra di liberazione ... », pote vano essere oggetto di narrativa perchè ciò costituiva

« legittimo esercizio dei diritti di cronaca, di creazione e

di opinione ».

Ritiene la Corte di dover iniziare il proprio processo

logico proprio da quest'ultima considerazione.

L'episodio di un pregiudicato ed avventuriero, arrestato

a Genova sotto il falso nome di un inesistente Fortebraccio

Della Rovere, generale che simulava di essere stato inviato

clandestinamente dal maresciallo Badoglio in Alta Italia ; indotto dalla polizia tedesca a proseguire nella simulazione

per poter facilmente penetrare negli ambienti clandestini

della Resistenza e farsi delatore ; inviato poi dalla stessa

polizia tedesca nel carcere di S. Vittore a Milano perchè ivi continuasse il suo lavoro di spia e di delatore ; infine

deportato a Fossali e lì fucilato in circostanze e per ragioni non chiare : è ormai un fatto che appartiene alla vicenda

drammatica che l'Italia settentrionale ha vissuto nel periodo

1943/1945, quando contro l'occupazione straniera ed il

governo della r.s.i. fermentava e si manifestava quel movimento che è definito « la Resistenza ». L'episodio dun

que, e la vicenda del pregiudicato Bertoni, sono ormai

usciti dalla sfera della vita privata del protagonista per la natura delle circostanze, le correlazioni con persone note

che hanno partecipato a vicende da qualificarsi ormai come

« storiche », le conseguenze che i suoi atti possono avere

avuto in una sfera di interessi non meramente individuali

o privati.

L'episodio del generale Della Rovere, simulatore o de

latore a favore dei tedeschi contro i patrioti della Resi

stenza, può quindi essere narrato, valutato, discusso nel

pieno e libero esercizio del diritto di cronaca, di narrativa

di vicende storiche, di critica storica. La difesa delle attrici ha sempre contestato che il Ber

toni abbia commesso atti di delazione in danno di chiunque. Pur ammettendo che egli « avesse un triste passato di pre

giudicato per reati comuni » e che fosse stato costretto

dai tedeschi a simulare di essere un inesistente generale

badogliano, tuttavia ha negato che egli, in tale finzione, abbia realmente collaborato con la polizia nazista ; e in

particolare, che abbia contribuito all'arresto del col. Mon

tezemolo a Roma e dell'ing. Mario Damiani a Milano. Il tribunale ha accettato le argomentazioni della difesa

Bertoni per quanto riguarda i due accennati episodi. Ma prima ancora di valutare se vi sia o meno la prova

piena che il Bertoni, mediante le confidenze strappate nel carcere di Genova all'ufficiale di marina ivi detenuto, abbia contribuito all'arresto del col. Montezemolo, uno dei capi militari della Resistenza a Roma, nel gennaio 1944 ; e se

egli abbia determinato, o almeno collaborato, o sia in vece del tutto estraneo, all'arresto dell'ing. Damiani uno dei rappresentanti del Partito d'azione a Milano, vi è per la Corte una certezza : che il Bertoni accettò di svolgere opera di delatore e di spia a favore prima della questura fascista di Genova, poi del eoi. Walter Rauff, comandante del « Sichereit Dienst » (S. D.) a Milano.

1963, I, 1280 ; Pugliese, II diritto alla riservatezza nel quadro dei diritti della personalità, in Riv. dir. civ., 1963, I, 605 ; Pa squeba, Nuovi orizzonti della dottrina e della giurisprudenza in tema di rispetto della vita privata, in Dir. autore, 1963, 149 ; Di Majo Giaqtjinto, Profili dei diritti della personalità, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1962, 69 ; Giacobbe, Brevi note su di una di battuta questione : esiste il diritto alla riservatezza ì, in Giust. civ., 1962, I, 1815 ; Franceschelli, Orientamenti giurisprudenziali sul diritto alla riservatezza, in Riv. dir. ind., 1962, XI, 225 ; Co minblli, Aspetti positivi e negativi del diritto alla riservatezza, in Mon. trib., 1961, 1051 ; Cabrixi, I diritti della personalità e il cinematografo, in Riv. pen., 1960, I, 126 ; De Mattia, Palladino, Galli, Il diritto alla riservatezza, 1963.

