sentenza 23 aprile 1986, n. 110 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 30 aprile 1986, n. 17);Pres. Paladin, Rel. Conso; Terruzzi; Avagliani; Iacomino; Sacco; Ortolani (Avv. Pannain, Savoldi);Corallo. Ord. Trib. Milano 5 giugno 1984 (G.U. n. 34 bis del 1985); Cass. 13 luglio 1984 (G.U. n.65 bis del 1985); 26 novembre 1984 (G.U. n. 167 bis del 1985); 17 dicembre 1984 (G.U. n. 179 bisdel 1985); 12 gennaio 1985 (G.U. n ...Source: Il Foro Italiano, Vol. 110, No. 6 (GIUGNO 1987), pp. 1709/1710-1713/1714Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23178607 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
mento degli uffici e del personale dell'amministrazione regiona
le») quanto alla nota c) della tabella N, ad essa allegata; 2) degli
art. 1 e 4 della legge della stessa regione 26 ottobre 1972 n. 53
(«interpretazione autentica della norma contenuta nella nota c
alla tabella N annessa alla 1. reg. 23 marzo 1971 n. 7, concernen
te l'ordinamento degli uffici e del personale dell'amministrazione
regionale»); 3) della 1. reg. sic. 1° agosto 1974 n. 30 («nuove
norme sull'ordinamento degli uffici e del personale dell'ammini
strazione regionale»), quanto alla nota è) alla tabella contenuta
nell'art. 8, sollevate con le ordinanze di cui in epigrafe in riferi
mento agli art. 3, 5 e 36 Cost, e 1 e 14 dello statuto della regione
siciliana.
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 23 aprile 1986, n. 110
('Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 30 aprile 1986, n. 17); Pres. Paladin, Rei. Conso; Terrazzi; Avagliani; Iacomino; Sac
co; Ortolani (Aw. Pannain, Savoldi); Corallo. Ord. Trib. Mi
lano 5 giugno 1984 (G.U. n. 34 bis del 1985); Cass. 13 luglio
1984 (G.U. n. 65 bis del 1985); 26 novembre 1984 (G.U. n.
167 bis del 1985); 17 dicembre 1984 (G.U. n. 179 bis del 1985); 12 gennaio 1985 (G.U. n. 131 bis del 1985); 15 gennaio 1985
(G.U. n. 137 bis del 1985); 14 febbraio 1985 (G.U. n. 208 bis del 1985).
Libertà personale dell'imputato — Mandato di cattura — Rigetto
dell'istanza di revoca — Impugnabilità da parte dell'imputato — Mancata previsione — Incostituzionalità (Cost., art. 3, 24;
cod. proc. pen., art. 263).
È illegittimo, per violazione degli art. 3 e 24 Cost., l'art. 263,
2° comma, c.p.p. (sia nel testo sostituito dall'art. 6 l. 12 ago
sto 1982 n. 532, sia in quello sostituito in forza dell'art. 18
l. 28 luglio 1984 n. 398), nella parte in cui non riconosce al
l'imputato il diritto di proporre appello avverso l'ordinanza che
rigetta l'istanza di revoca del mandato di cattura. (1)
(1) 1. - A seguito di numerose ordinanze di rimessione, la Corte costi
tuzionale è stata chiamata ad occuparsi della legittimità, con riferimento
agli art. 3 e 24 Cost., dell'art. 263, 2° comma, c.p.p., sia nel testo sosti
tuito in forza dell'art. 6 1. 12 agosto 1982 n. 532 (cfr. Illuminati, in
Legislazione pen., 1983, 96), sia nel testo sostituito dall'art. 18 1. 28 lu
glio 1984 n. 398 (cfr. Illuminati, id., 1985, 219) nella parte in cui non
era prevista l'appellabilità da parte dell'imputato del provvedimento di
rigetto dell'istanza di revoca del mandato o dell'ordine di cattura (per
l'esperibilità, nel caso di specie, del ricorso per cassazione previsto in
via generale dagli art. Ili, 2° comma, e 190, 2° comma, c.p.p. cfr.,
per tutte, Cass. 28 gennaio 1984, Genghini, Cass, pen., 1985, 824; 26
ottobre 1983, Mastrangeli, Foro it., Rep. 1985, voce Libertà personale
dell'imputato, n. 320; 9 novembre 1981, Pult, id., Rep. 1983, voce cit.,
n. 113). Due erano i profili di illegittimità dell'art. 263, 2° comma, c.p.p. pro
spettati dalle ordinanze di rimessione.
