sentenza 23 marzo 1983, n. 69 (Gazzetta ufficiale 30 marzo 1983, n. 88); Pres. Elia, Rel. Saja;Picchi (Avv. Zammit) e altri c. Soc. Stefer e Soc. Acotral (Avv. Cavasola) e Regione Lazio (Avv.M. Nigro). Ord. Pret. Roma 30 novembre 1977 (Gazz. uff. 12 aprile 1978, n. 101) + 11Source: Il Foro Italiano, Vol. 106, No. 5 (MAGGIO 1983), pp. 1205/1206-1211/1212Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23175492 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
1974, era stato temperato dalla citata 1. n. 576 del 1975, la quale, con effetto dal 1° gennaio 1975 e relativamente ai redditi pos seduti da tale data, aveva disposto, all'art. 2, che se il reddito
complessivo lordo dei coniugi non superasse i sette milioni di
lire annui, l'imposta venisse commisurata separatamente sul red
dito proprio di ciascuno dei coniugi, al netto degli oneri di cui al citato art. 10 d. n. 597 del 1973, « riferibili ad ognuno di essi »; mentre aveva mantenuto, all'art. 1, il cumulo ove il reddito com
plessivo lordo dei coniugi fosse d'importo superiore ai sette
milioni. Dichiarata da questa corte, con la sentenza n. 179 del 1976,
la illegittimità costituzionale del sistema del cumulo, nei limiti
innanzi richiamati, il legislatore, in aderenza ai principi ivi af
fermati, ha disposto, con la citata 1. n. 751 del 1976, relativa
mente ai redditi dei coniugi per gli anni 1974 e precedenti, che
l'imposta venga commisurata separatamente sul reddito comples sivo proprio del marito e su quello della moglie. Circa gli oneri
previsti dall'art. 10 d. n. 597 del 1973 — venuta meno, per ef
fetto della pronuncia di questa corte, la imputazione al marito
dei redditi della moglie — il denunciato comma 3° dell'art. 1
della stessa legge ha statuito che essi « sono deducibili dal red
dito complessivo del coniuge che li ha sostenuti » ; ed il succes
sivo art. 3 ha ribadito che i redditi complessivi propri del marito
e della moglie vengono determinati « al netto degli oneri riferibili
a ciascuno di essi».
Analogamente, per i redditi posseduti dai coniugi nell'anno
1975 (e dichiarati nel 1976), la successiva 1. n. 114 del 1977, abro
gando le norme dettate dalla 1. n. 576 del 1975, ha disposto, con
i denunciati art. 19 e 20, che l'imposta si applica separatamente sul reddito complessivo netto di ciascun coniuge; e che gli oneri
previsti dall'art. 10 d. n. 597 del 1973, « sono deducibili dal red
dito complessivo del coniuge che li ha sostenuti».
Pur con questa modifica, che consegue all'adozione del siste
ma di tassazione separata del reddito dei coniugi, le denunciate
norme fanno ancora riferimento, per quanto riguarda i tipi di one
ri riconosciuti deducibili, al testo originario del citato art. 10 (le innovazioni apportate in proposito dall'art. 5 1. n. 114 del 1977, hanno invero effetto, ai sensi degli art. 20, ult. comma, e 23 della
legge medesima, dal 1" gennaio 1976, relativamente ai redditi
posseduti da tale data: e si è già rilevato che le controversie al
l'esame dei giudici a quibus concernono, invece, redditi posse duti dai coniugi nel 1974 e nel 1975). Per il combinato disposto di tali norme, qualora si tratti di interessi passivi relativi ad un
mutuo, trova puntuale e razionale applicazione il principio che
l'onere viene dedotto dal reddito del contribuente che lo sostiene;
e cioè, nel caso, dal reddito del mutuatario, giuridicamente te
nuto (art. 1815 e 1820 c.c.) al pagamento dei relativi interessi.
Una volta che il reddito della moglie non viene più imputato al
marito, ma è sottoposto ad autonoma tassazione, e che gli oneri
sostenuti dalla prima vengono dedotti dal reddito medesimo, e
non più dal coacervo dei redditi dei coniugi, il principio non può
non valere anche per gli interessi passivi di un mutuo, del quale
mutuataria sia la moglie, tenuta perciò, essa sola, al pagamento
degli interessi medesimi.
Nei giudizi a quibus si controverte sulla deducibilità di inte
ressi passivi pagati per mutuo ipotecario gravante sulla casa di
abitazione della famiglia: casa, peraltro, intestata unicamente
alla moglie, sola mutuataria, sfornita di redditi propri all'infuori
del reddito catastale derivante dalla proprietà della casa medesi
ma. Le ordinanze di rimessione lamentano che in tale fattispecie
le denunciate norme non consentano la deduzione dal reddito
del marito di quella parte dell'onere per interessi passivi, che
eccede l'ammontare del reddito catastale imputato alla moglie e
non può pertanto essere dedotto da quest'ultimo: e in ciò ravvi
sano violazione degli art. 3, 29, 30, 31 e 53 Cost.
