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sentenza 23 marzo 1983, n. 69 (Gazzetta ufficiale 30 marzo 1983, n. 88); Pres. Elia, Rel. Saja;...

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sentenza 23 marzo 1983, n. 69 (Gazzetta ufficiale 30 marzo 1983, n. 88); Pres. Elia, Rel. Saja; Picchi (Avv. Zammit) e altri c. Soc. Stefer e Soc. Acotral (Avv. Cavasola) e Regione Lazio (Avv. M. Nigro). Ord. Pret. Roma 30 novembre 1977 (Gazz. uff. 12 aprile 1978, n. 101) + 11 Source: Il Foro Italiano, Vol. 106, No. 5 (MAGGIO 1983), pp. 1205/1206-1211/1212 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23175492 . Accessed: 28/06/2014 09:24 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 91.238.114.163 on Sat, 28 Jun 2014 09:24:55 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sentenza 23 marzo 1983, n. 69 (Gazzetta ufficiale 30 marzo 1983, n. 88); Pres. Elia, Rel. Saja;Picchi (Avv. Zammit) e altri c. Soc. Stefer e Soc. Acotral (Avv. Cavasola) e Regione Lazio (Avv.M. Nigro). Ord. Pret. Roma 30 novembre 1977 (Gazz. uff. 12 aprile 1978, n. 101) + 11Source: Il Foro Italiano, Vol. 106, No. 5 (MAGGIO 1983), pp. 1205/1206-1211/1212Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23175492 .

Accessed: 28/06/2014 09:24

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

1974, era stato temperato dalla citata 1. n. 576 del 1975, la quale, con effetto dal 1° gennaio 1975 e relativamente ai redditi pos seduti da tale data, aveva disposto, all'art. 2, che se il reddito

complessivo lordo dei coniugi non superasse i sette milioni di

lire annui, l'imposta venisse commisurata separatamente sul red

dito proprio di ciascuno dei coniugi, al netto degli oneri di cui al citato art. 10 d. n. 597 del 1973, « riferibili ad ognuno di essi »; mentre aveva mantenuto, all'art. 1, il cumulo ove il reddito com

plessivo lordo dei coniugi fosse d'importo superiore ai sette

milioni. Dichiarata da questa corte, con la sentenza n. 179 del 1976,

la illegittimità costituzionale del sistema del cumulo, nei limiti

innanzi richiamati, il legislatore, in aderenza ai principi ivi af

fermati, ha disposto, con la citata 1. n. 751 del 1976, relativa

mente ai redditi dei coniugi per gli anni 1974 e precedenti, che

l'imposta venga commisurata separatamente sul reddito comples sivo proprio del marito e su quello della moglie. Circa gli oneri

previsti dall'art. 10 d. n. 597 del 1973 — venuta meno, per ef

fetto della pronuncia di questa corte, la imputazione al marito

dei redditi della moglie — il denunciato comma 3° dell'art. 1

della stessa legge ha statuito che essi « sono deducibili dal red

dito complessivo del coniuge che li ha sostenuti » ; ed il succes

sivo art. 3 ha ribadito che i redditi complessivi propri del marito

e della moglie vengono determinati « al netto degli oneri riferibili

a ciascuno di essi».

Analogamente, per i redditi posseduti dai coniugi nell'anno

1975 (e dichiarati nel 1976), la successiva 1. n. 114 del 1977, abro

gando le norme dettate dalla 1. n. 576 del 1975, ha disposto, con

i denunciati art. 19 e 20, che l'imposta si applica separatamente sul reddito complessivo netto di ciascun coniuge; e che gli oneri

previsti dall'art. 10 d. n. 597 del 1973, « sono deducibili dal red

dito complessivo del coniuge che li ha sostenuti».

Pur con questa modifica, che consegue all'adozione del siste

ma di tassazione separata del reddito dei coniugi, le denunciate

norme fanno ancora riferimento, per quanto riguarda i tipi di one

ri riconosciuti deducibili, al testo originario del citato art. 10 (le innovazioni apportate in proposito dall'art. 5 1. n. 114 del 1977, hanno invero effetto, ai sensi degli art. 20, ult. comma, e 23 della

legge medesima, dal 1" gennaio 1976, relativamente ai redditi

posseduti da tale data: e si è già rilevato che le controversie al

l'esame dei giudici a quibus concernono, invece, redditi posse duti dai coniugi nel 1974 e nel 1975). Per il combinato disposto di tali norme, qualora si tratti di interessi passivi relativi ad un

mutuo, trova puntuale e razionale applicazione il principio che

l'onere viene dedotto dal reddito del contribuente che lo sostiene;

e cioè, nel caso, dal reddito del mutuatario, giuridicamente te

nuto (art. 1815 e 1820 c.c.) al pagamento dei relativi interessi.

Una volta che il reddito della moglie non viene più imputato al

marito, ma è sottoposto ad autonoma tassazione, e che gli oneri

sostenuti dalla prima vengono dedotti dal reddito medesimo, e

non più dal coacervo dei redditi dei coniugi, il principio non può

non valere anche per gli interessi passivi di un mutuo, del quale

mutuataria sia la moglie, tenuta perciò, essa sola, al pagamento

degli interessi medesimi.

Nei giudizi a quibus si controverte sulla deducibilità di inte

ressi passivi pagati per mutuo ipotecario gravante sulla casa di

abitazione della famiglia: casa, peraltro, intestata unicamente

alla moglie, sola mutuataria, sfornita di redditi propri all'infuori

del reddito catastale derivante dalla proprietà della casa medesi

ma. Le ordinanze di rimessione lamentano che in tale fattispecie

le denunciate norme non consentano la deduzione dal reddito

del marito di quella parte dell'onere per interessi passivi, che

eccede l'ammontare del reddito catastale imputato alla moglie e

non può pertanto essere dedotto da quest'ultimo: e in ciò ravvi

sano violazione degli art. 3, 29, 30, 31 e 53 Cost.

