sentenza 23 febbraio 1996, n. 44 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 28 febbraio 1996, n. 9);Pres. Ferri, Est. Santosuosso; Impresa Nizzoli trasporti c. America. Ord. Trib. Busto Arsizio 4novembre 1994 (G.U., 1 a s.s., n. 40 del 1995)Source: Il Foro Italiano, Vol. 119, No. 4 (APRILE 1996), pp. 1123/1124-1125/1126Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23190266 .
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1123 PARTE PRIMA 1124
del 1988, ha espresso l'auspicio che il legislatore provvedesse air«ammodernamento» della disciplina degli autoferrotramvie
ri, attraverso una riforma integrale e non settoriale, ed insieme
sollecita. Detto auspicio è stato raccolto dalla 1. 12 luglio 1988
n. 270 la quale ha operato un definitivo mutamento, in ordine al sistema delle fonti (art. 1, 1° e 2° comma), disponendo la
delegificazione del rapporto di lavoro dei dipendenti delle aziende
esercenti servizi di trasporto e, quindi, autorizzando la contrat
tazione collettiva di categoria a derogare alle disposizioni conte
nute nel regolamento, ali. A al r.d. 8 gennaio 1931 n. 148. Det ta deroga, tuttavia, non si estende alla materia disciplinare ed
in particolare alla giurisdizione su di essa, come pure ricono sciuto dalla giurisprudenza delle sezioni unite della Corte di cas sazione e del Consiglio di Stato.
Pertanto, anche dopo l'entrata in vigore della 1. n. 270 del
1988, secondo una scelta discrezionale del legislatore, continua ad essere affidata al giudice amministrativo, ex art. 58 dell'ali. A al r.d. n. 148 del 1931, la giurisdizione sui ricorsi proposti contro i provvedimenti che abbiano irrogato sanzioni discipli nari, quale che sia l'organo che ha emesso il provvedimento e quale che sia la tipologia del rapporto di lavoro. Sotto questi
profili, pertanto, la nuova normativa, rappresentata dalla più volte citata 1. n. 210 del 1985, non fa venire meno la specialità del rapporto degli autoferrotramvieri, che trova riscontro anche nella peculiarità organizzativa delle relative aziende. Detta spe cialità, essendo rimessa alla discrezionalità del legislatore, non
è censurabile, in questa sede, se non sotto il profilo della irra zionalità. Discrezionalità che, peraltro, appare correttamente eser
citata in quanto preordinata a tutelare l'interesse collettivo —
e pertanto ritenuto dal legislatore preminente — al buon fun zionamento del servizio pubblico del trasporto ferrotramviario, avuto riguardo alle variegate e multiformi (anche per dimensio
ni) tipologie di gestione da parte di aziende autonome o da par te di soggetti privati, tutti in regime di concessione e con poteri derivanti dal rapporto di concessione in ordine anche alla sicu rezza e alla polizia dei trasporti.
Alla luce delle pregresse affermazioni, non sussiste l'omoge neità necessaria a rendere comparabili le situazioni poste a raf fronto dal giudice a quo, ed è, quindi, destinato a cadere l'ipo tizzato contrasto della norma censurata con l'art. 3 Cost.
Quanto all'ulteriore parametro evocato dal giudice a quo, ov vero all'art. 24 Cost., è costante giurisprudenza di questa corte il principio, affermato anche nella già citata sentenza n. 208
del 1984 e più recentemente ribadito con la sentenza n. 428 del 1993 (id., 1994, I, 1283), in virtù del quale il legislatore può differenziare la tutela giurisdizionale, con riguardo alla partico larità del rapporto da regolare, anche sotto il profilo dell'orga no investito della giurisdizione.
In particolare, questa corte ha costantemente affermato che
la tutela dinanzi al giudice amministrativo non è, in via di prin cipio, meno valida di quella che si avrebbe dinanzi al giudice ordinario (sentenze n. 140 del 1980, id., 1980, I, 2958 e n. 47 del 1976, id., 1976, I, 859).
