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sentenza 22 ottobre 1999, n. 395 (Gazzetta ufficiale, 1aserie speciale, 27 ottobre 1999, n. 43);...

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sentenza 22 ottobre 1999, n. 395 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 27 ottobre 1999, n. 43); Pres. Granata, Est. Mirabelli; Nacci c. Inps; interv. Pres. cons. ministri (Avv. dello Stato Stipo). Ord. Pret. Ivrea 7 gennaio 1998 (G.U., 1 a s.s., n. 20 del 1998) Source: Il Foro Italiano, Vol. 123, No. 2 (FEBBRAIO 2000), pp. 349/350-351/352 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23195438 . Accessed: 25/06/2014 01:05 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 195.78.108.51 on Wed, 25 Jun 2014 01:05:01 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sentenza 22 ottobre 1999, n. 395 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 27 ottobre 1999, n. 43);Pres. Granata, Est. Mirabelli; Nacci c. Inps; interv. Pres. cons. ministri (Avv. dello Stato Stipo).Ord. Pret. Ivrea 7 gennaio 1998 (G.U., 1 a s.s., n. 20 del 1998)Source: Il Foro Italiano, Vol. 123, No. 2 (FEBBRAIO 2000), pp. 349/350-351/352Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23195438 .

Accessed: 25/06/2014 01:05

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Diritto. — 1. - La Corte di cassazione, sezioni unite civili, dubita della legittimità costituzionale dell'art. 379, 3° comma,

c.p.c., nella parte in cui — nei giudizi relativi alle impugnazioni delle sentenze della sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, regolati dagli art. 14 e 17 1. 24 marzo 1958

n. 195 (norme sulla costituzione e sul funzionamento del Consi

glio superiore della magistratura) e dagli art. 59 e 60 d.p.r. 16

settembre 1958 n. 916 (disposizioni di attuazione e coordina

mento della 1. 24 marzo 1958 n. 195, concernente la costituzio

ne ed il funzionamento del Consiglio superiore della magistra tura e disposizioni transitorie) — si applica anche allorché il

ricorso venga proposto dal procuratore generale presso la Corte

di cassazione; secondo la corte rimettente la norma, consenten

do al pubblico ministero di esporre oralmente le sue conclusioni

dopo che le altre parti hanno già esposto le loro argomentazio

ni, pone l'organo titolare dell'azione disciplinare ex art. 14 1.

n. 195 del 1958 in una posizione processuale di vantaggio, tale

da violare il diritto di difesa delle altre parti garantito dall'art.

24 Cost., perché queste ultime, nel corso della discussione fina

le e prima quindi della decisione del giudice in camera di consi

glio, non sarebbero messe in condizione di poter adeguatamente

replicare alle conclusioni motivate del pubblico ministero.

2. - La questione, nei termini in cui viene prospettata nell'or

dinanza della corte rimettente, non è fondata.

Il procedimento disciplinare riguardante i magistrati è regola to dagli art. 14 e 17 1. n. 195 del 1958 e dalle norme di attuazio

ne emanate con il d.p.r. n. 916 del 1958; l'art. 14, n. 1, della

legge citata prevede che l'azione disciplinare possa essere eserci

tata, oltre che dal ministro di grazia e giustizia, anche dal pro curatore generale presso la Corte di cassazione «nella sua quali tà di pubblico ministero presso la sezione disciplinare del consi

glio superiore»; l'art. 17, 3° comma, della stessa legge stabilisce

che «contro i provvedimenti in materia disciplinare, è ammesso

ricorso alle sezioni unite della Corte suprema di cassazione. Il

ricorso ha effetto sospensivo del provvedimento impugnato»;

infine, l'art. 60 d.p.r. n. 916 del 1958 prevede che «il ricorso

previsto nell'art. 17, ultimo comma, della legge, può essere pro

posto alle sezioni unite civili della Corte suprema di cassazione

dal ministro per la grazia e giustizia, dal procuratore generale

presso la stessa corte e dall'incolpato entro sessanta giorni dalla

comunicazione del provvedimento disciplinare in copia integrale». Una volta instauratosi il giudizio di impugnazione, il proces

so davanti alla Corte di cassazione si svolge secondo le regole

generali e in modo tale da consentire il pieno dispiegarsi del

diritto di difesa nel contraddittorio di tutte le parti. Il procedi mento davanti alle sezioni unite è regolato dalle norme del libro