La corte ritiene che nessuno degli invocati parametri possa

avvalorare la mossa censura di illegittimità costituzionale. Le

denunciate norme, infatti, operano nell'ambito di un sistema

che, escludendo ai fini della tassazione il cumulo dei redditi dei

coniugi e la conseguente indifferenziata deduzione dal cumulo

medesimo degli oneri sostenuti dal marito o dalla moglie, trae

ispirazione proprio dagli stessi precetti costituzionali, che ora

vengono invece posti a base della sollevata questione.

Non si nega che dall'applicazione delle contestate norme alla

descritta fattispecie possa derivare uno di quegli eventuali ef

fetti distorsivi del sistema di tassazione separata del reddito dei

coniugi, ai quali si è già fatto riferimento. Soprattutto se si con

sideri che la « proprietà dell'abitazione » è un obiettivo il cui

perseguimento va incoraggiato, non soltanto favorendo — come

prevede il 2° comma dell'art. 47 Cost. — l'accesso ad essa del ri

sparmio popolare, ma improntando anche ad eguale favore il

regime fiscale che la concerne, tanto al momento dell'acquisizione dell'immobile, quanto in costanza della sua destinazione ad al

loggio del nucleo familiare del contribuente che lo possiede. Ma, come si è affermato nella sentenza n. 179 del 1976, e si ribadisce in questa, è il legislatore che deve apprestare adeguati rimedi ai

possibili effetti distorsivi del sistema, operando le più convincenti scelte normative nell'ambito di quel potere discrezionale, il cui

esercizio si sottrae al sindacato di questa corte tutte le volte che

non sconfini nella irrazionalità e nell'arbitrio.

Per questi motivi, riuniti i procedimenti iscritti ai nn. 898 R.O.

1980, 229 e 230 R.O. 1981, 1) dichiara inammissibile la questio ne di legittimità costituzionale degli art. 4, 5, 1° comma, 17 e 20

1. 13 aprile 1977 n. 114 (modificazioni alla disciplina dell'impo sta sul reddito delle persone fisiche), 10 e 15 d.p.r. 29 settembre

1973 n. 597 (istituzione e disciplina dell'imposta sul reddito delle

persone fisiche), nel testo sostituito con gli art. 5 e 6 predetta 1.

n. 114 del 1977, sollevata, in riferimento agli art. 3, 29, 30, 31 e

53 Cost., con l'ordinanza emessa il 26 aprile 1980 (R.O. n. 898

del 1980) dalla Commissione tributaria di primo grado di Roma;

2) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituziona

le degli art. 19 e 20 1. 13 aprile 1977 n. 114 (modificazioni alla

disciplina dell'imposta sul reddito delle persone fisiche), solle

vata, in riferimento agli art. 3, 29, 31 e 53 Cost., con l'ordinanza

emessa il 29 settembre 1980 (R.O. n. 229 del 1981) dalla Commis

sione tributaria di secondo grado di Roma; 3) dichiara inammis

sibile la questione di legittimità costituzionale degli art. 3 e 6 1.

12 novembre 1976 n. 751 (norme per la determinazione e riscos

sione delle imposte sui redditi dei coniugi per gli anni 1974 e

precedenti e altre disposizioni in materia tributaria), sollevata, in

riferimento agli art. 3, 29, 31 e 53 Cost., con l'ordinanza emessa

il 29 settembre 1980 (R.O. n. 230 del 1981) dalla Commissione

tributaria di secondo grado di Roma; 4) dichiara non fondata la

questione di legittimità costituzionale degli art. 3 e 6 1. 12 no

vembre 1976 n. 751 (norme per la determinazione e riscossione

delle imposte sui redditi dei coniugi per gli anni 1974 e precedenti e altre disposizioni in materia tributaria), sollevata, in riferimen

to agli art. 3, 29, 31 e 53 Cost., con l'ordinanza emessa il 29 set

tembre 1980 (R.O. n. 229 del 1981) dalla Commissione tributa

ria di secondo grado di Roma; 5) dichiara non fondata la que stione di legittimità costituzionale degli art. 1, 3° comma, 1. 12 no

vembre 1976 n. 751 (norme per la determinazione e riscossione

delle imposte sui redditi dei coniugi per gli anni 1974 e prece denti e altre disposizioni in materia tributaria), 19 e 20 1. 13 apri le 1977 n. 114 (modificazioni alla disciplina dell'imposta sul red

dito delle persone fisiche), sollevata, in riferimento agli art. 3,

29, 30, 31 e 53 Cost., con le ordinanze emesse il 26 aprile 1980

(R.O. n. 898 del 1980) dalla Commissione tributaria di primo

grado di Roma, e il 29 settembre 1980 (R.O. n. 230 del 1981)

dalla Commissione tributaria di secondo grado di Roma.

CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 23 marzo 1983, n. 69

(Gazzetta ufficiale 30 marzo 1983, n. 88); Pres. Elia, Rei.

Saja; Picchi (Avv. Zammit) e altri c. Soc. Stefer e Soc.

Acotral (Avv. Cavasola) e Regione Lazio (Avv. M. Nigro).

Ord. Pret. Roma 30 novembre 1977 (Gazz. uff. 12 aprile 1978, n. 101) + 11.