A ciò si aggiunge che il legislatore, nella scelta discrezionale del giudice cui attribuire la competenza per la tutela di specifi che materie con posizioni di diritto soggettivo, può tenere conto dei diversificati poteri istruttori, nonché delle attitudini di ap prezzamento specie del vizio di eccesso di potere, e della imme diatezza di efficacia del potere di sospensione propri del sistema
processuale relativo al tipo di giurisdizione prescelto. Pertanto, anche riguardo all'art. 24 Cost., la norma censura
ta supera il vaglio di costituzionalità e di conseguenza la que stione prospettata deve ritenersi, sotto ogni profilo, non fondata.
Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara non fonda ta la questione di legittimità costituzionale dell'art. 58, 2° com
ma, dell'ali. A al r.d. 8 gennaio 1931 n. 148 (coordinamento delle norme sulla discipina giuridica dei rapporti di lavoro con
quelle sul trattamento giuridico-economico del personale delle
ferrovie, tramvie e linee di navigazione interna in regime di con
cessione) sollevata, in riferimento agli art. 3 e 24 Cost., dal Tribunale di Firenze con l'ordinanza in epigrafe.
Il Foro Italiano — 1996.
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 23 febbraio 1996, n. 44 (Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 28 febbraio 1996, n.
9); Pres. Ferri, Est. Santosuosso; Impresa Nizzoli trasporti c. America. Ord. Trib. Busto Arsizio 4 novembre 1994 (G.U., la s.s., n. 40 del 1995).
Lavoro (rapporto di) — Licenziamento senza giustificato moti
vo — Tutela obbligatoria — Riassunzione del lavoratore —
Risarcimento del danno — Discrezionalità — Questione in
fondata di costituzionalità (Cost., art. 3, 24; 1. 15 luglio 1966 n. 604, disciplina dei licenziamenti individuali, art. 8; 1. 20 maggio 1970 n. 300, norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell'attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento, art. 18, 35; 1. 11 maggio 1990 n. 108, norme sui licenziamenti individuali, art. 2).
È infondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 8 l. 15 luglio 1966 n. 604, cosi come modificato dall'art. 2 l. 11 maggio 1990 n. 108, nella parte in cui attribuisce al datore di lavoro la facoltà di scelta fra la riassunzione del lavoratore ed il risarcimento
del danno, in riferimento agli art. 3 e 24 Cost. (1)
(1) Con una tipica pronuncia interpretativa, inequivocabilmente ri sultante tale dall'inciso «nei sensi di cui in motivazione» contenuto in dispositivo, la corte ha sostanzialmente rettificato quell'orientamento (più recente) della giurisprudenza di legittimità secondo cui, nel regime della tutela obbligatoria, il dipendente illegittimamente licenziato, che, invitato dal datore di lavoro (in ottemperanza dell'obbligo di riassun zione ex art. 8 1. 604/66) a riprendere il servizio, rifiuti di farlo, non ha diritto ad alcun risarcimento del danno (Cass. 12 giugno 1995, n. 6620, Foro it., Mass., 776; 3 gennaio 1986, n. 33, id., Rep. 1986, voce Lavoro (rapporto), n. 2374; ma in precedenza in senso sostanzialmente conforme v. anche Cass. 22 luglio 1974, n. 2211, id., Rep. 1974, voce cit., n. 742); principio questo ispirato a maggiore rigore formale in quanto coerente con il carattere alternativo dell'obbligazione insorta ex art. 8 cit. in caso di illegittimità del licenziamento per mancanza di giusta causa o di giustificato motivo in regime di tutela obbligatoria: una vol ta che il debitore abbia comunicato la scelta (quindi, nella fattispecie, una volta che il datore di lavoro abbia invitato il lavoratore a riprende re il servizio) l'obbligazione diventa semplice (arg. ex art. 1286 c.c.; cfr. anche art. 1289 c.c. che prevede la liberazione del debitore se una delle due prestazioni diventa impossibile per colpa del creditore).
