+ All Categories
Home > Documents > sentenza 23 aprile 1986, n. 110 (Gazzetta ufficiale, 1aserie speciale, 30 aprile 1986, n. 17); Pres....

sentenza 23 aprile 1986, n. 110 (Gazzetta ufficiale, 1aserie speciale, 30 aprile 1986, n. 17); Pres....

Date post: 31-Jan-2017
Category:
Upload: vuonghanh
View: 215 times
Download: 0 times
Share this document with a friend
4
sentenza 23 aprile 1986, n. 110 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 30 aprile 1986, n. 17); Pres. Paladin, Rel. Conso; Terruzzi; Avagliani; Iacomino; Sacco; Ortolani (Avv. Pannain, Savoldi); Corallo. Ord. Trib. Milano 5 giugno 1984 (G.U. n. 34 bis del 1985); Cass. 13 luglio 1984 (G.U. n. 65 bis del 1985); 26 novembre 1984 (G.U. n. 167 bis del 1985); 17 dicembre 1984 (G.U. n. 179 bis del 1985); 12 gennaio 1985 (G.U. n ... Source: Il Foro Italiano, Vol. 110, No. 6 (GIUGNO 1987), pp. 1709/1710-1713/1714 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23178607 . Accessed: 28/06/2014 08:17 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 91.220.202.120 on Sat, 28 Jun 2014 08:17:34 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
Transcript
Page 1: sentenza 23 aprile 1986, n. 110 (Gazzetta ufficiale, 1aserie speciale, 30 aprile 1986, n. 17); Pres. Paladin, Rel. Conso; Terruzzi; Avagliani; Iacomino; Sacco; Ortolani (Avv. Pannain,

sentenza 23 aprile 1986, n. 110 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 30 aprile 1986, n. 17);Pres. Paladin, Rel. Conso; Terruzzi; Avagliani; Iacomino; Sacco; Ortolani (Avv. Pannain, Savoldi);Corallo. Ord. Trib. Milano 5 giugno 1984 (G.U. n. 34 bis del 1985); Cass. 13 luglio 1984 (G.U. n.65 bis del 1985); 26 novembre 1984 (G.U. n. 167 bis del 1985); 17 dicembre 1984 (G.U. n. 179 bisdel 1985); 12 gennaio 1985 (G.U. n ...Source: Il Foro Italiano, Vol. 110, No. 6 (GIUGNO 1987), pp. 1709/1710-1713/1714Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23178607 .

Accessed: 28/06/2014 08:17

Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at .http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp

.JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range ofcontent in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new formsof scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected].

.

Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to IlForo Italiano.

http://www.jstor.org

This content downloaded from 91.220.202.120 on Sat, 28 Jun 2014 08:17:34 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

Page 2: sentenza 23 aprile 1986, n. 110 (Gazzetta ufficiale, 1aserie speciale, 30 aprile 1986, n. 17); Pres. Paladin, Rel. Conso; Terruzzi; Avagliani; Iacomino; Sacco; Ortolani (Avv. Pannain,

GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

mento degli uffici e del personale dell'amministrazione regiona

le») quanto alla nota c) della tabella N, ad essa allegata; 2) degli

art. 1 e 4 della legge della stessa regione 26 ottobre 1972 n. 53

(«interpretazione autentica della norma contenuta nella nota c

alla tabella N annessa alla 1. reg. 23 marzo 1971 n. 7, concernen

te l'ordinamento degli uffici e del personale dell'amministrazione

regionale»); 3) della 1. reg. sic. 1° agosto 1974 n. 30 («nuove

norme sull'ordinamento degli uffici e del personale dell'ammini

strazione regionale»), quanto alla nota è) alla tabella contenuta

nell'art. 8, sollevate con le ordinanze di cui in epigrafe in riferi

mento agli art. 3, 5 e 36 Cost, e 1 e 14 dello statuto della regione

siciliana.

CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 23 aprile 1986, n. 110

('Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 30 aprile 1986, n. 17); Pres. Paladin, Rei. Conso; Terrazzi; Avagliani; Iacomino; Sac

co; Ortolani (Aw. Pannain, Savoldi); Corallo. Ord. Trib. Mi

lano 5 giugno 1984 (G.U. n. 34 bis del 1985); Cass. 13 luglio

1984 (G.U. n. 65 bis del 1985); 26 novembre 1984 (G.U. n.

167 bis del 1985); 17 dicembre 1984 (G.U. n. 179 bis del 1985); 12 gennaio 1985 (G.U. n. 131 bis del 1985); 15 gennaio 1985

(G.U. n. 137 bis del 1985); 14 febbraio 1985 (G.U. n. 208 bis del 1985).