Regione — Lazio — Trasporti — Affidamento precario ad

aziende di trasporto pubbliche — Norme regionali sul tratta

mento giuridico ed economico e sull'inquadramento dei dipen

denti dei precedenti concessionari — Questioni inammissibili

ed infondate di costituzionalità (Cost., art. 39, 76, 117; 1. reg.

Lazio 2 dicembre 1975 n. 79, trattamento giuridico ed econo

mico e inquadramento del personale già dipendente dalle im

prese di trasporto private in atto utilizzato ai sensi della 1.

reg. 22 aprile 1975 n. 33, art. 1).

Sono inammissibili le questioni di legittimità costituzionale solle

vate con ordinanze motivate per relationem, che si limitino ad

un mero rinvio a precedenti ordinanze di rimessione, senza con

tenere alcuna motivazione sulla rilevanza e sulla non manifesta

infondatezza delle questioni dedotte. (1)

(1-2) Le questioni di costituzionalità sono state sollevate da Cass.

14 marzo 1979, n. 292, massimata in Foro it., 1980, I, 1235, e da

dieci ordinanze del Pretore di Roma, di contenuto pressoché unifor

me, tra le quali v. Pret. Roma 30 novembre 1977, id., 1978, I, 1864; 6 maggio 1978, id., Rep. 1979, voce Regione, n. 178; 7 giugno 1979,

id., Rep. 1980, voce cit., n. 358. Sulla inammissibilità delle questioni motivate per relationem cfr., da

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1207 PARTE PRIMA 1208

Sono infondate, in riferimento agli art. 39, 76 e 117 Cost., le

questioni di legittimità costituzionale dell'art. 1 l. reg. Lazio 2

dicembre 1975 n. 79, secondo cui il trattamento giuridico ed

economico e l'inquadramento del personale già dipendente da

aziende di trasporto private, utilizzato dalle soc. Stefer e Ro

mana-ferrovie del Nord a norma della l. reg. 22 aprile 1975 n.

33, sono definiti con provvedimenti della giunta regionale, pre vie trattative condotte dalle due predette società con le or

ganizzazioni sindacali di categoria e regionali confederali. (2)

Diritto. — 1. - Le dodici ordinanze in epigrafe sottopongono alla corte questioni analoghe o connesse, in quanto riferite alla

medesima disposizione di legge (art. 1 1. reg. Lazio 2 dicembre

1975 n. 79); pertanto i relativi giudizi vanno riuniti per essere

decisi con unica sentenza.

2. - Va preliminarmente dichiarata l'inammissibilità delle que stioni sollevate con le ordinanze del Pretore di Roma in data 20

ottobre e 19 novembre 1979 (reg. ord. n. 1023 del 1979 e n. 57

del 1980) e in data 6 aprile 1981 (red. ord. n. 442 del 1981) in

quanto queste non contengono alcuna motivazione relativa alla

rilevanza e alla non manifesta infondatezza delle dedotte que stioni. Né a tale carenza può sopperire il mero rinvio ad altre

ultimo, Corte cost. 24 novembre 1982, n. 198, id., 1983, I, 568, con nota di richiami, cui adde Spatolisano, Recenti tendenze della giu risprudenza costituzionale in tema di rilevanza (1977-1981), id., 1982, I, 635.

In tema di trasferimento delle funzioni amministrative dallo Stato alle regioni in materia di trasporti v. Corte cost. 25 marzo 1976, n. 58, id., 1976, I, 1166, in cui sono stati precisati i compiti che restano di esclusiva pertinenza dello Stato. Con riguardo alla disciplina del trattamento del personale dipendente da imprese di trasporto in concessione cfr. Paladin, Per una legge cornice in materia di traspor ti, in Le regioni, 1976, 88, che auspica un maggior coordinamento tra le varie leggi regionali; Talice, Il trasferimento delle funzioni ammi nistrative alle regioni a statuto ordinario nella materia dei trasporti terrestri, in AA.VV., Stato e regioni, 1980, 255, secondo cui nella

previsione dell'art. 117 Cost, rientra anche il trattamento dei dipen denti delle aziende di trasporto di interesse regionale.

Sulla delimitazione della competenza legislativa delle regioni v. Corte cost. 28 aprile 1976, n. 92, Foro it., 1976, I, 1791, con cui è stato ritenuto che la definizione delle materie regionali deve essere fissata per contenuti normativi oggettivi e non con riferimento ai fini perseguiti dal legislatore regionale: in questa stessa direzione sembra muoversi anche Corte cost. 16 febbraio 1982, n. 41, id., 1982, I, 612. Sull'argomento cons, in dottrina Paladin, Diritto regionale, 1979, 105 ss. e, per la specifica materia dei trasporti, Talice, op. cit., 260 ss. Nel senso che l'esercizio del potere legislativo delle regioni non è subordinato alla previa emanazione della legislazione statale di prin cipio cfr. Corte cost. 4 luglio 1979, n. 66, Foro it., Rep. 1980, voce cit., n. 137; sul limite derivante dai principi fondamentali della

legislazione statale v. Corte cost. 29 aprile 1982, n. 83, id., 1982, I, 2404 e 26 maggio 1981, n. 70, id., 1981, I, 1856, con nota di G. Volpe, Interesse nazionale e principi fondamentali nei rapporti tra Stato e regioni.

Escludono che la potestà legislativa regionale possa esplicarsi nel l'ambito del diritto privato Corte cost. 20 gennaio 1977, n. 38, id., 1977, I, 771; 1° maggio 1975, n. 108, id., 1975, I, 1599; 27 luglio 1972, n. 154, id., 1972, I, 2351: per le diverse posizioni della dottrina cfr. Bradaschia, La giurisprudenza della Corte costituzionale sulla competenza legislativa delle regioni in materia di rapporti priva ti, in Riv. dir. agr., 1975, 314; Bartole, Recessività o separazione della legge regionale nei confronti di quella statale?, in Giur. costit., 1968, 929.

