sentenza 23 marzo 1981, n. 42 (Gazzetta ufficiale 1° aprile 1981, n. 91); Pres. Amadei, Rel. DeStefano; I.m.i. (Avv. Ferri, Guazzugli Marini), I.n.p.s. (Avv. Romoli, Traverso, Petrina), Creditoromagnolo, Banca cooperativa di Bologna, Ditta Vanelli Macchine (Avv. Zavattaro Ardizzi,Ghislanzoni) c. Fall. Officine meccaniche di Val d'Idice; Fall. Casanova. Ord. Cass., Sez. un., 5aprile 1975 (Gazz. uff. 9 luglio 1975, n. 1 ...Source: Il Foro Italiano, Vol. 104, No. 5 (MAGGIO 1981), pp. 1227/1228-1231/1232Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23172730 .
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1227 PARTE PRIMA 1228
259, divenuto 6° comma dell'art. 4 nel testo della legge 17 agosto 1974 n. 384. L'art. 1 legge n. 751 del 1976 si riferisce all'ipotesi di
presentazione, da parte dei coniugi, di distinte dichiarazioni e, nei
comma 1° e 2°, prescrive le modalità per la presentazione, da
parte di ciascuno dei coniugi, di separate dichiarazioni dei redditi
per gli anni 1974 e precedenti. Il successivo art. 2 concerne esclusivamente modalità per la
presentazione della suddetta dichiarazione da parte di ciascuno
dei coniugi e non si riferisce al contenuto dell'ult. comma del
precedente articolo. Questo comma è, invece, applicabile, ai sensi
dell'art. 3, ult. comma, stessa legge n. 751 del 1976, nella diversa
ipotesi che nessuno dei coniugi presenti la separata dichiarazione
dei redditi per gli anni 1974 e precedenti.
In tutte le quaranta ordinanze di rinvio si censura — sotto
profili nella maggior parte uguali e in riferimento a vari articoli
della Costituzione — la norma che stabilisce la non applicabilità — nella liquidazione dell'imposta i.r.p.e.f. per gli anni 1974 e
precedenti — della ulteriore detrazione di imposta di lire 36.000
qualora abbia reddito proprio la moglie del lavoratore dipendente con reddito personale di importo annuo non superiore a lire
4.000.000.
Questa corte osserva che le disposizioni impugnate vanno indi
viduate negli art. 1, ult. comma, e 3, ult. comma, legge n. 751 del
1976. Infatti la prima delle suddette norme sancisce la non
applicabilità della ulteriore detrazione di lire 36.000 prevista dall'art. 4, 6° comma, d. 1. n. 259 del 1974 nel testo della legge di
conversione n. 384 del 1974, che è esclusivamente norma di
riferimento; la seconda estende l'applicabilità dell'art. 1, ult.
comma, stessa legge alla ipotesi sopra precisata. 2. - Cosi individuate le norme impugnate, va presa in esame,
per il suo carattere preliminare, la censura di violazione dell'art. 136 Cost.
La Commissione tributaria di I grado di Isernia, con ordinanza
1° febbraio 1978, la Commissione tributaria di II grado di
Alessandria, con ordinanza 23 giugno 1979, e la Commissione
tributaria di I grado di Firenze, con ordinanza 26 gennaio 1979,
hanno affermato che l'art. 1, ult. comma, legge n. 751 del 1976 è
in contrasto con l'art. 136 Cost, perché reimmette nell'ordinamen
to una norma di contenuto identico alle disposizioni che prevede vano il cumulo dei redditi dei coniugi, ai fini dell'applicazione della imposta i.r.p.e.f., e sono state dichiarate illegittime dalla
Corte costituzionale con la sentenza n. 179 del 1976. Hanno
osservato che, a seguito di tale sentenza, si sarebbe dovuta
effettuare separatamente la tassazione dei coniugi e, quindi, ognu no di essi, titolare di reddito di lavoro dipendente di importo annuo non superiore a lire 4 milioni, avrebbe dovuto avere diritto
alla ulteriore detrazione di lire 36.000. La norma impugnata avrebbe considerato di nuovo operante la presunzione di maggiore
capacità contributiva delle persone unite dal matrimonio, già esclusa dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 179 del 1976.
La censura non è fondata.