La corte ritiene che nessuno degli invocati parametri possa
avvalorare la mossa censura di illegittimità costituzionale. Le
denunciate norme, infatti, operano nell'ambito di un sistema
che, escludendo ai fini della tassazione il cumulo dei redditi dei
coniugi e la conseguente indifferenziata deduzione dal cumulo
medesimo degli oneri sostenuti dal marito o dalla moglie, trae
ispirazione proprio dagli stessi precetti costituzionali, che ora
vengono invece posti a base della sollevata questione.
Non si nega che dall'applicazione delle contestate norme alla
descritta fattispecie possa derivare uno di quegli eventuali ef
fetti distorsivi del sistema di tassazione separata del reddito dei
coniugi, ai quali si è già fatto riferimento. Soprattutto se si con
sideri che la « proprietà dell'abitazione » è un obiettivo il cui
perseguimento va incoraggiato, non soltanto favorendo — come
prevede il 2° comma dell'art. 47 Cost. — l'accesso ad essa del ri
sparmio popolare, ma improntando anche ad eguale favore il
regime fiscale che la concerne, tanto al momento dell'acquisizione dell'immobile, quanto in costanza della sua destinazione ad al
loggio del nucleo familiare del contribuente che lo possiede. Ma, come si è affermato nella sentenza n. 179 del 1976, e si ribadisce in questa, è il legislatore che deve apprestare adeguati rimedi ai
possibili effetti distorsivi del sistema, operando le più convincenti scelte normative nell'ambito di quel potere discrezionale, il cui
esercizio si sottrae al sindacato di questa corte tutte le volte che
non sconfini nella irrazionalità e nell'arbitrio.
Per questi motivi, riuniti i procedimenti iscritti ai nn. 898 R.O.
1980, 229 e 230 R.O. 1981, 1) dichiara inammissibile la questio ne di legittimità costituzionale degli art. 4, 5, 1° comma, 17 e 20
1. 13 aprile 1977 n. 114 (modificazioni alla disciplina dell'impo sta sul reddito delle persone fisiche), 10 e 15 d.p.r. 29 settembre
1973 n. 597 (istituzione e disciplina dell'imposta sul reddito delle
persone fisiche), nel testo sostituito con gli art. 5 e 6 predetta 1.
n. 114 del 1977, sollevata, in riferimento agli art. 3, 29, 30, 31 e
53 Cost., con l'ordinanza emessa il 26 aprile 1980 (R.O. n. 898
del 1980) dalla Commissione tributaria di primo grado di Roma;
2) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituziona
le degli art. 19 e 20 1. 13 aprile 1977 n. 114 (modificazioni alla
disciplina dell'imposta sul reddito delle persone fisiche), solle
vata, in riferimento agli art. 3, 29, 31 e 53 Cost., con l'ordinanza
emessa il 29 settembre 1980 (R.O. n. 229 del 1981) dalla Commis
sione tributaria di secondo grado di Roma; 3) dichiara inammis
sibile la questione di legittimità costituzionale degli art. 3 e 6 1.
12 novembre 1976 n. 751 (norme per la determinazione e riscos
sione delle imposte sui redditi dei coniugi per gli anni 1974 e
precedenti e altre disposizioni in materia tributaria), sollevata, in
riferimento agli art. 3, 29, 31 e 53 Cost., con l'ordinanza emessa
il 29 settembre 1980 (R.O. n. 230 del 1981) dalla Commissione
tributaria di secondo grado di Roma; 4) dichiara non fondata la
questione di legittimità costituzionale degli art. 3 e 6 1. 12 no
vembre 1976 n. 751 (norme per la determinazione e riscossione
delle imposte sui redditi dei coniugi per gli anni 1974 e precedenti e altre disposizioni in materia tributaria), sollevata, in riferimen
to agli art. 3, 29, 31 e 53 Cost., con l'ordinanza emessa il 29 set
tembre 1980 (R.O. n. 229 del 1981) dalla Commissione tributa
ria di secondo grado di Roma; 5) dichiara non fondata la que stione di legittimità costituzionale degli art. 1, 3° comma, 1. 12 no
vembre 1976 n. 751 (norme per la determinazione e riscossione
delle imposte sui redditi dei coniugi per gli anni 1974 e prece denti e altre disposizioni in materia tributaria), 19 e 20 1. 13 apri le 1977 n. 114 (modificazioni alla disciplina dell'imposta sul red
dito delle persone fisiche), sollevata, in riferimento agli art. 3,
29, 30, 31 e 53 Cost., con le ordinanze emesse il 26 aprile 1980
(R.O. n. 898 del 1980) dalla Commissione tributaria di primo
grado di Roma, e il 29 settembre 1980 (R.O. n. 230 del 1981)
dalla Commissione tributaria di secondo grado di Roma.