Da un lato, si lamentava la disparità di trattamento tra imputato lati
tante (nei confronti del quale, per pacifico indirizzo giurisprudenziale, si applica soltanto l'istituto della revoca del mandato di cattura ai sensi
dell'art. 260, 1° comma, c.p.p.) e imputato detenuto: il primo non legitti
mato, ove vengano a mancare le condizioni che giustificano il mandato
di cattura, a chiedere un controllo di merito sul diniego di revoca del
provvedimento restrittivo della libertà personale; il secondo, in forza de
gli art. 269, 1° comma, e 272 bis c.p.p., legittimato ad appellare al c.d.
tribunale della libertà l'ordinanza del giudice istruttore, «che gli rifiuta
la scarcerazione richiesta per essere venute meno le condizioni legittima
trici del provvedimento di cattura».
Dall'altro lato, si lamentava la ingiustificata disparità di trattamento
tra imputato e pubblico ministero: il primo non legittimato a proporre
appello nei confronti dell'ordinanza del giudice istruttore che abbia re
spinto l'istanza di revoca del mandato di cattura; il secondo legittimato
a promuovere il giudizio di appello avverso il provvedimento con il quale
il giudice istruttore abbia revocato il mandato di cattura.
La Corte costituzionale, nella sentenza in epigrafe, ha ritenuto priorita
rio l'esame della seconda censura, sia perché si tratta di una doglianza
«non vincolata ad una particolare interpretazione normativa», sia in quanto
Il Foro Italiano — 1987.
Diritto. — 1. - Le nove ordinanze riassunte in narrativa, la
prima delle quali proveniente dal Tribunale di Milano e le altre
otto dalla Corte di cassazione, sollevano questioni di legittimità
costituzionale sostanzialmente coincidenti: i relativi giudizi van
no, pertanto, riuniti per essere decisi con un'unica sentenza.
2. - Comune oggetto di censura è l'art. 263, 2° comma, c.p.p.
nella parte in cui non riconosce all'imputato il diritto di proporre
appello contro l'ordinanza che rigetta l'istanza di revoca del man
dato di cattura.
Trattandosi di un comma la cui formulazione è stata sostituita
dapprima ad opera dell'art. 6 1. 12 agosto 1982 n. 532, e poi
ad opera dell'art. 18 1. 28 luglio 1984 n. 398, non si può non
sottolineare come le prime due ordinanze (r.o. 984 del 1984 e
1214 del 1984), entrambe posteriori all'entrata in vigore della 1.
n. 532 del 1982 ma anteriori all'entrata in vigore della 1. n. 398
del 1984, abbiano riguardo — come si legge nell'ordinanza della
Corte di cassazione — all'indicata «parte» dell'art. 263, 2° com
ma, c.p.p. «anche nella nuova formulazione introdotta dall'art.
6 1. 12 agosto 1982 n. 532», mentre le altre sette ordinanze (r.o.
153, 154, 201, 202, 227, 228, 255 del 1985), posteriori all'entrata
in vigore della 1. n. 398 del 1984, hanno riguardo alla stessa «par
te» dell'art. 263 , 2° comma, c.p.p. «anche secondo la formula
zione introdotta dall'art. 6 1. 12 agosto 1982 n. 532, e ulteriormente
modificata dall'art. 18 1. 28 luglio 1984 n. 398». Le esigenze inerenti al requisito della rilevanza impongono, pe
raltro, di prescindere dal testo originario del 2° comma dell'art.
263 c.p.p., che pur sembrerebbe implicitamente richiamato da tutte
le ordinanze della Corte di cassazione attraverso il ricorrente uso
della particella «anche».
Va, inoltre, precisato che l'art. 18 1. 28 luglio 1984 n. 398,
più che ad una modifica della formulazione introdotta dall'art.