Non sussiste la denunciata violazione dell'art. 136 Cost, perché il contenuto dell'art. 1, ult. comma, legge n. 751 del 1976 è
diverso da quello delle parti delle norme dichiarate illegittime con
la citata sentenza n. 179 del 1976.
L'art. 1, citato, elimina esclusivamente il diritto ad una ulteriore
detrazione, nella ipotesi in esso prevista, laddove le norme già ritenute dalla sentenza n. 179 del 1976 in contrasto con gli art. 3, 29 e 53 Cost, sono quelle che prevedevano: l'imputazione al
marito dei redditi della moglie non legalmente ed effettivamente
separata e il cumulo dei redditi di entrambi ai fini dell'applica zione della imposta; la soggettività passiva del marito anche per i
detti redditi della moglie e la correlativa negazione di tale
soggettività alla moglie; l'obbligo del marito di dichiarare, in
unico atto, oltre ai redditi propri, anche i menzionati redditi della
moglie; l'obbligo della moglie non separata di indicare al marito
gli elementi, i dati e le notizie relativi ai propri redditi a lui
imputabili perché egli potesse effettuare la dichiarazione unica dei
redditi (art. 131 e 139 d. pres. n. 645 del 1958, 2, n. 3, legge n. 825 del 1971, 2, 1° comma, e 4, lett. a, d. pres. n. 597 del 1973, 1, 3° comma, 46, 56, 57 d. pres. n. 600 del 1973, 15, 16, 17, 19, 20 e 30 d. pres. n. 636 del 1972).
La fattispecie ora all'esame di questa corte è diversa perché concerne non la imputazione dei redditi della moglie al marito
quale unico soggetto passivo di imposta, ma l'abolizione di una ulteriore detrazione qualora abbia reddito proprio il coniuge del
lavoratore dipendente, il cui reddito personale non superi il limite
annuo di lire 4 milioni.
3. - Altra censura comune a tutte le ordinanze di rinvio concerne la violazione dell'art. 3 Cost. Secondo le commissioni tributarie di primo e di secondo grado, la norma impugnata contrasterebbe in due sensi con il principio costituzionale di
eguaglianza: sia perché applicherebbe l'abolito principio del cu
mulo dei redditi dei coniugi; sia perché prevederebbe un tratta
mento diverso, privo di razionale giustificazione, solo nei confron
ti dei contribuenti coniugati, che non possono godere della detra
zione ulteriore di lire 36.000, spettante invece a tutti i contribuen
ti non coniugati. La questione in questi termini è fondata e rimane assorbito
l'esame delle altre censure.
Nella fattispecie in esame si rileva una disparità di trattamento
non giustificata entro la medesima categoria di lavoratori dipen denti con reddito personale annuo non superiore a lire 4 milioni.
Invero, i lavoratori predetti hanno diritto all'ulteriore detrazione
di lire 36.000, se non sono coniugati o se i loro coniugi non sono
titolari di redditi che, sommati a quelli dei lavoratori stessi,
superino l'importo annuo di lire 4 milioni. Per contro, le norme
impugnate escludono che la detrazione si applichi, quanto ai redditi dei coniugi che nel loro complesso superino comunque il tetto di 4 milioni, anche se per importi di minima entità e anche se il reddito di ciascuno dei coniugi stessi, entrambi lavoratori
dipendenti, sia inferiore a 4 milioni annui. La denunciata disparità di trattamento è di piana evidenza e ne
consegue la illegittimità costituzionale delle disposizioni di legge denunziate.
Per questi motivi, dichiara la illegittimità costituzionale degli art. 1, ult. comma, e 3, ult. comma, legge 12 novembre 1976 n.
751 (norme per la determinazione e riscossione delle imposte sui
redditi dei coniugi per gli anni 1974 e precedenti e altre disposi zioni in materia tributaria).
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 23 marzo 1981, n. 42
(Gazzetta ufficiale 1° aprile 1981, n. 91); Pres. Amadei, Rei. De
Stefano; I.m.i. (Avv. Ferri, Guazzugli Marini), I.n.p.s. (Aw. Romoli, Traverso, Petrina), Credito romagnolo, Banca coope rativa di Bologna, Ditta Vanelli Macchine (Avv. Zavattaro
Ardizzi, Ghislanzoni) c. Fall. Officine meccaniche di Val
d'Idice; Fall. Casanova. Ord. Cass., Sez. un., 5 aprile 1975
(Gazz. uff. 9 luglio 1975, n. 181); Trib. Firenze 30 luglio 1975 (id. 25 febbraio 1976, n. 51).