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 23 marzo 1983, n. 69
(Gazzetta ufficiale 30 marzo 1983, n. 88); Pres. Elia, Rei.
Saja; Picchi (Avv. Zammit) e altri c. Soc. Stefer e Soc.
Acotral (Avv. Cavasola) e Regione Lazio (Avv. M. Nigro).
Ord. Pret. Roma 30 novembre 1977 (Gazz. uff. 12 aprile 1978, n. 101) + 11.
Regione — Lazio — Trasporti — Affidamento precario ad
aziende di trasporto pubbliche — Norme regionali sul tratta
mento giuridico ed economico e sull'inquadramento dei dipen
denti dei precedenti concessionari — Questioni inammissibili
ed infondate di costituzionalità (Cost., art. 39, 76, 117; 1. reg.
Lazio 2 dicembre 1975 n. 79, trattamento giuridico ed econo
mico e inquadramento del personale già dipendente dalle im
prese di trasporto private in atto utilizzato ai sensi della 1.
reg. 22 aprile 1975 n. 33, art. 1).
Sono inammissibili le questioni di legittimità costituzionale solle
vate con ordinanze motivate per relationem, che si limitino ad
un mero rinvio a precedenti ordinanze di rimessione, senza con
tenere alcuna motivazione sulla rilevanza e sulla non manifesta
infondatezza delle questioni dedotte. (1)
(1-2) Le questioni di costituzionalità sono state sollevate da Cass.
14 marzo 1979, n. 292, massimata in Foro it., 1980, I, 1235, e da
dieci ordinanze del Pretore di Roma, di contenuto pressoché unifor
me, tra le quali v. Pret. Roma 30 novembre 1977, id., 1978, I, 1864; 6 maggio 1978, id., Rep. 1979, voce Regione, n. 178; 7 giugno 1979,
id., Rep. 1980, voce cit., n. 358. Sulla inammissibilità delle questioni motivate per relationem cfr., da
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1207 PARTE PRIMA 1208
Sono infondate, in riferimento agli art. 39, 76 e 117 Cost., le
questioni di legittimità costituzionale dell'art. 1 l. reg. Lazio 2
dicembre 1975 n. 79, secondo cui il trattamento giuridico ed
economico e l'inquadramento del personale già dipendente da
aziende di trasporto private, utilizzato dalle soc. Stefer e Ro
mana-ferrovie del Nord a norma della l. reg. 22 aprile 1975 n.
33, sono definiti con provvedimenti della giunta regionale, pre vie trattative condotte dalle due predette società con le or
ganizzazioni sindacali di categoria e regionali confederali. (2)
Diritto. — 1. - Le dodici ordinanze in epigrafe sottopongono alla corte questioni analoghe o connesse, in quanto riferite alla
medesima disposizione di legge (art. 1 1. reg. Lazio 2 dicembre
1975 n. 79); pertanto i relativi giudizi vanno riuniti per essere
decisi con unica sentenza.
2. - Va preliminarmente dichiarata l'inammissibilità delle que stioni sollevate con le ordinanze del Pretore di Roma in data 20
ottobre e 19 novembre 1979 (reg. ord. n. 1023 del 1979 e n. 57
del 1980) e in data 6 aprile 1981 (red. ord. n. 442 del 1981) in
quanto queste non contengono alcuna motivazione relativa alla
rilevanza e alla non manifesta infondatezza delle dedotte que stioni. Né a tale carenza può sopperire il mero rinvio ad altre
ultimo, Corte cost. 24 novembre 1982, n. 198, id., 1983, I, 568, con nota di richiami, cui adde Spatolisano, Recenti tendenze della giu risprudenza costituzionale in tema di rilevanza (1977-1981), id., 1982, I, 635.
In tema di trasferimento delle funzioni amministrative dallo Stato alle regioni in materia di trasporti v. Corte cost. 25 marzo 1976, n. 58, id., 1976, I, 1166, in cui sono stati precisati i compiti che restano di esclusiva pertinenza dello Stato. Con riguardo alla disciplina del trattamento del personale dipendente da imprese di trasporto in concessione cfr. Paladin, Per una legge cornice in materia di traspor ti, in Le regioni, 1976, 88, che auspica un maggior coordinamento tra le varie leggi regionali; Talice, Il trasferimento delle funzioni ammi nistrative alle regioni a statuto ordinario nella materia dei trasporti terrestri, in AA.VV., Stato e regioni, 1980, 255, secondo cui nella
previsione dell'art. 117 Cost, rientra anche il trattamento dei dipen denti delle aziende di trasporto di interesse regionale.