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Tale convincimento deriva in primo luogo dal fatto che il Bertoni, quando fu introdotto a S. Vittore dai tede

schi nel giugno 1944, e sistemato nel raggio dei detenuti

politici, fu registrato nella matricola dell'ufficio tedesco del

carcere col vero nome di Giovanni Bertoni, mentre presso l'ufficio matricola italiano del carcere era segnato col nome

di « generale Della Rovere ». Il teste Ceraso Luigi, già

guardia carceraria a S. Vittore in quell'epoca, ha reso al

riguardo una deposizione precisa ed inequivocabile. Tra i

detenuti e il personale italiano del carcere il Bertoni si

presentava sempre come il generale Della Rovere, e come

tale veniva trattato. Solo il giorno in cui i tedeschi decisero

il suo trasferimento a Fossali perchè ormai la sua vera

identità era nota fra i detenuti politici, che già stavano

in guardia e lo tenevano isolato (e quindi non poteva più servire come delatore), egli, all'adunata di coloro che veni

vano inviati nel campo di concentramento, fu chiamato

dai tedeschi col suo vero nome : Giovanni Bertoni. Ogni

ragione di segreto era ormai caduta.

I due fatti sono chiaramente significativi e indicatori

della natura dei servigi che il Bertoni forniva ai tedeschi.

Del resto la lunga deposizione del teste Luca Osteria

in ordine alle circostanze in cui il pregiudicato Bertoni

entrò a contatto prima con la questura di Genova, poi, col comando del S. D. germanico a Milano, e svolse il

proprio spregevole compito, non può essere senz'altro

disattesa proprio perchè la figura e l'attività del Bertoni, come sono delineate dall'Osteria, trovano conferma in altre

deposizioni, attendibili perchè non inficiate da alcuna ra

gione di possibile menzogna come la cennata deposizione della guardia carceraria Ceraso, o perchè provenienti da

persone superiori ad ogni sospetto di mendacio. È risultato

così che a S. Vittore il Bertoni si presentava come generale Della Rovere (teste avv. Enea Fergnani) ; e che anche a

Fossali, benché ormai la sua vera identità fosse nota, egli

persisteva a qualificarsi tale (testi lo stesso avv. Fergnani e avv. Giuseppe Pugliesi) ; come è pacifico che nessun gene rale Della Rovere è mai esistito nell'esercito italiano in

quegli anni (vedi la deposizione Ceraso e la relazione 15 giu

gno 1945 del gen. Bortolo Zambon al ministero della guerra). È manifesto che, se fu introdotto a S. Vittore col con

senso dei tedeschi e vi si qualificò di fronte agli altri dete

nuti come generale Della Rovere, benché invece presso la

matricola tedesca egli fosse segnato come Bertoni, ciò av

venne in esecuzione di un premeditato disegno della polizia

germanica che poneva con tale finzione fra i detenuti un

proprio confidente per carpirne i segreti e conoscere il

nome di chi, ancora libero, continuava l'attività di re

sistenza.