Libertà personale dell'imputato — Mandato di cattura — Rigetto

dell'istanza di revoca — Impugnabilità da parte dell'imputato — Mancata previsione — Incostituzionalità (Cost., art. 3, 24;

cod. proc. pen., art. 263).

È illegittimo, per violazione degli art. 3 e 24 Cost., l'art. 263,

2° comma, c.p.p. (sia nel testo sostituito dall'art. 6 l. 12 ago

sto 1982 n. 532, sia in quello sostituito in forza dell'art. 18

l. 28 luglio 1984 n. 398), nella parte in cui non riconosce al

l'imputato il diritto di proporre appello avverso l'ordinanza che

rigetta l'istanza di revoca del mandato di cattura. (1)

(1) 1. - A seguito di numerose ordinanze di rimessione, la Corte costi

tuzionale è stata chiamata ad occuparsi della legittimità, con riferimento

agli art. 3 e 24 Cost., dell'art. 263, 2° comma, c.p.p., sia nel testo sosti

tuito in forza dell'art. 6 1. 12 agosto 1982 n. 532 (cfr. Illuminati, in

Legislazione pen., 1983, 96), sia nel testo sostituito dall'art. 18 1. 28 lu

glio 1984 n. 398 (cfr. Illuminati, id., 1985, 219) nella parte in cui non

era prevista l'appellabilità da parte dell'imputato del provvedimento di

rigetto dell'istanza di revoca del mandato o dell'ordine di cattura (per

l'esperibilità, nel caso di specie, del ricorso per cassazione previsto in

via generale dagli art. Ili, 2° comma, e 190, 2° comma, c.p.p. cfr.,

per tutte, Cass. 28 gennaio 1984, Genghini, Cass, pen., 1985, 824; 26

ottobre 1983, Mastrangeli, Foro it., Rep. 1985, voce Libertà personale

dell'imputato, n. 320; 9 novembre 1981, Pult, id., Rep. 1983, voce cit.,

n. 113). Due erano i profili di illegittimità dell'art. 263, 2° comma, c.p.p. pro

spettati dalle ordinanze di rimessione.

Da un lato, si lamentava la disparità di trattamento tra imputato lati

tante (nei confronti del quale, per pacifico indirizzo giurisprudenziale, si applica soltanto l'istituto della revoca del mandato di cattura ai sensi

dell'art. 260, 1° comma, c.p.p.) e imputato detenuto: il primo non legitti

mato, ove vengano a mancare le condizioni che giustificano il mandato

di cattura, a chiedere un controllo di merito sul diniego di revoca del

provvedimento restrittivo della libertà personale; il secondo, in forza de

gli art. 269, 1° comma, e 272 bis c.p.p., legittimato ad appellare al c.d.

tribunale della libertà l'ordinanza del giudice istruttore, «che gli rifiuta

la scarcerazione richiesta per essere venute meno le condizioni legittima

trici del provvedimento di cattura».

Dall'altro lato, si lamentava la ingiustificata disparità di trattamento

tra imputato e pubblico ministero: il primo non legittimato a proporre

appello nei confronti dell'ordinanza del giudice istruttore che abbia re

spinto l'istanza di revoca del mandato di cattura; il secondo legittimato

a promuovere il giudizio di appello avverso il provvedimento con il quale

il giudice istruttore abbia revocato il mandato di cattura.

La Corte costituzionale, nella sentenza in epigrafe, ha ritenuto priorita

rio l'esame della seconda censura, sia perché si tratta di una doglianza

«non vincolata ad una particolare interpretazione normativa», sia in quanto

Il Foro Italiano — 1987.

Diritto. — 1. - Le nove ordinanze riassunte in narrativa, la

prima delle quali proveniente dal Tribunale di Milano e le altre

otto dalla Corte di cassazione, sollevano questioni di legittimità

costituzionale sostanzialmente coincidenti: i relativi giudizi van

no, pertanto, riuniti per essere decisi con un'unica sentenza.

2. - Comune oggetto di censura è l'art. 263, 2° comma, c.p.p.

nella parte in cui non riconosce all'imputato il diritto di proporre

appello contro l'ordinanza che rigetta l'istanza di revoca del man

dato di cattura.