6 1. 12 agosto 1982 n. 532, ha dato vita ad un'ulteriore sostituzio
ne dell'art. 263 c.p.p. Le doglianze in esame vengono, quindi, direttamente a coin
volgere, per un verso, il testo del 2° comma dell'art. 263 c.p.p.,
quale sostituito ad opera della 1. n. 532 del 1982, e, per l'altro,
il testo dello stesso comma, quale sostituito ad opera della 1. n.
398 del 1984, nella rispettiva parte in cui non viene riconosciuto
«riveste una portata più ampia dell'altra, coinvolgendo tutti i casi di pos
sibile revoca del mandato di cattura... che non si limitano al caso confi
gurato dall'art. 260, 1° comma, c.p.p., e ha dichiarato l'illegittimità
costituzionale dell'art. 263, 2° comma c.p.p., sia nel testo sostituito in
forza dell'art. 6 1. 12 agosto 1982 n. 532, sia nel testo sostituito dall'art.
18 1. 28 luglio 1984 n. 398.
La declaratoria di incostituzionalità riferita anche ad una disposizione,
già espressamente abrogata da una posteriore, trova la sua giustificazione nella considerazione che «la norma abrogata risulta certamente rilevante
per la soluzione del caso giudiziario dal quale ha preso le mosse la que
stione di costituzionalità e che si è trovato, per cosi dire, in una sorta
di congelamento normativo fino al giudizio della Corte costituzionale»
(Giarda, Ammessa l'appellabilità del provvedimento di rigetto dell'istan
za di revoca del mandato o dell'ordine di cattura, in Riv. it. dir. e proc.
pen., 1986, 926). 2. - Due punti sembrano meritevoli di esser posti in risalto nel contesto
di una decisione lineare ed ineccepibile. In primo luogo, va sottolineato che la Corte costituzionale ha ribadito
il suo costante orientamento secondo il quale una eventuale disparità di
trattamento tra pubblico ministero e imputato si giustifica soltanto qua
lora trovi una ragionevole motivazione nella peculiare posizione istituzio
nale dell'organo pubblico (cfr. Corte cost. 23 gennaio 1986, n. 33, Foro
it., 1986, I, 2388; 22 novembre 1985, ibid., 1516; 21 luglio 1983, n. 224,
id., 1984, I, 925; 7 aprile 1981, n. 53, id., 1981, I, 1482; 10 ottobre
1979, n. 118, id., 1979, I, 2987; 16 luglio 1979, n. 72, ibid., 2182; 10
maggio 1979, n. 21, ibid., 1625; 5 giugno 1978, n. 73, id., 1978, I, 1337;
27 marzo 1974, n. 93, id., 1974, I, 1280; 27 febbraio 1974, n. 47, ibid.,
1893; 17 febbraio 1972, n. 27, id., 1972, I, 568; 17 novembre 1971, n.
177, id., 1971, I, 2918). In secondo luogo, al fine di dimostrare che nel caso di specie la dispa
rità di trattamento tra imputato e pubblico ministero non è fondata su
«motivi razionalmente giustificabili con il pubblico interesse», la corte
ha rilevato che l'interesse dell'imputato «a dolersi anche per ragioni di
merito» del provvedimento di rigetto dell'istanza di revoca del provvedi
mento restrittivo della libertà personale, non può certo ritenersi meno
meritevole di considerazione del già riconosciuto interesse dello stesso im
putato a dolersi, anche per ragioni di merito, di determinate sentenze
di proscioglimento in grado di arrecargli pregiudizi di ordine morale e
di ordine giuridico» (cfr. sent. n. 224/83, cit.), qualora il pubblico mini
stero sia legittimato ad impugnare provvedimenti di contenuto analogo.
[A. Scaglione]
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1711 PARTE PRIMA 1712
all'imputato il diritto di proporre appello contro l'ordinanza che
rigetta l'istanza di revoca del mandato di cattura.
3. - Ad avviso dei giudici a quibus, la norma di volta in volta
censurata si troverebbe in contrasto con gli art. 3 e 24, 2° com
ma, Cost, per due ordini di considerazioni.