Acquisito per certo tale dato, le dichiarazioni dell'Osteria

circa la collaborazione del Bertoni con la questura di Ge

nova, il suo trasferimento a Milano, i suoi contatti con il

comando del col. Rauff, assumono un grado di attendi

bilità che non può essere svalutato solo per l'ambiguità della figura del teste, già collaboratore dell'O.V.R.A. e in

servizio presso la p. s. passato poi a collaborare con la

polizia germanica e infine entrato a contatto con la Resi

stenza, alla quale indubbiamente rese segnalati servigi. I

dubbi sulla veridicità dell'Osteria possono, se mai, sorgere :

quando può supporsi che egli avesse un interesse a mentire

o a essere reticente : per quei particolari cioè che avrebbero

assunto importanza per qualificare e giustificare il « doppio

gioco » che egli svolgeva e per salvarlo da sospetti sulle

gravi complicità in drammatici episodi. Così non si può escludere che egli abbia attribuito all'opera del Bertoni

maggior importanza di quanto non avesse avuto perchè così la responsabilità di determinati eventi (in particolare dell'arresto dell'ing. Damiani), in cui egli stesso aveva

avuto parte non secondaria ed equivoca, venisse ad essere

assunta dall'ormai defunto Bertoni.

Ma resta il fatto che il Bertoni accettò di farsi dela

tore e spia di patrioti. Che poi la sua opera sia stata più o meno fruttuosa ; che egli abbia o meno contribuito a

far arrestare il Montezemolo e il Damiani ; che in S. Vittore

egli sia riuscito o meno a carpire qualche confidenza dei

suoi compagni di raggio o di cella, ha secondaria importanza

rispetto alla piena squalifica morale clie non può non col

pire la sua figura. Chi ha accettato (li porsi a servigio dei persecutori dei

propri compatrioti, o comunque di oppressori come delatore

e come spia per denaro (come risulta dalla deposizione Osteria) o qualsiasi altra ragione, qualunque esito abbia

avuto il suo compito abbietto, non può evitare il più duro dei biasimi. Quindi l'indagine svolta minuziosamente dal tri

bunale circa i vari episodi merita di essere considerata

solo sotto tale premessa. Ed anche se si volesse pervenire alla conclusione che il Bertoni non collaborò nè alla cattura del Montezemolo nè alla cattura del Damiani, in base a

discordanze di date che invero non sembrerebbero così

significative, come hanno ritenuto i primi giudici, solo che

si pensi che nel ricordo dei testi, che hanno deposto dopo

più di quindici anni dagli avvenimenti, potrebbe essere

intervenuto qualche errore di settimane o di mesi nel rife

rimento temporale di certi fatti (l'inizio dei contatti del

Bertoni con la questura di Genova ; il suo trasferimento a Milano ; l'agguato della polizia in cui cadde l'ing. Da

miani), tuttavia ciò non basterebbe a sminuire l'odiosità del

comportamento del Bertoni quale appare negli ultimi cin

que o sei mesi prima della sua morte.

Escluso dunque che possa considerarsi illecita la diffu

sione dell'episodio, ormai acquisito alla vicenda storica del

tempo, del falso generale Della Rovere ; e che necessaria mente nella ricostruzione di tale vicenda doveva essere

delineata la figura del protagonista, con i suoi tristi pre cedenti penali e morali ; resta solo da valutare se il libro

o il film hanno riferito fatti o circostanze non vere che

costituiscano grave offesa all'onore, al decoro, alla reputa zione del defunto Bertoni.

Il tribunale ha ricordato, al riguardo, che, secondo una

nota sentenza del Supremo collegio (Cass. 13 maggio 1958, n. 1563, Foro it., 1958, I, 1117), il diritto della personalità non può essere mai del tutto annientato da colpe prece denti, per quanto gravi possano essere ; e che nessuno può essere costretto a tollerare che, contro la verità, « sia accre

sciuto il fardello delle sue colpe, con l'aggiunta di fatti non

veri ».

Ritiene peraltro la Corte, che, fermo tale principio in

astratto, sia da valutarsi in concreto se l'alterazione della verità nella composizione di un'opera letteraria o teatrale o di un film che abbiano la loro matrice in un fatto storico, che, per la loro stessa natura di creazione artistica, riela

borano con l'afflato della fantasia, possa creare pregiudizio alla personalità di coloro che, realmente esistiti, rivivono nelle pagine o nella rappresentazione.