Trattandosi di un comma la cui formulazione è stata sostituita

dapprima ad opera dell'art. 6 1. 12 agosto 1982 n. 532, e poi

ad opera dell'art. 18 1. 28 luglio 1984 n. 398, non si può non

sottolineare come le prime due ordinanze (r.o. 984 del 1984 e

1214 del 1984), entrambe posteriori all'entrata in vigore della 1.

n. 532 del 1982 ma anteriori all'entrata in vigore della 1. n. 398

del 1984, abbiano riguardo — come si legge nell'ordinanza della

Corte di cassazione — all'indicata «parte» dell'art. 263, 2° com

ma, c.p.p. «anche nella nuova formulazione introdotta dall'art.

6 1. 12 agosto 1982 n. 532», mentre le altre sette ordinanze (r.o.

153, 154, 201, 202, 227, 228, 255 del 1985), posteriori all'entrata

in vigore della 1. n. 398 del 1984, hanno riguardo alla stessa «par

te» dell'art. 263 , 2° comma, c.p.p. «anche secondo la formula

zione introdotta dall'art. 6 1. 12 agosto 1982 n. 532, e ulteriormente

modificata dall'art. 18 1. 28 luglio 1984 n. 398». Le esigenze inerenti al requisito della rilevanza impongono, pe

raltro, di prescindere dal testo originario del 2° comma dell'art.

263 c.p.p., che pur sembrerebbe implicitamente richiamato da tutte

le ordinanze della Corte di cassazione attraverso il ricorrente uso

della particella «anche».

Va, inoltre, precisato che l'art. 18 1. 28 luglio 1984 n. 398,

più che ad una modifica della formulazione introdotta dall'art.

6 1. 12 agosto 1982 n. 532, ha dato vita ad un'ulteriore sostituzio

ne dell'art. 263 c.p.p. Le doglianze in esame vengono, quindi, direttamente a coin

volgere, per un verso, il testo del 2° comma dell'art. 263 c.p.p.,

quale sostituito ad opera della 1. n. 532 del 1982, e, per l'altro,

il testo dello stesso comma, quale sostituito ad opera della 1. n.

398 del 1984, nella rispettiva parte in cui non viene riconosciuto

«riveste una portata più ampia dell'altra, coinvolgendo tutti i casi di pos

sibile revoca del mandato di cattura... che non si limitano al caso confi

gurato dall'art. 260, 1° comma, c.p.p., e ha dichiarato l'illegittimità

costituzionale dell'art. 263, 2° comma c.p.p., sia nel testo sostituito in

forza dell'art. 6 1. 12 agosto 1982 n. 532, sia nel testo sostituito dall'art.

18 1. 28 luglio 1984 n. 398.

La declaratoria di incostituzionalità riferita anche ad una disposizione,

già espressamente abrogata da una posteriore, trova la sua giustificazione nella considerazione che «la norma abrogata risulta certamente rilevante

per la soluzione del caso giudiziario dal quale ha preso le mosse la que

stione di costituzionalità e che si è trovato, per cosi dire, in una sorta

di congelamento normativo fino al giudizio della Corte costituzionale»

(Giarda, Ammessa l'appellabilità del provvedimento di rigetto dell'istan

za di revoca del mandato o dell'ordine di cattura, in Riv. it. dir. e proc.

pen., 1986, 926). 2. - Due punti sembrano meritevoli di esser posti in risalto nel contesto

di una decisione lineare ed ineccepibile. In primo luogo, va sottolineato che la Corte costituzionale ha ribadito

il suo costante orientamento secondo il quale una eventuale disparità di

trattamento tra pubblico ministero e imputato si giustifica soltanto qua

lora trovi una ragionevole motivazione nella peculiare posizione istituzio

nale dell'organo pubblico (cfr. Corte cost. 23 gennaio 1986, n. 33, Foro

it., 1986, I, 2388; 22 novembre 1985, ibid., 1516; 21 luglio 1983, n. 224,

id., 1984, I, 925; 7 aprile 1981, n. 53, id., 1981, I, 1482; 10 ottobre

1979, n. 118, id., 1979, I, 2987; 16 luglio 1979, n. 72, ibid., 2182; 10

maggio 1979, n. 21, ibid., 1625; 5 giugno 1978, n. 73, id., 1978, I, 1337;

27 marzo 1974, n. 93, id., 1974, I, 1280; 27 febbraio 1974, n. 47, ibid.,

1893; 17 febbraio 1972, n. 27, id., 1972, I, 568; 17 novembre 1971, n.