II, titolo III, capo III c.p.c., che disciplinano, tra l'altro, la

forma ed il contenuto del ricorso (art. 366 c.p.c.), la possibilità

per la controparte di presentare il controricorso (art. 370 c.p.c.)

della legge e che le parti possono presentare brevi osservazioni scritte in ordine alle conclusioni del procuratore generale intervenuto dopo di

loro, v. Cass. 17 dicembre 1997, n. 12751, Foro it., Rep. 1997, voce Ordinamento giudiziario, n. 210; 5 febbraio 1996, n. 949, id., Rep. 1996, voce cit., n. 200; 18 novembre 1992, n. 12339, id., Rep. 1992, voce cit., n. 178; 21 dicembre 1989, n. 5761, id., Rep. 1989, voce cit., n. 185; 22 agosto 1989, n. 3736, id., 1990, I, 1916, con nota di richiami.

Nel senso che la previsione dell'art. 107 Cost, non esclude un paralle lo potere di organi interni all'ordine giudiziario di esercitare l'azione

disciplinare e di ricorrere contro i provvedimenti della sezione discipli nare del Csm, per cui la relativa questione di costituzionalità deve rite nersi manifestamente infondata, v. Cass. 11 maggio 1995, n. 5132, id., Rep. 1995, voce cit., n. 123; 14 giugno 1993, n. 6612, id., Rep. 1994, voce cit., n. 117, commentata da Nardozza, in Giust. civ., 1994, I, 145.

Per l'affermazione secondo cui nelle regole del procedimento di im

pugnazione davanti alla Corte di cassazione delle decisioni in materia

disciplinare dei consigli nazionali degli ordini professionali non è ravvi sabile la violazione dei principi dettati dall'art. 6 della convenzione dei diritti dell'uomo per mancata concessione all'incolpato del diritto ad intervenire per ultimo, in quanto l'art. 379 c.p.c. consente ai difensori delle parti, a tutela del diritto di difesa, di presentare osservazioni per iscritto dopo le conclusioni formulate dal p.m. in sede di discussione

orale, v. Cass. 12 luglio 1999, n. 7342, Foro it., Mass., 843, e 5 feb braio 1999, n. 39/SU, ibid., 90.

Per la manifesta infondatezza della questione di costituzionalità del l'art. 379 c.p.c., nella parte in cui ammette le parti a replicare solo

per scritto alle conclusioni del procuratore generale, v. Cass. 26 settem bre 1995, n. 10163, id., 1996, I, 1637, con nota di richiami e nota di Cipriani. [R. Romboli]

Il Foro Italiano — 2000.

e l'eventuale ricorso incidentale, cui il ricorrente può a sua vol

ta resistere con il suo controricorso (art. 371 c.p.c.), ed ancora

la facoltà per tutte le parti di presentare memorie prima dell'u

dienza di discussione (art. 378 c.p.c.) ed infine, per le parti pri

vate, di presentare alla stessa udienza brevi osservazioni scritte

sulle conclusioni orali del pubblico ministero (art. 379, 4° com

ma, c.p.c.). 3. - Nel quadro complessivo delle disposizioni del codice di

procedura civile che regolano il processo davanti alla Corte di

cassazione, considerata la scansione temporale e logica degli at

ti difensivi che precedono l'udienza, l'ordine della discussione

finale, ed in particolare il fatto che il pubblico ministero presso la corte, anche quando riveste il ruolo di ricorrente, concluda

all'udienza dopo che gli avvocati delle parti private hanno illu

strato le loro difese, non comporta alcuna violazione del diritto

di difesa costituzionalmente garantito dall'art. 24 Cost.

