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sentenza 22 marzo 2001, n. 73 (Gazzetta ufficiale, 1aserie speciale, 28 marzo 2001, n. 13); Pres....

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sentenza 22 marzo 2001, n. 73 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 28 marzo 2001, n. 13); Pres. Ruperto, Est. Zagrebelsky; Baraldini (Avv. Volo); interv. Pres. cons. ministri (Avv. dello Stato Caramazza). Ord. Trib. sorv. Roma 24 novembre 2000 (G.U., 1 a s.s., n. 3 del 2001) Source: Il Foro Italiano, Vol. 124, No. 5 (MAGGIO 2001), pp. 1441/1442-1447/1448 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23196153 . Accessed: 24/06/2014 20:14 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 91.229.229.177 on Tue, 24 Jun 2014 20:14:29 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sentenza 22 marzo 2001, n. 73 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 28 marzo 2001, n. 13);Pres. Ruperto, Est. Zagrebelsky; Baraldini (Avv. Volo); interv. Pres. cons. ministri (Avv. delloStato Caramazza). Ord. Trib. sorv. Roma 24 novembre 2000 (G.U., 1 a s.s., n. 3 del 2001)Source: Il Foro Italiano, Vol. 124, No. 5 (MAGGIO 2001), pp. 1441/1442-1447/1448Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23196153 .

Accessed: 24/06/2014 20:14

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 22 marzo 2001, n. 73

0Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 28 marzo 2001, n. 13); Pres. Ruperto, Est. Zagrebelsky; Baraldini (Avv. Volo); interv. Pres. cons, ministri (Avv. dello Stato Caramazza). Ord. Trib. sorv. Roma 24 novembre 2000 (G.U., la s.s., n. 3

del 2001).

Esecuzione penale — Convenzione sul trasferimento di per

sone condannate — Accordo bilaterale — Rinvio facolta

tivo dell'esecuzione della pena — Esclusione — Questione infondata di costituzionalità (Cost., art. 2, 3, 25, 27, 32; cod.

pen., art. 147; 1. 25 luglio 1988 n. 334, ratifica ed esecuzione

della convenzione sul trasferimento delle persone condannate, adottata a Strasburgo il 21 marzo 1983, art. 2; 1. 3 luglio 1989

n. 257, disposizioni per l'attuazione di convenzioni interna

zionali aventi ad oggetto l'esecuzione delle sentenze penali, art. 1,3).

E infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2

l. 25 luglio 1988 n. 334, nella parte in cui, dando piena ed

intera esecuzione alla convenzione sul trasferimento delle

persone condannate, adottata a Strasburgo il 21 marzo 1983, consente che gli accordi tra lo Stato di condanna e lo Stato di

esecuzione deroghino all'applicazione dell'art. 147, 1° com

ma, n. 2, c.p., escludendo la possibilità di rinvio facoltativo dell'esecuzione della pena in presenza di condizioni di grave

infermità fisica del condannato, in riferimento agli art. 2, 3, 1° comma, 25, 2° comma, 27, 3° comma, e 32, 1° comma, Cost, (in motivazione, la corte precisa che il potere governa tivo di concordare particolari modalità di esecuzione della

pena deve essere accordato al sistema generale della conven

zione in cui viene a inserirsi, il quale non può non far salvo

l'ordinamento giuridico dello Stato di esecuzione e, in primo

luogo, i suoi principi e le sue regole costituzionali). (1)

(1) I. - La Corte costituzionale risolve il «caso Baraldini» attraverso una pronuncia interpretativa di rigetto, con la quale impone al giudice a

quo di fare applicazione dell'accordo bilaterale tra Italia e Stati uniti, nel quadro della convenzione sul trasferimento delle persone condan

nate, nei limiti in cui esso non si ponga in contrasto con i principi e le norme interni di rango costituzionale. La corte si pronuncia, dunque, in ordine ai limiti entro i quali i trattati internazionali possono essere re

cepiti nell'ordinamento italiano, individuando la loro forza in quella corrispondente alla fonte che ad essi dà piena ed intera esecuzione. A

questa impostazione ha prontamente aderito Trib. sorv. Roma 18 aprile 2001, in questo fascicolo, II, 310, che ha disposto l'ammissione della Baraldini alla detenzione domiciliare.

Sul tema, v. Corte cost. 22 ottobre 1999, n. 388, Foro it., 2000, I, 1072, che ha riconosciuto come spetti al legislatore ordinario dare at tuazione alle norme pattizie contenute in trattati e convenzioni interna

zionali, di per sé non collocate a livello costituzionale. Nel senso della sindacabilità delle leggi di ratifica ed esecuzione

delle convenzioni internazionali, v. Corte cost. 16 maggio 1994, n. 183, id., 1995, I, 3408, con nota di richiami, che ha dichiarato infondata la

questione di legittimità costituzionale dell'art. 2 1. 22 maggio 1974 n.

357, nella parte in cui, dando esecuzione all'art. 6 della convenzione

europea in materia di adozione di minori, firmata a Strasburgo il 24

aprile 1967, permette senza limiti l'adozione di un minore da parte di un solo adottante. Conformemente, v. Corte cost. 27 giugno 1996, n.