177, id., 1971, I, 2918). In secondo luogo, al fine di dimostrare che nel caso di specie la dispa

rità di trattamento tra imputato e pubblico ministero non è fondata su

«motivi razionalmente giustificabili con il pubblico interesse», la corte

ha rilevato che l'interesse dell'imputato «a dolersi anche per ragioni di

merito» del provvedimento di rigetto dell'istanza di revoca del provvedi

mento restrittivo della libertà personale, non può certo ritenersi meno

meritevole di considerazione del già riconosciuto interesse dello stesso im

putato a dolersi, anche per ragioni di merito, di determinate sentenze

di proscioglimento in grado di arrecargli pregiudizi di ordine morale e

di ordine giuridico» (cfr. sent. n. 224/83, cit.), qualora il pubblico mini

stero sia legittimato ad impugnare provvedimenti di contenuto analogo.

[A. Scaglione]

This content downloaded from 91.220.202.120 on Sat, 28 Jun 2014 08:17:34 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

Page 3: sentenza 23 aprile 1986, n. 110 (Gazzetta ufficiale, 1aserie speciale, 30 aprile 1986, n. 17); Pres. Paladin, Rel. Conso; Terruzzi; Avagliani; Iacomino; Sacco; Ortolani (Avv. Pannain,

1711 PARTE PRIMA 1712

all'imputato il diritto di proporre appello contro l'ordinanza che

rigetta l'istanza di revoca del mandato di cattura.

3. - Ad avviso dei giudici a quibus, la norma di volta in volta

censurata si troverebbe in contrasto con gli art. 3 e 24, 2° com

ma, Cost, per due ordini di considerazioni.

In primo luogo, la mancata legittimazione dell'imputato ad ap

pellare l'ordinanza di rigetto dell'istanza volta ad ottenere la re

voca del mandato di cattura comporterebbe la violazione dei due

parametri costituzionali congiuntamente invocati, il tutto a causa

dell'ingiustificata disparità di trattamento che si verrebbe a crea

re «fra imputato e pubblico ministero», essendo riconosciuto a

quest'ultimo, proprio dal 2° comma dell'art. 263 c.p.p., il diritto

di appellare tanto il provvedimento con cui «il giudice non acco

glie la richiesta» di emissione del mandato di cattura quanto il

provvedimento con cui il giudice «dispone la revoca del mandato

di cattura» e, dopo la sostituzione operata dall'art. 18 1. 28 luglio 1984 n. 398, anche «i provvedimenti che dispongono la misura

dell'arresto domiciliare emessi nell'istruzione dal giudice istrutto

re o dal pretore ai sensi dell'art. 254 bis o del 3° e 4° comma

dell'art. 246» c.p.p. Il secondo ordine di considerazioni attiene, più particolarmen

te, all'ipotesi in cui la revoca del mandato di cattura sia stata

richiesta, come sempre è accaduto nella specie, pèr essere «venute

meno successivamente le condizioni sulle quali il mandato era

stato fondato», cioè all'ipotesi di revoca espressamente configu rata dall'art. 260, 1° comma, c.p.p. («In ogni stato dell'istruzio

ne, quando vengono a mancare le condizioni che legittimano il

mandato di cattura, il giudice deve revocarle»). Per le ordinanze

di rimessione un'ulteriore violazione degli art. 3 e 24, 2° comma, Cost, sarebbe, infatti, da ravvisare nell'ingiustificata disparità di

trattamento riscontrabile «fra imputato latitante ed imputato de

tenuto», una volta accolta, come tutte le ordinanze accolgono,

l'interpretazione — del resto, ormai pacificamente condivisa dal

la dottrina e dalla giurisprudenza (v. in proposito anche l'ordi

nanza di questa corte n. 21 del 1979, Foro it., 1979, I, 1624) — che ritiene l'istituto della revoca del mandato di cattura ai

sensi dell'art. 260, 1° comma, c.p.p. applicabile nei soli confron

ti dell'imputato latitante: mentre quest'ultimo non può far sotto

porre a controllo nel merito l'ordinanza che gli nega la revoca

cosi richiesta, l'imputato detenuto, in forza del combinato dispo sto degli art. 269, 1° comma, e 272 bis, 2° comma, c.p.p., è

legittimato a proporre appello contro l'ordinanza che gli rifiuta

la scarcerazione richiesta per essere «venute meno le condizioni

legittimatrici del provvedimento di cattura».

4. - L'esame delle doglianze addotte deve prendere le mosse

da quella che lamenta un'ingiustificata disparità fra imputato e

pubblico ministero, non soltanto perché si tratta di una censura

non vincolata ad una particolare interpretazione normativa, ma

anche e soprattutto perché riveste una portata più ampia dell'al

tra, coinvolgendo tutti i casi di possibile revoca del mandato di

cattura, che, come più specificamente risulta dagli art. 256, 2°

periodo, 260, 2° comma, e 277 bis, 2° comma, c.p.p., non si limitano al caso configurato dall'art. 260, 1° comma.