Fallimento — Decreti del giudice delegato in materia di piani di riparto dell'attivo — Reclamabilità al tribunale — Inade
guata garanzia di difesa — Incostituzionalità (Cost., art. 24; r. d. 16 marzo 1942 n. 267, disciplina del fallimento, art.
23, 26).
È illegittimo, per violazione dell'art. 24 Cost., l'art. 26 (in relazio ne all'art. 23) r. d. 16 marzo 1942 n. 267, nella parte in cui
assoggetta a reclamo al tribunale, senza assicurare alle parti adeguate garanzie di difesa, i provvedimenti decisori emessi dal
giudice delegato in materia di piani di riparto dell'attivo. (1)
(1) L'ordinanza 5 aprile 1975, n. 304, delle sezioni unite della Cassa zione è riprodotta in Foro it., 1975, I, 2544, con nota di Pezzano, L'art. Ili, 2° comma, Cost, e la materia fallimentare, ed è commentata da Mariani, in Mon. trib., 1975, 640; da Del Vecchio, in Giur. it., 1976, I, 1, 1181 e da Scalera, in Dir. fall., 1975, II, 645. L'ordinanza 30 luglio 1975 del Tribunale di Firenze è massimata in Foro it., 1976, I, 875, con nota di richiami. Per la manifesta infondatezza della questio ne v., da ultimo, Cass. 27 marzo 1979, n. 1768, id., Rep. 1979, voce Fallimento, n. 207.
Corte cost. 9 luglio 1963, n. 118, menzionata in motivazione, riprodotta in Foro it., 1963, I, 1608, e commentata da Bianchi D'Espinosa, Una sentenza « interpretativa di rigetto » della Corte costituzionale in materia fallimentare, in Giust. civ., 1963, III, 311, aveva accolto un'interpretazione adeguatrice della norma impugnata in base alla quale il reclamo non sarebbe stato esperibile nei confronti dei provvedimenti « decisori » del giudice delegato (in questo senso cfr. Andrioli, Fallimento, voce dell 'Enciclopedia del diritto, 1967, XVI, 370, 446); ma poiché i « consigli » contenuti in tale pronuncia erano stati disattesi dalla giurisprudenza ordinaria (cfr. Andrioli, in Foro it., 1969, V, 90; Bongiorno, 1 provvedimenti del tribunale fallimentare, 1979, 306, 340; Pezzano, op. cit.; Cass. 30 marzo 1978, n. 2728, Foro it., Rep. 1978, voce cit., n. 190, commentata da Bonsignori, in Dir. fall., 1978, II, 487; 18 dicembre 1978, n. 6043, Foro it., 1979, I, 2920; 10 gennaio 1979, n. 157, id., Rep. 1979, voce cit., n. 470; 10 novembre 1979, n. 5787, ibid., n. 205, commentata da Santucci, in Giust. civ., 1980, I, 1389, per non ricordare che alcune delle più re centi), segue ora, secondo lo schema più volte collaudato della « dop pia pronuncia », la corrispondente sentenza di accoglimento.
In argomento v. altresi: Maltese, Un conflitto interpretativo fra la Corte di cassazione e la Corte costituzionale in materia fallimentare, in Giur. it., 1972, I, 1, 1555, e Profili della riforma del sistema di impugnazione dei provvedimenti del giudice delegato, in Dir. fall., 1972, I, 130; La China, 1 provvedimenti del giudice fallimentare tra prescrizioni di legge e libertà di interpreti: una situazione che non può
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
La Corte, ecc. — 1. - Le questioni sottoposte alla corte dalle due ordinanze, della Corte di cassazione, sezioni unite civili, e del Tribunale di Firenze, sono sostanzialmente identiche, e pertanto i relativi giudizi vengono riuniti per essere decisi con unica senten za.