Pe l'inammissibilità della delega ex art. 76 Cost, nella legislazione regionale v. Corte cost. 9 giugno 1961, n. 32, Foro it., 1961, I, 1055 e Paladin, La formazione delle leggi, in Commentario della Costitu zione, a cura di Branca, 1977, 6.

L'ordinanza di rimessione della Cassazione aveva posto in dubbio la compatibilità con l'art. 39 Cost, della norma regionale attributiva alle associazioni sindacali del potere di disporre di interessi individua li, quale quello attinente all'inquadramento: sul tema dei rapporti tra contrattazione collettiva e disciplina delle posizioni soggettive dei singoli lavoratori cfr. Cass. 9 marzo 1982, n. 1484, Foro it., 1982, I, 1201; Pret. Milano 20 aprile 1982, ibid., 1739; Pret. Milano 1° settembre 1982, ibid., 2348, e, per ulteriori riferimenti, la nota a Pret. Napoli 20 dicembre 1982, id., 1983, I, 481.

Sul trattamento giuridico ed economico del personale dipendente dai precedenti concessionari, utilizzato dalle aziende pubbliche affida tane del servizio di trasporto nella regione Lazio, v. Cass. 15 aprile 1981, n. 2282, id., Rep. 1981, voce cit., n. 225, e 12 maggio 1978, n. 2337, id., 1978, I, 1644. Sulla posizione dei dipendenti in caso di passaggio da un'impresa concessionaria all'altra, a seguito di decadenza dalla concessione, v. Cass. 28 giugno 1980, n. 4084, id., 1981, I, 133, con ampia nota di richiami.

Per un completo quadro dei provvedimenti legislativi della regione Lazio in materia di trasporti v. Ferrerò, Regione Lazio - Sintesi e commento del primo quinquennio di attività legislativa - Tramvie e linee automobilistiche di interesse regionale e di navigazione e porti lacuali, in Rass. lav. pubbl., 1979, 929.

ordinanze di rimessione perché resta pur sempre insoddisfatta la

fondamentale esigenza che delle sollevate questioni di legittimità costituzionale vi sia una generale conoscenza, al quale fine ap

punto è predisposto un apposito e rigoroso regime di pubblicità:

regime che con una motivazione per relationem, come quella adottata dalle ricordate ordinanze, viene sostanzialmente privato della sua effettiva funzione.

Ciò ha ripetutamente rilevato questa corte (cfr. ord. 7 aprile 1981, n. 61, Foro it., Rep. 1981, voce Tributi locali, n. 126;

sent. 29 luglio 1982, n. 158, id., 1982, I, 2378) e tale orienta

mento va confermato e seguito. 3. - La ricordata legge, di cui è stato impugnato, come si è

detto, l'art. 1, è stata emanata nel quadro della normativa regio nale conseguente al disposto dell'art. 117 Cost., il quale ha

attribuito, tra l'altro, alle regioni la competenza in tema di

« tramvie e linee automobilistiche di interesse regionale». La disposizione denunciata testualmente stabilisce: « A mo

difica di quanto disposto dall'art. 5 1. reg. n. 33 del 22 aprile 1975, il trattamento giuridico ed economico nonché l'inquadra mento del personale già dipendente dalle imprese di trasporto

private in atto utilizzato ai sensi della suddetta legge dalle

società Stefer e Romana per le ferrovie del Nord, verranno

definiti mediante trattative condotte dalle due citate società e le

organizzazioni sindacali di categoria e regionali confederali, sulla

base degli accordi già intercorsi il 26 luglio 1973 e il 27 marzo

1975 e con decorrenza dal 1° novembre 1975.

In relazione alle trattative di cui sopra la regione adotterà

provvedimenti in conformità all'art. 2, 3° comma, 1. reg. 20

marzo 1973 n. 10 e all'art. 6, 2° comma, 1. 22 aprile 1975 n.

33 ».

Il dubbio di legittimità costituzionale è formulato dalle ordi

nanze di rimessione con riferimento agli art. 117, 39 e 76 Cost.

Peraltro, l'art. 117 è invocato sotto tre distinti profili e cioè: a)

il primo, indicato soltanto in un'ordinanza del Pretore di Roma

(emessa nel processo D'Annunzio Pietro contro Stefer, n. 80 del

reg. ord. 1979), secondo cui la regione non avrebbe potuto

legiferare in materia perché lo Stato non aveva ancora emanato

leggi contenenti i principi fondamentali in tema di trasporti

pubblici; b) il secondo, a cui si riferisce un'altra ordinanza

dello stesso Pretore di Roma (emessa nel giudizio promosso da

Picchi Luciano contro Stefer, n. 89 reg. ord. 1978), la quale ritiene che la regione non avrebbe potuto emanare la norma

impugnata perché l'art. 117 Cost, non accenna al rapporto di

lavoro del personale dipendente dalle imprese concessionarie di

trasporto, rapporto che quindi deve ritenersi estraneo alla sua

previsione: c) il terzo, comune a quasi tutti i provvedimenti dei

giudici a quibus, i quali ritengono che il legislatore regionale,

disponendo in tema di rapporto di lavoro, avrebbe legiferato nell'ambito del diritto privato violando cosi il limite che al

riguardo incontra la potestà legislativa regionale. 4. - Procedendo all'esame di detti profili nell'ordine indicato,

osserva la corte che il primo di essi non appare fondato in

quanto la mancanza di leggi statali nelle materie devolute alla

competenza regionale dall'art. 117 Cost, non impedisce alle re

gioni di legiferare (come la corte stessa ha già chiarito fin dalla

sent. n. 39 del 1971, id., 1971, I, 1180). Le c. d. norme-quadro costituiscono infatti un limite alla legis

lazione regionale, che deve osservare i principi fondamentali in esse contenuti, ma non ne condizionano cronologicamente lo

sviluppo e pertanto, anche se tali norme mancano, ben può la

regione esercitare tutti i poteri per le materie attribuite alla sua

competenza. Non è mancata per vero qualche tendenza nel senso indicato

nell'ordinanza di rimessione, tendenza che ha trovato accogli mento anche in una disposizione legislativa (art. 9 1. 10 febbraio