La questione è fondata, sia per quanto riguarda il testo del l'art. 263, 2° comma, c.p.p., quale sostituito ad opera dell'art. 6 1. 12 agosto 1982 n. 532, sia per quanto riguarda il testo dello stesso comma, quale sostituito ad opera dell'art. 18 1. 28 luglio 1984 n. 398, bastando notare che le varianti apportate in tale ultima occasione non incidono menomamente sui termini della

questione proposta in precedenza, tutta concentrata com'essa è

sull'appellabilità dei soli provvedimenti riguardanti la revoca del mandato di cattura.

5. - Questa corte, pur ribadendo che non necessariamente «i

poteri processuali del pubblico ministero debbano sempre ed in

ogni caso essere pari a quelli dell'imputato e del suo difensore», dato che «la peculiare posizione istituzionale e la funzione asse

gnata al primo ovvero esigenze connesse alla corretta ammini

strazione della giustizia e di rilievo costituzionale possono giustificare una disparità di trattamento» (sentenza n. 190 del 1970, id., 1971, I, 8; v. anche la sentenza n. 155 del 1974, id., 1974, I, 2257), considera punto altrettanto fermo che ogni eventuale

disparità si giustifica «solo quando in quella posizione, in quella funzione ed in quelle esigenze essa possa trovare una ragionevole motivazione» (ancora sentenza n. 190 del 1970). In caso contra

rio, non può essere disattesa la «necessità di ristabilire la par condicio tra imputato e pubblica accusa» (sentenza n. 62 del 1981, id., 1981, I, 1497).

Il Foro Italiano — 1987.

Nell'ambito di tale ottica, sono ormai numerose, come tutte

le ordinanze di rimessione provenienti dalla Corte di cassazione

puntualmente ricordano, le pronunce di illegittimità costituziona

le che hanno invalidato, per violazione degli art. 3 e 24, 2° com

ma, Cost., norme del codice di procedura penale «escludenti»

il diritto dell'imputato di proporre appello contro sentenze di pro

scioglimento suscettibili di essere appellate dal pubblico ministe

ro, nonostante che il primo non meno del secondo potesse avere

motivo di lamentarsene (v. le decisioni di questa corte n. 70 del

1975, id., 1975, I, 1052; n. 73 del 1978, id., 1978, I, 1337; n. 72 del 1979, id., 1979, I, 2182; n. 53 del 1981, id., 1981, I, 1223; n. 224 del 1983, id., 1983, I, 2057, e, da ultimo, n. 280 del 1985,

id., 1986, I, 1216). L'interesse dell'imputato a dolersi anche per ragioni di merito

del provvedimento che, negandogli la revoca del mandato di cat

tura, viene direttamente ad incidere sul bene della libertà perso nale non può certo ritenersi meno meritevole di considerazione

del già riconosciuto interesse dello stesso imputato a dolersi an

che per ragioni di merito di determinate sentenze di prosciogli mento in grado di «arrecargli) pregiudizi di ordine morale e di ordine giuridico» (v., in particolare, la decisione n. 224 del 1983), allorché il legislatore ordinario riconosca al pubblico ministero

il diritto di appellare provvedimenti dall'analogo contenuto.

Poiché, più precisamente, il denunciato art. 263, 2° comma,

c.p.p. legittima il pubblico ministero ad appellare l'ordinanza che

«dispone la revoca del mandato di cattura», all'accoglimento del

la questione di legittimità si potrebbe obiettare che il provvedi mento contro cui l'imputato ha qui interesse a proporre appello

(ordinanza che nega la revoca) non è il medesimo provvedimento

appellabile dal pubblico ministero. Ma, a parte il fatto che sareb

be assurdo ipotizzare un gravame dell'imputato contro l'ordinan

za di revoca del mandato di cattura data l'assoluta mancanza

di un suo interesse al riguardo, la parità di trattamento con il

pubblico ministero non può essere raggiunta se non dichiarando

costituzionalmente illegittima proprio la mancata previsione per

l'imputato del diritto di appellare il provvedimento che si presen ta come il puntuale rovescio di quell'ordinanza di revoca nei cui

confronti unicamente il pubblico ministero può avere ragione di

dolersi. Soltanto cosi, infatti, si perviene a realizzare quel «neces

sario equilibrio del contraddittorio» (sentenza n. 224 del 1983) attualmente turbato, sotto l'aspetto qui in discussione, da una