Principio però contrastato da quella maggiormente risalente giurispru denza (Cass. 23 novembre 1982, n. 6312, id., Rep. 1982, voce cit., n. 2092; 8 giugno 1979, n. 3272, id., Rep. 1979, voce cit., n. 1282; 28 ottobre 1974, n. 3236, id., Rep. 1974, voce cit., n. 749) secondo cui
l'obbligazione del pagamento dell'indennità risarcitoria di cui all'art. 8, alternativa all'obbligo di riassumere il dipendente illegittimamente licenziato, non viene meno per il fatto che la riassunzione sia divenuta
impossibile anche se per fatto del lavoratore. Peraltro, in tal senso già si era espressa Corte cost. 28 dicembre 1970, n. 194, id., 1971, I, 3. Inoltre nella giurisprudenza di merito, v., in senso conforme a quest'ul timo orientamento, Pret. Milano 13 gennaio 1992, id., Rep. 1992, voce cit., n. 1770, che — per pervenire all'interpretazione accolta, come ade guatrice al principio di eguaglianza (in termini adesivi, cfr., a commen to della medesima pronuncia, Neri Bernardi, Licenziamento indivi duale e indennità risarcitoria in caso di tutela obbligatoria del posto di lavoro, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1993, 917) — ha significativa mente richiamato la facoltà (introdotta solo nel regime della tutela reale dall'art. 1 1. 108/90, che ha novellato l'art. 18 statuto dei lavoratori) per il lavoratore reintegrato di chiedere, in alternativa alla riammissione in servizio, un'indennità pari a quindici mensilità dell'ultima retribuzio
ne; sicché la situazione sarebbe risultata ingiustificatamente sperequata ove una facoltà, non identica ma assimilabile a quest'ultima, non fosse riconosciuta anche al lavoratore che, nel regime della tutela obbligato ria, rinunciasse alla riassunzione. La Corte costituzionale non fa certo, nella pronuncia in rassegna, opera di nomofilachia, perché non risolve in realtà un contrasto di giurisprudenza, ma — valutando implicita mente in termini di incostituzionalità la norma censurata come interpre tata secondo l'orientamento più recente — ritiene sufficiente sovrap porre ad essa l'interpretazione adeguatrice già rinvenibile nella stessa
giurisprudenza di legittimità (oltre che nella sua stessa giurisprudenza), piuttosto che pervenire ad una pronuncia di incostituzionalità.
In sostanza quindi si viene a determinare un coerente ed armonico
parallelismo tra tutela reale e tutela obbligatoria in caso di licenziamen to illegittimo: nella prima il lavoratore può rinunciare alla reintegrazio ne chiedendo il pagamento dell'indennità sostitutiva prevista dall'art. 18 cit.; nella seconda parimenti il lavoratore può rinunciare alla rias sunzione chiedendo il pagamento dell'indennità risarcitoria prevista dal l'art. 8 cit. Con l'interpretazione adeguatrice indicata dalla corte si ha
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Diritto. — 1. - Il Tribunale di Busto Arsizio dubita della le gittimità costituzionale dell'art. 8 1. 15 luglio 1966 n. 604 (licen ziamenti individuali), cosi come modificato dall'art. 2 1. 11 mag gio 1990 n. 108, nella parte in cui prevede il diritto di scelta fra la riassunzione ed il risarcimento a favore del datore di lavoro.
A parere del giudice a quo sussisterebbe contrasto con l'art.
3 Cost., in quanto il lavoratore di impresa «minore» godrebbe di un trattamento più sfavorevole rispetto al lavoratore di im
presa «maggiore», nonché con l'art. 24 Cost, non essendo in
concreto concessa tutela al lavoratore di impresa «minore».
2. - La questione non è fondata dovendosi interpretare la
norma impugnata nei sensi che saranno di seguito precisati.