223, id., 1996, I, 2586, con nota di richiami e osservazioni di Di Chia

ra, e 1997, I, 2060, con nota di M. Palmieri, che ha dichiarato incosti tuzionale la 1. 26 maggio 1984 n. 225, recante ratifica ed esecuzione del trattato di estradizione tra il governo della Repubblica italiana ed il go verno degli Stati uniti d'America, firmato a Roma il 13 ottobre 1983, nella parte in cui dà esecuzione all'art. IX del trattato medesimo, ove si

prevede l'estradizione anche per i reati puniti con la pena capitale a fronte dell'impegno assunto dal paese richiedente — con garanzie rite nute sufficienti dal paese richiesto — a non infliggere la pena di morte

o, se già inflitta, a non farla eseguire. Per l'affermazione secondo cui le norme convenzionali internazio

nali non possono essere interpretate alla luce del diritto interno come se

esse avessero il ruolo di colmare i vuoti dell'ordinamento nazionale, v.

Corte cost. 30 luglio 1997, n. 288, id., Rep. 1997, voce Convenzioni

internazionali, n. 7. In generale, con riferimento al giudizio di legittimità costituzionale

coinvolgente trattati internazionali, v. Amadeo, I trattati internazionali dinanzi alla Corte costituzionale, Milano, 1999.

Per quel che attiene al problema della parametricità delle fonti di di ritto internazionale, v., in dottrina, Alberghimi, A proposito di conven

zioni internazionali e parametri di costituzionalità, in Giur. costit., 1999, 339; Montanari, Dalla corte una conferma sul rango primario

Il Foro Italiano — 2001.

Diritto. — 1. - Il Tribunale di sorveglianza di Roma, con rife

rimento agli art. 2, 3, 1° comma, 25, 2° comma, 27, 3° comma, e 32, 1° comma, Cost., solleva un dubbio di legittimità costitu

zionale sull'art. 2 1. 25 luglio 1988 n. 334, che dà «piena ed in

tera esecuzione» alla convenzione sul trasferimento delle perso ne condannate, adottata a Strasburgo il 21 marzo 1983.

Dovendosi pronunciare, a norma dell'art. 147, 1° comma, n.

2, c.p., sul differimento dell'esecuzione della pena di persona detenuta della quale si allega la grave infermità fisica, il giudice rimettente osserva:

della convenzione europea dei diritti dell'uomo: ma forse con un'ine dita apertura, ibid., 3001; Sorrenti, La corte corregge il giudice «a

quo» o piuttosto ... sé stessa? In tema dì «copertura» costituzionale della convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, ibid., 2301; Id., La conformità dell'ordina mento italiano alle «norme di diritto internazionale generalmente rico nosciute» e il giudizio di costituzionalità delle leggi, in Dir. e società, 1999, 287; Ruotolo, La «funzione ermeneutica» delle convenzioni in

ternazionali sui diritti umani nei confronti delle disposizioni costituzio nali, id., 2000, 291.

II. - Sulla fattispecie giunta alla cognizione della Corte costituziona

le, v. App. Roma 7 luglio 1999, Foro it., Rep. 1999, voce Esecuzione

penale, n. 105, con cui, nel riconoscere nell'ordinamento italiano due sentenze penali statunitensi, si è evidenziata la possibilità che nell'iter formativo della volontà degli Stati diretta a stabilire i reali termini del

l'accordo, siano inserite condizioni — purché non in contrasto con l'ordinamento giuridico dei due Stati — da garantire mediante impegni reciproci.

In ordine al riconoscimento delle sentenze straniere, v. Cass. 28 feb braio 1997, Giacon, id., Rep. 1997, voce Sentenza straniera o italiana

penale, n. 5, secondo cui l'adattamento della pena inflitta con la sen tenza straniera riconosciuta in Italia deve essere eseguito rispettando la decisione straniera con riferimento al complessivo trattamento che, in virtù di tale titolo e nell'ambito della relativa disciplina,-è-comminato al soggetto; di modo che tale trattamento non può essere più grave di

quello che sarebbe di spettanza sulla base della normativa straniera e

che, di conseguenza, in Italia deve detrarsi dalla pena inflitta il periodo relativo a qualsiasi beneficio concesso dall'autorità straniera. Sull'ap plicabilità della grazia e dell'amnistia, ma non dell'indulto, v. Cass. 22

giugno 1994, Pileggi, id., Rep. 1995, voce cit., n. 12. Nel senso che è

preclusa al giudice l'applicazione della continuazione e per l'afferma zione secondo cui l'autorità giudiziaria italiana difetta di giurisdizione in ordine al riconoscimento di una sentenza straniera per la parte in cui essa concerne una pena pecuniaria, v. Cass. 15 novembre 1993, Di

Carlo, ibid., nn. 4, 5. III. - Sui presupposti per la concessione del differimento dell'esecu

zione della pena, v. Trib. sorv. Milano 23 luglio 1997, id., 1998, II, 32, con nota di richiami e nota di La Greca, secondo cui deve escludersi la sussistenza dei presupposti giustificativi del differimento dell'esecu zione della pena detentiva previsto dall'art. 147, 1° comma, n. 2, c.p. nel caso di persona che, pur essendo affetta da grave infermità fisica, a) non sia oggetto di prognosi infausta quoad vitam (dovendosi distingue re tra l'ipotesi di evento certo o assai probabile e l'ipotesi invece di ri

schio, in relazione al quale nessuna valutazione è dato formulare in or dine al «se» e al «quando» dell'evento temuto); b) non possa — in caso di rimessione in libertà — giovarsi di cure e trattamenti sanitari non

praticabili in alcun luogo di detenzione né in luogo esterno di cura ex art. 11 1. 26 luglio 1975 n. 354; c) non si trovi in condizioni tali che

l'espiazione della pena risulti nei suoi confronti in contrasto con il sen so di umanità. Sull'ampiezza del potere discrezionale del tribunale di

sorveglianza ai fini dell'ammissione del condannato alla detenzione domiciliare nei casi in cui sussistono le condizioni per disporre il diffe rimento dell'esecuzione della pena, v. Cass. 30 giugno 1999, Hass, id.,

