Sentenza 22 maggio 1964; Pres. Trimarchi P., Est. Donati; Soc. Zebra film (Avv. Vigevani,Graziadei) c. Bertoni (Avv. Formiggini Pasotelli); Bertoni (Avv. Formiggini Pasotelli) c. Soc.Rizzoli editore e Cineriz noleggio film (Avv. Majno, Ceva), Montanelli (Avv. Paggi, Zaso,Zamboni), Amidei, Fabbri, Zuffi, Rossellini (n. c.); Soc. Rizzoli editore e Cineriz noleggio filmc. Bertoni; Bertoni c. Soc. Zebra filmSource: Il Foro Italiano, Vol. 87, No. 6 (1964), pp. 1239/1240-1245/1246Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23156195 .
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1239 PARTE PRIMA 1240
CORTE D'APPELLO DI MILANO.
Sentenza 22 maggio 1964 ; Pres. Trimarchi P., Est. Donati ;
Soc. Zebra film (Avv. Vigevani, Graziadei) c. Ber
toni (Avv. Formiggini Pasotelli) ; Bertoni (Avv. For
miggini Pasotelli) c. Soc. Rizzoli editore e Cineriz no
leggio film (Avv. Majno, Ceva), Montanelli (Avv. Pag
gi, Zaso, Zamboni), Amidei, Fabbri, Zuffi, Kossellini
(n. c.) ; Soc. Rizzoli editore e Cineriz noleggio film c.
Bertoni ; Bertoni c. Soc. Zebra film.
Persona propria (diritti sulla) — Persona nota alla
cronaca per il comportamento spregevole — At
tribuzione di latti non veri in sede di rielabora
zione artistica — Offesa alla reputazione — In
sussistenza — Fattispecie (Costituzione, art. 21 ; cod.
civ., art. 2043).
Non costituisce lesione del diritto della personalità, e non fa
quindi sorgere alcun diritto al risarcimento dei danni a
favore dei congiunti, Vattribuzione al protagonista, nel
corso della narrazione artistica (cinematografica o lette
raria) della sua partecipazione a vicende di carattere sto
rico, di atti difformi dal vero, quando la sua figura, quale
emerge da una valutazione complessiva, non risulti sostan
zialmente alterata o peggiorata. (1)
(1) Cfr. Cass. 24 aprile 1962, n. 816, Foro it., 1962, I, 1722, relativa alla narrazione delle vicende dell'ex-questore Caruso
cui sarebbe stata attribuita la formazione dell'intera lista dei
martiri delle Fosse ardeatine anziché quella di soli cinquanta di essi ; la Cassazione dichiara che l'alterazione di un fatto vero, come l'attribuzione di un fatto non vero, può dar luogo in sede
civile al risarcimento dei danni, sempre che sia possibile valutarne
l'incidenza sul danno che l'offeso avrebbe comunque sofferto, senza possibilità di risarcimento, per effetto dei fatti realmente
commessi. Nello stesso senso, Trib. Udine 18 ottobre 1961, id.,
Rep. 1962, voce Responsabilità civile, n. 409. Sul caso Caruso vedi
App. Firenze 11 marzo 1960, id., 1961, I, 1028 (con riferimento
completo ai precedenti della lite), nella quale tra l'altro si af
ferma che costituisce diffamazione la omissione di fatti favorevoli
a persona per il resto posta in cattiva luce ; sentenza annullata
dalla citata sentenza della Cassazione.
Ancora, a proposito di alterazione della verità storica in
un'opera cinematografica, questa volta nel senso che essa non
costituisce alcuna violazione del diritto della personalità quando non arrechi alcun danno all'onore ed al decoro della persona del
protagonista, Trib, Roma 25 febbraio 1956, id., 1956, 1,1384, con nota di De Cupis.
Nel senso che non sussiste alcun diritto alla riservatezza
per ciò che attiene alla partecipazione del soggetto alla vita
collettiva, in ciò che la pubblicità di esse è giustificata dalle
finalità storiografiche o di informazione della narrazione cinema
tografica, cfr. Pret. Roma 3 maggio 1962, id., Rep. 1962, voce Persona propria, nn. 6, 7, annotata da Giacobbe, in Giusi, civ., 1962, I, 1814 ; Pret. Roma 9 maggio 1962, Foro it., Rep. 1963, voce cit., n. 26 ; Trib. Roma 5 luglio 1960, id., Rep. 1961, voce
cit., n. 14. Tale diritto sussiste invece con riferimento alla vita
privata: Cass. 20 aprile 1963, n. 990, id., 1963, I, 877, e 1298, con nota di De Cupis.
Sulla necessità di rispettare la verità dei fatti, vedi Trib.