2. - Il thema decidendum può essere enunciato nei seguenti termini: se sia costituzionalmente illegittimo — per contrasto con l'art. 24 Cost. — l'art. 26 1. fall. (r.d. 16 marzo 1942 n. 267, « disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell'ammi nistrazione controllata e della liquidazione coatta amministrati va »), in relazione all'art. 23 della stessa legge, nella parte in cui
assoggetta a reclamo al collegio del tribunale, regolandolo nel modo ivi previsto, i provvedimenti decisori emessi dal giudice delegato in materia di piani di riparto dell'attivo.
Ben vero che i provvedimenti di rimessione delineano la que stione, nel motivarne la non manifesta infondatezza, con più ampio riferimento ai « provvedimenti decisori emessi dal giudice delegato nelle controversie su diritti soggettivi attribuite alla
cognizione e decisione di esso nelle ipotesi tipiche previste dalla
legge » (ordinanza della Corte di cassazione), ed ai « provvedi menti decisori emessi dal giudice delegato sulle controversie su diritti soggettivi » (ordinanza del Tribunale di Firenze). Ma que sta corte, nei cui compiti rientra — come affermato dalla sua
giurisprudenza (da ultimo sentenze nn. 137 e 151 del 1980, Foro
it., 1980, I, 2960; 1981, I, 2) — precisare l'oggetto della questione sottoposta al suo esame, considera, secondo quanto esplicitamente risulta dalle stesse ordinanze, che nel giudizio pendente innanzi
alla Corte di cassazione il provvedimento, contro il quale era
stato esperito il reclamo di cui all'art. 26 1. fall., era il decreto
con il quale il giudice delegato, tenuto conto delle osservazioni
dei creditori, « stabilisce il piano di riparto, rendendolo esecutivo »
(art. 110, ult. comma, della stessa legge); e che nell'altro giudizio a quo, pendente innanzi al Tribunale di Firenze, il reclamo era
stato proposto dal curatore del fallimento contro il decreto con il
quale il giudice delegato, in sede di riparto dell'attivo, aveva
disposto che il pagamento ai creditori ammessi al passivo per
prestazioni di lavoro subordinato alle dipendenze dell'impresa
fallita, fosse effettuato senza operare alcuna ritenuta a titolo di
acconto dell'i.r.p.e.f. dovuta dai percipienti. Ritiene, pertanto, la
corte che la questione di legittimità costituzionale .del reclamo
previsto dall'art. 26 in parola non debba essere trattata con
riferimento a qualsiasi provvedimento decisorio del giudice dele
gato (cerchia alquanto eterogenea), ma debba essere puntualmente circoscritta nei termini sopra indicati, e cioè con riferimento ai
provvedimenti decisori che il giudice delegato adotta, ai sensi
degli art. 110 segg. 1. fall., in sede di ripartizione dell'attivo.
3. - Preliminarmente occorre esaminare l'eccezione di inammis
sibilità per difetto di rilevanza della sollevata questione, opposta — nel giudizio instaurato a sèguito dell'ordinanza della Corte di
cassazione — dalla difesa dell'I.n.p.s., sia nell'atto di costituzione
che alla pubblica udienza.
L'I.n.p.s., come esposto in narrativa, obietta che la questione di
legittimità costituzionale dell'art. 26 1. fall., essendo basata sull'as
serito contrasto con l'art. 24 Cost., non poteva venir sollevata se
non con riferimento « alla parte reclamante, il cui diritto a difesa
potrebbe essere compromesso dalle limitazioni dell'art. 26 »;
mentre, nel caso di specie, « reclamante era l'I.n.p.s. e non
ed il fatto stesso che il reclamo sia stato accolto dimostra
che il diritto a difesa del reclamante è stato tutelato ».
Ma in punto di rilevanza il giudice a quo ha diffusamente
motivato, deducendo che, qualora la questione fosse riconosciuta
fondata, il provvedimento impugnato dovrebbe essere cassato
senza rinvio, con l'assorbimento di ogni altra censura, mentre, nella ipotesi della non fondatezza, il primo motivo del ricorso
dell'Istituto mobiliare italiano dovrebbe essere disatteso. Per
quanto in particolare concerne il ricorso incidentale della ditta
Vanelli, la sollevata questione sarebbe poi rilevante in modo più
specifico, con riferimento peculiare alla disposizione dell'impugna to art. 26, che individua nella « data del decreto », a prescindere dalla effettiva conoscenza di questo da parte dell'interessato, il
dies a quo di decorrenza del termine di tre giorni, utile per la
proposizione del reclamo: termine che nella specie la parte non
ha rispettato. Sicché, ove la questione fosse dichiarata non fonda
ta, la Corte di cassazione dovrebbe rilevare d'ufficio la preclusio ne formatasi sul decreto del giudice delegato per mancanza di
tempestiva impugnazione, con conseguente declaratoria di inam
missibilità del ricorso successivamente proposto.