Rep. 1999, voce Ordinamento penitenziario, n. 111. Nel senso che, ai fini della concessione del rinvio facoltativo del

l'esecuzione della pena per grave infermità fisica, è necessario che le condizioni patologiche siano tali da rendere obiettivamente impossibile fronteggiarle in ambiente carcerario, a nulla rilevando che esse, indi

pendentemente dal tipo di malattia che le ha determinate, possano esse re trattate meglio in ambiente extracarcerario, v. Cass. 31 gennaio 2000, Carriero, Ced Cass., rv. 215498.

Sulla necessità che. per il rinvio dell'esecuzione della pena per grave infermità fisica ai sensi dell'art. 147, n. 2, c.p., ci si trovi in presenza o di una prognosi infausta quoad vitam oppure che il soggetto abbia biso

gno di cure e trattamenti indispensabili, tali da non poter essere prati cati in regime di detenzione extramuraria neppure mediante ricovero in

ospedali civili o in altri luoghi esterni di cura ai sensi dell'art. 11 1.

354/75, v. Cass. 10 dicembre 1997, Grandelli, Foro it., Rep. 1998, voce

Esecuzione penale, n. 53. Per un'applicazione concreta di tali principi, v. Magistrato sorv. Pisa 20 aprile 1998, id., 1998, II, 447, con nota di

richiami, secondo cui ricorre una grave infermità fisica e va conse

guentemente disposto il differimento dell'esecuzione della pena nel ca so di condannato a pena detentiva che risulti affetto da un rilevante e

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1443 PARTE PRIMA 1444

a) che la persona interessata al provvedimento è stata con

dannata a pena detentiva negli Stati uniti d'America, con due

sentenze riconosciute in Italia;

b) che, in applicazione della convenzione di Strasburgo sul

trasferimento delle persone condannate, essa si trova attual

mente in stato di detenzione in Italia;

c) che l'accordo tra i governi degli Stati uniti d'America e

dell'Italia che ha consentito il trasferimento è accompagnato da

un protocollo contenente una serie di clausole che prevedono e

l'impossibilità di concedere alla persona detenuta benefici com

portanti l'allontanamento, sia pure per brevi periodi, dallo sta

bilimento carcerario — secondo quanto esposto in dettaglio nella narrazione dei fatti — e l'applicabilità di tali limitazioni

anche in caso di malattia, dovendo allora le cure avvenire in uno

stabilimento ospedaliero penale e non in altro stabilimento e

ogni altro problema medico dovendo essere trattato alla stessa

progressivo indebolimento organico (con diminuzione ponderale di ol tre tredici chilogrammi) e un profondo stato di astenia dovuti ad una forma depressiva e reattiva che impedisce al soggetto una congrua ali

mentazione, con effetti tali da rendere concreto il rischio di collasso cardiocircolatorio e da configurare uno stato patologico non suscettibile di adeguate cure nell'ambiente carcerario.

Cass. 28 gennaio 2000, Ranieri, Ced Cass., rv. 215494, ha precisato che, in assenza dell'indicazione di un parametro legislativo al quale ri

ferirsi, la valutazione del giudice deve avere riguardo a una qualsiasi ragione che abbia una certa pregnanza sul piano delle caratteristiche del reo e delle sue condizioni personali e familiari (età, condizioni di salu

te, esistenza o non di garanzie di affidabilità, pericolosità sociale, com

patibilità degli interventi terapeutici con il regime carcerario e così via) o sul piano della gravità e durata della pena da scontare. Conforme

mente, v. Cass. 26 maggio 1999, Nezi, Foro it., Rep. 1999, voce Ordi namento penitenziario, n. 110.

Nel senso che il potere di disporre l'applicazione della detenzione domiciliare in tutti i casi in cui potrebbe darsi luogo a rinvio obbligato rio o facoltativo dell'esecuzione della pena, ai sensi degli art. 146 e 147

c.p., può essere esercitato — atteso il carattere indifferenziato del ri chiamo ai citati articoli del codice penale — anche nel caso di possibile rinvio dell'esecuzione in pendenza di domanda di grazia, previsto dal n. 1 dell'art. 147, v. Cass. 10 gennaio 2000, Belleggìa, Ced Cass., rv. 215935.

In ordine alla ratio dell'istituto, Cass. 19 ottobre 1999, Di Girolamo, id., rv. 214419, ha stabilito che il differimento della pena previsto dal l'art. 147, 1° comma, n. 2, c.p., a differenza della detenzione domicilia re (che, al pari delle altre misure alternative alla detenzione, ha come finalità il reinserimento sociale del condannato), mira soltanto ad evita re che l'esecuzione della pena avvenga in spregio del diritto alla salute e del senso di umanità.