In primo luogo, la mancata legittimazione dell'imputato ad ap
pellare l'ordinanza di rigetto dell'istanza volta ad ottenere la re
voca del mandato di cattura comporterebbe la violazione dei due
parametri costituzionali congiuntamente invocati, il tutto a causa
dell'ingiustificata disparità di trattamento che si verrebbe a crea
re «fra imputato e pubblico ministero», essendo riconosciuto a
quest'ultimo, proprio dal 2° comma dell'art. 263 c.p.p., il diritto
di appellare tanto il provvedimento con cui «il giudice non acco
glie la richiesta» di emissione del mandato di cattura quanto il
provvedimento con cui il giudice «dispone la revoca del mandato
di cattura» e, dopo la sostituzione operata dall'art. 18 1. 28 luglio 1984 n. 398, anche «i provvedimenti che dispongono la misura
dell'arresto domiciliare emessi nell'istruzione dal giudice istrutto
re o dal pretore ai sensi dell'art. 254 bis o del 3° e 4° comma
dell'art. 246» c.p.p. Il secondo ordine di considerazioni attiene, più particolarmen
te, all'ipotesi in cui la revoca del mandato di cattura sia stata
richiesta, come sempre è accaduto nella specie, pèr essere «venute
meno successivamente le condizioni sulle quali il mandato era
stato fondato», cioè all'ipotesi di revoca espressamente configu rata dall'art. 260, 1° comma, c.p.p. («In ogni stato dell'istruzio
ne, quando vengono a mancare le condizioni che legittimano il
mandato di cattura, il giudice deve revocarle»). Per le ordinanze
di rimessione un'ulteriore violazione degli art. 3 e 24, 2° comma, Cost, sarebbe, infatti, da ravvisare nell'ingiustificata disparità di
trattamento riscontrabile «fra imputato latitante ed imputato de
tenuto», una volta accolta, come tutte le ordinanze accolgono,
l'interpretazione — del resto, ormai pacificamente condivisa dal
la dottrina e dalla giurisprudenza (v. in proposito anche l'ordi
nanza di questa corte n. 21 del 1979, Foro it., 1979, I, 1624) — che ritiene l'istituto della revoca del mandato di cattura ai
sensi dell'art. 260, 1° comma, c.p.p. applicabile nei soli confron
ti dell'imputato latitante: mentre quest'ultimo non può far sotto
porre a controllo nel merito l'ordinanza che gli nega la revoca
cosi richiesta, l'imputato detenuto, in forza del combinato dispo sto degli art. 269, 1° comma, e 272 bis, 2° comma, c.p.p., è
legittimato a proporre appello contro l'ordinanza che gli rifiuta
la scarcerazione richiesta per essere «venute meno le condizioni
legittimatrici del provvedimento di cattura».
4. - L'esame delle doglianze addotte deve prendere le mosse
da quella che lamenta un'ingiustificata disparità fra imputato e
pubblico ministero, non soltanto perché si tratta di una censura
non vincolata ad una particolare interpretazione normativa, ma
anche e soprattutto perché riveste una portata più ampia dell'al
tra, coinvolgendo tutti i casi di possibile revoca del mandato di
cattura, che, come più specificamente risulta dagli art. 256, 2°
periodo, 260, 2° comma, e 277 bis, 2° comma, c.p.p., non si limitano al caso configurato dall'art. 260, 1° comma.
La questione è fondata, sia per quanto riguarda il testo del l'art. 263, 2° comma, c.p.p., quale sostituito ad opera dell'art. 6 1. 12 agosto 1982 n. 532, sia per quanto riguarda il testo dello stesso comma, quale sostituito ad opera dell'art. 18 1. 28 luglio 1984 n. 398, bastando notare che le varianti apportate in tale ultima occasione non incidono menomamente sui termini della
questione proposta in precedenza, tutta concentrata com'essa è
sull'appellabilità dei soli provvedimenti riguardanti la revoca del mandato di cattura.