disparità di trattamento non fondata su «motivi razionalmente

giustificabili con il pubblico interesse» (sentenza n. 2 del 1974,

id., 1974, I, 287). Tanto meno la lamentata disparità può trovare una ragionevo

le giustificazione ora che, in séguito all'integrale sostituzione del

l'art. 263 bis c.p.p. operata dall'art. 7 1. 12 agosto 1982 n. 532, e poi, nuovamente, dall'art. 18 1. 28 luglio 1984 n. 398, all'impu tato o al suo difensore è riconosciuto il diritto di proporre «ri

chiesta di riesame, anche nel merito, del mandato o dell'ordine

di cattura o di arresto», con la sola eccezione del «mandato di

cattura emesso a séguito di impugnazione del pubblico ministero

oppure emesso dalla sezione istruttoria».

Anzi, l'introduzione del nuovo istituto ha già suggerito l'even

tualità di una sua estensione proprio nei confronti dell'ordinanza

che rigetta l'istanza di revoca del mandato di cattura, soluzione

a cui, peraltro, soltanto il legislatore sarebbe in grado di dare

ingresso nel quadro di una revisione organica dell'intera materia.

Del resto, a questa corte non sarebbe comunque consentito di

intervenire nella presente occasione sull'art. 263 bis c.p.p., non

soltanto perché i giudici a quibus hanno sottoposto a controllo

di legittimità una norma tratta da altro articolo del codice, ma

anche perché diverso avrebbe dovuto essere l'approccio agli art.

3 e 24, 2° comma, Cost., in quanto un discorso impostato sul

l'art. 263 bis c.p.p. coinvolgerebbe non i rapporti (soggettivi) fra

pubblico ministero ed imputato o fra imputato detenuto ed im

putato latitante, bensì' i rapporti (oggettivi) fra mandato di cattu

ra ed ordinanza di rigetto dell'istanza di revoca.

Non resta, quindi, che concludere dichiarando l'illegittimità co

stituzionale, per ingiustificata disparità di trattamento fra impu tato e pubblico ministero, dell'art. 263, 2° comma, c.p.p., nella

parte in cui non riconosce all'imputato il diritto di appellare l'or

dinanza che rigetta l'istanza di revoca del mandato di cattura, e ciò tanto con riguardo al testo sostituito ad opera dell'art. 6 1. 12 agosto 1982 n. 532, quanto con riguardo al testo sostituito

ad opera dell'art. 18 1. 28 luglio 1984 n. 398. Con il che rimane

assorbita l'altra censura dedotta nei confronti della medesima nor

This content downloaded from 91.220.202.120 on Sat, 28 Jun 2014 08:17:34 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

Page 4: sentenza 23 aprile 1986, n. 110 (Gazzetta ufficiale, 1aserie speciale, 30 aprile 1986, n. 17); Pres. Paladin, Rel. Conso; Terruzzi; Avagliani; Iacomino; Sacco; Ortolani (Avv. Pannain,

GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

ma sempre in riferimento agli art. 3 e 24, 2° comma, Cost., ma

sotto il profilo dell'ingiustificata disparità di trattamento fra im

putato latitante ed imputato detenuto.

Per questi motivi, la Corte costituzionale 1) dichiara l'illegitti

mità costituzionale dell'art. 263, 2° comma, c.p.p. (testo sostitui

to in forza dell'art. 6 1. 12 agosto 1982 n. 532), nella parte in

cui non riconosce all'imputato il diritto di proporre appello con

tro l'ordinanza che rigetta l'istanza di revoca del mandato di cat

tura; 2) dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 263, 2°

comma, c.p.p. (testo sostituito in forza dell'art. 18 1. 28 luglio

1984 n. 398), nella parte in cui non riconosce all'imputato il dirit

to di proporre appello contro l'ordinanza che rigetta l'istanza di

revoca del mandato di cattura.

CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 8 giu

gno 1987, n. 5017; Pres. Brancaccio, Est. Nocella, P.M. Vir

gilio (conci, parz. diff.); Min. tesoro (Avv. dello Stato Fiengo)

c. Aletta ed altri. Conferma Trib. Catania 29 novembre 1983.

CORTE DI CASSAZIONE; t

Sanitario — Enti mutualistici — Medici convenzionati — Com

pensi — Modalità di corresponsione — Fattispecie (L. 29 giu

gno 1977 n. 349, norme transitorie per il trasferimento alle

regioni delle funzioni già esercitate dagli enti mutualistici e per

la stipulazione delle convenzioni uniche per il personale sanita

rio in relazione alla riforma sanitaria, art. 8).

