sentenza 22 marzo 2000, n. 75 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 29 marzo 2000, n. 14);Pres. Guizzi, Est. Ruperto; Comune di Venezia (Avv. Morino); interv. Pres. cons. ministri (Avv.dello Stato Nucaro). Ord. Tar Veneto 30 aprile 1998 (tre) (G.U., 1 a s.s., n. 45 del 1998)Source: Il Foro Italiano, Vol. 123, No. 7/8 (LUGLIO-AGOSTO 2000), pp. 2133/2134-2137/2138Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23194590 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
riamente ed in ogni caso coincidere con la totalità della popola zione dei comuni coinvolti nella variazione. Può ben essere che
la consultazione debba avere siffatta estensione, ma non in for
za di un vincolo costituzionale assoluto, bensì per la sussistenza
di un interesse riferibile all'intera popolazione dei comuni. È
dunque inevitabile riconoscere, in materia, uno spazio al legis latore regionale, oltre che, eventualmente, al legislatore statale
in sede di determinazione dei principi fondamentali. Uno spa
zio, naturalmente, limitato dalla ratio del precetto costituziona
le che impone la consultazione.
Non è dunque di per sé illegittimo che la legge regionale detti
criteri per individuare, nelle varie ipotesi, le popolazioni da con sultare, in relazione al loro essere «interessate» alla variazione.
Ma i criteri dovranno essere tali da non comportare la possibili tà di una identificazione irragionevole delle popolazioni inter pellate, in relazione alle circostanze e ai fattori che conducono
ad individuare l'interesse su cui si fonda l'obbligo di consulta
zione. Soprattutto, detti criteri non potranno essere tali da con
durre ad escludere dalla consultazione gruppi di popolazione
per i quali non possa ragionevolmente ritenersi insussistente un
interesse rispetto alla variazione territoriale proposta. Da questo punto di vista, non potranno in primo luogo mai
essere escluse dalla consultazione, com'è evidente, le popolazio ni residenti nelle aree territoriali destinate a passare ad un co
mune diverso da quello di cui attualmente fanno parte: ed anzi
la posizione particolarmente qualificata di tali popolazioni, di
rettamente interessate alla variazione, è tale che la volontà da
esse espressa deve in ogni caso avere autonoma evidenza nel
procedimento, così che il legislatore regionale ne debba tenere
conto quando adotta la propria finale determinazione, compo nendo nella propria conclusiva valutazione discrezionale gli in
teressi sottesi alle valutazioni, eventualmente contrastanti, emersi
nella consultazione.
I criteri per identificare le altre popolazioni, anch'esse inte
ressate quantunque in modo meno diretto, e dunque da inter
pellare, nelle varie ipotesi di proposta di variazione territoriale, restano affidati alla determinazione del legislatore regionale. Que st'ultimo non può però, come si è detto, adottare criteri tali
da escludere a priori, in modo automatico, popolazioni, resi
denti nei comuni coinvolti dalla variazione (vuoi perché destina
ti a perdere territorio, vuoi perché destinati ad acquistarne), sulla base di elementi di per sé inidonei a comprovare ragione volmente l'assenza di quell'interesse qualificato, al quale il prin
cipio dell'art. 133, 2° comma, ricollega l'obbligo di consulta
zione. Ed è indubbio — in ciò la corte conferma l'orientamento
generale espresso nella sentenza n. 433 del 1995 — che di regola anche le popolazioni dei comuni coinvolti, residenti in aree di
verse da quelle destinate al trasferimento, possono avere un in
teresse rispetto alla viariazione, che va ad incidere sulla dimen
sione e sulla conformazione territoriale del comune in cui esse
insistono. Possono certamente configurarsi situazioni nelle qua li l'esistenza di tale interesse può ragionevolmente escludersi:
ma, appunto, l'esclusione deve fondarsi allora — tanto più quan do sia sancita in astratto, senza riguardo alle singole proposte di variazione — su elementi sicuramente idonei a farne ritenere
insussistente l'irragionevolezza. 6. - Sotto questo riguardo, non appare conforme al principio
di cui all'art. 133, 2° comma, Cost., il criterio adottato nell'art.