1953 n. 62), la quale stabili che « il consiglio regionale non può deliberare leggi sulle materie attribuite alla sua competenza dal

l'art. 117 Cost, se non sono state preventivamente emanate, ai

sensi della IX disp. trans. Cost., le leggi della repubblica conte

nenti, singolarmente per ciascuna materia, i principi fondamenta

li cui deve attenersi la legislazione regionale ». Ma tale norma

formò oggetto di vive critiche sia da parte della dottrina sia

negli ambienti politici regionalistici perché veniva a costituire, co

m'è evidente, un grave pericolo per l'autonomia regionale: infat

ti lo Stato, omettendo di emanare le leggi cornice, avrebbe

potuto concretamente bloccare la potestà legislativa della regione, paralizzando cosi l'ordinamento decentrato voluto dalla Costitu zione repubblicana. Ed è perciò che il legislatore, ancor prima dell'inizio del funzionamento delle leggi ordinarie, si premurò di

intervenire, disponendo con l'art. 17 1. 16 maggio 1970 n. 281 che « l'emanazione di norme legislative da parte delle regioni nelle materie stabilite dall'art. 117 Cost, si svolge nei limiti dei

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

principi fondamentali quali risultano da leggi che espressamente li stabiliscono per le singole materie o quali si desumono dalle

leggi vigenti ».

Da tale disposizione chiaramente si evince che le norme-prin cipio, come sopra è stato anticipato, costituiscono soltanto un mero limite per la potestà legislativa regionale, nel senso che tra i principi da essa espressi e le leggi regionali sussiste un rap porto negativo di compatibilità ma non un rapporto positivo di

necessaria derivazione.

5. - Neppure fondato è il secondo profilo. Invero non sarebbe stato logicamente possibile, contrariamente a quanto deduce l'or dinanza di rimessione, che l'art. 117 Cost, facesse riferimento al « rapporto di lavoro » del personale dipendente dalle imprese concessionarie dei servizi di trasporto, dato che tale rapporto ha

natura privatistica e la regione, come questa corte ha costante mente ritenuto, non ha poteri nell'ambito del diritto privato (cfr. le sent. 20 gennaio 1977, n. 38, id., 1977, I, 771; 7 maggio 1975, n. 108, id., 1975, I, 1599; 27 luglio 1972, n. 154, id., 1972, I, 2351 e 22 maggio 1968, n. 60, id., 1968, 1, 1702).

Piuttosto è da osservare come nella materia dei trasporti tramviari e automobilistici, attribuiti alla regione, non è possibile

distinguere nettamente il momento organizzativo da quello fun

zionale, essendo i due momenti collegati da uno stretto nesso

strumentale: sicché deve ritenersi che anche la sub-materia rela

tiva al personale suddetto rientra nella previsione del cit. art. 117 Cost, con il limite, ben s'intende, sopra indicato, e quindi soltanto rispetto al profilo pubblicistico.

Conseguentemente deve altresì ritenersi che anche le funzioni

amministrative concernenti il personale erano comprese nell'am

bito del d. p. r. 14 gennaio 1972 n. 5 relativo al trasferimento

alle regioni a statuto ordinario delle funzioni amministrative

statali in materia di tramvie e linee automobilistiche di interesse

regionale; ciò risulta dall'ampia formula dell'art. 1 cit. d. p. r. e

non è contraddetto dalla disposizione dell'art. 3, ove è contenuta

una elencazione delle funzioni trasferite, da considerare esem

plificativa, come chiaramente risulta dall'espressione « tra l'al

tro », ivi usata (si veda ora l'art. 84, ult. comma, d. p. r. 24

luglio 1977 n. 616).

Del che Stato e regioni ebbero concorde e immediata consa

pevolezza: furono perciò queste ultime, com'è noto, ad interve

nire negli anni 1973, 1974 e 1975 onde contenere le agitazioni del personale dei trasporti in concessione, assumendo nei loro

bilanci oneri non indifferenti, ed evitare cosi il turbamento che

da dette agitazioni derivava al pubblico servizio dei trasporti

pubblici locali.

6. - Neppure può condividersi il terzo profilo sotto cui viene

dedotta ulteriormente la violazione dell'art. 117 Cost.

In proposito, per stabilire la natura giuridica della norma

impugnata, e cioè se essa attenga o no al diritto privato, non è

possibile considerarla isolatamente, vale a dire avulsa dall'intera

normativa emanata dalla regione in tema di trasporti pubblici, ma occorre definirne la portata nel quadro complessivo di detta

normativa.