durare, id., 1973, I, 125; Pajardi, L'attuale ideologia della Corte
suprema di cassazione in tema di tutela dei diritti soggettivi nel
lallimento, in Mon. trib., 1973, 750; Bonsignori, in Commentario, a
cura di Scialoja e Branca, Legge fallimentare, III, 212.
La corte ritiene che gli argomenti addotti dalla difesa del
l'I.n.p.s. a sostegno della eccezione di irrilevanza, trovino nella motivazione del provvedimento di rimessione puntuale ed esau riente confutazione. È poi appena il caso di osservare che la
questione sollevata dalla Corte di cassazione nei confronti dell'art. 26 1. fall, non investe solo il previsto termine di tre giorni e la sua decorrenza dalla data del decreto del giudice delegato, ma anche la regolamentazione del procedimento nel suo complesso, il che non riguarda, ovviamente, il solo reclamante ma tutte le parti interessate.
In proposito devesi richiamare la costante giurisprudenza di
questa corte (da ultimo, sentenza n. 174 del 1980, id., 1981, I, 336), secondo la quale il giudizio sulla rilevanza di una questione di legittimità costituzionale rientra nella primaria competenza del
giudice a quo. La cui motivazione sul punto è suscettibile di sindacato soltanto « qualora risulti chiaramente viziata nell'impo stazione e nel procedimento, e ne derivi, pertanto, l'evidente esclusione del carattere di necessaria pregiudizialità della soluzio ne della questione di legittimità rispetto alla decisione del meri to » (sentenza n. 19 del 1978, id., 1978, I, 817), il che non ricorre nel caso in esame. L'eccezione di inammissibilità va
dunque respinta, avendo il giudice a quo motivato sulla rilevanza in modo specifico e adeguato.
4. - La questione è fondata.
Giova, in proposito, prendere le mosse dalla sentenza di questa corte n. 118 del 1963 (id., 1963, I, 1608), alla quale ripetutamente fanno richiamo i provvedimenti di rimessione. In quell'occasione il
giudice a quo — investito della opposizione ad un decreto del
giudice delegato che, in applicazione degli art. 77 e 150 1. fall., aveva ingiunto ad un associato in partecipazione di versare la parte ancora dovuta dei conferimenti, nei limiti delle perdite a suo carico — aveva dubitato della legittimità costituzionale degli art. 23, ult. comma, e 26, 1° comma, nella parte che recita: « entro tre giorni dalla data del decreto » e 2° comma, legge medesima, in riferimento agli art. 24, 1° comma, e 111, 2°
comma, Cost. Ma la corte dichiarò non fondata la questione, ritenendo che le disposizioni impugnate dovessero essere necessa riamente interpretarsi nel senso che il meccanismo, da esse deli
neato, non fosse applicabile ai provvedimenti, come quello allora
contestato, « emessi dal giudice delegato nell'esercizio di funzioni di cognizione, aventi per oggetto diritti soggettivi » : ciò essen do escluso « sia dalla stessa struttura del reclamo... sia dalle forme o dalle garanzie di tutela dei diritti soggettivi, assicurate dall'ordinamento generale ». L'opposta interpretazione data dal
giudice a quo avrebbe invero condotto, ad avviso della corte, a situazioni nelle quali si sarebbe verificata « non già una limita zione o un affievolimento dei diritti soggettivi, ma addirittura
l'impossibilità di una loro tutela giurisdizionale ».