Merita qui chiarire che il libro ed il film « Il generale Della Rovere » non si sono proposti finalità di fredda nar razione della verità, propria di chi elabora un'opera di storia o di cronaca storica. Per la loro stessa natura le

due opere predette si proponevano di diffondere bensì fra il pubblico la conoscenza di un episodio della storia italiana dell'anno 1944 realmente avvenuto, ma affidando alla fan tasia creatrice la ricostruzione del quadro e dei personaggi.

Nel libro la vena di scrittore del Montanelli, che perso nalmente aveva accostato in carcere il falso generale Della

Rovere, era rimasto colpito dal suo contegno, e quindi, appresa la verità, ne aveva idealizzato la figura immagi nandolo dinanzi alla morte così come egli lo aveva visto nel carcere, ha rielaborato la figura dell'uomo prestandogli parole, gesti, atteggiamenti quale egli forse aveva imma

ginato quando ancora lo credeva il generale Della Rovere. Nel film poi, sceneggiato sulla falsariga del libro, gli epi sodi di fantasia furono introdotti anche per le specifiche

esigenze dello spettacolo, che non possono sempre ade

guarsi alla verità storica.

Il tribunale ha affermato che il diritto della personalità « esige che la figura di un individuo non possa essere fal

sata ». In astratto l'affermazione è accettabile. Ma per stabilire se la personalità di un individuo è stata « falsata »

o meno, è necessario avere riguardo ai tratti caratteristici, alle note essenziali che costituiscono quella determinata

personalità. Un'alterazione di tali caratteristiche non potrebbe es

Il FOììo italiano — Volume LXXXV 11 — farti /-7'J.

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1243 PARTE PRIMA 1244

sere consentita in un'opera (l'arte, destinata alla lettura o

alla rappresentazione (per la critica storica la questione dovrebbe essere risolta con altri criteri). Ma se all'autore

di un'opera d'arte nella raffigurazione di una persona esi

stente o realmente esistita, non fosse consentita neppure una limitata rielaborazione di fantasia, che non alterasse

gli aspetti essenziali di quella determinata individualità

così come sono noti ai più, e fosse contenuta a fatti o note

marginali, allora si dovrebbe concludere che nessuna per sona reale potrebbe mai acquisire le vesti di personaggio di un'opera d'arte. La creazione artistica non può soppor tare di essere assoggettata al vincolo di una fredda, scola

stica trasposizione della cosiddetta realtà oggettiva nella

opera, che diviene opera d'arte proprio perchè l'autore ha

plasmato tale realtà con il segno inconfondibile della pro

pria fantasia creatrice.

Dovrà quindi valutarsi caso per caso se la rielabora

zione fantastica ha veramente leso quel complesso di valori

che ogni individuo ha in sè ed estrinseca nei suoi rapporti con gli altri atteggiamenti ed azioni. Sarà cioè da esami

narsi se l'opera dell'artista non abbia per risultato la pre sentazione di un personaggio diverso e peggiore (merita

aggiungere : chè nessuno avrebbe titolo a dolersi di essere

stato rappresentato in veste più lusinghiera di quella reale) dell'individuo vero.

D'altra parte per stabilire se la figura del vero Bertoni fu « falsata » in senso peggiorativo, nel libro e nel film, o vi fu addirittura diffamata, è necessario procedere ad una

valutazione complessiva della individualità quale emerge dalle due opere e non ad una dissezione di singoli episodi, come invece ha ritenuto di operare il tribunale, fermo nel

convincimento che qualsiasi alterazione della realtà storica

costituisca lesione del diritto all'integrità della personalità. La cosiddetta « riabilitazione » finale del Bertoni, nel

libro e nel film, non verrà così a costituire un fatto auto

nomo, cui il tribunale dichiara di non poter riconoscere l'effetto di eliminare l'illecito che i precedenti episodi dif

famatori avrebbero generato. Il giudizio sulla sussistenza o meno dell'illecito non può essere formulato dopo l'esame di ogni singolo episodio ma quando la figura del protago nista potrà essere oggetto di definitiva valutazione con

l'instaurazione di un giudizio comparativo fra il Bertoni,

quale in realtà fu nell'opinione di chi lo conobbe, e il per

sonaggio quale emerge dal succedersi degli episodi di una unica trama.