Lavoro e previdenza (controversie in materia di) — Medici con

venzionati con enti mutualistici — Rapporto di collaborazione

— Crediti per prestazioni professionali — Rivalutazione mone

taria — Applicabilità (Cod. proc. civ., art. 409, 429).

Stante la nullità, per contrasto con la norma inderogabile del

l'art. 8, 4° comma, I. 29 giugno 1977 n. 349, dell'art. 49 della

convenzione unica dell'I.n.a.m., implicante l'applicazione re

troattiva del sistema di pagamento c.d. «a quota capitaria» (in

trodotto dall'accordo nazionale tipo recepito il 7 luglio 1978

dall'istituto), le prestazioni sanitarie rese a favore di quest'ulti

mo dai medici convenzionati in epoca anteriore a tale ricezione

devono essere compensate secondo il previgente sistema «a

notula». (1)

1 crediti dei medici convenzionati verso gli enti mutualistici per

le prestazioni professionali disimpegnate a favore dei medesi

mi, discendendo da rapporti di collaborazione riconducibili nella

previsione dell'art. 409, n. 3, c.p.c., sono suscettibili di rivalu

tazione monetaria ai sensi dell'art. 429, 3 ° comma, dello stesso

codice. (2)

(1) In senso conforme, Cass. 29 ottobre 1986, n. 6357, Foro it., Mass.,

1088 con nota di richiami, citata in motivazione.

Per quanto riguarda le implicazioni giurisprudenziali della 1. n. 103

del 1985, si possono consultare, Cass. 19 novembre 1986, n. 6819 e 15

novembre 1986, n. 6748, id., 1987, I, 373, con nota di richiami; adde,

fra le numerose pronunzie successive sul blocco delle tariffe per la liqui

dazione dei compensi dovuti dagli enti mutualistici ai medici convenzio

nati esterni, Cass. 22 dicembre 1986, n. 7856, id., Mass., 1359.

(2) Con l'affermazione riassunta nella massima le sezioni unite disat

tendono l'opposto orientamento emerso in alcune pronunzie, anche re

centi (15 novembre 1986, n. 6748, cit.), della sezione lavoro, assoggettando

i crediti per prestazioni professionali dei medici convenzionati verso gli

enti mutualistici alla rivalutazione monetaria ex art. 429 c.p.c., già rite

nuta invocabile dalla corte per i compensi dovuti dai medesimi enti ai

legali esterni (sez. un. 28 giugno 1984, n. 3815, id., 1984, I, 1813, con

nota di richiami; cui adde, successivamente, C.M. Barone [V. Andrioli,

G. Pezzano, A. Proto Pisani], Le controversie in materia di lavoro,

Zanichelli - Foro italiano, Bologna-Roma, 1987, 107 ss.; e le indicazioni

in nota a Cass. 21 febbraio 1986, n. 1061, Foro it., 1987, I, 1558). Ma,

mentre le pronunzie delle sezioni unite del 1984 giustificavano la soluzio

ne attinta basandosi sulla portata e sulla funzione degli art. 409 e 429

c.p.c., la sentenza in rassegna integra le precedenti enunciazioni con il

rilievo del rapporto di quest'ultima disposizione con la normativa relativa

ai meccanismi convenzionali di indicizzazione delle tariffe professionali

(in argomento, per qualche riferimento, nella motivazione, Corte cost.

31 dicembre 1986, n. 300, id., 1987, I, 320, con nota di richiami). Con ef

ficace chiarezza la corte precisa, infatti, che «mentre l'art. 429, 3° comma,

Il Foro Italiano — 1987 — Parte 7-113.

Svolgimento del processo. — Con separati ricorsi al Pretore

di Lentini, depositati il 24 giugno 1981, Aletta Gesualdo, Alicata

Salvatore, Amenta Sebastiano, Buda Giuseppe, Piccolo Andrea

e Rossello Silvestro, medici generici già convenzionati con il di

sciolto I.n.a.m. esponevano che il loro rapporto era stato disci

plinato prima dalla convenzione del 27 giugno 1973, stipulata tra

l'I.n.a.m. e la Federazione nazionale dell'ordine dei medici, che

prevedeva il pagamento delle prestazioni con il sistema «a notu

la», e poi dall'accordo unico, previsto dall'art. 8 1. 29 giugno

1977 n. 349, che prevedeva detto pagamento con il sistema a «quo

ta capitaria», recepito dall'I.n.a.m., con deliberazione del suo com

missario liquidatore in data 7 luglio 1978; il suddetto istituto,

il quale fino a tutto il luglio 1978 aveva ricevuto le notule presen

tate dai medici, aveva cominciato dal 1° giugno 1978 a pagare

le prestazioni professionali con il sistema a «quota capitaria» ed

aveva anche trattenuto conguagli tra quanto pagato dal 1° gen

naio 1978 al 31 maggio 1978 e quanto avrebbe dovuto corrispon

dere, applicando così retroattivamente l'accordo nazionale unico.