Sulla delimitazione della competenza legislativa delle regioni v. Corte cost. 28 aprile 1976, n. 92, Foro it., 1976, I, 1791, con cui è stato ritenuto che la definizione delle materie regionali deve essere fissata per contenuti normativi oggettivi e non con riferimento ai fini perseguiti dal legislatore regionale: in questa stessa direzione sembra muoversi anche Corte cost. 16 febbraio 1982, n. 41, id., 1982, I, 612. Sull'argomento cons, in dottrina Paladin, Diritto regionale, 1979, 105 ss. e, per la specifica materia dei trasporti, Talice, op. cit., 260 ss. Nel senso che l'esercizio del potere legislativo delle regioni non è subordinato alla previa emanazione della legislazione statale di prin cipio cfr. Corte cost. 4 luglio 1979, n. 66, Foro it., Rep. 1980, voce cit., n. 137; sul limite derivante dai principi fondamentali della
legislazione statale v. Corte cost. 29 aprile 1982, n. 83, id., 1982, I, 2404 e 26 maggio 1981, n. 70, id., 1981, I, 1856, con nota di G. Volpe, Interesse nazionale e principi fondamentali nei rapporti tra Stato e regioni.
Escludono che la potestà legislativa regionale possa esplicarsi nel l'ambito del diritto privato Corte cost. 20 gennaio 1977, n. 38, id., 1977, I, 771; 1° maggio 1975, n. 108, id., 1975, I, 1599; 27 luglio 1972, n. 154, id., 1972, I, 2351: per le diverse posizioni della dottrina cfr. Bradaschia, La giurisprudenza della Corte costituzionale sulla competenza legislativa delle regioni in materia di rapporti priva ti, in Riv. dir. agr., 1975, 314; Bartole, Recessività o separazione della legge regionale nei confronti di quella statale?, in Giur. costit., 1968, 929.
Pe l'inammissibilità della delega ex art. 76 Cost, nella legislazione regionale v. Corte cost. 9 giugno 1961, n. 32, Foro it., 1961, I, 1055 e Paladin, La formazione delle leggi, in Commentario della Costitu zione, a cura di Branca, 1977, 6.
L'ordinanza di rimessione della Cassazione aveva posto in dubbio la compatibilità con l'art. 39 Cost, della norma regionale attributiva alle associazioni sindacali del potere di disporre di interessi individua li, quale quello attinente all'inquadramento: sul tema dei rapporti tra contrattazione collettiva e disciplina delle posizioni soggettive dei singoli lavoratori cfr. Cass. 9 marzo 1982, n. 1484, Foro it., 1982, I, 1201; Pret. Milano 20 aprile 1982, ibid., 1739; Pret. Milano 1° settembre 1982, ibid., 2348, e, per ulteriori riferimenti, la nota a Pret. Napoli 20 dicembre 1982, id., 1983, I, 481.
Sul trattamento giuridico ed economico del personale dipendente dai precedenti concessionari, utilizzato dalle aziende pubbliche affida tane del servizio di trasporto nella regione Lazio, v. Cass. 15 aprile 1981, n. 2282, id., Rep. 1981, voce cit., n. 225, e 12 maggio 1978, n. 2337, id., 1978, I, 1644. Sulla posizione dei dipendenti in caso di passaggio da un'impresa concessionaria all'altra, a seguito di decadenza dalla concessione, v. Cass. 28 giugno 1980, n. 4084, id., 1981, I, 133, con ampia nota di richiami.
Per un completo quadro dei provvedimenti legislativi della regione Lazio in materia di trasporti v. Ferrerò, Regione Lazio - Sintesi e commento del primo quinquennio di attività legislativa - Tramvie e linee automobilistiche di interesse regionale e di navigazione e porti lacuali, in Rass. lav. pubbl., 1979, 929.
ordinanze di rimessione perché resta pur sempre insoddisfatta la
fondamentale esigenza che delle sollevate questioni di legittimità costituzionale vi sia una generale conoscenza, al quale fine ap
punto è predisposto un apposito e rigoroso regime di pubblicità:
regime che con una motivazione per relationem, come quella adottata dalle ricordate ordinanze, viene sostanzialmente privato della sua effettiva funzione.
Ciò ha ripetutamente rilevato questa corte (cfr. ord. 7 aprile 1981, n. 61, Foro it., Rep. 1981, voce Tributi locali, n. 126;
sent. 29 luglio 1982, n. 158, id., 1982, I, 2378) e tale orienta
mento va confermato e seguito. 3. - La ricordata legge, di cui è stato impugnato, come si è
detto, l'art. 1, è stata emanata nel quadro della normativa regio nale conseguente al disposto dell'art. 117 Cost., il quale ha
attribuito, tra l'altro, alle regioni la competenza in tema di
« tramvie e linee automobilistiche di interesse regionale». La disposizione denunciata testualmente stabilisce: « A mo
difica di quanto disposto dall'art. 5 1. reg. n. 33 del 22 aprile 1975, il trattamento giuridico ed economico nonché l'inquadra mento del personale già dipendente dalle imprese di trasporto
private in atto utilizzato ai sensi della suddetta legge dalle
società Stefer e Romana per le ferrovie del Nord, verranno
definiti mediante trattative condotte dalle due citate società e le
organizzazioni sindacali di categoria e regionali confederali, sulla
base degli accordi già intercorsi il 26 luglio 1973 e il 27 marzo
1975 e con decorrenza dal 1° novembre 1975.