Napoli 10 gennaio 1961, id., Rep. 1962, voce Responsabilità civile, n. 407 ; Trib. Udine 19 ottobre 1961, ibid., nn. 408-410 ; Cass. 7 dicembre 1960, n. 3198, id., 1961, I, 43 ; Trib. Roma 30 marzo 1957, id., 1958, I, 136.
Vedi infine, sempre a proposito di opera cinematografica, Trib. Roma 11 novembre 1961, id., Rep. 1962, voce cit., nn. 403, 404, per la quale la creazione di episodi di fantasia intorno a
quelli già descritti dalla stampa non sminuisce ma contribuisce ad accrescere il carattere diffamatorio del film.
Per la dottrina più recente sull'argomento si confrontino, oltre alle numerose opere già citate in nota alle decisioni pubbli cate su questa rivista, De Cupis, Riconoscimento sostanziale ma non verbale del diritto alla riservatezza (nota a Cass. 20 aprile 1963, n. 990), in Foro it., 1963, I, 1298 ; Diritto alla riservatezza, in Temi, 1960, 178 ; Ancora sul diritto alla riservatezza, in Dir. e giur., 1959, 131 ; Ondei, Un caso limite della libertà delVarte, in Foro pad., 1963, I, 513 ; Due licenze esegetiche : diritto alla ri servatezza e diritto di cronaca, id., 1961, I, 465 ; Belcaro, Esiste il diritto alla riservatezza, in Democrazia e diritto, 1963, 286 ; Sgroi, Il diritto alla riservatezza di nuovo in Cassazione, in Giusi, civ.,
La Corte, ecc. — Il tribunale ha rilevato che, con il
libro « Il generale Della Rovere » e con l'omonimo film,
per quanto riguarda la figura del Bertoni sono stati dif
fusi : 1) fatti non veri, che per la loro natura costituirebbero
offesa dell'onore, del decoro, della reputazione del Bertoni ;
2) fatti veri, che, in quanto « rientrano, benché marginal mente, nella storia della guerra di liberazione ... », pote vano essere oggetto di narrativa perchè ciò costituiva
« legittimo esercizio dei diritti di cronaca, di creazione e
di opinione ».
Ritiene la Corte di dover iniziare il proprio processo
logico proprio da quest'ultima considerazione.
L'episodio di un pregiudicato ed avventuriero, arrestato
a Genova sotto il falso nome di un inesistente Fortebraccio
Della Rovere, generale che simulava di essere stato inviato
clandestinamente dal maresciallo Badoglio in Alta Italia ; indotto dalla polizia tedesca a proseguire nella simulazione
per poter facilmente penetrare negli ambienti clandestini
della Resistenza e farsi delatore ; inviato poi dalla stessa
polizia tedesca nel carcere di S. Vittore a Milano perchè ivi continuasse il suo lavoro di spia e di delatore ; infine
deportato a Fossali e lì fucilato in circostanze e per ragioni non chiare : è ormai un fatto che appartiene alla vicenda
drammatica che l'Italia settentrionale ha vissuto nel periodo
1943/1945, quando contro l'occupazione straniera ed il
governo della r.s.i. fermentava e si manifestava quel movimento che è definito « la Resistenza ». L'episodio dun
que, e la vicenda del pregiudicato Bertoni, sono ormai
usciti dalla sfera della vita privata del protagonista per la natura delle circostanze, le correlazioni con persone note
che hanno partecipato a vicende da qualificarsi ormai come
« storiche », le conseguenze che i suoi atti possono avere
avuto in una sfera di interessi non meramente individuali
o privati.
L'episodio del generale Della Rovere, simulatore o de
latore a favore dei tedeschi contro i patrioti della Resi
stenza, può quindi essere narrato, valutato, discusso nel
pieno e libero esercizio del diritto di cronaca, di narrativa
di vicende storiche, di critica storica. La difesa delle attrici ha sempre contestato che il Ber
toni abbia commesso atti di delazione in danno di chiunque. Pur ammettendo che egli « avesse un triste passato di pre
giudicato per reati comuni » e che fosse stato costretto
dai tedeschi a simulare di essere un inesistente generale
badogliano, tuttavia ha negato che egli, in tale finzione, abbia realmente collaborato con la polizia nazista ; e in
particolare, che abbia contribuito all'arresto del col. Mon
tezemolo a Roma e dell'ing. Mario Damiani a Milano. Il tribunale ha accettato le argomentazioni della difesa
Bertoni per quanto riguarda i due accennati episodi. Ma prima ancora di valutare se vi sia o meno la prova
piena che il Bertoni, mediante le confidenze strappate nel carcere di Genova all'ufficiale di marina ivi detenuto, abbia contribuito all'arresto del col. Montezemolo, uno dei capi militari della Resistenza a Roma, nel gennaio 1944 ; e se
egli abbia determinato, o almeno collaborato, o sia in vece del tutto estraneo, all'arresto dell'ing. Damiani uno dei rappresentanti del Partito d'azione a Milano, vi è per la Corte una certezza : che il Bertoni accettò di svolgere opera di delatore e di spia a favore prima della questura fascista di Genova, poi del eoi. Walter Rauff, comandante del « Sichereit Dienst » (S. D.) a Milano.