6, 1 ° e 2° comma, della legge regionale impugnata, che esclude
a priori dalla consultazione le popolazioni residenti nei comuni
coinvolti, diverse da quelle direttamente interessate, quando la
variazione concerna aree che non raggiungono la soglia mini
ma, rigidamente fissata, del dieci per cento della superficie to
tale del comune o del trenta per cento della popolazione totale
del comune medesimo. La norma non tiene conto che la sottra
zione ad un comune di un'area territoriale, di superficie pur
limitata, può avere una incidenza rilevante sugli interessi del
comune medesimo e della relativa popolazione complessiva, ad
esempio per la particolare conformazione del territorio o per la presenza, nell'area interessata, di infrastrutture o di funzioni
territoriali di particolare rilievo per l'insieme dell'ente locale.
Ancora, nel caso di operazioni di complessivo riaggiustamento
territoriale, coinvolgenti più comuni (come la riunificazione di
un abitato suddiviso fra più comuni in capo ad uno solo di
essi, quale quella realizzatasi nella specie all'esame nel giudizio a quo), e che potrebbero astrattamente realizzarsi in modi di
versi ed in capo a comuni diversi, la norma in esame consente
Il Foro Italiano — 2000.
di attuarle dando preminente rilievo agli interessi del comune
al quale si propone l'aggregazione di più aree, rispetto agli inte
ressi, eventualmente contrastanti, degli altri comuni sul cui ter
ritorio si viene ad incidere. In altri termini, le soglie minime rigide fissate dal legislatore
del Veneto, al di sotto delle quali si esclude in ogni caso l'esten sione della consultazione alle popolazioni, non direttamente in
teressate, dei comuni coinvolti, non concretano criteri tali da
escludere ragionevolmente, per i soli comuni in cui esse non
sono raggiunte, la sussistenza dell'interesse qualificato che giu stifica l'interpello delle popolazioni medesime.
7. - Deve pertanto dichiararsi la illegittimità costituzionale,
per contrasto con l'art. 133 e con l'art. 3 Cost., dell'art. 6, 1° e 2° comma, 1. reg. n. 25 del 1992: libero il legislatore regio nale di sostituirvi un'altra previsione legislativa che detti criteri
di individuazione delle popolazioni interessate alla variazione, esenti dal vizio qui rilevato.
La caducazione di detta norma comporta altresì, di conse
guenza, la dichiarazione d'illegittimità costituzionale della 1. reg. n. 37 del 1995, che ha disposto la variazione territoriale a segui to di un procedimento, nel cui ambito la consultazione delle
popolazioni interessate è avvenuta in applicazione e in confor
mità della norma generale qui dichiarata illegittima. Restano assorbite le ulteriori censure mosse sia all'art. 6 1.
reg. n. 25 del 1992, sia alla 1. reg. n. 37 del 1995. Per questi motivi, la Corte costituzionale:
a) dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 6, 1° e 2° com ma, 1. reg. Veneto 24 dicembre 1992 n. 25 (norme in materia
di variazioni provinciali e comunali), così come modificata dal la 1. reg. Veneto 30 settembre 1994 n. 61 (modificazioni ed inte
grazioni alla 1. reg. 24 dicembre 1992 n. 25); b) dichiara l'illegittimità costituzionale della 1. reg. Veneto
21 aprile 1995 n. 37 (modifica delle circoscrizioni territoriali dei comuni di Bovolone, Isola della Scala e Oppeano della pro vincia di Verona).
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 22 marzo 2000, n. 75
(Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 29 marzo 2000, n. 14); Pres. Guizzi, Est. Ruperto; Comune di Venezia (Avv. Mo
rino); interv. Pres. cons, ministri (Aw. dello Stato Nucaro). Ord. Tar Veneto 30 aprile 1998 (tre) (G.U., la s.s., n. 45
del 1998).
Impiegato degli enti locali — Inquadramenti illegittimi — Ob
bligo di annullamento — Questione infondata di costituzio
nalità (Cost., art. 3, 5, 24, 97, 128; d.p.r. 25 giugno 1983
n. 347, norme risultanti dalla disciplina prevista dall'accordo
del 29 aprile 1983 per il personale dipendente degli enti locali, art. 40; 1. 15 maggio 1997 n. 127, misure urgenti per lo snelli
mento dell'attività amministrativa e dei procedimenti di deci
sione e di controllo, art. 6).
È infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art.
6, 17° comma, l. 15 maggio 1997 n. 127, nella parte in cui
prevede che gli enti locali sono tenuti ad annullare i provvedi menti di inquadramento del personale adottati in modo dif
forme dalle disposizioni del d.p.r. 25 giugno 1983 n. 347 e successive modificazioni e integrazioni e a bandire contestual
mente i concorsi per la copertura dei posti resisi disponibili
per effetto dell'annullamento, in riferimento agli art. 3, 5,
24, 97 e 128 Cost. (1)
(1) La corte ribadisce principi più volte espressi in ordine agli inqua dramenti del personale operati dagli enti locali al di fuori delle procedu
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2135 PARTE PRIMA 2136
Diritto. — 1. - Con tre ordinanze di identico contenuto il
Tar Veneto dubita della legittimità costituzionale dell'art. 6, 17°
comma, 1. 15 maggio 1997 n. 127, nella parte in cui prevede che gli enti locali «sono tenuti ad annullare i provvedimenti di inquadramento del personale adottati in modo difforme dalle
disposizioni del d.p.r. 25 giugno 1983 n. 347 e successive modi
ficazioni e integrazioni, e a bandire contestualmente i concorsi
per la copertura dei posti resisi disponibili per effetto dell'an
nullamento». Il giudice rimettente individua molteplici profili di contrasto con diverse norme costituzionali, e in particolare:
à) con gli art. 3 e 97 Cost., poiché il principio di buon anda mento della pubblica amministrazione risulterebbe compromes so dall'incidenza su posizioni da tempo consolidate, anche a
causa dell'incertezza giuridica insita nella valutazione di diffor
mità degli inquadramenti. Tale effetto sarebbe stato raggiunto dal legislatore attraverso l'imposizione di un uso vincolato dello
strumento dell'autotutela — la quale dovrebbe invece esercitarsi
discrezionalmente, non solo per ripristinare la legalità violata ma anche valutando le esigenze di pubblico interesse legate al
consolidamento delle posizioni in ragione del tempo trascorso — in contraddizione con le rationes della nuova disciplina del
pubblico impiego, così introducendosi nel sistema un elemento
di distorsione della funzionalità degli uffici, lesivo del principio di affidamento, con ulteriore violazione degli evocati parametri;
b) con gli art. 5 e 128 Cost., in quanto l'esercizio obbligato rio dell'autotutela pregiudicherebbe l'autonomia degli enti locali;
c) con gli art. 3 e 24 Cost., per la disparità di trattamento
e la diversità della tutela giudiziaria riservate al personale inte
ressato agli inquadramenti difformi dal d.p.r. n. 347 del 1983
rispetto ai dipendenti inquadrati in base a normative diverse, nonché, sotto altro profilo, tra coloro che possono partecipare ai concorsi interni per la copertura dei posti vacanti e coloro
che si vedono preclusa tale possibilità per mancanza dei titoli
richiesti. 2. - La questione non è fondata.
2.1.- Punto di riferimento necessario per intendere la genesi della denunciata norma è la sentenza di questa corte n. 1 del
1996 (Foro it., 1996, I, 1), che ha dichiarato l'illegittimità costi tuzionale dell'art. 3, comma 6 bis, 1. 24 dicembre 1993 n. 537, introdotto dalla 1. 28 ottobre 1994 n. 596, di conversione del
d.l. 27 agosto 1994 n. 515. Tale norma rendeva validi ed effica
ci i provvedimenti, adottati prima del 31 agosto 1993 e relativi ai dipendenti degli enti locali, che avessero previsto profili pro fessionali ed operato i conseguenti inquadramenti in modo dif
forme dalle disposizioni contenute nel succitato d.p.r. n. 347
del 1983.