Ciò premesso, la Corte, dinanzi alla figura morale del

Bertoni, esclude che gli elementi fantastici apportati nel libro e nel film alla narrazione della vicenda, o i riferimenti alla sua persona, siano di natura e di contenuto tali da ag gravare il giudizio etico che in ogni caso dovrebbe essere

pronunciato sulla persona e sul comportamento dell'uomo, tenuto conto solo dei fatti veri che lo riguardano.

Si può anzi aggiungere, come sarà dimostrato in pro sieguo, che nel libro e nel film è rappresentata una vera idealizzazione della sua figura per la sopraggiunta consa

pevolezza nel personaggio della propria abbiezione, e per la sua volontà di redimersi, per il coraggio con cui affronta la morte che non gli era imposta : moti dell'animo, atteg giamenti, comportamento estremo che, per quanto consta, ebbe solo il simulato generale Della Rovere nella trasfigu razione del libro e del film, non invece il vero Bertoni. È provato, in primo luogo (nè le attrici lo contestano) che il Bertoni Giovanni riportò, dal 1914 al 1950, ben ven

tiquattro condanne penali (per diserzione, falsi, truffe,

usurpazione di titoli, furti, appropriazioni indebite, ricetta

zione, insolvenza fraudolenta e per altri reati minori), e nel 1939 fu dichiarato delinquente abituale (vedi l'inchiesta del ministero della difesa e la copia delle sentenze prodotte dalla difesa della Zebra film).

La sentenza pronunciata dal Tribunale di Trieste, che dichiarava la separazione dei coniugi Bertoni per colpa del

marito, contiene inoltre una enumerazione di fatti (indi cati dalla stessa Volt-an e provati dai testi) che denunciano il pervertimento del Bertoni anche nei rapporti con il

coniuge e ne dipingono l'abbiezione morale. Nel libro del Montanelli (a pag. 59) il nominato Bertone

risulta invece condannato otto volte, « per truffa, bigamia, circonvenzione di incapaci, detenzione e spaccio di stupe facenti ». Non sembra alla Corte, che tale alterazione della

verità possa modificare in peggio i precedenti penali e

morali del vero Bertoni, anche se fra i numerosi illeciti

da lui commessi non sembra possano annoverarsi i tre ultimi

reati sopraccennati. Nel film poi i precedenti penali del nominato Bardone

sono indicati in quattro condanne per truffa, circonven

zione d'incapace, detenzione e spaccio di stupefacenti, bi

gamia ; e si accenna ad una sua espulsione dall'esercito per debiti e malversazioni.

Devesi riconoscere che in effetti il Bertoni fu nel 1914

dichiarato disertore dall' 11° reggimento di cavalleria e

condannato poi dal Tribunale militare di Firenze nel 1915

per diserzione, furto in danno dell'amministrazione mili

tare, alienazione di effetti militari.

Anche il film dunque non altera sostanzialmente la

figura morale del Bertoni.

Il libro ed il film narrano poi una serie di episodi di

fantasia che gettano fosca luce sul protagonista durante

il suo soggiorno genovese.

Egli vive a Genova, col falso nome di ingegnere o co

lonnello Grimaldi, una vita di turpi ripieghi, truffando i

parenti dei detenuti politici cui promette di interessarsi

per la scarcerazione dietro compenso di forti somme che poi

dilapida al gioco mentre illude gli infelici con finzioni e

pretesti. Cerca di truffare varie persone fra cui la tenutaria

di una casa di tolleranza offrendo come vera una gemma falsa. Accetta in dono da una prostituta tutti i suoi risparmi e subito li perde al tavolo verde.