1963, I, 1280 ; Pugliese, II diritto alla riservatezza nel quadro dei diritti della personalità, in Riv. dir. civ., 1963, I, 605 ; Pa squeba, Nuovi orizzonti della dottrina e della giurisprudenza in tema di rispetto della vita privata, in Dir. autore, 1963, 149 ; Di Majo Giaqtjinto, Profili dei diritti della personalità, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1962, 69 ; Giacobbe, Brevi note su di una di battuta questione : esiste il diritto alla riservatezza ì, in Giust. civ., 1962, I, 1815 ; Franceschelli, Orientamenti giurisprudenziali sul diritto alla riservatezza, in Riv. dir. ind., 1962, XI, 225 ; Co minblli, Aspetti positivi e negativi del diritto alla riservatezza, in Mon. trib., 1961, 1051 ; Cabrixi, I diritti della personalità e il cinematografo, in Riv. pen., 1960, I, 126 ; De Mattia, Palladino, Galli, Il diritto alla riservatezza, 1963.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Tale convincimento deriva in primo luogo dal fatto che il Bertoni, quando fu introdotto a S. Vittore dai tede
schi nel giugno 1944, e sistemato nel raggio dei detenuti
politici, fu registrato nella matricola dell'ufficio tedesco del
carcere col vero nome di Giovanni Bertoni, mentre presso l'ufficio matricola italiano del carcere era segnato col nome
di « generale Della Rovere ». Il teste Ceraso Luigi, già
guardia carceraria a S. Vittore in quell'epoca, ha reso al
riguardo una deposizione precisa ed inequivocabile. Tra i
detenuti e il personale italiano del carcere il Bertoni si
presentava sempre come il generale Della Rovere, e come
tale veniva trattato. Solo il giorno in cui i tedeschi decisero
il suo trasferimento a Fossali perchè ormai la sua vera
identità era nota fra i detenuti politici, che già stavano
in guardia e lo tenevano isolato (e quindi non poteva più servire come delatore), egli, all'adunata di coloro che veni
vano inviati nel campo di concentramento, fu chiamato
dai tedeschi col suo vero nome : Giovanni Bertoni. Ogni
ragione di segreto era ormai caduta.
I due fatti sono chiaramente significativi e indicatori
della natura dei servigi che il Bertoni forniva ai tedeschi.
Del resto la lunga deposizione del teste Luca Osteria
in ordine alle circostanze in cui il pregiudicato Bertoni
entrò a contatto prima con la questura di Genova, poi, col comando del S. D. germanico a Milano, e svolse il
proprio spregevole compito, non può essere senz'altro
disattesa proprio perchè la figura e l'attività del Bertoni, come sono delineate dall'Osteria, trovano conferma in altre
deposizioni, attendibili perchè non inficiate da alcuna ra
gione di possibile menzogna come la cennata deposizione della guardia carceraria Ceraso, o perchè provenienti da
persone superiori ad ogni sospetto di mendacio. È risultato
così che a S. Vittore il Bertoni si presentava come generale Della Rovere (teste avv. Enea Fergnani) ; e che anche a
Fossali, benché ormai la sua vera identità fosse nota, egli
persisteva a qualificarsi tale (testi lo stesso avv. Fergnani e avv. Giuseppe Pugliesi) ; come è pacifico che nessun gene rale Della Rovere è mai esistito nell'esercito italiano in
quegli anni (vedi la deposizione Ceraso e la relazione 15 giu
gno 1945 del gen. Bortolo Zambon al ministero della guerra). È manifesto che, se fu introdotto a S. Vittore col con
senso dei tedeschi e vi si qualificò di fronte agli altri dete
nuti come generale Della Rovere, benché invece presso la
matricola tedesca egli fosse segnato come Bertoni, ciò av
venne in esecuzione di un premeditato disegno della polizia
germanica che poneva con tale finzione fra i detenuti un
proprio confidente per carpirne i segreti e conoscere il
nome di chi, ancora libero, continuava l'attività di re
sistenza.