5. - Questa corte, pur ribadendo che non necessariamente «i
poteri processuali del pubblico ministero debbano sempre ed in
ogni caso essere pari a quelli dell'imputato e del suo difensore», dato che «la peculiare posizione istituzionale e la funzione asse
gnata al primo ovvero esigenze connesse alla corretta ammini
strazione della giustizia e di rilievo costituzionale possono giustificare una disparità di trattamento» (sentenza n. 190 del 1970, id., 1971, I, 8; v. anche la sentenza n. 155 del 1974, id., 1974, I, 2257), considera punto altrettanto fermo che ogni eventuale
disparità si giustifica «solo quando in quella posizione, in quella funzione ed in quelle esigenze essa possa trovare una ragionevole motivazione» (ancora sentenza n. 190 del 1970). In caso contra
rio, non può essere disattesa la «necessità di ristabilire la par condicio tra imputato e pubblica accusa» (sentenza n. 62 del 1981, id., 1981, I, 1497).
Il Foro Italiano — 1987.
Nell'ambito di tale ottica, sono ormai numerose, come tutte
le ordinanze di rimessione provenienti dalla Corte di cassazione
puntualmente ricordano, le pronunce di illegittimità costituziona
le che hanno invalidato, per violazione degli art. 3 e 24, 2° com
ma, Cost., norme del codice di procedura penale «escludenti»
il diritto dell'imputato di proporre appello contro sentenze di pro
scioglimento suscettibili di essere appellate dal pubblico ministe
ro, nonostante che il primo non meno del secondo potesse avere
motivo di lamentarsene (v. le decisioni di questa corte n. 70 del
1975, id., 1975, I, 1052; n. 73 del 1978, id., 1978, I, 1337; n. 72 del 1979, id., 1979, I, 2182; n. 53 del 1981, id., 1981, I, 1223; n. 224 del 1983, id., 1983, I, 2057, e, da ultimo, n. 280 del 1985,
id., 1986, I, 1216). L'interesse dell'imputato a dolersi anche per ragioni di merito
del provvedimento che, negandogli la revoca del mandato di cat
tura, viene direttamente ad incidere sul bene della libertà perso nale non può certo ritenersi meno meritevole di considerazione
del già riconosciuto interesse dello stesso imputato a dolersi an
che per ragioni di merito di determinate sentenze di prosciogli mento in grado di «arrecargli) pregiudizi di ordine morale e di ordine giuridico» (v., in particolare, la decisione n. 224 del 1983), allorché il legislatore ordinario riconosca al pubblico ministero
il diritto di appellare provvedimenti dall'analogo contenuto.
Poiché, più precisamente, il denunciato art. 263, 2° comma,
c.p.p. legittima il pubblico ministero ad appellare l'ordinanza che
«dispone la revoca del mandato di cattura», all'accoglimento del
la questione di legittimità si potrebbe obiettare che il provvedi mento contro cui l'imputato ha qui interesse a proporre appello
(ordinanza che nega la revoca) non è il medesimo provvedimento
appellabile dal pubblico ministero. Ma, a parte il fatto che sareb
be assurdo ipotizzare un gravame dell'imputato contro l'ordinan
za di revoca del mandato di cattura data l'assoluta mancanza
di un suo interesse al riguardo, la parità di trattamento con il
pubblico ministero non può essere raggiunta se non dichiarando
costituzionalmente illegittima proprio la mancata previsione per
l'imputato del diritto di appellare il provvedimento che si presen ta come il puntuale rovescio di quell'ordinanza di revoca nei cui
confronti unicamente il pubblico ministero può avere ragione di
dolersi. Soltanto cosi, infatti, si perviene a realizzare quel «neces
sario equilibrio del contraddittorio» (sentenza n. 224 del 1983) attualmente turbato, sotto l'aspetto qui in discussione, da una
disparità di trattamento non fondata su «motivi razionalmente
giustificabili con il pubblico interesse» (sentenza n. 2 del 1974,
id., 1974, I, 287). Tanto meno la lamentata disparità può trovare una ragionevo
le giustificazione ora che, in séguito all'integrale sostituzione del
l'art. 263 bis c.p.p. operata dall'art. 7 1. 12 agosto 1982 n. 532, e poi, nuovamente, dall'art. 18 1. 28 luglio 1984 n. 398, all'impu tato o al suo difensore è riconosciuto il diritto di proporre «ri
chiesta di riesame, anche nel merito, del mandato o dell'ordine
di cattura o di arresto», con la sola eccezione del «mandato di
cattura emesso a séguito di impugnazione del pubblico ministero
oppure emesso dalla sezione istruttoria».