Secondo Cass. 7 dicembre 1999, Saraco, id., rv. 215203, la previsio ne di cui all'art. 47 ter, comma 1 ter, ord. penit., introdotta dall'art. 4, 1° comma, lett. a), 1. 27 maggio 1998 n. 165, secondo cui, «quando po trebbe essere disposto il rinvio obbligatorio o facoltativo dell'esecuzio ne della pena ai sensi degli art. 146 e 147 c.p., il tribunale di sorve

glianza, anche se la pena supera il limite di cui al 1° comma, può di

sporre l'applicazione della detenzione domiciliare» (sul punto specifi co, v. Trib. sorv. Firenze 18 giugno 1998, Foro it., 1998, II, 631, con nota di richiami; Trib. sorv. Milano 7 aprile 1999, id., Rep. 1999, voce cit., n. 113), ha la chiara finalità di colmare una lacuna della previgente normativa, per la quale, in presenza dei presupposti di fatto indicati ne

gli art. 146 e 147 c.p., s'imponeva un'alternativa secca tra carcerazione e libertà senza vincoli; da ciò il rilievo che l'innovazione è venuta a

configurare la polifunzionali del regime detentivo, mirato, per un ver so, all'esigenza di effettività dell'espiazione della pena e del necessario controllo cui vanno sottoposti i soggetti pericolosi, e, per l'altro, ad una esecuzione mediante forme compatibili con il senso di umanità. Cfr. altresì Cass. 28 gennaio 2000, Ranieri, cit., che ha rilevato che il tribu nale di sorveglianza è chiamato a fare una duplice valutazione, dovendo

dapprima verificare la sussistenza delle condizioni richieste dalla legge per disporre il differimento e poi disporre, eventualmente, la detenzione domiciliare in alternativa alla sospensione dell'esecuzione, qualora ri corrano ragioni particolari.

Secondo Cass. 28 ottobre 1999, Ira, Ced Cass., rv. 214590, in caso di

diniego del beneficio, la mancanza di un espresso richiamo all'esigenza di non ledere comunque il fondamentale diritto alla salute ed il divieto di trattamenti contrari al senso di umanità (previsti rispettivamente da

gli art. 32 e 27, 3° comma, Cost.) costituisce un vizio di mancata moti vazione, quando si accompagni all'accertata sussistenza di un quadro patologico di tale gravità da far risaltare ictu oculi la possibilità che es so, nonostante la fruibilità di adeguate cure anche in stato di detenzio ne, dia luogo ad una sofferenza aggiuntiva, derivante proprio dalla pri vazione di libertà in sé e per sé considerata, in conseguenza della quale l'esecuzione della pena risulti incompatibile con i richiamati principi costituzionali.

Il Foro Italiano — 2001.

maniera in cui lo sarebbe se la persona interessata continuasse a

scontare la pena negli Stati uniti d'America;

d) che tali condizioni sono da applicare anche se altre perso ne, in circostanze analoghe, siano ammesse a godere di tratta

menti e benefici esclusi nel caso in questione;

e) che l'accordo tra i governi degli Stati uniti d'America e

dell'Italia prevede che lo Stato italiano, e non solo il governo, sia vincolato al suo rispetto e che, nel caso di violazione di una

qualunque delle condizioni previste, l'accordo sul trasferimento

sia nullo; che l'Italia e la persona detenuta acconsentano, senza

appello, alla richiesta degli Stati uniti d'America di ricondurre

questa persona in uno stabilimento penitenziario statunitense

per scontare la parte restante di pena; che non vi sia rilascio

dalla reclusione per il tempo necessario a prendere decisioni o

risoluzioni in proposito;

f) che le clausole anzidette sono state approvate sulla base

dell'art. 3, par. 1, lett. f), della convenzione, il quale stabilisce

che il trasferimento del condannato ha luogo, tra l'altro, a con

dizione che lo «Stato di condanna» e lo «Stato di esecuzione» si

siano «mis d'accord sur ce transfèrement»;

g) che, alla stregua di tali limitazioni, la possibilità di diffe rimento della pena in caso di grave infermità previsto dall'art.

147 c.p. non potrebbe trovare applicazione, ciò che determine

rebbe tuttavia una violazione dei principi costituzionali sopra indicati.

Poiché, secondo il giudice rimettente, l'effetto ostativo al

l'applicazione dell'art. 147 c.p. deriva dalle clausole dell'ac

cordo tra i governi degli Stati uniti d'America e dell'Italia; poi ché tali clausole —

sempre secondo il giudice rimettente — si

basano sull'applicazione dell'art. 3, par. 1, lett./), della conven

zione di Strasburgo e poiché alla convenzione è stata data ese

cuzione nel nostro ordinamento tramite l'art. 2 1. n. 334 del

1988, si solleva la questione di costituzionalità su questa dispo sizione nella parte in cui, dando esecuzione all'art. 3, par. 1, lett. f), della convenzione, legittima la stipula