Acquisito per certo tale dato, le dichiarazioni dell'Osteria
circa la collaborazione del Bertoni con la questura di Ge
nova, il suo trasferimento a Milano, i suoi contatti con il
comando del col. Rauff, assumono un grado di attendi
bilità che non può essere svalutato solo per l'ambiguità della figura del teste, già collaboratore dell'O.V.R.A. e in
servizio presso la p. s. passato poi a collaborare con la
polizia germanica e infine entrato a contatto con la Resi
stenza, alla quale indubbiamente rese segnalati servigi. I
dubbi sulla veridicità dell'Osteria possono, se mai, sorgere :
quando può supporsi che egli avesse un interesse a mentire
o a essere reticente : per quei particolari cioè che avrebbero
assunto importanza per qualificare e giustificare il « doppio
gioco » che egli svolgeva e per salvarlo da sospetti sulle
gravi complicità in drammatici episodi. Così non si può escludere che egli abbia attribuito all'opera del Bertoni
maggior importanza di quanto non avesse avuto perchè così la responsabilità di determinati eventi (in particolare dell'arresto dell'ing. Damiani), in cui egli stesso aveva
avuto parte non secondaria ed equivoca, venisse ad essere
assunta dall'ormai defunto Bertoni.
Ma resta il fatto che il Bertoni accettò di farsi dela
tore e spia di patrioti. Che poi la sua opera sia stata più o meno fruttuosa ; che egli abbia o meno contribuito a
far arrestare il Montezemolo e il Damiani ; che in S. Vittore
egli sia riuscito o meno a carpire qualche confidenza dei
suoi compagni di raggio o di cella, ha secondaria importanza
rispetto alla piena squalifica morale clie non può non col
pire la sua figura. Chi ha accettato (li porsi a servigio dei persecutori dei
propri compatrioti, o comunque di oppressori come delatore
e come spia per denaro (come risulta dalla deposizione Osteria) o qualsiasi altra ragione, qualunque esito abbia
avuto il suo compito abbietto, non può evitare il più duro dei biasimi. Quindi l'indagine svolta minuziosamente dal tri
bunale circa i vari episodi merita di essere considerata
solo sotto tale premessa. Ed anche se si volesse pervenire alla conclusione che il Bertoni non collaborò nè alla cattura del Montezemolo nè alla cattura del Damiani, in base a
discordanze di date che invero non sembrerebbero così
significative, come hanno ritenuto i primi giudici, solo che
si pensi che nel ricordo dei testi, che hanno deposto dopo
più di quindici anni dagli avvenimenti, potrebbe essere
intervenuto qualche errore di settimane o di mesi nel rife
rimento temporale di certi fatti (l'inizio dei contatti del
Bertoni con la questura di Genova ; il suo trasferimento a Milano ; l'agguato della polizia in cui cadde l'ing. Da
miani), tuttavia ciò non basterebbe a sminuire l'odiosità del
comportamento del Bertoni quale appare negli ultimi cin
que o sei mesi prima della sua morte.
Escluso dunque che possa considerarsi illecita la diffu
sione dell'episodio, ormai acquisito alla vicenda storica del
tempo, del falso generale Della Rovere ; e che necessaria mente nella ricostruzione di tale vicenda doveva essere
delineata la figura del protagonista, con i suoi tristi pre cedenti penali e morali ; resta solo da valutare se il libro
o il film hanno riferito fatti o circostanze non vere che
costituiscano grave offesa all'onore, al decoro, alla reputa zione del defunto Bertoni.
Il tribunale ha ricordato, al riguardo, che, secondo una
nota sentenza del Supremo collegio (Cass. 13 maggio 1958, n. 1563, Foro it., 1958, I, 1117), il diritto della personalità non può essere mai del tutto annientato da colpe prece denti, per quanto gravi possano essere ; e che nessuno può essere costretto a tollerare che, contro la verità, « sia accre
sciuto il fardello delle sue colpe, con l'aggiunta di fatti non
veri ».
Ritiene peraltro la Corte, che, fermo tale principio in
astratto, sia da valutarsi in concreto se l'alterazione della verità nella composizione di un'opera letteraria o teatrale o di un film che abbiano la loro matrice in un fatto storico, che, per la loro stessa natura di creazione artistica, riela
borano con l'afflato della fantasia, possa creare pregiudizio alla personalità di coloro che, realmente esistiti, rivivono nelle pagine o nella rappresentazione.
Merita qui chiarire che il libro ed il film « Il generale Della Rovere » non si sono proposti finalità di fredda nar razione della verità, propria di chi elabora un'opera di storia o di cronaca storica. Per la loro stessa natura le
due opere predette si proponevano di diffondere bensì fra il pubblico la conoscenza di un episodio della storia italiana dell'anno 1944 realmente avvenuto, ma affidando alla fan tasia creatrice la ricostruzione del quadro e dei personaggi.