Senonché, le sezioni unite della Corte di cassazione — alle
quali il ricorso dell'l.m.i. è stato deferito ai sensi dell'art. 374, 2° comma, cod. proc. civ., trattandosi di questione di diritto già decisa in senso difforme dalle sezioni semplici — nella loro ordinanza, richiamando giurisprudenza « largamente prevalente » hanno invece ritenuto esperibile il reclamo ex art. 26 anche nelle controversie su diritti soggettivi tipicamente attribuite dalla legge al giudice delegato; ed hanno affermato che, nella specie, il decreto di approvazione del piano di riparto rientra appunto in una delle ipotesi tipiche, in cui sono al giudice delegato attribuiti dalla legge poteri cognitori e decisori in controversie su diritti soggettivi, senza che sia insieme previsto uno specifico mezzo di gravame, dovendo pertanto riconoscersi che contro il decreto medesimo è esperibile il reclamo in parola. La medesima interpre tazione delle denunciate norme vien posta a base dell'ordinanza del Tribunale di Firenze, che in proposito fa puntuale riferimento all'ordinanza delle sezioni unite della Corte di cassazione. Gli stessi orientamenti interpretativi, del resto, risultano più che ribaditi e nettamente preponderanti nella giurisprudenza successi va alle ordinanze di rinvio.
Non v'ha allora dubbio che, in tal modo interpretate ed applicate, le disposizioni impugnate vivono nella realtà concreta in modo incompatibile con il precetto dell'art. 24 Cost.
5. - Suffraga la pronuncia di fondatezza della sollevata questione innanzi tutto la natura decisoria dei provvedimenti che il giudice delegato adotta in sede di ripartizione delle attività fallimentari, in applicazione degli art. 110 segg. 1. fall. Oggetto della cognizio ne del giudice è, infatti, l'ordine tra i vari creditori, quale disciplinato dall'art. Ili, integrato dagli art. 2777-2783 cod. civ., come modificati dalla legge 29 luglio 1975 n. 426, in materia di privilegi. Ben vero che il riparto ha per presupposto le situazioni consolidatesi nella procedura di accertamento del passivo, ma ciò non toglie al decreto di esecutività del riparto quel carattere di novità, consistente nell'accertamento dell'ordine tra i creditori
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1231 PARTE PRIMA 1232
concorsuali, in difetto del quale l'ammissione al passivo non
legittima alla collocazione sulle somme disponibili.
Si verte, dunque, nell'àmbito di diritti soggettivi, la cui tutela è
resa impossibile, o quanto meno estremamente difficile, dalla
eccessiva brevità del termine (appena « tre giorni ») previsto dall'art. 26 per l'esperimento del reclamo; nonché dalla sua
decorrenza « dalla data del decreto », indipendentemente dalla
conoscenza di esso da parte dell'interessato. Con il che resta
evidentemente vulnerato — come già sottolineato nella ricordata
sentenza di questa corte n. 118 del 1963 — il diritto di difesa
costituzionalmente garantito, il cui effettivo esercizio postula ap
punto che il termine di decadenza dall'impugnazione sia congruo, e che decorra dal momento in cui l'interessato all'impugnativa abbia avuto notizia della emanazione dell'atto impugnabile, o
quanto meno tale notizia abbia attinto un livello di conoscibilità
da parte dell'interessato medesimo.
La stessa « struttura » del procedimento di reclamo ex art. 23 e
26, inoltre, non assicura adeguata tutela giurisdizionale ai diritti
soggettivi coinvolti nella ripartizione delle attività fallimentari.
Significativa, al riguardo, è soprattutto la sommarietà del contrad
dittorio propria di siffatto procedimento, essendo previsto che il
tribunale investito del reclamo abbia soltanto la facoltà, e non
l'obbligo, di sentire in camera di consiglio le parti; e ciò — come
giustamente rileva la Corte di cassazione — dopo una prima fase
cognitoria innanzi al giudice delegato « parimenti, quando non
maggiormente, sommaria ». Né di minor rilievo appare la forma
del provvedimento che definisce il procedimento di reclamo;
decreto, per il quale — come rilevato dalla sentenza n. 118 del
1963 — « non si richiede motivazione ».
Per le su esposte considerazioni la corte ritiene che la disposi zione dettata dall'art. 26 1. fall., in relazione all'art. 23 della stessa
legge, nella parte in cui, secondo l'accolta interpretazione, prevede la esperibilità del reclamo al tribunale fallimentare contro i
provvedimenti decisori emessi dal giudice delegato in materia di
piani di riparto, regolandolo nel modo ivi previsto, contrasti con
l'art. 24 Cost., in quanto non vengono adeguatamente garantiti né
l'effettivo esercizio dell'azione in giudizio, né la difesa della parte nel corso del procedimento; e pertanto ne va dichiarata la
illegittimità costituzionale.