Anzi, l'introduzione del nuovo istituto ha già suggerito l'even
tualità di una sua estensione proprio nei confronti dell'ordinanza
che rigetta l'istanza di revoca del mandato di cattura, soluzione
a cui, peraltro, soltanto il legislatore sarebbe in grado di dare
ingresso nel quadro di una revisione organica dell'intera materia.
Del resto, a questa corte non sarebbe comunque consentito di
intervenire nella presente occasione sull'art. 263 bis c.p.p., non
soltanto perché i giudici a quibus hanno sottoposto a controllo
di legittimità una norma tratta da altro articolo del codice, ma
anche perché diverso avrebbe dovuto essere l'approccio agli art.
3 e 24, 2° comma, Cost., in quanto un discorso impostato sul
l'art. 263 bis c.p.p. coinvolgerebbe non i rapporti (soggettivi) fra
pubblico ministero ed imputato o fra imputato detenuto ed im
putato latitante, bensì' i rapporti (oggettivi) fra mandato di cattu
ra ed ordinanza di rigetto dell'istanza di revoca.
Non resta, quindi, che concludere dichiarando l'illegittimità co
stituzionale, per ingiustificata disparità di trattamento fra impu tato e pubblico ministero, dell'art. 263, 2° comma, c.p.p., nella
parte in cui non riconosce all'imputato il diritto di appellare l'or
dinanza che rigetta l'istanza di revoca del mandato di cattura, e ciò tanto con riguardo al testo sostituito ad opera dell'art. 6 1. 12 agosto 1982 n. 532, quanto con riguardo al testo sostituito
ad opera dell'art. 18 1. 28 luglio 1984 n. 398. Con il che rimane
assorbita l'altra censura dedotta nei confronti della medesima nor
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
ma sempre in riferimento agli art. 3 e 24, 2° comma, Cost., ma
sotto il profilo dell'ingiustificata disparità di trattamento fra im
putato latitante ed imputato detenuto.
Per questi motivi, la Corte costituzionale 1) dichiara l'illegitti
mità costituzionale dell'art. 263, 2° comma, c.p.p. (testo sostitui
to in forza dell'art. 6 1. 12 agosto 1982 n. 532), nella parte in
cui non riconosce all'imputato il diritto di proporre appello con
tro l'ordinanza che rigetta l'istanza di revoca del mandato di cat
tura; 2) dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 263, 2°
comma, c.p.p. (testo sostituito in forza dell'art. 18 1. 28 luglio
1984 n. 398), nella parte in cui non riconosce all'imputato il dirit
to di proporre appello contro l'ordinanza che rigetta l'istanza di
revoca del mandato di cattura.
CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 8 giu
gno 1987, n. 5017; Pres. Brancaccio, Est. Nocella, P.M. Vir
gilio (conci, parz. diff.); Min. tesoro (Avv. dello Stato Fiengo)
c. Aletta ed altri. Conferma Trib. Catania 29 novembre 1983.
CORTE DI CASSAZIONE; t
Sanitario — Enti mutualistici — Medici convenzionati — Com
pensi — Modalità di corresponsione — Fattispecie (L. 29 giu
gno 1977 n. 349, norme transitorie per il trasferimento alle
regioni delle funzioni già esercitate dagli enti mutualistici e per
la stipulazione delle convenzioni uniche per il personale sanita
rio in relazione alla riforma sanitaria, art. 8).
Lavoro e previdenza (controversie in materia di) — Medici con
venzionati con enti mutualistici — Rapporto di collaborazione
— Crediti per prestazioni professionali — Rivalutazione mone
taria — Applicabilità (Cod. proc. civ., art. 409, 429).