In relazione alle trattative di cui sopra la regione adotterà
provvedimenti in conformità all'art. 2, 3° comma, 1. reg. 20
marzo 1973 n. 10 e all'art. 6, 2° comma, 1. 22 aprile 1975 n.
33 ».
Il dubbio di legittimità costituzionale è formulato dalle ordi
nanze di rimessione con riferimento agli art. 117, 39 e 76 Cost.
Peraltro, l'art. 117 è invocato sotto tre distinti profili e cioè: a)
il primo, indicato soltanto in un'ordinanza del Pretore di Roma
(emessa nel processo D'Annunzio Pietro contro Stefer, n. 80 del
reg. ord. 1979), secondo cui la regione non avrebbe potuto
legiferare in materia perché lo Stato non aveva ancora emanato
leggi contenenti i principi fondamentali in tema di trasporti
pubblici; b) il secondo, a cui si riferisce un'altra ordinanza
dello stesso Pretore di Roma (emessa nel giudizio promosso da
Picchi Luciano contro Stefer, n. 89 reg. ord. 1978), la quale ritiene che la regione non avrebbe potuto emanare la norma
impugnata perché l'art. 117 Cost, non accenna al rapporto di
lavoro del personale dipendente dalle imprese concessionarie di
trasporto, rapporto che quindi deve ritenersi estraneo alla sua
previsione: c) il terzo, comune a quasi tutti i provvedimenti dei
giudici a quibus, i quali ritengono che il legislatore regionale,
disponendo in tema di rapporto di lavoro, avrebbe legiferato nell'ambito del diritto privato violando cosi il limite che al
riguardo incontra la potestà legislativa regionale. 4. - Procedendo all'esame di detti profili nell'ordine indicato,
osserva la corte che il primo di essi non appare fondato in
quanto la mancanza di leggi statali nelle materie devolute alla
competenza regionale dall'art. 117 Cost, non impedisce alle re
gioni di legiferare (come la corte stessa ha già chiarito fin dalla
sent. n. 39 del 1971, id., 1971, I, 1180). Le c. d. norme-quadro costituiscono infatti un limite alla legis
lazione regionale, che deve osservare i principi fondamentali in esse contenuti, ma non ne condizionano cronologicamente lo
sviluppo e pertanto, anche se tali norme mancano, ben può la
regione esercitare tutti i poteri per le materie attribuite alla sua
competenza. Non è mancata per vero qualche tendenza nel senso indicato
nell'ordinanza di rimessione, tendenza che ha trovato accogli mento anche in una disposizione legislativa (art. 9 1. 10 febbraio
1953 n. 62), la quale stabili che « il consiglio regionale non può deliberare leggi sulle materie attribuite alla sua competenza dal
l'art. 117 Cost, se non sono state preventivamente emanate, ai
sensi della IX disp. trans. Cost., le leggi della repubblica conte
nenti, singolarmente per ciascuna materia, i principi fondamenta
li cui deve attenersi la legislazione regionale ». Ma tale norma
formò oggetto di vive critiche sia da parte della dottrina sia
negli ambienti politici regionalistici perché veniva a costituire, co
m'è evidente, un grave pericolo per l'autonomia regionale: infat
ti lo Stato, omettendo di emanare le leggi cornice, avrebbe
potuto concretamente bloccare la potestà legislativa della regione, paralizzando cosi l'ordinamento decentrato voluto dalla Costitu zione repubblicana. Ed è perciò che il legislatore, ancor prima dell'inizio del funzionamento delle leggi ordinarie, si premurò di
intervenire, disponendo con l'art. 17 1. 16 maggio 1970 n. 281 che « l'emanazione di norme legislative da parte delle regioni nelle materie stabilite dall'art. 117 Cost, si svolge nei limiti dei
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
principi fondamentali quali risultano da leggi che espressamente li stabiliscono per le singole materie o quali si desumono dalle
leggi vigenti ».
Da tale disposizione chiaramente si evince che le norme-prin cipio, come sopra è stato anticipato, costituiscono soltanto un mero limite per la potestà legislativa regionale, nel senso che tra i principi da essa espressi e le leggi regionali sussiste un rap porto negativo di compatibilità ma non un rapporto positivo di
necessaria derivazione.