Nel corso dei lavori preparatori della legge in esame (recante misure urgenti per lo snellimento dell'attività amministrativa e dei procedimenti di decisione e di controllo), la prima commis
re di reclutamento concorsuali e, nella specie, ritiene che la normativa denunziata per incostituzionalità costituisca, invece, puntuale applica zione di precedente pronunzia che aveva annullato una sanatoria gene ralizzata di inquadramenti illegittimi disposta con l'art. 3, comma 6 bis, 1. 537/93: Corte cost. 9 gennaio 1996, n. 1, Foro it., 1996, I, 1, cui si rimanda per ogni riferimento in materia. Nella motivazione della sen tenza in epigrafe la corte ribadisce la validità, anche dopo la privatizza zione del rapporto di pubblico impiego di cui al d.leg. 29/93, del prin cipio derivante dall'art. 97 Cost, e di generale operatività per tutti gli inquadramenti presso una pubblica amministrazione, secondo cui «ogni incremento del personale deve sempre dipendere dalla preventiva e con dizionante valutazione delle oggettive necessità di personale, la quale si traduce nella definizione delle piante e delle dotazioni organiche». Alle sentenze citate in motivazione adde, sul principio della necessità di concorso pubblico per l'accesso ai ruoli o al superiore inquadramen to nel pubblico impiego, Corte cost. 4 gennaio 1999, n. 1, id., 1999, I, 1, e 30 dicembre 1997, n. 444, ibid., 3683; per ulteriori riferimenti, v. le note di richiami a Cons. Stato, sez. IV, 9 luglio 1998, n. 1068, ibid., Ili, 105, e sez. VI 20 ottobre 1999, n. 1508, id., 2000, III, 122; sui reinquadramenti disposti dall'art. 6, 17° comma, 1. 127/97, v. F. Longo, Aspetti problematici sottesi alla regolamentazione di reinqua dramento fissata dall'art. 6, 17° comma, l. n. 127 del 1997, in Trib. amm. reg., 1998, II, 161 (che parla di attività di «autoannullamento» limitata ai soli rapporti ancora pendenti con esclusione di quelli definiti
per sentenze passate in giudicato o provvedimenti divenuti inoppugna bili); sull'esercizio dell'autotutela da parte della pubblica amministra
zione, v. Tar Toscana, sez. I, 22 ottobre 1999, n. 767, Toscana giur., 2000, fase. 2.
Il Foro Italiano — 2000.
sione permanente della camera dei deputati aveva proposto un
emendamento (al testo trasmesso dal senato), in cui si prevede va la convalida dei provvedimenti che avessero disposto i sud
detti inquadramenti, con deliberazione consiliare che esplicitas se analiticamente le ragioni e i presupposti dei profili conferiti
e degli inquadramenti operati (cfr. atti camera 3 aprile 1997, emendamento n. 8.220) A causa delle perplessità emerse duran
te la discussione circa la legittimità costituzionale di tale norma, il governo recepiva quasi integralmente il contenuto di un altro
emendamento, corrispondente all'attuale formulazione della nor
ma (salvo che per il punto in cui veniva richiesto per i parteci
panti ai concorsi interni il possesso del titolo di studio occor
rente per l'accesso alla qualifica), proponendo a sua volta un
subemendamento, poi approvato nella seduta dell'8 aprile 1997
(cfr. atti camera, subemendamento n. 8.220.2). Nell'illustrazio
ne del nuovo testo venne sottolineato che esso mirava a stabilire
il principio della non automaticità della convalida, che deve es
sere preceduta da una prova selettiva.
Non ottenne invece la maggioranza il testo che — avendo
presente la decisione della corte, richiamata dal presentatore —
richiedeva maggior rigore nella selezione, sulla base d'un ade
guato titolo di studio.