Stante la nullità, per contrasto con la norma inderogabile del
l'art. 8, 4° comma, I. 29 giugno 1977 n. 349, dell'art. 49 della
convenzione unica dell'I.n.a.m., implicante l'applicazione re
troattiva del sistema di pagamento c.d. «a quota capitaria» (in
trodotto dall'accordo nazionale tipo recepito il 7 luglio 1978
dall'istituto), le prestazioni sanitarie rese a favore di quest'ulti
mo dai medici convenzionati in epoca anteriore a tale ricezione
devono essere compensate secondo il previgente sistema «a
notula». (1)
1 crediti dei medici convenzionati verso gli enti mutualistici per
le prestazioni professionali disimpegnate a favore dei medesi
mi, discendendo da rapporti di collaborazione riconducibili nella
previsione dell'art. 409, n. 3, c.p.c., sono suscettibili di rivalu
tazione monetaria ai sensi dell'art. 429, 3 ° comma, dello stesso
codice. (2)
(1) In senso conforme, Cass. 29 ottobre 1986, n. 6357, Foro it., Mass.,
1088 con nota di richiami, citata in motivazione.
Per quanto riguarda le implicazioni giurisprudenziali della 1. n. 103
del 1985, si possono consultare, Cass. 19 novembre 1986, n. 6819 e 15
novembre 1986, n. 6748, id., 1987, I, 373, con nota di richiami; adde,
fra le numerose pronunzie successive sul blocco delle tariffe per la liqui
dazione dei compensi dovuti dagli enti mutualistici ai medici convenzio
nati esterni, Cass. 22 dicembre 1986, n. 7856, id., Mass., 1359.
(2) Con l'affermazione riassunta nella massima le sezioni unite disat
tendono l'opposto orientamento emerso in alcune pronunzie, anche re
centi (15 novembre 1986, n. 6748, cit.), della sezione lavoro, assoggettando
i crediti per prestazioni professionali dei medici convenzionati verso gli
enti mutualistici alla rivalutazione monetaria ex art. 429 c.p.c., già rite
nuta invocabile dalla corte per i compensi dovuti dai medesimi enti ai
legali esterni (sez. un. 28 giugno 1984, n. 3815, id., 1984, I, 1813, con
nota di richiami; cui adde, successivamente, C.M. Barone [V. Andrioli,
G. Pezzano, A. Proto Pisani], Le controversie in materia di lavoro,
Zanichelli - Foro italiano, Bologna-Roma, 1987, 107 ss.; e le indicazioni
in nota a Cass. 21 febbraio 1986, n. 1061, Foro it., 1987, I, 1558). Ma,
mentre le pronunzie delle sezioni unite del 1984 giustificavano la soluzio
ne attinta basandosi sulla portata e sulla funzione degli art. 409 e 429
c.p.c., la sentenza in rassegna integra le precedenti enunciazioni con il
rilievo del rapporto di quest'ultima disposizione con la normativa relativa
ai meccanismi convenzionali di indicizzazione delle tariffe professionali
(in argomento, per qualche riferimento, nella motivazione, Corte cost.
31 dicembre 1986, n. 300, id., 1987, I, 320, con nota di richiami). Con ef
ficace chiarezza la corte precisa, infatti, che «mentre l'art. 429, 3° comma,
Il Foro Italiano — 1987 — Parte 7-113.
Svolgimento del processo. — Con separati ricorsi al Pretore
di Lentini, depositati il 24 giugno 1981, Aletta Gesualdo, Alicata
Salvatore, Amenta Sebastiano, Buda Giuseppe, Piccolo Andrea
e Rossello Silvestro, medici generici già convenzionati con il di
sciolto I.n.a.m. esponevano che il loro rapporto era stato disci
plinato prima dalla convenzione del 27 giugno 1973, stipulata tra
l'I.n.a.m. e la Federazione nazionale dell'ordine dei medici, che
prevedeva il pagamento delle prestazioni con il sistema «a notu
la», e poi dall'accordo unico, previsto dall'art. 8 1. 29 giugno
1977 n. 349, che prevedeva detto pagamento con il sistema a «quo
ta capitaria», recepito dall'I.n.a.m., con deliberazione del suo com
missario liquidatore in data 7 luglio 1978; il suddetto istituto,
il quale fino a tutto il luglio 1978 aveva ricevuto le notule presen
tate dai medici, aveva cominciato dal 1° giugno 1978 a pagare
le prestazioni professionali con il sistema a «quota capitaria» ed
aveva anche trattenuto conguagli tra quanto pagato dal 1° gen
naio 1978 al 31 maggio 1978 e quanto avrebbe dovuto corrispon
dere, applicando così retroattivamente l'accordo nazionale unico.