Nessuno contesta che si tratti di episodi di fantasia.

Tuttavia è da chiedersi se siano tali da incidere sulla

figura reale del Bertoni, da rappresentarlo cioè in atteggia menti ancora più abbietti di quelli che egli, pregiudicato, amorale, dimentico della moglie e della figlia abbandonate

a Trieste nell'indigenza, assunse nella realtà ponendosi al

servizio della polizia tedesca per spiare e denunciare i

propri compatrioti. Per quanto sia grave dovere per la Corte pronunciare

un così severo giudizio nei confronti di una persona de

funta, tuttavia essa non può esimersene dato che si è vo

luto rivendicare la onorabilità del Bertoni, che sarebbe

stata aspramente lesa dal libro e dal film in esame.

In realtà i cennati episodi di fantasia non possono ag

gravare sostanzialmente la valutazione negativa del vero

Bertoni ; come non possono aggi-avaria i successivi episodi in cui realtà e fantasia s'intrecciano (l'offerta della polizia tedesca perchè egli continui nella finzione ed assuma il

nome di generale Della Rovere ; la sua introduzione nel

carcere di S. Vittore, perchè identifichi fra gli arrestati il capo della Resistenza ; la sua simulazione nel carcere fra i detenuti l'episodio del biglietto con la frase « Il vento

soffia dall'ovest », e i suoi colloqui col col. Mueller, che dovrebbero identificarsi col col. Rauff, realmente esistito). Ma, in ogni caso, è da tener conto soprattutto che libro e film rivalutano moralmente la figura del falso generale Della Rovere in grado tale da distruggere gli effetti che le alterazioni di fantasia in senso peggiorativo potrebbero avere determinato nel giudizio complessivo sull'uomo.

Come già si è accennato, secondo la ricostruzione fan tastica della fine del pseudo generale, questi, posto di

fronte all'ordine di identificare, con un tranello, il capo della Resistenza, arrestato, si era rifiutato di farlo. Nel

libro il risveglio di una torpida coscienza morale è appena accennato per episodi esteriori. Nel film l'orrore per la

morte del povero Banchelli, seviziato dalle S.S., prepara l'interiore catarsi nella tragica notte che vede il simula

tore fra i detenuti che attendono all'alba la morte : quando

egli ascolta le alte e serene parole di Fabrizio (« . . . spero di aver fatto il mio dovere, qualunque cosa accada. Se tutti l'avessero fatto, forse non ci troveremmo qui den tro »), la solenne preghiera a Dio degli ebrei e il « Padre nostro » mormorato dagli altri detenuti.

Se il Bertoni del libro, lasciando il carcere di S. Vittore

per Possali, ha l'ultimo commosso incontro con il capo

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Page 5: Sentenza 22 maggio 1964; Pres. Trimarchi P., Est. Donati; Soc. Zebra film (Avv. Vigevani, Graziadei) c. Bertoni (Avv. Formiggini Pasotelli); Bertoni (Avv. Formiggini Pasotelli) c.

1245 GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE 1246

partigiano che poteva denunciare e non denunciò, il Bar

done del film coscientemente o volontariamente rifiuta la

salvezza offertagli dal col. Mueller, segue i condannati e

muore con loro, conservando nell'estremo istante quella

dignità che aveva prima assunto per meglio dissimulare

la sua qualità di spia e che invece, dinanzi alla morte, lo

trasfigura e lo presenta agli spettatori come un uomo

purificato e non indegno di invocare, dinanzi agli altri

condannati, il nome della patria. È dunque nel pentimento e nella morte che la figura

del Bertoni, così come il libro e il film ci presentano, trova

piena riabilitazione. I suoi precedenti, la sua figura di

avventuriero senza scrupoli quale appare a Genova e a

Milano prima della sua catarsi, si scolorano e perdono rile

vanza dinanzi al suo estremo atteggiamento : per cui è da

chiedersi se il libro ed il film, pur con il fine generico di

dipingere un episodio e un momento della nostra storia

recente, non abbiano anche, sia pure senza meditato pro

posito, riabilitato nella rielaborazione artistica una figura

che, dipinta nella spoglia e cruda verità storica, si sarebbe

presentata sotto un aspetto squallido e senza luce.