Assumendo che la disposta applicazione retroattiva dell'accordo

era in contrasto con la disposizione del 4° comma dell'art. 8 1.

n. 349 del 1977, che prevedeva la cessazione del precedente siste

ma (a notula) solo dalla data del recepimento, da parte degli enti

mutualistici, delle convenzioni nazionali uniche (che nella specie

era il 7 luglio 1978), i ricorrenti chiedevano la condanna del

l'I.n.a.m. in liquidazione, in persona del suo legale rappresentan

te pro tempore, al rimborso delle somme trattenute dal 1 ° gennaio

1978 al 31 maggio 1978 e al pagamento delle differenze derivanti

dal sistema «a notula» per le prestazioni effettuate dal 1° giugno

1978 al 7 luglio 1978 oltre la rivalutazione monetaria e interessi

legali. Costituitosi il contradditorio, il ministero del tesoro - ufficio

liquidazioni, subentrato al disciolto I.n.a.m., contestava il fonda

mento della pretesa. Con sentenza del 12 marzo 1982 l'adito pretore, disposta la

riunione dei giudizi, accoglieva la domanda.

A seguito di gravame del ministero soccombente il Tribunale

di Catania con sentenza del 29 novembre 1983 confermava la

decisione di primo grado. Per quanto interessa il presente giudizio di cassazione il giudice

d'appello osservava: a) solo con il recepimento in data 7 luglio

1978, da parte dell'I.n.a.m., dell'accordo nazionale tipo, a cui

avrebbero dovuto conformarsi le convenzioni uniche, a norma

dell'art. 8 1. n. 349 del 1977 cessavano di avere efficacia gli ac

cordi precedenti ed in particolare il precedente sistema di paga

mento «a notula» per far posto al nuovo sistema «a quota

capitaria». La norma dell'art. 49 della convenzione unica, il cui

contenuto era predisposto dal suddetto accordo, che stabiliva la

decorrenza della stessa dal 1° gennaio 1978, era in contrasto con

il citato art. 8, norma inderogabile, intesa a stabilire il limite tem

porale degli accordi vigenti non soltanto nell'interesse dei medici

ma anche allo scopo di programmare l'attuazione del servizio sa

nitario. Conseguentemente la norma della convenzione era affet

ta da nullità, che si estendeva alla clausola conforme dei contratti

individuali, stipulati dai singoli medici; b) la condanna al risarci

mento del danno da svalutazione monetaria ed al pagamento de

gl'interessi legali trova fondamento nella disposizione dell'art. 429

c.p.c., che presuppone soltanto che si pronunci condanna per cre

diti di lavoro o assimilati, prescindendo dal soggetto che viene

condannato al pagamento. Avverso la suddetta sentenza il ministero del tesoro - ufficio

liquidazione propone ricorso per cassazione, affidato a due moti

vi di annullamento. Gli intimati non si sono costituiti.

Motivi della decisione. — Con il primo motivo, denunziando

violazione e falsa applicazione dell'art. 8, 4° comma, 1. 29 giu

c.p.c., riguarda il credito di lavoro maturato e non tempestivamente adem

piuto, l'indicizzazione convenzionale e l'adeguamento legale delle tariffe

professionali ineriscono alla quantificazione del giusto compenso, origi

nariamente dovuto ai fini del successivo adempimento esatto e tempesti

vo. In altri termini, mentre l'indicizzazione e l'aumento del compenso

si riferiscono ad una obbligazione di pagamento al momento della sca

denza, la rivalutazione monetaria si riferisce invece ad una obbligazione

di pagamento già scaduta e non soddisfatta». E tali argomentazioni, con

clusivamente integrate dalla conferma dell'applicabilità del ripetuto art.

429 ai crediti di lavoro verso gli enti pubblici non economici, evidenziano

la coerenza logica e la linearità espositiva della motivazione, in parte qua,

della riportata sentenza, resa, peraltro, in un contesto di puntuale infor

mazione giurisprudenziale. [C.M. Barone]

This content downloaded from 91.220.202.120 on Sat, 28 Jun 2014 08:17:34 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions


Recommended