— o non esclude

la legittimità della stipula — dell'accordo che impedisce di dare

applicazione all'art. 147 c.p. 2. - Il presidente del consiglio dei ministri interveniente e la

parte privata costituitasi in giudizio prospettano alcune eccezio

ni di inammissibilità della predetta questione. 2.1. - Il presidente del consiglio ritiene innanzitutto che l'ac

cordo intergovernativo, con le garanzie alle quali il governo de

gli Stati uniti ha subordinato il suo consenso, sia già stato defi

nitivamente valutato dalla competente corte d'appello con sen

tenza 7 luglio 1999 (Foro it., Rep. 1999, voce Esecuzione pe nale, n. 105), pronunciata in sede di riconoscimento delle sen

tenze statunitensi di condanna, a norma dell'art. 1 1. 3 luglio 1989 n. 257 (disposizioni per l'attuazione di convenzioni inter

nazionali aventi ad oggetto l'esecuzione delle sentenze penali). Poiché, a norma dell'art. 2 di questa legge, alle sentenze penali straniere è dato riconoscimento a condizione (tra l'altro) che es

se non contengano disposizioni contrarie ai principi fondamen

tali dell'ordinamento giuridico italiano, e poiché nessun rilievo è stato mosso alla legittimità dell'accordo, in generale, o, in

particolare, di specifiche sue clausole, se ne dovrebbe trarre, ad

avviso del presidente del consiglio, che la pronuncia della corte

d'appello copre con la forza della res iudicata ogni questione che, successivamente, possa venire a porsi in proposito. Conse

guentemente, al tribunale di sorveglianza sarebbe preclusa ogni valutazione al riguardo e la questione di legittimità costituzio nale sollevata sarebbe priva di rilevanza.

L'eccezione non può essere accolta.

La sentenza della corte d'appello da cui deriverebbe la pre clusione afferma in generale non potersi «negare la legittimità di un trasferimento che comporti la prosecuzione dell'esecuzio ne per il tempo e secondo le condizioni stabilite dallo Stato di

condanna» e potersi ritenere legittime tali condizioni «se non siano in contrasto con l'ordinamento giuridico dei due Stati» e

«dichiara il riconoscimento» delle sentenze statunitensi «alle condizioni stabilite dagli Stati uniti d'America ed accettate» dalla persona interessata. Tuttavia — salvo che per quanto con cerne la rideterminazione della durata della pena, alla stregua degli art. 10, par. 2, della convenzione e 3, 1° e 2° comma, 1. n. 257 del 1989 — essa non ha svolto alcuna valutazione circa la

legittimità delle specifiche clausole che accompagnano, condi

zionandolo, l'accordo tra governi, in particolare circa quelle re lative ai trattamenti sanitari. Del resto, lo stesso ministro della

giustizia, nella lettera del 28 luglio 1999 con la quale comunica

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

al suo corrispondente dell'amministrazione statunitense l'av

venuto riconoscimento delle sentenze da eseguire in Italia, non

riferisce di un riconoscimento giudiziario ma esclusivamente

dell'accoglimento governativo delle condizioni, accoglimento di cui la sentenza della corte d'appello si limita a dare atto.

Inoltre, mancando una specifica disciplina convenzionale o

legislativa delle condizioni apposte all'accordo di trasferimento

e della loro efficacia, allo stato della legislazione vigente, non

risulta quale possa essere il significato giuridico del riconosci

mento che ha operato l'autorità giudiziaria in tale caso.

Da ultimo — quali che siano la portata e il fondamento nor

mativo di tale riconoscimento, accompagnato da condizioni, della sentenza straniera — l'eccezione in esame implica una

concezione per la quale esso, piuttosto che a riconoscimento di

una sentenza secondo le nostre leggi processuali, si atteggereb be a una sorta di ordine di esecuzione di una disciplina indivi

duale dell'esecuzione della pena concordata tra governi, idoneo

a farla valere nell'ordinamento e a dotarla di forza tale da pre cludere ogni possibile, futura azione a difesa dei diritti del dete

nuto. Il che, tanto più in quanto si tratta di norme in materia di

diritti indisponibili, il cui rispetto non è perciò reso facoltativo

nemmeno dal consenso del soggetto interessato, dimostra, con

l'assurdità della conseguenza, l'insostenibilità della premessa. 2.2. - In secondo luogo, per il presidente del consiglio, l'e

ventuale accoglimento della questione di costituzionalità po trebbe determinare l'applicazione di una disposizione della leg

ge italiana in contrasto con le condizioni nell'accordo stabilite.

In tal caso varrebbe però la clausola di nullità dell'accordo stes

so e opererebbe il consenso preventivamente prestato dal gover no italiano e dalla persona interessata alla richiesta del governo

degli Stati uniti di ripristinare la detenzione nello Stato di con

danna per l'esecuzione della parte restante di pena. La questione di costituzionalità sarebbe allora irrilevante, non potendosi co

munque pervenire, in tale contesto di impegni italiani, all'appli cazione dell'art. 147 c.p.

Sennonché, la citata clausola dell'accordo, riguardante i go verni sul piano dei rapporti internazionali — a parte l'incertezza

circa il vincolo che ne possa derivare nei confronti dell'autorità

giudiziaria sotto la cui giurisdizione si svolge l'esecuzione della

pena in Italia e della quale occorrerebbe comunque un provve dimento di autorizzazione al ri-trasferimento negli Stati uniti —, non esclude affatto di per sé l'adozione di provvedimenti da

parte dell'autorità giudiziaria stessa, incompatibili con le con

dizioni stabilite nell'accordo. Essa prevede invece gli effetti

conseguenti all'eventuale adozione di tali provvedimenti, effet

ti, oltretutto, rimessi a una possibilità — la richiesta del governo

degli Stati uniti — e non dipendenti dalla necessità, ciò che con

ferisce all'eccezione di irrilevanza un carattere soltanto ipoteti co.