Questa corte ha più volte-(sentenze nn. 398 del 1994, Foro
it., 1995, I, 19; 189 del 1975, id., 1975, I, 1578; 152 del 1975, ibid.; 55 del 1974, id., 1974, I, 959) indicato i motivi razionali che giustificano la diversificazione del regime dei licenziamenti individuali in ragione delle dimensioni dell'impresa, evidenzian do che essi vanno ricercati nelle esigenze di funzionalità delle
unità produttive, soprattutto ai fini occupazionali, nonché nel
diverso grado di fiduciarietà e di tensione psicologica riscontra
bile nei rapporti diretti fra dipendente e piccolo imprenditore
rispetto alla situazione nella grande impresa. Nel confermare questa giurisprudenza, va ribadito che, nella
sola ipotesi di imprese minori, la legge ragionevolmente ricono
sce al datore di lavoro la scelta in ordine alla possibilità di rias
sumere il lavoratore illegittimamente licenziato, ovvero di risar
cirgli il danno conseguente all'accertata illegittimità del licen
ziamento.
3. - La ragionevolezza della differente disciplina tra impresa minore e maggiore non risolve tuttavia il problema relativo alle
ulteriori conseguenze scaturenti dalla predetta scelta operata dal
datore di lavoro e precisamente quello della esatta interpreta zione dell'espressione normativa che impone all'imprenditore
l'obbligo, in mancanza della riassunzione, di risarcire il danno;
ciò costituisce la sostanza della sollevata questione di costituzio
nalità.
In proposito, il giudice a quo dubita della legittimità costitu
zionale della norma interpretata in modo conforme agli art. 1286
ss. c.c., e cioè nel senso che, operata la scelta fra due prestazio
ni, ciò determina l'irrevocabilità della stessa, e il debitore resta
liberato dalla seconda prestazione.
L'interpretazione da cui muove l'ordinanza di rimessione è
aderente ad un orientamento della Corte di cassazione, tuttavia
contrastato da un maggior numero di pronunce della stessa, secondo cui il risarcimento previsto dalla norma impugnata co
stituisce una delle conseguenze della illegittimità del licenzia
mento: ed invero, si è affermato che, in mancanza (per qualsia si motivo) della reintegrazione (tutela reale e primaria), è dovu
ta la seconda delle tutele, e cioè quella obbligatoria, consistente
nella monetizzazione del danno derivante dall'illegittimo licen
ziamento, ogni qual volta non si ripristini il rapporto. 4. - Questo diverso orientamento giurisprudenziale è condivi
so dalla quasi totalità della dottrina e risulta anche da una risa
lente pronuncia di questa corte (sentenza n. 194 del 1970, id., 1971, I, 3), la quale ebbe ad affermare testualmente: «Né, ad
orientare diversamente il giudizio della corte, valgono i rilievi
contenuti nelle ordinanze circa la ingiustizia cui condurrebbe
la norma che, si sostiene, escluderebbe l'obbligo del pagamento
dell'indennità, nel caso che il ripristino del rapporto di lavoro
non possa aver luogo per causa non imputabile al datore di
lavoro».
«La corte esclude che tali inconvenienti possano verificarsi
ove si ritenga — come deve ritenersi perché la norma conservi
la riconosciuta conformità ai principi costituzionali — che il
pagamento della indennità, qualora il rapporto non si ripristini,
sia sempre dovuto e lo sia per il solo fatto del mancato ripristi no di esso, senza che a nulla rilevi quale sia il soggetto e quale la ragione per cui ciò abbia a verificarsi».
5. - Con tale pronuncia, quindi, questa corte ha già fatto
propria quella interpretazione della norma che la rende confor
quindi un apprezzabile ampliamento della tutela del lavoratore licenzia
to, il quale anche nelle piccole imprese (e forse soprattutto in queste) potrebbe avere interesse a non tornare alle dipendenze di chi illegittima mente lo abbia estromesso dal posto di lavoro. [G. Amoroso]
Il Foro Italiano — 1996.
me ai principi costituzionali. E, nella presente occasione, non
risultano validi motivi per discostarsi dalla richiamata pronuncia. Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara non fonda
ta, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 8 1. 15 luglio 1966 n. 604 (licenziamenti individuali), cosi come modificato dall'art. 2 1. 11 maggio 1990 n. 108, sollevata in riferimento all'art. 3 e 24 Cost., dal Tribu nale di Busto Arsizio con l'ordinanza indicata in epigrafe.