Tale diritto può dispiegarsi pienamente nei modi previsti dal

la vigente legge, senza che dall'ordine degli interventi possa de

rivare alcun pregiudizio alla difesa delle parti; infatti, vertendo

la discussione solo sulle difese già proposte, non è consentito

alle parti, e perciò anche al pubblico ministero, portare alla

cognizione del giudice fatti o motivi nuovi e diversi da quelli

trattati, onde l'assoluta irrilevanza, sotto il profilo del parame tro costituzionale invocato, dell'ordine della discussione orale; va infatti sottolineato che le conclusioni motivate del pubblico

ministero, così come le difese svolte dagli avvocati delle parti, hanno una funzione semplicemente illustrativa delle posizioni

già assunte negli atti precedenti, secondo uno schema nel quale il principio del contraddittorio è pienamente rispettato.

Il diritto di difesa, anche nei casi quali quello esaminato dal

giudice a quo può quindi compiutamente essere esercitato, una

volta osservate le norme sopra illustrate, contenute nel libro

II, titolo III, capo III c.p.c., tanto più che le osservazioni scrit

te (di cui è consentito il deposito ex art. 379, 4° comma, c.p.c.) costituiscono l'ultimo atto inserito nel fascicolo processuale e

configurano un mezzo non inidoneo per portare a conoscenza

del giudice le considerazioni difensive delle parti private sulle

conclusioni orali del pubblico ministero.

Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara non fonda

ta la questione di legittimità costituzionale dell'art. 379, 3° com

ma, c.p.c. sollevata in riferimento all'art. 24 Cost, dalla Corte

di cassazione, sezioni unite civili, con l'ordinanza in epigrafe.

CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 22 ottobre 1999, n. 395

(Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 27 ottobre 1999, n. 43); Pres. Granata, Est. Mirabelli; Nacci c. Inps; interv. Pres.

cons, ministri (Avv. dello Stato Stipo). Ord. Pret. Ivrea 7

gennaio 1998 (G.U., la s.s., n. 20 del 1998).

Previdenza e assistenza sociale — Assegno di invalidità — Inte

grazione al minimo — Reddito ostativo — Coniuge autoriz

zato a vivere separato — Questione infondata di costituzio

nalità (Cost., art. 3, 38; cod. proc. civ., art. 708; 1. 12 giugno 1984 n. 222, revisione della disciplina della invalidità pensio nabile, art. 1).

È infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art.

1, 4° comma, l. 12 giugno 1984 n. 222, nella parte in cui

non consentirebbe di integrare al minimo l'assegno ordinario

di invalidità, qualora il reddito risulti superiore a tre volte

l'importo della pensione sociale se cumulato con quello del

coniuge, anche in ipotesi di separazione autorizzata ancora

solo in via provvisoria dal presidente del tribunale, in riferi mento agli art. 3 e 38, 1° comma, Cost. (1)

(1) La corte risolve a livello interpretativo la questione sollevata dal

giudice a quo, chiarendo che l'espressione «separati legalmente» (che si rinviene nell'art. 1, 4° comma, 1. 222/84, per escludere la possibilità di cumulo dei redditi al fine di verificare la sussistenza del requisito

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PARTE PRIMA

Diritto. —- 1. - La questione di legittimità costituzionale inve

ste la disciplina dell'integrazione dell'assegno ordinario di inva

lidità al trattamento minimo, disciplina la quale prevede, secon

do il giudice rimettente, che si debba tenere conto del cumulo

dei redditi propri con quelli del coniuge, anche quando essi vi

vono separati a seguito di un provvedimento emanato dal presi dente del tribunale, in base all'art. 708 c.p.c.