Quale sia, poi, il rimedio che il vigente ordinamento appresta — una volta escluso il reclamo come strutturato dall'art. 26 in
relazione all'art. 23 — per la tutela dei diritti soggettivi che si assumano lesi dai suddetti provvedimenti adottati dal giudice
delegato in materia di piani di riparto delle attività fallimentari, è
questione ermeneutica che non compete a questa corte risolvere.
Sempre che il legislatore non ritenga poi di por mano ad un
opportuno riassetto della intera materia delle procedure concor
suali, traendo occasione dalle segnalazioni che la corte gli ha
rivolto con le sentenze nn. 152 e 155 del 1980 (id., 1981, I, 1) a
proposito di altre disposizioni della stessa legge.
Per questi motivi, dichiara la illegittimità costituzionale dell'art.
26, in relazione all'art. 23, r. d. 16 marzo 1942 n. 267 (disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell'amministrazione
controllata e della liquidazione coatta amministrativa), nella parte in cui assoggetta al reclamo al tribunale, disciplinato nel modo ivi
previsto, i provvedimenti decisori emessi dal giudice delegato in materia di piani di riparto dell'attivo.
I
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 10 marzo 1981, n. 40
(Gazzetta ufficiale 18 marzo 1981, n. 77); Pres. Amadei, Rei.
Paladin; Idaspe ed altri c. E.n.el.; Corsano ed altri c. Associa
zione irrigazione Est. Sesia (Avv. Compagno); interv. Pres. cons,
ministri (Avv. dello Stato Azzariti). Orci. Trib. Novara 24
novembre 1977 (Gazz. uff. 12 aprile 1978, n. 101); Pret.
Borgonovo Val Tidone 24 ottobre 1975 (id. 11 febbraio 1976, n. 38).
Elezioni — Componenti il seggio — Diritto a tre giorni di ferie
retribuite — Computo delle festività — Limitazione del diritto
al riposo settimanale — Questione infondata di costituzio
nalità (Cost., art. 36; d. pres. 30 marzo 1957 n. 361, t. u. delle
leggi per l'elezione della Camera dei deputati, art. 119).
È infondata la questione di costituzionalità dell'art. 119 t. u. 30
marzo 1957 n. 361 che garantisce tre giorni di ferie retribuite ai
lavoratori dipendenti chiamati ad adempiere funzioni presso gli
uffici elettorali in occasione delle elezioni politiche, in riferi mento all'art. 36, 3° comma, Cost. (1)
II
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 26 febbraio 1981, n. 35
(Gazzetta ufficiale 4 marzo 1981, n. 63); Pres. Amadei, Rei.
Paladin; Idaspe e altri c. E.n.el.; Bedendo c. Soc. Breco's
(Avv. Fornario); Di Ceglie e altro (Aw. Ventura) c. Soc. O.m.s.a. - Officine marittime; ed altri; interv. Pres. cons, ministri (Aw. dello Stato Azzariti). Ord. Trib. Verbania 11
gennaio 1979 (Gazz. uff. 6 giugno 1979, n. 154); Pret. Cittadella 4 dicembre 1975 (id. 17 marzo 1976, n. 72); Pret. Bassano del Grappa 27 settembre 1795 (id. 5 maggio 1976, n. 118); Pret. S. Miniato 21 gennaio 1976 (id. 19 maggio 1976, n. 132); Pret. Viareggio 25 marzo 1976, (id. 23 giugno 1976, n. 164); Pret. Genova 17 marzo 1976 (id. 7 luglio 1976, n. 177); Pret. Castelnuovo Garfagnana 24 marzo 1976
(id. 8 settembre 1976, n. 239); Pret. Busto Arsizio 13 dicembre 1976 (id. 13 aprile 1977, n. 100); Pret. Gavirate 25 maggio 1977 (id. 12 ottobre 1977, n. 279); Pret. Massa 5 luglio 1977 (id. 23 novembre 1977, n. 320); Pret. Reggio Calabria 22 aprile 1977 (id. 22 febbraio 1978, n. 53); Pret. Casoria 28 maggio Ì979
(id. 12 settembre 1979, n. 251).