2.3. - In terzo luogo, il presidente del consiglio osserva che

l'inapplicabilità dell'art. 147 c.p., prima ancora che dal conte

nuto delle clausole che accompagnano l'accordo tra i governi, deriva dalla stessa convenzione o, meglio, dal meccanismo, re

golato dalla convenzione e prescelto dall'Italia in sede di ade

sione e ratifica: il meccanismo della continuazione dell'esecu

zione della pena inflitta dallo Stato estero (previsto in al

ternativa a quello della conversione della condanna). La conti

nuazione di per sé, indipendentemente da specifici accordi,

comporterebbe, per l'evidente incompatibilità concettuale,

l'impossibilità di concepire un differimento dell'esecuzione. E

ciò, ancora, confermerebbe l'irrilevanza della questione. L'eccezione non può essere accolta per il suo carattere nomi

nalistico. La continuazione, infatti, sta solo a significare, alla

stregua dell'art. 10, par. 1, della convenzione, che l'esecuzione

prosegue, dopo il trasferimento, così come è stabilita nella sen

tenza di condanna (salva l'eventualità dell'adattamento, previ sto nel par. 2 del medesimo art. 10), a differenza di quanto ac

cade con il sistema della conversione della condanna, il quale

comporta la sostituzione di una condanna all'altra, nel rispetto

degli accertamenti contenuti nella prima sentenza e della natura

della pena con essa disposta, secondo l'art. 11 della convenzio

ne. E lo stesso art. 10, par. 1, postula il mantenimento della na

tura e della durata della pena, ma né l'una né l'altra, evidente

mente, sono intaccate dal mero differimento della sua esecuzio

ne.

2.4. - Infine, il presidente del consiglio — subordinatamente

al mancato accoglimento delle precedenti eccezioni di inammis

sibilità — concorda con la parte privata nel ritenere che non

Il Foro Italiano — 2001.

spetti alla Corte costituzionale, ma spetti se mai al giudice ordi

nario, la valutazione circa la conformità all'ordinamento italia

no dell'accordo tra i governi degli Stati uniti e dell'Italia, un ac

cordo che sarebbe privo di natura normativa e, comunque, di

forza di legge. È sufficiente peraltro osservare in contrario che la questione

di costituzionalità, per quanto dalla sua soluzione possano deri

vare conseguenze circa la valutazione della legittimità dell'ac

cordo, non riguarda direttamente l'accordo stesso ma la legge che ha dato esecuzione alla convenzione, contenente una norma

in base alla quale, secondo la prospettazione del rimettente, l'accordo sarebbe stato stipulato dalle autorità di governo dei

due paesi. 3. - La questione di legittimità costituzionale dell'art. 2 1. 25

luglio 1988 n. 334 — ammissibile per le ragioni sopra indicate — è peraltro infondata, alla stregua delle considerazioni che se

guono. 3.1. - L'orientamento di apertura dell'ordinamento italiano

nei confronti sia delle norme del diritto internazionale general mente riconosciute, sia delle norme internazionali convenzionali

incontra i limiti necessari a garantirne l'identità e quindi, innan

zitutto, i limiti derivanti dalla Costituzione.

Ciò vale perfino nei casi in cui la Costituzione stessa offre al

l'adattamento al diritto internazionale uno specifico fondamen

to, idoneo a conferire alle norme introdotte nell'ordinamento

italiano un particolare valore giuridico. I «principi fondamentali

dell'ordinamento costituzionale» e i «diritti inalienabili della

persona» costituiscono infatti limite all'ingresso tanto delle

norme internazionali generalmente riconosciute alle quali l'or

dinamento giuridico italiano «si conforma» secondo l'art. 10, 1°

comma, Cost, (sentenza n. 48 del 1979, id., 1979, I, 1644),

quanto delle norme contenute in trattati istitutivi di organizza zioni internazionali aventi gli scopi indicati dall'art. 11 Cost, o

derivanti da tali organizzazioni (sentenze n. 183 del 1973, id.,

1974,1, 314; n. 176 del 1981, id., 1982,1, 360; n. 170 del 1984, id., 1984,1, 2062; n. 232 del 1989, id., 1990,1, 1855; n. 168 del 1991, id., 1992,1, 660). E anche le norme bilaterali con le quali lo Stato e la Chiesa cattolica regolano i loro rapporti, secondo

l'art. 7, 2° comma, Cost., incontrano, quali ostacoli al loro in

gresso nell'ordinamento italiano, i «principi supremi dell'ordi

namento costituzionale dello Stato» (sentenze nn. 30 e 31 del

1971, id., 1971,1, 525 e 524; nn. 12 e 195 del 1972, id., 1972,1, 580 e 1973, I, 6; n. 175 del 1973, id., 1974, I, 12; n. 16 del 1978, id., 1978, I, 265; nn. 16 e 18 del 1982, id., 1982, I, 934). Le norme di diritto internazionale pattizio prive di un particola re fondamento costituzionale assumono invece nell'ordina

mento nazionale il valore conferito loro dalla forza dell'atto che

ne dà esecuzione (sentenze n. 32 del 1999, id., 1999, I, 740; n.