Nel libro la vena di scrittore del Montanelli, che perso nalmente aveva accostato in carcere il falso generale Della
Rovere, era rimasto colpito dal suo contegno, e quindi, appresa la verità, ne aveva idealizzato la figura immagi nandolo dinanzi alla morte così come egli lo aveva visto nel carcere, ha rielaborato la figura dell'uomo prestandogli parole, gesti, atteggiamenti quale egli forse aveva imma
ginato quando ancora lo credeva il generale Della Rovere. Nel film poi, sceneggiato sulla falsariga del libro, gli epi sodi di fantasia furono introdotti anche per le specifiche
esigenze dello spettacolo, che non possono sempre ade
guarsi alla verità storica.
Il tribunale ha affermato che il diritto della personalità « esige che la figura di un individuo non possa essere fal
sata ». In astratto l'affermazione è accettabile. Ma per stabilire se la personalità di un individuo è stata « falsata »
o meno, è necessario avere riguardo ai tratti caratteristici, alle note essenziali che costituiscono quella determinata
personalità. Un'alterazione di tali caratteristiche non potrebbe es
Il FOììo italiano — Volume LXXXV 11 — farti /-7'J.
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1243 PARTE PRIMA 1244
sere consentita in un'opera (l'arte, destinata alla lettura o
alla rappresentazione (per la critica storica la questione dovrebbe essere risolta con altri criteri). Ma se all'autore
di un'opera d'arte nella raffigurazione di una persona esi
stente o realmente esistita, non fosse consentita neppure una limitata rielaborazione di fantasia, che non alterasse
gli aspetti essenziali di quella determinata individualità
così come sono noti ai più, e fosse contenuta a fatti o note
marginali, allora si dovrebbe concludere che nessuna per sona reale potrebbe mai acquisire le vesti di personaggio di un'opera d'arte. La creazione artistica non può soppor tare di essere assoggettata al vincolo di una fredda, scola
stica trasposizione della cosiddetta realtà oggettiva nella
opera, che diviene opera d'arte proprio perchè l'autore ha
plasmato tale realtà con il segno inconfondibile della pro
pria fantasia creatrice.
Dovrà quindi valutarsi caso per caso se la rielabora
zione fantastica ha veramente leso quel complesso di valori
che ogni individuo ha in sè ed estrinseca nei suoi rapporti con gli altri atteggiamenti ed azioni. Sarà cioè da esami
narsi se l'opera dell'artista non abbia per risultato la pre sentazione di un personaggio diverso e peggiore (merita
aggiungere : chè nessuno avrebbe titolo a dolersi di essere
stato rappresentato in veste più lusinghiera di quella reale) dell'individuo vero.
D'altra parte per stabilire se la figura del vero Bertoni fu « falsata » in senso peggiorativo, nel libro e nel film, o vi fu addirittura diffamata, è necessario procedere ad una
valutazione complessiva della individualità quale emerge dalle due opere e non ad una dissezione di singoli episodi, come invece ha ritenuto di operare il tribunale, fermo nel
convincimento che qualsiasi alterazione della realtà storica
costituisca lesione del diritto all'integrità della personalità. La cosiddetta « riabilitazione » finale del Bertoni, nel
libro e nel film, non verrà così a costituire un fatto auto
nomo, cui il tribunale dichiara di non poter riconoscere l'effetto di eliminare l'illecito che i precedenti episodi dif
famatori avrebbero generato. Il giudizio sulla sussistenza o meno dell'illecito non può essere formulato dopo l'esame di ogni singolo episodio ma quando la figura del protago nista potrà essere oggetto di definitiva valutazione con
l'instaurazione di un giudizio comparativo fra il Bertoni,
quale in realtà fu nell'opinione di chi lo conobbe, e il per
sonaggio quale emerge dal succedersi degli episodi di una unica trama.
Ciò premesso, la Corte, dinanzi alla figura morale del
Bertoni, esclude che gli elementi fantastici apportati nel libro e nel film alla narrazione della vicenda, o i riferimenti alla sua persona, siano di natura e di contenuto tali da ag gravare il giudizio etico che in ogni caso dovrebbe essere
pronunciato sulla persona e sul comportamento dell'uomo, tenuto conto solo dei fatti veri che lo riguardano.