Un dato ulteriore, di cui non si può non tener conto, è poi ravvisabile nella stessa collocazione della norma, inserita in un
provvedimento legislativo che, unitamente alla 1. 15 marzo 1997
n. 59, rende ancora più esplicito il globale processo di riforma
del nuovo modello di organizzazione dell'apparato amministra
tivo (v. sentenza n. 309 del 1997, id., 1997, I, 3484). 2.2. - Ciò premesso, va posta in evidenza la valorizzazione
delle autonomie locali operata dalla 1. n. 127 del 1997, in sinto
nia con quanto sopra riferito, anche nell'ambito della gestione del personale. In particolare, il 9° comma dello stesso articolo
in cui figura la denunciata norma (poi trasfuso nell'art. 36 bis
d.leg. n. 29 del 1993, in contemporanea con l'abrogazione del
l'art. 41 medesimo d. leg. — che il citato 9° comma integrava — disposta dall'art. 43, 1° comma, d.leg. 31 marzo 1998 n.
80) attribuisce al regolamento sull'ordinamento degli uffici e
dei servizi un'ampia gamma di contenuti, che vanno dalle pian te organiche alle modalità di assunzione, ai requisiti di accesso
all'impiego. Il giudice a quo ravvisa nella denunciata norma l'imposizione
di un esercizio vincolato dell'autotutela, stante l'obbligo di an
nullare i provvedimenti d'inquadramento senza alcun margine di discrezionalità, con compressione dell'autonomia degli enti
locali, in contrasto dunque con la surrilevata tendenza legislati va ad accentuarne i poteri. Mentre invece, secondo il rimetten
te, l'autotutela andrebbe esercitata «non solo per il formale ri
pristino della legalità violata, ma tenendo conto anche delle esi
genze di pubblico interesse e del consolidamento delle situazioni
giuridiche soggettive, come effetto del tempo trascorso».
Osserva in proposito la corte che, anzitutto, non è esatto ri
durre ad un caso di esercizio obbligatorio dell'autotutela quella che invece costituisce la determinazione d'una serie di adempi menti imposti alle amministrazioni locali, tutti funzionali al de finitivo riassetto degli inquadramenti del personale in modo con
forme a legge, attraverso un'attività vincolata, in difetto della
quale viene espressamente prevista la necessità della nomina di
un commissario ad acta nell'art. 17, 45° comma, stessa 1. n.
127 del 1997. Ma, a parte ciò, occorre considerare che, in via
di principio, il momento discrezionale del potere della pubblica amministrazione di annullare i propri provvedimenti non gode in sé di una copertura costituzionale. Lo strumento dell'autotu
tela deve sempre essere valutato nel quadro dei principi di im
parzialità, di efficienza e, soprattutto, di legalità dell'azione am
ministrativa, espressi dall'art. 97 Cost.
Tanto basta per escludere la prospettata violazione degli art. 5 e 128 Cost.; e vale inoltre per chiarire quanto subito si dirà
con riferimento all'art. 3, evocato sotto il profilo della ragione
volezza, ed all'art. 97 Cost., anch'essi da ritenersi rispettati dal
la denunciata norma.
2.3. - La previsione d'un potere-dovere di annullamento dei
provvedimenti che avevano disposto gli inquadramenti illegitti mi, lungi dal rappresentare «un elemento di distorsione della
funzionalità degli uffici», come sostiene il Tar rimettente, si
configura invece quale elemento fondante dell'azione ammini
strativa (in quanto corollario del principio di legalità), tra i cui fini deve intendersi compreso quello di evitare il consolidarsi
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di situazioni costituitesi contra legem: che è appunto il fine del
legislatore del 1997, esplicitamente enunciato durante l'iter par lamentare sopra descritto, in coerenza con quanto affermato
da questa corte nella sentenza n. 1 del 1996, cit.
Esaminando tale decisione, il giudice a quo opina che sia sta
ta la vastità dei provvedimenti oggetto della sanatoria a costi
tuire la vera ragione della declaratoria d'illegittimità costituzio
nale della norma allora denunciata, e ne inferisce l'illegittimità della nuova norma, siccome viziata dalla stessa indeterminatez
za. Ma, così, egli non coglie nel segno.