È per questo che la Corte non può ravvisare un'altera

zione in senso peggiorativo della figura del vero Giovanni

Bertoni, che anzi, nell'ambito del Bertone del libro e del

Bardone del film, acquista, sia pure nell'ora estrema, un

grado di nobiltà morale che non consta egli abbia mani

festato anche nella realtà, se pure umanamente devesi

sperarlo. L'azione promossa dalle attrici non può perciò essere

accolta perchè nessun pregiudizio all'onore, al decoro, alla

reputazione del defunto Giovanni Bertoni è derivato dal

libro del Montanelli e dal film prodotto dalla Zebra Film.

Per questi motivi, ecc.

CUKTE D'APPELLO DI BAM.

Sentenza 24 gennaio 1964 ; Pres. Chieppa P. P., Est. Mirto

Randazzo ; Soc. S.a.s.p.i. (Avv. Paparella) e. Finanze.

Tassa sull'entrata — Appaltatore della raccolta delle

immondizie— Profitto della cernita e utilizzazione

dei rifinti — Tassabilità (Legge 20 marzo 1941 n. 366,

raccolta, trasformazione e smaltimento dei rifiuti solidi

urbani, art. 20).

L'appaltatore della raccolta (lei rifiuti e delle immondizie

deve corrispondere l'imposta sulVentrata anche sul pro

fitto ricavato dalla cernita e dalla utilizzazione di tutti

i rifiuti. (1)

La Corte, ecc. — La società S.a.s.p i. lia avuto in ap

palto dai comuni di Bari, Corato e Gioia del Colle la rac

colta dei rifiuti e delle immondizie che, ai sensi dell'art. 13

del contratto, dovevano essere sottoposti ad accurata cer

nita per ricavare rottami di ferro, lamiera, ossa, carta,

stracci, ecc. ed utilizzati quale concime agricolo, mentre i

relativi proventi derivati dalla cernita e dalla vendita di

tutti i rifiuti sarebbero stati di esclusiva proprietà dell'ap

paltatrice. Inoltre nel successivo art. 26 avente per obietto cor

rispettivo dell'appalto, pagamento del canone, era detto

che il canone annuo che il comune si impegnava a corri

(1) Non constano precedenti. Per riferimenti : Cass. 11 novembre 1057, n. 4351, Foro it.,

Bop. 1957, voce Tassa entrata, n. 29 che esenta dall'i.g.e. le

somme introitate dai comuni in dipendenza della gestione del servizio pubblico di raccolta e trasporto dei rifiuti solidi urbani

(contra Trib. Roma 5 febbraio 1954, id., Rep. 1954, voce cit., n. 50).

Sulla qualificazione del contratto con cui il comune affida

ad un privato il compito di svolgere tutte le attività necessarie

por l'esecuaione del servizio di nettezza urbana, Cass. 2 luglio 1957, n. 2557, id., 1958, I, 77, con nota di Coletti.

spondere veniva determinato « tenuto conto dei proventi relativi alla vendita dei rifiuti e delle acque di rifiuto ».