Si può anzi aggiungere, come sarà dimostrato in pro sieguo, che nel libro e nel film è rappresentata una vera idealizzazione della sua figura per la sopraggiunta consa
pevolezza nel personaggio della propria abbiezione, e per la sua volontà di redimersi, per il coraggio con cui affronta la morte che non gli era imposta : moti dell'animo, atteg giamenti, comportamento estremo che, per quanto consta, ebbe solo il simulato generale Della Rovere nella trasfigu razione del libro e del film, non invece il vero Bertoni. È provato, in primo luogo (nè le attrici lo contestano) che il Bertoni Giovanni riportò, dal 1914 al 1950, ben ven
tiquattro condanne penali (per diserzione, falsi, truffe,
usurpazione di titoli, furti, appropriazioni indebite, ricetta
zione, insolvenza fraudolenta e per altri reati minori), e nel 1939 fu dichiarato delinquente abituale (vedi l'inchiesta del ministero della difesa e la copia delle sentenze prodotte dalla difesa della Zebra film).
La sentenza pronunciata dal Tribunale di Trieste, che dichiarava la separazione dei coniugi Bertoni per colpa del
marito, contiene inoltre una enumerazione di fatti (indi cati dalla stessa Volt-an e provati dai testi) che denunciano il pervertimento del Bertoni anche nei rapporti con il
coniuge e ne dipingono l'abbiezione morale. Nel libro del Montanelli (a pag. 59) il nominato Bertone
risulta invece condannato otto volte, « per truffa, bigamia, circonvenzione di incapaci, detenzione e spaccio di stupe facenti ». Non sembra alla Corte, che tale alterazione della
verità possa modificare in peggio i precedenti penali e
morali del vero Bertoni, anche se fra i numerosi illeciti
da lui commessi non sembra possano annoverarsi i tre ultimi
reati sopraccennati. Nel film poi i precedenti penali del nominato Bardone
sono indicati in quattro condanne per truffa, circonven
zione d'incapace, detenzione e spaccio di stupefacenti, bi
gamia ; e si accenna ad una sua espulsione dall'esercito per debiti e malversazioni.
Devesi riconoscere che in effetti il Bertoni fu nel 1914
dichiarato disertore dall' 11° reggimento di cavalleria e
condannato poi dal Tribunale militare di Firenze nel 1915
per diserzione, furto in danno dell'amministrazione mili
tare, alienazione di effetti militari.
Anche il film dunque non altera sostanzialmente la
figura morale del Bertoni.
Il libro ed il film narrano poi una serie di episodi di
fantasia che gettano fosca luce sul protagonista durante
il suo soggiorno genovese.
Egli vive a Genova, col falso nome di ingegnere o co
lonnello Grimaldi, una vita di turpi ripieghi, truffando i
parenti dei detenuti politici cui promette di interessarsi
per la scarcerazione dietro compenso di forti somme che poi
dilapida al gioco mentre illude gli infelici con finzioni e
pretesti. Cerca di truffare varie persone fra cui la tenutaria
di una casa di tolleranza offrendo come vera una gemma falsa. Accetta in dono da una prostituta tutti i suoi risparmi e subito li perde al tavolo verde.
Nessuno contesta che si tratti di episodi di fantasia.
Tuttavia è da chiedersi se siano tali da incidere sulla
figura reale del Bertoni, da rappresentarlo cioè in atteggia menti ancora più abbietti di quelli che egli, pregiudicato, amorale, dimentico della moglie e della figlia abbandonate
a Trieste nell'indigenza, assunse nella realtà ponendosi al
servizio della polizia tedesca per spiare e denunciare i
propri compatrioti. Per quanto sia grave dovere per la Corte pronunciare
un così severo giudizio nei confronti di una persona de
funta, tuttavia essa non può esimersene dato che si è vo
luto rivendicare la onorabilità del Bertoni, che sarebbe
stata aspramente lesa dal libro e dal film in esame.
In realtà i cennati episodi di fantasia non possono ag
gravare sostanzialmente la valutazione negativa del vero
Bertoni ; come non possono aggi-avaria i successivi episodi in cui realtà e fantasia s'intrecciano (l'offerta della polizia tedesca perchè egli continui nella finzione ed assuma il
nome di generale Della Rovere ; la sua introduzione nel
carcere di S. Vittore, perchè identifichi fra gli arrestati il capo della Resistenza ; la sua simulazione nel carcere fra i detenuti l'episodio del biglietto con la frase « Il vento
soffia dall'ovest », e i suoi colloqui col col. Mueller, che dovrebbero identificarsi col col. Rauff, realmente esistito). Ma, in ogni caso, è da tener conto soprattutto che libro e film rivalutano moralmente la figura del falso generale Della Rovere in grado tale da distruggere gli effetti che le alterazioni di fantasia in senso peggiorativo potrebbero avere determinato nel giudizio complessivo sull'uomo.