Elezioni — Componenti il seggio — Ferie retribuite — Estensione della disciplina alle elezioni amministrative — Questioni inam missibili e infondata di costituzionalità (Cost., art. 3, 36, 51, 53; legge 8 marzo 1951 n. 122, norme per la elezione dei consigli provinciali; d. pres. 30 marzo 1957 n. 361, art. 119; d. pres. 16
maggio 1960 n. 570, t. u. delle leggi per la composizione e la ele zione degli organi delle amministrazioni comunali, art. 20, 26; legge reg. Sardegna 23 marzo 1961 n. 4, norme per la elezione dell consiglio regionale, art. 79; legge 5 agosto 1962 n. 1257, nor me per l'elezione del consiglio regionale della Valle d'Aosta, art. 2; legge 3 febbraio 1964 n. 3, norme per la elezione e la convocazione del primo consiglio regionale del Friuli-Venezia Giulia e disciplina delle cause di ineleggibilità ed incompatibilità e del contenzioso elettorale, art. 3; legge 17 febbraio 1968 n. 108, norme per la elezione dei consigli regionali delle regioni a statuto normale; legge reg. Friuli-Venezia Giulia 27 marzo 1968 n. 20, legge elettorale regionale, art. 49; legge 25 maggio 1970 n. 352, norme sui referendum previsti dalla Costituzione e sulla iniziativa legislativa del popolo, art. 50; legge reg. Trentino-Alto Adige 23 luglio 1973 n. 9, modifiche ed inte grazioni alla legge reg. 20 agosto 1952 n. 24 e successive mo dificazioni concernenti la elezione del consiglio regionale).
(1-8) L'ordinanza 28 maggio 1979 del Pretore di Casoria è riportata in Foro it., 1980, I, 1549; le ordinanze 21 gennaio 1976 del Pretore di San Miniato, 24 ottobre 1975 del Pretore di Borgonovo Val Tidone e 27 settembre 1975 del Pretore di Bassano del Grappa sono massimate in Foro it., 1976, I, 2054, 2055, 1144, con note di richiami.
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1. - La disomogeneità della disciplina sul trattamento economico dei lavoratori dipendenti che vengono chiamati a svolgere funzioni nei seggi elettorali, aggravata da alcune imprecisioni terminologiche e concettuali in essa contenute, ha dato luogo fino ad ora a molte plici controversie che puntualmente si sono ripresentate ad ogni con sultazione elettorale e che negli ultimi tempi, in connessione con la maggiore frequenza delle elezioni, sono andate propagandosi, ren dendo più acuto lo stato di incertezza in materia, come rivelano le sentenze della Cassazione in epigrafe. Anche l'intervento della Corte costituzionale, che ha affrontato alcuni di questi problemi nelle altre due sentenze qui riportate, anziché risolvere, è sembrato semmai ac crescere, per certi aspetti, lo stato di confusione.
Presa coscienza di queste difficoltà il legislatore è recentemente intervenuto a disciplinare la materia con la legge 30 aprile 1981 n. 178 che ha apportato sostanziali elementi chiarificatori volti ad eliminare le disparità di trattamento esistenti in questa materia, e ad uniformare la legislazione elettorale amministrativa a quella po litica, senza peraltro introdurre, nell'occasione, le ulteriori precisa zioni terminologiche che avrebbero definitivamente annullato ogni ragione di contrasti interpretativi. Questo provvedimento, che potrà cosi esplicare i suoi effetti nelle imminenti consultazioni amministra tive risulta altresì applicabile anche nei confronti delle elezioni am ministrative già tenutesi lo scorso anno (1*8 e il 9 gennaio 1980) per l'esplicita disposizione contenuta nell'art. 3.
Merita ricordare come la confusione sulla disciplina legislativa in vigore prima dell'intervento della Corte costituzionale e quindi anche del recente provvedimento legislativo sopra menzionato, fosse conse guenza del fatto che solo per le elezioni politiche, secondo quanto spe cificato nell'art. 119 t. u. n. 361 del 1957 sulla elezione della Ca mera dei deputati, il legislatore riconosceva espressamente, il diritto, per i lavoratori dipendenti impegnati nei seggi elettorali, a tre giorni
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