5. - Neppure fondato è il secondo profilo. Invero non sarebbe stato logicamente possibile, contrariamente a quanto deduce l'or dinanza di rimessione, che l'art. 117 Cost, facesse riferimento al « rapporto di lavoro » del personale dipendente dalle imprese concessionarie dei servizi di trasporto, dato che tale rapporto ha
natura privatistica e la regione, come questa corte ha costante mente ritenuto, non ha poteri nell'ambito del diritto privato (cfr. le sent. 20 gennaio 1977, n. 38, id., 1977, I, 771; 7 maggio 1975, n. 108, id., 1975, I, 1599; 27 luglio 1972, n. 154, id., 1972, I, 2351 e 22 maggio 1968, n. 60, id., 1968, 1, 1702).
Piuttosto è da osservare come nella materia dei trasporti tramviari e automobilistici, attribuiti alla regione, non è possibile
distinguere nettamente il momento organizzativo da quello fun
zionale, essendo i due momenti collegati da uno stretto nesso
strumentale: sicché deve ritenersi che anche la sub-materia rela
tiva al personale suddetto rientra nella previsione del cit. art. 117 Cost, con il limite, ben s'intende, sopra indicato, e quindi soltanto rispetto al profilo pubblicistico.
Conseguentemente deve altresì ritenersi che anche le funzioni
amministrative concernenti il personale erano comprese nell'am
bito del d. p. r. 14 gennaio 1972 n. 5 relativo al trasferimento
alle regioni a statuto ordinario delle funzioni amministrative
statali in materia di tramvie e linee automobilistiche di interesse
regionale; ciò risulta dall'ampia formula dell'art. 1 cit. d. p. r. e
non è contraddetto dalla disposizione dell'art. 3, ove è contenuta
una elencazione delle funzioni trasferite, da considerare esem
plificativa, come chiaramente risulta dall'espressione « tra l'al
tro », ivi usata (si veda ora l'art. 84, ult. comma, d. p. r. 24
luglio 1977 n. 616).
Del che Stato e regioni ebbero concorde e immediata consa
pevolezza: furono perciò queste ultime, com'è noto, ad interve
nire negli anni 1973, 1974 e 1975 onde contenere le agitazioni del personale dei trasporti in concessione, assumendo nei loro
bilanci oneri non indifferenti, ed evitare cosi il turbamento che
da dette agitazioni derivava al pubblico servizio dei trasporti
pubblici locali.
6. - Neppure può condividersi il terzo profilo sotto cui viene
dedotta ulteriormente la violazione dell'art. 117 Cost.
In proposito, per stabilire la natura giuridica della norma
impugnata, e cioè se essa attenga o no al diritto privato, non è
possibile considerarla isolatamente, vale a dire avulsa dall'intera
normativa emanata dalla regione in tema di trasporti pubblici, ma occorre definirne la portata nel quadro complessivo di detta
normativa.
Avvenuto nel 1972 il trasferimento alle regioni ordinarie delle
funzioni amministrative relative alle « tramvie e linee automobi
listiche di interesse regionale » (le quali comprendevano, come si
è detto, anche il personale) e reso così concretamente possibile l'esercizio della correlativa potestà legislativa, la regione Lazio,
dopo un intervento puramente provvisorio (1. reg. 20 marzo 1975
n. 10), emanò la 1. 2 aprile 1973 n. 12 intitolata « Legge
generale sui trasporti pubblici in concessione». Con essa fu
prevista la redazione di un piano generale dei trasporti concer
nente lo sviluppo equilibrato dei pubblici collegamenti regionali in diretto coordinamento con le linee di sviluppo economico e
di assetto territoriale della regione; conseguentemente fu, tra
l'altro, previsto il riordinamento dei servizi dati in concessione e
venne espressamente stabilito che tale potere di riordinamento
comportava la possibilità di risolvere le concessioni di autolinee
in atto (art. 4).
All'art. 6 fu disposto che il personale appartenente alle impre se di trasporto, le quali cessavano le loro attività ai sensi della
medesima legge, passava alle dipendenze del concessionario che
assumeva la gestione dei servizi, fatte salve le posizioni giuridi che ed economiche, legittimamente acquisite.
In attuazione di tale legge, la regione Lazio emanò altro
provvedimento legislativo (1. reg. 22 aprile 1975 n. 33) con cui
revocò tutte le precedenti concessioni di autolinee in atto nei
bacini del traffico della soc. Stefer e della soc. Romana Nord ed
affidò tali servizi, in attesa della concessione definitiva ad un'a
zienda regionale (l'Acotral), alle due predette società, a capitale
esclusivamente pubblico (art. 1).