Come già si è accennato, secondo la ricostruzione fan tastica della fine del pseudo generale, questi, posto di
fronte all'ordine di identificare, con un tranello, il capo della Resistenza, arrestato, si era rifiutato di farlo. Nel
libro il risveglio di una torpida coscienza morale è appena accennato per episodi esteriori. Nel film l'orrore per la
morte del povero Banchelli, seviziato dalle S.S., prepara l'interiore catarsi nella tragica notte che vede il simula
tore fra i detenuti che attendono all'alba la morte : quando
egli ascolta le alte e serene parole di Fabrizio (« . . . spero di aver fatto il mio dovere, qualunque cosa accada. Se tutti l'avessero fatto, forse non ci troveremmo qui den tro »), la solenne preghiera a Dio degli ebrei e il « Padre nostro » mormorato dagli altri detenuti.
Se il Bertoni del libro, lasciando il carcere di S. Vittore
per Possali, ha l'ultimo commosso incontro con il capo
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1245 GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE 1246
partigiano che poteva denunciare e non denunciò, il Bar
done del film coscientemente o volontariamente rifiuta la
salvezza offertagli dal col. Mueller, segue i condannati e
muore con loro, conservando nell'estremo istante quella
dignità che aveva prima assunto per meglio dissimulare
la sua qualità di spia e che invece, dinanzi alla morte, lo
trasfigura e lo presenta agli spettatori come un uomo
purificato e non indegno di invocare, dinanzi agli altri
condannati, il nome della patria. È dunque nel pentimento e nella morte che la figura
del Bertoni, così come il libro e il film ci presentano, trova
piena riabilitazione. I suoi precedenti, la sua figura di
avventuriero senza scrupoli quale appare a Genova e a
Milano prima della sua catarsi, si scolorano e perdono rile
vanza dinanzi al suo estremo atteggiamento : per cui è da
chiedersi se il libro ed il film, pur con il fine generico di
dipingere un episodio e un momento della nostra storia
recente, non abbiano anche, sia pure senza meditato pro
posito, riabilitato nella rielaborazione artistica una figura
che, dipinta nella spoglia e cruda verità storica, si sarebbe
presentata sotto un aspetto squallido e senza luce.
È per questo che la Corte non può ravvisare un'altera
zione in senso peggiorativo della figura del vero Giovanni
Bertoni, che anzi, nell'ambito del Bertone del libro e del
Bardone del film, acquista, sia pure nell'ora estrema, un
grado di nobiltà morale che non consta egli abbia mani
festato anche nella realtà, se pure umanamente devesi
sperarlo. L'azione promossa dalle attrici non può perciò essere
accolta perchè nessun pregiudizio all'onore, al decoro, alla
reputazione del defunto Giovanni Bertoni è derivato dal
libro del Montanelli e dal film prodotto dalla Zebra Film.
Per questi motivi, ecc.
CUKTE D'APPELLO DI BAM.
Sentenza 24 gennaio 1964 ; Pres. Chieppa P. P., Est. Mirto
Randazzo ; Soc. S.a.s.p.i. (Avv. Paparella) e. Finanze.
Tassa sull'entrata — Appaltatore della raccolta delle
immondizie— Profitto della cernita e utilizzazione
dei rifinti — Tassabilità (Legge 20 marzo 1941 n. 366,
raccolta, trasformazione e smaltimento dei rifiuti solidi
urbani, art. 20).
L'appaltatore della raccolta (lei rifiuti e delle immondizie
deve corrispondere l'imposta sulVentrata anche sul pro
fitto ricavato dalla cernita e dalla utilizzazione di tutti
i rifiuti. (1)
La Corte, ecc. — La società S.a.s.p i. lia avuto in ap
palto dai comuni di Bari, Corato e Gioia del Colle la rac
colta dei rifiuti e delle immondizie che, ai sensi dell'art. 13
del contratto, dovevano essere sottoposti ad accurata cer
nita per ricavare rottami di ferro, lamiera, ossa, carta,
stracci, ecc. ed utilizzati quale concime agricolo, mentre i
relativi proventi derivati dalla cernita e dalla vendita di
tutti i rifiuti sarebbero stati di esclusiva proprietà dell'ap
paltatrice. Inoltre nel successivo art. 26 avente per obietto cor
rispettivo dell'appalto, pagamento del canone, era detto
che il canone annuo che il comune si impegnava a corri
(1) Non constano precedenti. Per riferimenti : Cass. 11 novembre 1057, n. 4351, Foro it.,
Bop. 1957, voce Tassa entrata, n. 29 che esenta dall'i.g.e. le
somme introitate dai comuni in dipendenza della gestione del servizio pubblico di raccolta e trasporto dei rifiuti solidi urbani
(contra Trib. Roma 5 febbraio 1954, id., Rep. 1954, voce cit., n. 50).