Premesso, infatti, che l'individuazione tipologica dei provve
dimenti da annullare è problema interpretativo concernente l'ap
plicazione, e non la legittimità costituzionale della norma, os
serva la corte come sia ovvio che questa esibisca la medesima
latitudine della norma di sanatoria allora caducata. Considera
to cioè che gli inquadramenti difformi non sono più validi, ap
pare del tutto logico prevedere che siano questi stessi a dover
essere annullati: in un coerente continuum con le affermazioni
di questa corte, la quale, con la più volte citata sentenza, censu
rò l'ampiezza del provvedimento legislativo di sanatoria non già
per sé stessa, bensì in quanto preclusiva dell'individuazione di
una qualsivoglia ratio (che non fosse la mera sanatoria) e, con
seguentemente, della necessaria verifica di compatibilità — ai
fini di un eventuale bilanciamento — tra il principio di buon
andamento e tale ipotetica ratio.
In ordine all'ulteriore profilo, sempre con riferimento ai suin
dicati due parametri, secondo cui la norma esprimerebbe una
logica ormai difforme dalla disciplina privatistica che governa
il pubblico impiego, è appena il caso di rilevare come proprio
il d.leg. n. 29 del 1993 — richiamato dal rimettente a sostegno della sua tesi — costituisca attuazione delle direttive della dele
ga contenuta nella 1. 23 ottobre 1992 n. 421, cioè di norme
fondamentali di riforma economico-sociale (v. sentenza n. 59
del 1997, ibid., 3508), e sia ispirato, in parte qua, a principi
del tutto antitetici a quelli posti a base degli inquadramenti ille
gittimi. L'art. 56 di tale decreto legislativo espressamente esclu
de, al 1 ° comma, che l'esercizio di fatto di mansioni non corri
spondenti alla qualifica d'appartenenza possa avere effetto ai
fini dell'inquadramento del lavoratore. E il divieto è ribadito
altresì all'ultimo comma, nel testo modificato dall'art. 15 d.leg.
29 ottobre 1998 n. 387, in conformità al principio, immediata
mente derivabile dall'art. 97 Cost., per cui ogni incremento del
personale deve sempre dipendere dalla preventiva e condizio
nante valutazione delle oggettive necessità di personale, la quale
si traduce nella definizione delle piante e delle dotazioni organi
che (v. sentenze n. 1 del 1996, cit.; n. 205 del 1996, id., 1996,
I, 2616); queste ultime costituiscono infatti un limite non vali
cabile all'esercizio dello ius variandi nel settore pubblico.
Privo di significato appare poi il generico riferimento alla
disciplina di matrice contrattualistica, la quale, in ragione delle
coordinate legislative entro cui si muove e del sistema dei con
trolli che le è proprio, oltre che per la peculiarità della fonte,
appunto di natura pattizia, non si presta ad essere in alcun mo
do utilizzata come argomento a sostegno della tesi del rimettente.
2.4. - Con riguardo agli ultimi parametri congiuntamente evo
cati, cioè gli art. 3 e 24 Cost., è da negare in radice l'omogenei
tà di situazioni tra chi si sia giovato degli anzidetti inquadra
menti illegittimi e chi abbia invece visto il proprio rapporto di
sciplinato da altre normative; con conseguente esclusione della
prospettata disparità di trattamento.
A identica conclusione deve pervenirsi in merito al raffronto
con il personale in quiescenza (cui sarebbe inapplicabile il di
sposto annullamento), attesa l'evidente diversità delle rispettive
posizioni, anche a prescindere dall'esattezza del presupposto.
Per quanto concerne infine il sistema dei concorsi interni —
dei quali il rimettente afferma l'inidoneità ad evitare un pregiu
dizio ai dipendenti, sia per l'alea che egli ravvisa nel predetto
sistema, sia a causa dell'asserita posizione deteriore di coloro
che non possono parteciparvi per mancanza del titolo di studio
minimo richiesto (posizione comparata con quella degli aventi
diritto al concorso) —, è sufficiente osservare, in aggiunta a
quanto già sopra chiarito: a) che non si vede come il normale
margine di rischio insito in ogni prova selettiva possa fondare,
in riferimento ad un possibile esito negativo, il prospettato dub
bio di violazione dell'art. 24 Cost.: parametro, questo, oltretut
to evocato senza una specifica motivazione, limitandosi il ri
mettente a paventare una «deteriore tutela giudiziaria» per co
Il Foro Italiano — 2000.