Assumendo che la disposta applicazione retroattiva dell'accordo
era in contrasto con la disposizione del 4° comma dell'art. 8 1.
n. 349 del 1977, che prevedeva la cessazione del precedente siste
ma (a notula) solo dalla data del recepimento, da parte degli enti
mutualistici, delle convenzioni nazionali uniche (che nella specie
era il 7 luglio 1978), i ricorrenti chiedevano la condanna del
l'I.n.a.m. in liquidazione, in persona del suo legale rappresentan
te pro tempore, al rimborso delle somme trattenute dal 1 ° gennaio
1978 al 31 maggio 1978 e al pagamento delle differenze derivanti
dal sistema «a notula» per le prestazioni effettuate dal 1° giugno
1978 al 7 luglio 1978 oltre la rivalutazione monetaria e interessi
legali. Costituitosi il contradditorio, il ministero del tesoro - ufficio
liquidazioni, subentrato al disciolto I.n.a.m., contestava il fonda
mento della pretesa. Con sentenza del 12 marzo 1982 l'adito pretore, disposta la
riunione dei giudizi, accoglieva la domanda.
A seguito di gravame del ministero soccombente il Tribunale
di Catania con sentenza del 29 novembre 1983 confermava la
decisione di primo grado. Per quanto interessa il presente giudizio di cassazione il giudice
d'appello osservava: a) solo con il recepimento in data 7 luglio
1978, da parte dell'I.n.a.m., dell'accordo nazionale tipo, a cui
avrebbero dovuto conformarsi le convenzioni uniche, a norma
dell'art. 8 1. n. 349 del 1977 cessavano di avere efficacia gli ac
cordi precedenti ed in particolare il precedente sistema di paga
mento «a notula» per far posto al nuovo sistema «a quota
capitaria». La norma dell'art. 49 della convenzione unica, il cui
contenuto era predisposto dal suddetto accordo, che stabiliva la
decorrenza della stessa dal 1° gennaio 1978, era in contrasto con
il citato art. 8, norma inderogabile, intesa a stabilire il limite tem
porale degli accordi vigenti non soltanto nell'interesse dei medici
ma anche allo scopo di programmare l'attuazione del servizio sa
nitario. Conseguentemente la norma della convenzione era affet
ta da nullità, che si estendeva alla clausola conforme dei contratti
individuali, stipulati dai singoli medici; b) la condanna al risarci
mento del danno da svalutazione monetaria ed al pagamento de
gl'interessi legali trova fondamento nella disposizione dell'art. 429
c.p.c., che presuppone soltanto che si pronunci condanna per cre
diti di lavoro o assimilati, prescindendo dal soggetto che viene
condannato al pagamento. Avverso la suddetta sentenza il ministero del tesoro - ufficio
liquidazione propone ricorso per cassazione, affidato a due moti
vi di annullamento. Gli intimati non si sono costituiti.
Motivi della decisione. — Con il primo motivo, denunziando
violazione e falsa applicazione dell'art. 8, 4° comma, 1. 29 giu
c.p.c., riguarda il credito di lavoro maturato e non tempestivamente adem
piuto, l'indicizzazione convenzionale e l'adeguamento legale delle tariffe
professionali ineriscono alla quantificazione del giusto compenso, origi
nariamente dovuto ai fini del successivo adempimento esatto e tempesti
vo. In altri termini, mentre l'indicizzazione e l'aumento del compenso
si riferiscono ad una obbligazione di pagamento al momento della sca
denza, la rivalutazione monetaria si riferisce invece ad una obbligazione
di pagamento già scaduta e non soddisfatta». E tali argomentazioni, con
clusivamente integrate dalla conferma dell'applicabilità del ripetuto art.
429 ai crediti di lavoro verso gli enti pubblici non economici, evidenziano
la coerenza logica e la linearità espositiva della motivazione, in parte qua,
della riportata sentenza, resa, peraltro, in un contesto di puntuale infor
mazione giurisprudenziale. [C.M. Barone]
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