Il Pretore di Ivrea ritiene che possa essere in contrasto con

gli art. 3 e 38, 1° comma, Cost., l'art. 1, 4° comma, 1. 12

giugno 1984 n. 222 (revisione della disciplina dell'invalidità pen

sionabile), il quale prevede che l'integrazione al trattamento mi

nimo «per i soggetti coniugati e non separati legalmente» non

spetta qualora il reddito, cumulato con quello del coniuge, sia

superiore a tre volte l'importo della pensione sociale. Difatti

tale cumulo opererebbe anche quando il titolare dell'assegno viva separato dal coniuge a seguito di un provvedimento giudi ziale di separazione provvisoria. In questa situazione l'integra zione del trattamento pensionistico, destinata a fornire a chi

sia inabile i mezzi necessari per vivere, non potrebbe essere at

tribuita, anche se il titolare dell'assegno non può più contare

sui redditi del coniuge, mentre vengono meno le economie con

nesse con la convivenza e molte spese, in precedenza affrontate

con le risorse familiari, devono essere duplicate. 2. - L'avvocatura dello Stato prospetta l'inammissibilità della

questione di legittimità costituzionale, perché prima di sollevar

la il giudice rimettente avrebbe dovuto decidere sull'eccezione, formulata dall'Inps, di decadenza della domanda presentata dal

l'interessata.

L'eccezione non è fondata. Pur senza considerare che l'ordi

ne nel quale devono essere decise le diverse questioni proposte nel giudizio principale non è sindacabile nel giudizio di legitti mità costituzionale (sentenza n. 100 del 1993, Foro it., 1993,

I, 2445), è da rilevare che il giudice rimettente motiva, per esclu

derla espressamente, la fondatezza dell'eccezione di decadenza, considerata pregiudiziale rispetto al giudizio di merito nel quale trova applicazione la norma denunciata.

Egualmente infondate sono le eccezioni di inammissibilità pro

spettate sul presupposto che l'ordinanza di rimessione si espri ma in termini dubitativi e richieda un intervento additivo che

tocca la discrezionalità del legislatore. Difatti il giudice rimet

tente, pur segnalando i diversi inconvenienti che la disciplina del cumulo dei redditi dei coniugi, ai fini dell'integrazione dei trattamenti pensionistici, presenterebbe in ogni caso di separa

zione, prende posizione sull'interpretazione che intende dare al

la disposizione denunciata, sulla cui base prospetta, poi, il dub

bio di legittimità costituzionale. Né si può ritenere che la pro nuncia richiesta renda necessaria una innovazione legislativa,

giacché si tratterebbe di applicare ai coniugi che vivono separati a seguito di un provvedimento adottato in base all'art. 708 c.p.c. la stessa disciplina prevista dal legislatore per la integrazione al minimo in caso di separazione giudiziale o consensuale omo

logata. 3. - Nel merito la questione non è fondata.

La premessa dalla quale traggono origine i dubbi di legittimi tà costituzionale è costituita dall'interpretazione dell'art. 1, 4°

comma, 1. n. 222 del 1984, che, facendo riferimento ai coniugi

«separati legalmente», non comprenderebbe quelli che vivono

reddituale che consente l'integrazione al minimo dell'assegno di invali

dità) va intesa come comprensiva della situazione che deriva a seguito dell'ordinanza con cui, ai sensi dell'art. 708 c.p.c., il presidente del tribunale detta i provvedimenti provvisori sulla domanda di separazione dei coniugi.

Sulla distinzione del requisito reddituale in discorso da quello previ sto dall'art. 8 d.l. 463/83, convertito in 1. 638/83, relativo alla pensione di invalidità costituita in base alla normativa previgente alla 1. 222/84, v. Cass. 5 marzo 1999, n. 1885, Foro it., Mass., 280. Sulle modalità di calcolo del reddito ostativo ex art. 8 cit., v., pure, Corte cost. 8

giugno 1992, n. 258, id., 1992, I, 2923, con nota di richiami. Pret. Catania 16 novembre 1990, id., Rep. 1991, voce Previdenza

sociale, n. 732, ha ritenuto non fondata la questione di costituzionalità dell'art. 1, 4° comma, 1. 222/84, ipotizzata per il fatto che non agevole rebbe la formazione della famiglia e l'adempimento da parte dei coniu

gi dei compiti conseguenti, in relazione agli art. 31 e 38 Cost. Nel senso che l'importo a calcolo dell'assegno d'invalidità concorre

alla formazione del reddito che impedisce l'integrazione al minimo del la prestazione stessa, cfr. Pret. Macerata 2 agosto 1993, id., 1994, I, 3272, con nota di richiami.