In conformità all'art. 6, sopra citato, 1. generale n. 12 del
1973, l'art. 5 1. n. 33 del 1975 testualmente stabili: « Il persona le dipendente dalle imprese di trasporto private che cessino la loro attività ai sensi della presente legge... avrà diritto, a
richiesta, ad essere utilizzato dalle soc. Stefer e Romana ferrovie del Nord, fermo restando il trattamento giuridico ed economico
goduto al momento del trasferimento della gestione dei servizi »,
Con l'art. 1 1. 2 dicembre 1975 n. 79, ossia con la disposizio ne impugnata dai giudici a quibus, si stabili che i provvedimenti relativi al trattamento giuridico ed economico e all'inquadramen to del personale considerato dall'art. 5 1. n. 33 dello stesso anno, sarebbero stati adottati dalla giunta regionale, previe trattative da condurre dalle due predette società con le organizzazioni sindacali di categoria e regionali confederali.
7. - Cosi puntualizzato il quadro della normativa regionale, in
cui si inserisce la norma impugnata, giova rilevare che al perso nale dipendente dalle imprese private che cessano dall'esercizio del servizio pubblico dei trasporti automobilistici non spettava, in base alla legislazione statale, il diritto alla stabilità del rap porto di lavoro.
Al riguardo non gioverebbe invocare la disciplina speciale per il personale degli autoservizi extraurbani contenuta negli art. 26 r.d. 8 gennaio 1931 n. 148, 1 1. 24 maggio 1952 n. 628 nonché 5
1. 22 settembre 1960 n. 1054.
Secondo un costante orientamento della Corte di cassazione,
pervero, la stabilità del rapporto di lavoro prevista dalla norma
tiva speciale è subordinata alla circostanza che permangano immu tate le condizioni in cui si svolge il servizio gestito dall'impresa che ha cessato la sua attività, sicché il diritto del lavoratore non
sussiste nel caso di mutamento di tali condizioni, come si ve
rifica nel caso, più volte ricordato dalla giurisprudenza ordinaria, di intervento della pubblica autorità che provveda — e ciò è
avvenuto appunto nella specie — al riordinamento del servizio.
8. - Il diritto alla stabilità del rapporto di lavoro, con il
mantenimento delle posizioni giuridiche ed economiche già ac
quisite, è riconosciuto perciò al personale in esame dalla legisla zione regionale e precisamente dai ricordati art. 6 1. n. 12 del
1973 e 5 della 1. n. 33 del 1975.
Da ciò chiaramente discende come non possa accettarsi la
prospettazione delle ordinanze di rimessione, le quali, da un
lato, riconoscono, sia pure implicitamente, che rientrava nel po tere della regione disporre la stabilità del rapporto di lavoro, non risultante da alcuna legge statale e, dall'altro, negano invece
tale potere rispetto alla norma puramente complementare e
strumentale relativa alle modalità di concreta attribuzione della
posizione giuridica ed economica dei lavoratori nell'ambito delle
imprese alle cui dipendenze erano passati.
In realtà le due norme, pur se contenute in due testi legislati vi formalmente distinti, costituiscono sostanzialmente un precetto di carattere unitario, il quale in un momento logicamente ante
riore attribuisce un diritto, e, quindi, regola il procedimento per la sua attuazione concreta: sicché ad esse per evidenti esigenze
logiche non può non riconoscersi la medesima natura giuridica. 9. - Il conferimento ai lavoratori del diritto alla stabilità ine
riva, come non è contestato, al potere di riordinamento degli autoservizi di interesse regionale: e ciò sia per intuitive ragioni di carattere squisitamente sociale (la corte non è in possesso di
una documentazione ufficiale, ma dagli scritti difensivi si evince che trattavasi di circa quindicimila dipendenti), sia, sotto il
profilo prettamente tecnico, per evitare che potessero andare
disperse l'esperienza e la professionalità dei dipendenti delle
imprese già concessionarie.
Se cosi è, allo stesso potere organizzativo era collegata anche
la disposizione impugnata, concernente, come più volte si è
detto, le modalità con cui concretamente tale stabilità doveva
essere assicurata.
Il che risulta evidente sol che si rilevi come il nuovo inqua dramento nelle due società affidatarie (soc. Stefer e soc. Romana
ferrovie del Nord) non era un fatto che riguardasse il singolo
dipendente, ma si estendeva a tutti i lavoratori sia per assicurare
un analogo trattamento sia per gli effetti che ne discendevano
sull'intero personale ai fini dell'attribuzione delle funzioni, del
conferimento delle promozioni e della carriera in genere. Esso non poteva quindi essere effettuato che mediante criteri
generali ed uniformi e dietro comparazione delle posizioni dei
lavoratori stessi, comparazione che risultava ovviamente difficile,
dato che le imprese private che erano cessate dalla concessione
avevano caratteristiche affatto diverse (sia per le dimensioni che
per la struttura interna). Questi ultimi rilievi confermano che anche la norma impugna
ta concerneva l'organizzazione del pubblico servizio nella fase
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PARTE PRIMA 1212
attuativa, incidendo sulle funzioni amministrative, per cui la
regione poteva legittimamente intervenire.