Sulla qualificazione del contratto con cui il comune affida
ad un privato il compito di svolgere tutte le attività necessarie
por l'esecuaione del servizio di nettezza urbana, Cass. 2 luglio 1957, n. 2557, id., 1958, I, 77, con nota di Coletti.
spondere veniva determinato « tenuto conto dei proventi relativi alla vendita dei rifiuti e delle acque di rifiuto ».
Da ciò si evince manifestamente che le parti, sia il comune sia la società, di comune accordo considerarono la
utilizzazione che dei rifiuti e delle immondizie poteva trarsi
nonché il vantaggio economico che da tale utilizzazione
sicuramente ne derivava, tanto che di ciò tennero conto ai
fini della determinazione del canone annuo che avrebbe
dovuto essere corrisposto. Ma, di fronte alle richieste degli uffici fiscali all'uopo
preposti i quali han domandato il pagamento dell'i.g.e. sui
maggiori corrispettivi ricavati dagli appalti per la raccolta
delle immondizie, ritenendo che i rifiuti e le immondizie
costituiscono parte di canone e corrispettivi in natura, la
S.a.s.p.i. si oppone deducendo :
1) che le immondizie ed i rifiuti che vengono raccolti
non possono considerarsi corrispettivo in natura della
prestazione per il semplice fatto che essi non si appartengono al comune, onde, non potendosi parlare di cessione da parte dello Stato di una cosa che questo non ha, non può eviden
temente configurarsi l'ipotesi di uno scambio che, secondo
l'art. 5 della legge sull'i.g.e., costituisce il presupposto del
l'i.g.e. medesima ;
2) che i rifiuti e le immondizie, all'atto di cui vengono raccolti, non hanno alcun valore economico sicché anche
sotto questo profilo non è configurabile la loro assogget tabilità all'i.g.e. ; e ciò per il fatto che essi acquistano valore
solo successivamente alla raccolta ed a seguito del lavoro, del trattamento e dell'opera esclusiva della società appel lante.
Ma tutte le suddette argomentazioni non han pregio. Una prima considerazione di carattere generale si ricava,
invero, dal contenuto dell'atto che regola i rapporti esi stenti tra il comune e la S.a.s.p.i., per quel che riflette lo
svolgimento del servizio di cui si discute, dal quale si ri cava che i contraenti esplicitamente han preso in conside razione la utilizzazione delle immondizie stabilendo che i
proventi ricavati da tale utilizzazione sarebbero stati di
esclusiva proprietà della società, e, quindi, che ai fini della determinazione del canone si teneva conto dei proventi che l'odierna appellante avrebbe ricavato dalla vendita dei
rifiuti e delle acque di rifiuto. Ora di fronte al contenuto
di tali clausole che indubbiamente hanno un carattere es
senziale e determinante nella economia del rapporto, perchè alla raccolta delle immondizie e dei rifiuti deve seguire ne
cessariamente la loro utilizzazione ed eliminazione (art. 20
legge 20 marzo 1941 n. 366), mentre il pagamento del ca
none costituisce il corrispettivo che l'ente appaltante si
impegna a versare in cambio del servizio espletato, vi è
fondamento da chiedersi per quale motivo si sarebbe pre visto che l'utilizzazione delle immondizie e dei rifiuti doveva
essere fatta dalla società e che, inoltre, i proventi conse
guenti alla loro vendita avrebbero dovuto essere di spettanza della stessa S.a.s.p.i. e che, ancora, di tali proventi si teneva
conto ai fini della determinazione del canone, se, come
assume l'appellante, fosse vero che sui detti rifiuti l'ente
appaltante e cioè il comune non aveva alcun diritto ed
agli stessi, inoltre, non poteva attribuirsi alcun valore
economico.
Ciò premesso si rileva che ai fini di una esatta soluzione della controversia non possa prescindersi dalla considera zione che la raccolta delle immondizie e dei rifiuti costi
tuisce un servizio pubblico, esclusivamente demandato ai
comuni e che rientra tra le funzioni a cui tali enti debbono
per legge obbligatoriamente adempiere. Dal che consegue, attesa la natura e le modalità di svol
gimento del servizio, secondo quanto si evince dalla legge 20~marzo 1941 n. 366 che lo regola, che ogni qual volta il
cittadino si spoglia di taluni oggetti, che hanno la pecu liare caratteristica del rifiuto e della immondizia, abbando
nandoli sulla pubblica via e negli appositi recipienti desti
nati alla raccolta, egli dimostra in modo manifesto di non
avere più alcun interesse alla ritenzione dei medesimi, sicché la proprietà e, quindi, l'appartenenza degli stessi, si
trasferisce a chi li raccoglie, ossia, in riferimento al caso
che ne occupa, al comune che adempie quel pubblico servizio.
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