Avvenuto nel 1972 il trasferimento alle regioni ordinarie delle

funzioni amministrative relative alle « tramvie e linee automobi

listiche di interesse regionale » (le quali comprendevano, come si

è detto, anche il personale) e reso così concretamente possibile l'esercizio della correlativa potestà legislativa, la regione Lazio,

dopo un intervento puramente provvisorio (1. reg. 20 marzo 1975

n. 10), emanò la 1. 2 aprile 1973 n. 12 intitolata « Legge

generale sui trasporti pubblici in concessione». Con essa fu

prevista la redazione di un piano generale dei trasporti concer

nente lo sviluppo equilibrato dei pubblici collegamenti regionali in diretto coordinamento con le linee di sviluppo economico e

di assetto territoriale della regione; conseguentemente fu, tra

l'altro, previsto il riordinamento dei servizi dati in concessione e

venne espressamente stabilito che tale potere di riordinamento

comportava la possibilità di risolvere le concessioni di autolinee

in atto (art. 4).

All'art. 6 fu disposto che il personale appartenente alle impre se di trasporto, le quali cessavano le loro attività ai sensi della

medesima legge, passava alle dipendenze del concessionario che

assumeva la gestione dei servizi, fatte salve le posizioni giuridi che ed economiche, legittimamente acquisite.

In attuazione di tale legge, la regione Lazio emanò altro

provvedimento legislativo (1. reg. 22 aprile 1975 n. 33) con cui

revocò tutte le precedenti concessioni di autolinee in atto nei

bacini del traffico della soc. Stefer e della soc. Romana Nord ed

affidò tali servizi, in attesa della concessione definitiva ad un'a

zienda regionale (l'Acotral), alle due predette società, a capitale

esclusivamente pubblico (art. 1).

In conformità all'art. 6, sopra citato, 1. generale n. 12 del

1973, l'art. 5 1. n. 33 del 1975 testualmente stabili: « Il persona le dipendente dalle imprese di trasporto private che cessino la loro attività ai sensi della presente legge... avrà diritto, a

richiesta, ad essere utilizzato dalle soc. Stefer e Romana ferrovie del Nord, fermo restando il trattamento giuridico ed economico

goduto al momento del trasferimento della gestione dei servizi »,

Con l'art. 1 1. 2 dicembre 1975 n. 79, ossia con la disposizio ne impugnata dai giudici a quibus, si stabili che i provvedimenti relativi al trattamento giuridico ed economico e all'inquadramen to del personale considerato dall'art. 5 1. n. 33 dello stesso anno, sarebbero stati adottati dalla giunta regionale, previe trattative da condurre dalle due predette società con le organizzazioni sindacali di categoria e regionali confederali.

7. - Cosi puntualizzato il quadro della normativa regionale, in

cui si inserisce la norma impugnata, giova rilevare che al perso nale dipendente dalle imprese private che cessano dall'esercizio del servizio pubblico dei trasporti automobilistici non spettava, in base alla legislazione statale, il diritto alla stabilità del rap porto di lavoro.

Al riguardo non gioverebbe invocare la disciplina speciale per il personale degli autoservizi extraurbani contenuta negli art. 26 r.d. 8 gennaio 1931 n. 148, 1 1. 24 maggio 1952 n. 628 nonché 5

1. 22 settembre 1960 n. 1054.

Secondo un costante orientamento della Corte di cassazione,

pervero, la stabilità del rapporto di lavoro prevista dalla norma

tiva speciale è subordinata alla circostanza che permangano immu tate le condizioni in cui si svolge il servizio gestito dall'impresa che ha cessato la sua attività, sicché il diritto del lavoratore non

sussiste nel caso di mutamento di tali condizioni, come si ve

rifica nel caso, più volte ricordato dalla giurisprudenza ordinaria, di intervento della pubblica autorità che provveda — e ciò è

avvenuto appunto nella specie — al riordinamento del servizio.

8. - Il diritto alla stabilità del rapporto di lavoro, con il

mantenimento delle posizioni giuridiche ed economiche già ac

quisite, è riconosciuto perciò al personale in esame dalla legisla zione regionale e precisamente dai ricordati art. 6 1. n. 12 del

1973 e 5 della 1. n. 33 del 1975.

Da ciò chiaramente discende come non possa accettarsi la

prospettazione delle ordinanze di rimessione, le quali, da un

lato, riconoscono, sia pure implicitamente, che rientrava nel po tere della regione disporre la stabilità del rapporto di lavoro, non risultante da alcuna legge statale e, dall'altro, negano invece

tale potere rispetto alla norma puramente complementare e

strumentale relativa alle modalità di concreta attribuzione della

posizione giuridica ed economica dei lavoratori nell'ambito delle

imprese alle cui dipendenze erano passati.

In realtà le due norme, pur se contenute in due testi legislati vi formalmente distinti, costituiscono sostanzialmente un precetto di carattere unitario, il quale in un momento logicamente ante

riore attribuisce un diritto, e, quindi, regola il procedimento per la sua attuazione concreta: sicché ad esse per evidenti esigenze

logiche non può non riconoscersi la medesima natura giuridica. 9. - Il conferimento ai lavoratori del diritto alla stabilità ine

riva, come non è contestato, al potere di riordinamento degli autoservizi di interesse regionale: e ciò sia per intuitive ragioni di carattere squisitamente sociale (la corte non è in possesso di

una documentazione ufficiale, ma dagli scritti difensivi si evince che trattavasi di circa quindicimila dipendenti), sia, sotto il

profilo prettamente tecnico, per evitare che potessero andare

disperse l'esperienza e la professionalità dei dipendenti delle

imprese già concessionarie.

Se cosi è, allo stesso potere organizzativo era collegata anche

la disposizione impugnata, concernente, come più volte si è

detto, le modalità con cui concretamente tale stabilità doveva

essere assicurata.