loro che abbiano beneficiato degli inquadramenti in questione e non possano partecipare ai concorsi; b) che, all'evidenza, non
sono comparabili le situazioni dei dipendenti a seconda che essi
possiedano il titolo di studio richiesto o ne siano privi, com'è
il caso dei ricorrenti dinanzi al Tar Veneto (rispetto ai quali,
d'altronde, la denunciata norma prevede già una disciplina di
largo favore, richiedendo solo in alternativa il servizio quin
quennale nella qualifica inferiore o il possesso del titolo imme
diatamente inferiore a quello prescritto, laddove il testo origi nariamente proposto prevedeva cumulativamente entrambi tali
requisiti). Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara non fonda
ta la questione di legittimità costituzionale dell'art. 6, 17° com
ma, 1. 15 maggio 1997 n. 127 (misure urgenti per lo snellimento
dell'attività amministrativa e dei procedimenti di decisione e di
controllo), sollevata, in riferimento agli art. 3, 5, 24, 97 e 128
Cost., dal Tar Veneto con le ordinanze indicate in epigrafe.
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 15 febbraio 2000, n.
57 (Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 23 febbraio 2000, n.
9); Pres. Vassalli, Est. Ruperto; Proc. rep. Trib. Palermo
(Avv. Manna) c. Camera dei deputati (Avv. Abbamonte).
Conflitto di attribuzione.
Parlamento — Parlamentare — Conflitto tra poteri — Rileva
zione del traffico telefonico — Acquisizione di tabulati —
Mancata autorizzazione — Contraddittorietà del ricorso —
Inammissibilità (Cost., art. 15, 68, 101, 102, 104, 112; cod.
proc. pen., art. 256).
È inammissibile, per contraddittorietà del ricorso, il conflitto
di attribuzione tra poteri dello Stato proposto dal procurato re della repubblica presso il Tribunale di Palermo nei con
fronti della camera dei deputati a seguito della deliberazione
con cui la stessa, in data 16 luglio 1998, ha negato l'autoriz
zazione ad acquisire e utilizzare i tabulati concernenti il traf
fico telefonico relativo alle utenze d'uso di un deputato inda
gato per i delitti di associazione di tipo mafioso ed altro. (1)
(1) La Corte costituzionale sottolinea l'esistenza di una contraddizio
ne (già rilevabile — ma non rilevata dalla corte in sede di ammissibilità — dal contesto del ricorso) nel fatto che l'autorità giudiziaria si fosse
formalmente rivolta alla camera per ottenere l'autorizzazione, ai sensi
dell'art. 68, 3° comma, Cost., per poi lamentare (una volta negata l'au
torizzazione) la lesione della propria sfera di attribuzioni, adducendo
non già il cattivo esercizio, ma la carenza assoluta del potere stesso
della camera di deliberare in merito all'avanzata richiesta.
Il ricorso del procuratore della repubblica presso il Tribunale di Pa
lermo era stato dichiarato ammissibile da Corte cost., ord. 4 marzo
1999, n. 60, Foro it., 1999, I, 1392, con nota di richiami.
In ordine alle garanzie processuali richieste per l'acquisizione di tabu
lati contenenti «dati esterni», v. Corte cost. 17 luglio 1998, n. 281,
ibid., 433, con nota di richiami e osservazioni di Di Chiara, la quale
ha dichiarato inammissibile, in quanto si chiedeva alla corte un inter
vento additivo invasivo della discrezionalità del legislatore, la questione di costituzionalità dell'art. 267, 1° comma, c.p.p., nella parte in cui
non prevede l'adozione del provvedimento autorizzativo del giudice per la rilevazione del traffico telefonico e l'individuazione delle utenze chia
mate, delle date e dell'ora delle conversazioni. In proposito, v. pure
Trib. Pavia, decr. 1° febbraio 1999, e Trib. Lecce, ord. 5 ottobre 1998,
ibid., II, 346, e Cass. 13 luglio 1998, Gallieri, ibid., 87, con note di
richiami. Sui provvedimenti di convalida e proroga delle intercettazioni telefo
niche, v. Cass. 12 maggio 1999, Trentunzi, id., 2000, II, 39, con nota
di richiami e osservazioni di Di Chiara.
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