I
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 12 febbraio 1996, n.
26 (Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 21 febbraio 1996, n.
8); Pres. Ferri, Est. Chieppa; Pres. cons, ministri (Aw. del
lo Stato Ferri) c. Regione Piemonte (Aw. E. Romanelli).
Regione in genere e regioni a statuto ordinario — Piemonte — Programma integrato di riqualificazione urbanistica, edili
zia e ambientale — Approvazione — Decorso del termine —
Silenzio assenso — Violazione dei limiti della competenza re
gionale — Incostituzionalità (Cost., art. 117).
Regione in genere e regioni a statuto ordinario — Piemonte — Programma integrato di riqualificazione urbanistica, edili
zia e ambientale — Introduzione d'ufficio di modifiche regio nali — Violazione dei limiti della competenza regionale —
Questione infondata di costituzionalità (Cost., art. S, 117, 128).
Regione in genere e regioni a statuto ordinario — Piemonte — Programma integrato di riqualificazione urbanistica, edili
zia e ambientale — Mantenimento delle volumetrie preesistenti — Difformità dal piano regolatore vigente — Violazione dei
limiti della competenza regionale — Questione infondata di
costituzionalità (Cost., art. 117).
È incostituzionale l'art. 6, 2° comma, l. reg. Piemonte riappro vata l'8 marzo 1995, nella parte in cui prevede che nel caso
di inutile scadenza del termine di centoventi giorni per l'ap
provazione regionale del programma integrato di riqualifica
zione urbanistica, edilizia e ambientale in attuazione della legge statale 17 febbraio 1992 n. 179, questo si considera approva
to, poiché l'estensione del silenzio assenso a procedimenti ad
elevata discrezionalità come in materia di pianificazione, fini sce per incidere sull'essenza stessa della competenza re
gionale. (1) È infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art.
6, 3° comma, l. reg. Piemonte riapprovata l'8 marzo 1995,
in base al quale le modifiche al programma integrato di ri
qualificazione urbanistica, edilizia e ambientale in attuazione della legge statale 17 febbraio 1992 n. 179 sono introdotte
d'ufficio dalla giunta regionale qualora il termine per l'assun
zione della deliberazione comunale sia inutilmente trascorso,
trattandosi di modifiche non comportanti sostanziali innova
zioni, in riferimento agli art. 5, 117 e 128 Cost. (2)
(1, 4) Con le pronunce in epigrafe la Consulta fa applicazione di
alcuni dei principi già enunciati nella sentenza 19 ottobre 1992, n. 393, Foro it., 1992, I, 3203, con nota di richiami, in particolare per quanto concerne l'impatto con una «nuova cultura di semplificazione» della
procedura di approvazione del nuovo strumento urbanistico — riguar do alla quale si considera illegittima l'approvazione per silenzio assenso — dimostrando di tenere a parametro di riferimento nella valutazione
di compatibilità costituzionale delle norme regionali attuative della leg
ge statale 17 febbraio 1992 n. 179, l'ordinamento statuale vigente. Ra
gionamento su cui si appuntano, con riferimento alla sentenza 392/92, le critiche di Bartole, Valutazione della competenza regionale o viola
zione dei principi di buona amministrazione in materia urbanistica?, in Riv. giur. urbanistica, 1993, 225 ss., che, sottolineando l'opzione della corte di un percorso argomentativo attraverso gli art. 3 e 97 Cost., anziché sul fronte degli art. 115, 117 e 118 Cost., per giungere alla
dichiarazione d'incostituzionalità (sulla possibilità delle regioni di adire il giudice costituzionale prospettando la violazione di qualsiasi norma
costituzionale funzionale alla lamentata lesione della propria autono
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