Il che risulta evidente sol che si rilevi come il nuovo inqua dramento nelle due società affidatarie (soc. Stefer e soc. Romana

ferrovie del Nord) non era un fatto che riguardasse il singolo

dipendente, ma si estendeva a tutti i lavoratori sia per assicurare

un analogo trattamento sia per gli effetti che ne discendevano

sull'intero personale ai fini dell'attribuzione delle funzioni, del

conferimento delle promozioni e della carriera in genere. Esso non poteva quindi essere effettuato che mediante criteri

generali ed uniformi e dietro comparazione delle posizioni dei

lavoratori stessi, comparazione che risultava ovviamente difficile,

dato che le imprese private che erano cessate dalla concessione

avevano caratteristiche affatto diverse (sia per le dimensioni che

per la struttura interna). Questi ultimi rilievi confermano che anche la norma impugna

ta concerneva l'organizzazione del pubblico servizio nella fase

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PARTE PRIMA 1212

attuativa, incidendo sulle funzioni amministrative, per cui la

regione poteva legittimamente intervenire.

10. - Con la seconda questione sollevata i giudici a quibus denunciano l'indicata disposizione con riferimento all'art. 39

Cost., in quanto essa affiderebbe alle associazioni sindacali la

tutela di interessi individuali sottraendola ai titolari.

Anche tale questione è priva di giuridico fondamento.

L'intervento delle associazioni sindacali, come testualmente e

inequivocabilmente dispone la legge impugnata, era diretto sol

tanto a compiere delle « trattative » con le due società affidata

ne. Tale intervento si inseriva perciò in una fase procedimentale necessaria per disciplinare il nuovo inquadramento, con provve dimenti che erano di competenza della giunta regionale.

Come si è detto, questi provvedimenti dovevano essere emana

ti con criteri generali ed uniformi nonché con un esame compa rativo delle varie posizioni individuali, sicché la partecipazione delle associazioni sindacali alla fase preliminare delle trattative

con le due società trovava la sua ragion d'essere nell'apporto che le associazioni medesime avrebbero potuto dare alla regione

per la migliore riuscita della complessa operazione.

Nessun potere dispositivo o deliberativo era riconosciuto in

materia alle dette associazioni, la cui partecipazione, ripetesi, si

fermava soltanto alla fase delle trattative, mentre il provvedi mento conclusivo spettava esclusivamente alla giunta regionale.

Ed è bene notare come contro il suindicato provvedimento il

lavoratore aveva il potere di ricorrere al giudice (ordinario) per la tutela dei suoi diritti eventualmente misconosciuti (e cioè la

conservazione delle posizioni giuridiche ed economiche già ac

quisite), come espressamente è riconosciuto dall'ordinanza della

Corte di cassazione (che, appunto perciò, ha ritenuto che non

poteva essere invocato quale parametro anche l'art. 24 Cost.) e

come altresì espressamente è ammesso dalla regione Lazio nella

sua memoria illustrativa.

11. - Infine risulta infondata l'ultima questione dedotta, secon

do cui la norma impugnata violerebbe l'art. 76 Cost., in quanto conterrebbe una delega legislativa senza la determinazione di

principi e criteri direttivi.

Al riguardo, non può anzitutto condividersi il presupposto da

cui muovono i giudici a quibus, che ritengono applicabile il cit.

art. 76 Cost, alla legislazione regionale: il principio generale della inderogabilità delle competenze costituzionali esclude invece, come già questa corte ha deciso (sent. 9 giugno 1961, n. 32, id.,

1961, I, 1055) e come ritiene la migliore dottrina, la possibilità di estendere alle regioni le disposizioni degli art. 76 e 77 Cost.:

disposizioni che hanno carattere eccezionale e pertanto non pos sono trovare applicazione al di là dell'ordinamento dello Stato.

Senza dire che, in base a quanto sopra è stato precisato, la

disposizione denunciata non conteneva alcuna delega legislativa, ma attribuiva alla regione il potere di porre in essere gli atti di

mera amministrazione per l'inquadramento del personale nel

l'ambito delle due società a cui, dopo la revoca delle precedenti concessioni, erano stati affidati gli autoservizi di interesse regio nale.

In conclusione, deve dirsi che tutte le proposte questioni sono

infondate.

Per questi motivi, la corte, riuniti i giudizi: 1) dichiara i

nammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 1 1.

reg. Lazio 2 dicembre 1975 n. 79, sollevate dal Pretore di Roma

con le ordinanze indicate nel relativo registro ai numeri 1023/79,

57/80 e 442/81; 2) dichiara non fondate le questioni di legitti mità costituzionale del medesimo art. 1 sollevate dal Pretore di

Roma e dalla Corte di cassazione con le altre ordinanze indicate in epigrafe in riferimento agli art. 39, 76 e 117 Cost.

CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 28 gennaio 1983, n. 49

(Gazzetta ufficiale 16 marzo 1983, n. 74); Pres. Elia, Rei.

Gallo; imp. Di Melfi; interv. Pres. cons, ministri (Avv. dello Stato Azzariti). Ord. Trib. mil. Padova 30 novembre 1977 (Gazz. uff. 27 settembre 1978, n. 271).

Corte costituzionale — Giudizi in via incidentale — Difetto di rilevanza — Questione di costituzionalità inammissibile (L. 11 marzo 1953 n. 87, norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale, art. 23).

È inammissibile, per difetto di rilevanza, la questione di legittimi tà costituzionale, relativa all'applicazione di una pena accesso

ria, sollevata dal giudice a quo dopo la decisione di condanna e la conseguente irrogazione della pena principale. (1)

(1) L'ordinanza di rimessione Trib. mil. Padova 30 novembre 1977 è massimata in Foro it., Rep. 1979, voce Furto, n. 22.

* * *

Sentenza di condanna e ordinanza di rimessione alla Corte costi tuzionale in tema di pene accessorie.