288 del 1997, id., Rep. 1997, voce Convenzioni internazionali, n. 7, e voce Corte costituzionale, n. 44; n. 323 del 1989, id.,

Rep. 1989, voce Trasporto marittimo, n. 40). Quando tale ese

cuzione è disposta con legge, il limite costituzionale vale nella

sua interezza, alla stessa stregua di quanto accade con riguardo a ogni altra legge. Sottoponendo a controllo di costituzionalità

la legge di esecuzione del trattato, è possibile valutare la con

formità alla Costituzione di quest'ultimo (ad esempio, sentenze

n. 183 del 1994, id., 1995,1, 3408; n. 446 del 1990, id., 1991,1, 1314; n. 20 del 1966, id., 1966, I, 409) e addivenire eventual

mente alla dichiarazione d'incostituzionalità della legge di ese

cuzione, qualora essa immetta, e nella parte in cui immette, nel

l'ordinamento norme incompatibili con la Costituzione (senten ze n. 128 del 1987, id., 1988,1, 1469; n. 210 del 1986, id., 1986, I, 2676).

Non è però questo l'esito del controllo cui si deve pervenire nel caso in esame.

3.2. - Il tribunale rimettente, nel sollevare la questione di co

stituzionalità, ritiene che la norma legislativa impugnata, dando

«piena ed intera esecuzione» alla convenzione, ammetta o non

escluda che il governo italiano — in applicazione dell'art. 3,

par. 1, lett. f), della convenzione — possa pattuire con il gover

no di altro Stato, firmatario della convenzione, condizioni per sonali speciali di esecuzione della pena detentiva, da applicarsi a opera dell'autorità giudiziaria nei confronti della persona de

tenuta trasferita, con preferenza non solo rispetto alle norme le

gislative ma anche rispetto a quelle costituzionali, in materia di

diritti dei detenuti.

Queste proposizioni, tuttavia, prima ancora che alla stregua della Costituzione non si giustificano alla stregua delle norme

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1447 PARTE PRIMA 1448

della convenzione e della legge che a essa ha dato esecuzione.

Le conseguenze del trasferimento sull'esecuzione della con

danna trovano la loro disciplina negli art. da 9 a 15 della con

venzione e nulla vi si dice circa la possibilità che i governi ab

biano di concordare, per singoli condannati, regole di esecuzio

ne speciali che costituiscano eccezioni rispetto all'ordinamento

dello Stato di esecuzione.

Al contrario, l'art. 9, in tema di conseguenze del tra

sferimento nello Stato di esecuzione, al par. 3, stabilisce espres samente e in generale

— con riferimento tanto al sistema della

continuazione dell'esecuzione (sistema prescelto dall'Italia)

quanto a quello della conversione della condanna — che «l'exé

cution de la condamnation est règie par la loi de l'Etat d'exécu

tion et cet Etat est seul compétent pour prendre toutes les déci

sions appropriées». D'altro canto, le Osservazioni intese a faci

litare una risoluzione amichevole delle difficoltà insorte fra l'I

talia e gli Stati uniti concernenti l'applicazione della convenzio

ne sul trasferimento delle persone condannate, formulate dal

comitato per i problemi criminali del Consiglio d'Europa (Stra

sburgo, sessione 8-12 giugno 1998), in riferimento, precisa mente, al caso che ha dato origine al presente giudizio, hanno

riconosciuto che, in base alla convenzione, «se lo Stato di con

danna può sollecitare informazioni allo Stato di esecuzione sui

differenti modi in cui la persona, se trasferita, potrebbe essere

trattata secondo le leggi e le procedure dello Stato di esecuzio

ne, lo Stato di condanna non è certamente legittimato a chiedere

garanzie vincolanti in proposito» e quindi, tanto meno, garanzie circa eccezioni a tali leggi e procedure.

L'art. 10, inoltre, in riferimento al caso della continuazione

dell'esecuzione, dopo aver stabilito, al par. 1, che lo Stato di

esecuzione «est lié par la nature juridique et la durée de la sanc

tion telles qu'elles résultent de la condamnation», regola poi, al

par. 2, il caso dell'adattamento quando vi sia incompatibilità di

natura giuridica o durata della sanzione rispetto alla legislazione dello Stato di esecuzione o quando tale legislazione l'esiga. In

questa ipotesi, lo Stato di esecuzione è abilitato ad adattare, tramite una decisione giudiziaria o amministrativa, la sanzione

(il cui concetto evidentemente abbraccia la condizione giuridica

globale del condannato, costituita dalle situazioni soggettive che

determinano il suo status di persona assoggettata all'esecuzione

della pena) alla pena o misura previste dalla propria legge per reati della stessa natura. La pena e la misura adattate devono

corrispondere «autant que possible» a quella inflitta con la con

danna da eseguirsi. La convenzione è dunque univoca nel riferire l'esecuzione

della pena al regime giuridico vigente nello Stato di esecuzione

e ad assoggettarla alle misure concrete che questo prevede come

appropriate. Essa inoltre vincola lo Stato di esecuzione (nel caso

della continuazione) alla natura e alla durata della sanzione, come stabilite dallo Stato di condanna, ma — in caso di diso

mogeneità tra gli ordinamenti — promuove la corrispondenza,

per quanto possibile, tra le sanzioni, quali pronunciate e quali da

eseguire, dando la preminenza a quanto è richiesto dall'or

dinamento dello Stato di esecuzione.