Da ciò si evince manifestamente che le parti, sia il comune sia la società, di comune accordo considerarono la

utilizzazione che dei rifiuti e delle immondizie poteva trarsi

nonché il vantaggio economico che da tale utilizzazione

sicuramente ne derivava, tanto che di ciò tennero conto ai

fini della determinazione del canone annuo che avrebbe

dovuto essere corrisposto. Ma, di fronte alle richieste degli uffici fiscali all'uopo

preposti i quali han domandato il pagamento dell'i.g.e. sui

maggiori corrispettivi ricavati dagli appalti per la raccolta

delle immondizie, ritenendo che i rifiuti e le immondizie

costituiscono parte di canone e corrispettivi in natura, la

S.a.s.p.i. si oppone deducendo :

1) che le immondizie ed i rifiuti che vengono raccolti

non possono considerarsi corrispettivo in natura della

prestazione per il semplice fatto che essi non si appartengono al comune, onde, non potendosi parlare di cessione da parte dello Stato di una cosa che questo non ha, non può eviden

temente configurarsi l'ipotesi di uno scambio che, secondo

l'art. 5 della legge sull'i.g.e., costituisce il presupposto del

l'i.g.e. medesima ;

2) che i rifiuti e le immondizie, all'atto di cui vengono raccolti, non hanno alcun valore economico sicché anche

sotto questo profilo non è configurabile la loro assogget tabilità all'i.g.e. ; e ciò per il fatto che essi acquistano valore

solo successivamente alla raccolta ed a seguito del lavoro, del trattamento e dell'opera esclusiva della società appel lante.

Ma tutte le suddette argomentazioni non han pregio. Una prima considerazione di carattere generale si ricava,

invero, dal contenuto dell'atto che regola i rapporti esi stenti tra il comune e la S.a.s.p.i., per quel che riflette lo

svolgimento del servizio di cui si discute, dal quale si ri cava che i contraenti esplicitamente han preso in conside razione la utilizzazione delle immondizie stabilendo che i

proventi ricavati da tale utilizzazione sarebbero stati di

esclusiva proprietà della società, e, quindi, che ai fini della determinazione del canone si teneva conto dei proventi che l'odierna appellante avrebbe ricavato dalla vendita dei

rifiuti e delle acque di rifiuto. Ora di fronte al contenuto

di tali clausole che indubbiamente hanno un carattere es

senziale e determinante nella economia del rapporto, perchè alla raccolta delle immondizie e dei rifiuti deve seguire ne

cessariamente la loro utilizzazione ed eliminazione (art. 20

legge 20 marzo 1941 n. 366), mentre il pagamento del ca

none costituisce il corrispettivo che l'ente appaltante si

impegna a versare in cambio del servizio espletato, vi è

fondamento da chiedersi per quale motivo si sarebbe pre visto che l'utilizzazione delle immondizie e dei rifiuti doveva

essere fatta dalla società e che, inoltre, i proventi conse

guenti alla loro vendita avrebbero dovuto essere di spettanza della stessa S.a.s.p.i. e che, ancora, di tali proventi si teneva

conto ai fini della determinazione del canone, se, come

assume l'appellante, fosse vero che sui detti rifiuti l'ente

appaltante e cioè il comune non aveva alcun diritto ed

agli stessi, inoltre, non poteva attribuirsi alcun valore

economico.

Ciò premesso si rileva che ai fini di una esatta soluzione della controversia non possa prescindersi dalla considera zione che la raccolta delle immondizie e dei rifiuti costi

tuisce un servizio pubblico, esclusivamente demandato ai

comuni e che rientra tra le funzioni a cui tali enti debbono

per legge obbligatoriamente adempiere. Dal che consegue, attesa la natura e le modalità di svol

gimento del servizio, secondo quanto si evince dalla legge 20~marzo 1941 n. 366 che lo regola, che ogni qual volta il

cittadino si spoglia di taluni oggetti, che hanno la pecu liare caratteristica del rifiuto e della immondizia, abbando

nandoli sulla pubblica via e negli appositi recipienti desti

nati alla raccolta, egli dimostra in modo manifesto di non

avere più alcun interesse alla ritenzione dei medesimi, sicché la proprietà e, quindi, l'appartenenza degli stessi, si

trasferisce a chi li raccoglie, ossia, in riferimento al caso

che ne occupa, al comune che adempie quel pubblico servizio.

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