1. Gli sviluppi del fatto. - I termini della questione si ricavano in maniera chiara dalla lettura della sentenza costituzionale. Per fornire un panorama completo, bisogna però dar conto di ciò che è avvenuto tra l'emissione della sentenza-ordinanza da parte del Tribunale milita re di Padova e la decisione della corte.

La pronuncia del giudice a quo venne ritualmente impugnata dal l'imputato con ricorso al tribunale supremo militare (unico organo, a quell'epoca, competente a giudicare sui gravami nel rito militare (1)) sotto due profili, il secondo dei quali (questione di legittimità costituzionale sollevata senza sospensione del giudizio, che era stato definito nel merito) trovò accoglimento: il tribunale supremo, con sentenza dell'8 maggio 1979, annullò per violazione di legge la decisione impugnata, rinviando al Tribunale militare di Verona perché sospendesse il giudizio ai sensi dell'art. 23 1. 11 marzo 1953 n. 87: perché facesse, cioè, quello che non aveva fatto il primo giudice. Il Tribunale militare di Verona, con ordinanza del 15 giugno 1979, sospese il giudizio « fino a quando non [fosse pervenuta] la decisio ne della Suprema corte costituzionale in ordine alla questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale militare di Padova ».

2. Presupposti della questione di costituzionalità. - La decisione co stituzionale segue la linea tracciata dalla corte in precedenti senten ze (2), svolgendo un ragionamento che appare nitido e rispondente alle disposizioni legislative in vigore nella materia (3). Da un lato, ciò sembrerebbe giustificare la sinteticità della motivazione adottata; dal l'altro, persuadere della bontà degli argomenti utilizzativi. Però, il fatto che la sentenza ha avuto per la prima volta ad oggetto una situazione verificatasi in un procedimento penale (militare), e che per giunta ha toccato, sia pure tangenzialmente, un campo discusso e problematico come quello occupato dalle pene accessorie, induce a

qualche riflessione. 11 Tribunale militare di Padova ha pronunciato nel merito, dichia

rando l'imputato responsabile e condannandolo a tre mesi di reclusio ne militare (pena condizionalmente sospesa), al pagamento delle spese processuali « e ad ogni altro effetto ». A questa decisione, che ri veste l'indubbio carattere di sentenza (4), ha però aggiunto un'ordi nanza di rimessione degli atti alla Corte costituzionale, argomentando che « la pena accessoria assume rilievo giuridico e diventa degna di considerazione soltanto se ed in quanto sia stata pronunciata la condanna ».

Da un punto di vista generale, bisogna osservare che una questione di legittimità viene sollevata d'ufficio ogni qualvolta il giudice avverta

l'impossibilità di raggiungere la decisione di un procedimento per l'esistenza di una norma che deve trovarvi applicazione e la cui conformità o meno ai principi costituzionali debba essere preliminar mene vagliata. E proprio per questo motivo l'art. 23 1. 87/53 impone di sospendere il giudizio in corso trasmettendone gli atti alla Corte costituzionale.

In ordine al presupposto logico che deve sorreggere l'esame della rilevanza della questione, si discute se sia sufficiente che la norma « sospetta » possa soltanto trovare applicazione nel procedimento in corso (5), o se invece debba esservi applicata probabilmente (6) o addirittura necessariamente (7). Si osserva, in proposito, che i risultati operativi dell'indagine non divergono nel caso — come quello di

specie — di questione sollevata d'ufficio: il giudice può sempre affermare il sussistere della rilevanza intesa nel senso più ristretto di necessaria applicazione della legge (8). Ed infatti il Tribunale militare di Padova, al fine di affermare la rilevanza della questione, ha ragionato in modo consimile. Ma il ragionamento ha provato troppo,

(1) Il grado di appello, come è noto, è stato introdotto in tale rito solo con l'art. 3 1. 7 maggio 1981 n. 180.

(2) Emesse tutte in seguito ad esame di questioni sorte in giudizi civili: si vedano le seguenti sentenze: n. 105/73 (riguardante l'art. 580 c.c.), Foro it., 1973, I, 2354; n. 186/76 (art. 304 d.p.r. 29 marzo 1973 n. 156), id., 1976, I, 2032; n. 74/82 (art. 2598 c.c.), id., 1982, I, 1475.

(3) Art. 134 e 137 Cost.; 1. cost. 9 febbraio 1948 n. 1; art. 23 ss. 1. 11 marzo 1953 n. 87.

(4) Cfr. per tutti Cordero, Procedura penale, Milano, 1977, 402: « Sia o meno l'ultimo atto della serie in cui consiste il processo, la sentenza lo è certamente rispetto al procedimento nel quale è stata pronunciata, le cui fila vi confluiscono ».

(5) In questo senso Modugno, Riflessioni interlocutorie sull'autono mia del giudizio costituzionale, Napoli, 1966, 337 ss.

(6) Cosi Crisafulli, La Corte costituzionale tra magistratura e parlamento, in Scritti Calamandrei, Padova, 1958, IV, 125 ss.

_ (7) Per questa tesi, fra gli altri, Pizzorusso, Ancora sulla valuta zione della rilevanza e sui controlli ad essa relativi, in Giur. costit., 1968, 1489 s. Da ultimo cfr., in argomento, Spatolisano, Recenti tendenze della giurisprudenza costituzionale in tema di rilevanza (1977-1981), in Foro it., 1982, I, 629.

(8) Cosi Pizzetti e Zagrebelsky, « Non manifesta infondatezza » e « rilevanza » nella instaurazione incidentale del giudizio sulle leggi, Milano, 1972, 108.

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