Il Foro Italiano — 2000.

separati a seguito di un provvedimento giudiziale adottato in

base all'art. 708 c.p.c. Ma questa interpretazione non è esatta.

Nel contesto della legislazione previdenziale il legislatore ha

più volte fatto riferimento a persona «legalmente separata», usan

do una espressione che non corrisponde letteralmente a quelle usate dal codice civile nel capo dedicato alla «separazione dei

coniugi» (art. 150), che nell'ambito della «separazione persona le dei coniugi» comprende la «separazione giudiziale» (art. 151) e la «separazione consensuale» (art. 158).

La diversità delle espressioni letterali rispecchia la diversa am

piezza del contenuto da attribuire alla locuzione «separati legal

mente», anche tenendo conto delle finalità che caratterizzano

la norma previdenziale nel prendere in considerazione i redditi

propri o dei quali la persona comunque può godere in ragione della solidarietà familiare.

Secondo il criterio di interpretazione letterale, «separato le

galmente» è da intendere il coniuge che si trovi in tale situazio

ne in base ad un titolo legale e non per una mera evenienza

di fatto. Quando i coniugi siano autorizzati a vivere separati a seguito dell'ordinanza emanata dal giudice (art. 708 c.p.c.), il titolo legale di separazione esiste e non solo dà certezza del

momento genetico di tale situazione, ma regolamenta (sia pure

provvisoriamente) anche i rapporti, in particolare patrimoniali, tra i coniugi che vivono separati. Tale interpretazione dell'e

spressione «separati legalmente», come comprensiva della situa

zione che deriva a seguito dell'ordinanza prevista dall'art. 708

c.p.c., è l'unica coerente con la finalità della norma previden ziale che, considerando, ai fini dell'integrazione al trattamento

minimo, il cumulo dei redditi del titolare dell'assegno con quelli del coniuge, presuppone che a determinati e comuni bisogni di

vita possa essere data soddisfazione con le risorse del coniuge nel contesto della solidarietà familiare. Per i coniugi separati

questa disponibilità di risorse è contenuta nei limiti dell'even

tuale assegno posto a carico di uno di essi e del quale si tiene

conto ai fini della determinazione del reddito di chi lo riceve

(art. 47 d.p.r. 22 dicembre 1986 n. 917). Ciò vale anche nella

separazione basata sull'art. 708 c.p.c., tanto più che l'ordinan

za presidenziale, fino a quando non sia sostituita da altro prov

vedimento, conserva la sua efficacia, che mantiene anche dopo l'estinzione del processo (art. 189 disp. att. c.p.c.).

È ben vero che il provvedimento presidenziale non determina

una situazione irreversibile; ma in ogni caso di separazione, sia

giudiziale o consensuale, sia a seguito del provvedimento presi denziale emanato in base all'art. 708 c.p.c., le parti possono di comune accordo far cessare gli effetti della separazione, sen

za che sia necessario alcun intervento del giudice, con una di

chiarazione espressa o con un comportamento non equivoco che

sia incompatibile con lo stato di separazione (art. 157 c.c.). Si deve, dunque, ritenere che anche la separazione basata sul

l'art. 708 c.p.c., rientri nella previsione dell'art. 1, 4° comma, 1. n. 222 del 1984.

Anche se questa interpretazione fosse solo una delle diverse

consentite dalla disposizione denunciata, essa dovrebbe comun

que essere preferita dal giudice, in rispondenza ai principi costi

tuzionali richiamati dall'ordinanza di rimessione (cfr. sentenza

n. 363 del 1997, id., 1998, I, 348). Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara non fonda

ta la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, 4° com

ma, 1. 12 giugno 1984 n. 222 (revisione della disciplina della

invalidità pensionabile), sollevata, in riferimento agli art. 3 e

38, 1° comma, Cost., dal Pretore di Ivrea con l'ordinanza indi

cata in epigrafe.

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