Nello spirito della convenzione, lo Stato di condanna, dun

que, può potestativamente prestare o negare il suo consenso al

trasferimento del condannato, quando ritenga che il regime le

gale dell'esecuzione penale nel potenziale paese di esecuzione,

rispettivamente, sia o non sia sostanzialmente equivalente a

quello previsto dal proprio ordinamento e, perché possa prende re le proprie determinazioni con cognizione di causa, sarà in

formato circa i caratteri di tale regime nello Stato di esecuzione

(nella specie, tale conoscenza, oltre che attraverso informazioni

offerte dal ministero della giustizia, è stata garantita dal comi

tato per i problemi criminali del Consiglio d'Europa, con anali

tiche prospettazioni nelle già menzionate Osservazioni). Lo

Stato di esecuzione, a sua volta, è vincolato alla natura giuridica e alla durata della sanzione quale è prevista nell'ordinamento

dello Stato di condanna, ma non al di là del limite superato il

quale si determinerebbe una rottura del proprio ordinamento, essendo possibile, per evitare tale conseguenza, operare l'adat

tamento che la salvaguardia di quest'ultimo rende strettamente

necessario. Ciò che chiaramente è escluso dalla convenzione —

e la ragione di tale esclusione, alla luce dei principi dello Stato

di diritto, non necessita di spiegazioni — e l'eventualità che il

soggetto trasferito sia sottoposto a un vero e proprio regime di

Il Foro Italiano — 2001.

esecuzione speciale e personale, concernente i diritti, oltre che i

doveri, che lo riguardano come detenuto.

3.3. - In questo contesto si colloca l'art. 3, par. 1, lett./), della

convenzione, il quale prevede, affinché il detenuto possa essere

trasferito nel suo Stato di cittadinanza, che «l'Etat de condam

nation et l'Etat d'exécution doivent s'ètre mis d'accord sur ce

transfèrement»: una disposizione che, anche secondo l'inter

pretazione che ne dà il Rapport explicatif relatif à la Convention

sur le transfèrement des personnes condamnées (Conseil de

l'Europe, Strasbourg, 1983, § 25), non fa che confermare il

principio-base della convenzione, vale a dire che il trasferi

mento non è obbligatorio ma necessita dell'accordo degli Stati

interessati.

Il tribunale rimettente, tuttavia — così come la corte d'ap

pello nel provvedimento di riconoscimento delle sentenze statu

nitensi di condanna — ha ritenuto che tale disposizione autoriz

zi i governi degli Stati a convenire fra loro particolari condizio

ni relativamente al trasferimento: come possono mettersi d'ac

cordo o possono non mettersi d'accordo, infatti, potrebbero al

tresì mettersi d'accordo a certe condizioni. In ogni caso però, ammessa questa interpretazione, il potere governativo di con

cordare particolari modalità di esecuzione della pena deve esse

re accordato al sistema generale della convenzione in cui viene

a inserirsi, sistema risultante, in particolare, dai già esaminati

art. 9 e 10 i quali, per quanto detto, fanno salvo l'ordinamento

giuridico dello Stato di esecuzione e, in primo luogo, evidente

mente, i suoi principi e le sue regole costituzionali.

Pertanto, l'art. 3, par. 1, lett./), non può essere interpretato nel senso ipotizzato dal rimettente nel sollevare la questione di

legittimità costituzionale.

Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara non fondata

la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2 1. 25 luglio 1988 n. 334 (ratifica ed esecuzione della convenzione sul trasfe

rimento delle persone condannate, adottata a Strasburgo il 21

marzo 1983), sollevata, in riferimento agli art. 2, 3, 1° comma,

25, 2° comma, 27, 3° comma, e 32, 1° comma, Cost., dal Tribu

nale di sorveglianza di Roma, con l'ordinanza indicata in epi

grafe.

CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 16 marzo 2001, n. 65

(Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 21 marzo 2001, n. 12); Pres. Santosuosso, Est. Mezzanotte; Mineracqua-Federa zione delle industrie delle acque minerali e altre (Avv. A.

Romano, Zecca) c. Regione Lombardia (Avv. Caravita di

Toritto). Orci. Tar Lombardia 26 gennaio 1999 (G.U., la s.s., n. 18 del 1999).

Regione in genere e regioni a statuto ordinario — Lombar

dia — Coltivazione delle acque minerali — Indennità ac

cessoria — Questione infondata di costituzionalità (Cost., art. 117; r.d. 29 luglio 1927 n. 1443, norme di carattere legis lativo per disciplinare la ricerca e la coltivazione delle minie

re nel regno, art. 25; d.p.r. 14 gennaio 1972 n. 2, trasferimento

alle regioni a statuto ordinario delle funzioni amministrative

statali in materia di acque minerali e termali, di cave e torbie

re e di artigianato e del relativo personale, art. 1 ; d.p.r. 24 lu

glio 1977 n. 616, attuazione della delega di cui all'art. 1 1. 22

luglio 1975 n. 382, art. 61; 1. reg. Lombardia 29 aprile 1980 n. 44, disciplina della ricerca, coltivazione e utilizzo delle acque minerali e termali, art. 22; 1. 15 marzo 1997 n. 59, delega al

governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della pubblica amministrazione e

per la semplificazione amministrativa, art. 22; 1. reg. Lombar dia 27 gennaio 1998 n. 1, legge di programmazione economi

co-finanziaria ai sensi dell'art. 9 ter 1. reg. 31 marzo 1978 n.

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