10. - Con la seconda questione sollevata i giudici a quibus denunciano l'indicata disposizione con riferimento all'art. 39
Cost., in quanto essa affiderebbe alle associazioni sindacali la
tutela di interessi individuali sottraendola ai titolari.
Anche tale questione è priva di giuridico fondamento.
L'intervento delle associazioni sindacali, come testualmente e
inequivocabilmente dispone la legge impugnata, era diretto sol
tanto a compiere delle « trattative » con le due società affidata
ne. Tale intervento si inseriva perciò in una fase procedimentale necessaria per disciplinare il nuovo inquadramento, con provve dimenti che erano di competenza della giunta regionale.
Come si è detto, questi provvedimenti dovevano essere emana
ti con criteri generali ed uniformi nonché con un esame compa rativo delle varie posizioni individuali, sicché la partecipazione delle associazioni sindacali alla fase preliminare delle trattative
con le due società trovava la sua ragion d'essere nell'apporto che le associazioni medesime avrebbero potuto dare alla regione
per la migliore riuscita della complessa operazione.
Nessun potere dispositivo o deliberativo era riconosciuto in
materia alle dette associazioni, la cui partecipazione, ripetesi, si
fermava soltanto alla fase delle trattative, mentre il provvedi mento conclusivo spettava esclusivamente alla giunta regionale.
Ed è bene notare come contro il suindicato provvedimento il
lavoratore aveva il potere di ricorrere al giudice (ordinario) per la tutela dei suoi diritti eventualmente misconosciuti (e cioè la
conservazione delle posizioni giuridiche ed economiche già ac
quisite), come espressamente è riconosciuto dall'ordinanza della
Corte di cassazione (che, appunto perciò, ha ritenuto che non
poteva essere invocato quale parametro anche l'art. 24 Cost.) e
come altresì espressamente è ammesso dalla regione Lazio nella
sua memoria illustrativa.
11. - Infine risulta infondata l'ultima questione dedotta, secon
do cui la norma impugnata violerebbe l'art. 76 Cost., in quanto conterrebbe una delega legislativa senza la determinazione di
principi e criteri direttivi.
Al riguardo, non può anzitutto condividersi il presupposto da
cui muovono i giudici a quibus, che ritengono applicabile il cit.
art. 76 Cost, alla legislazione regionale: il principio generale della inderogabilità delle competenze costituzionali esclude invece, come già questa corte ha deciso (sent. 9 giugno 1961, n. 32, id.,
1961, I, 1055) e come ritiene la migliore dottrina, la possibilità di estendere alle regioni le disposizioni degli art. 76 e 77 Cost.:
disposizioni che hanno carattere eccezionale e pertanto non pos sono trovare applicazione al di là dell'ordinamento dello Stato.
Senza dire che, in base a quanto sopra è stato precisato, la
disposizione denunciata non conteneva alcuna delega legislativa, ma attribuiva alla regione il potere di porre in essere gli atti di
mera amministrazione per l'inquadramento del personale nel
l'ambito delle due società a cui, dopo la revoca delle precedenti concessioni, erano stati affidati gli autoservizi di interesse regio nale.
In conclusione, deve dirsi che tutte le proposte questioni sono
infondate.
Per questi motivi, la corte, riuniti i giudizi: 1) dichiara i
nammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 1 1.
reg. Lazio 2 dicembre 1975 n. 79, sollevate dal Pretore di Roma
con le ordinanze indicate nel relativo registro ai numeri 1023/79,
57/80 e 442/81; 2) dichiara non fondate le questioni di legitti mità costituzionale del medesimo art. 1 sollevate dal Pretore di
Roma e dalla Corte di cassazione con le altre ordinanze indicate in epigrafe in riferimento agli art. 39, 76 e 117 Cost.
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 28 gennaio 1983, n. 49
(Gazzetta ufficiale 16 marzo 1983, n. 74); Pres. Elia, Rei.
Gallo; imp. Di Melfi; interv. Pres. cons, ministri (Avv. dello Stato Azzariti). Ord. Trib. mil. Padova 30 novembre 1977 (Gazz. uff. 27 settembre 1978, n. 271).
Corte costituzionale — Giudizi in via incidentale — Difetto di rilevanza — Questione di costituzionalità inammissibile (L. 11 marzo 1953 n. 87, norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale, art. 23).
È inammissibile, per difetto di rilevanza, la questione di legittimi tà costituzionale, relativa all'applicazione di una pena accesso
ria, sollevata dal giudice a quo dopo la decisione di condanna e la conseguente irrogazione della pena principale. (1)
(1) L'ordinanza di rimessione Trib. mil. Padova 30 novembre 1977 è massimata in Foro it., Rep. 1979, voce Furto, n. 22.
* * *
Sentenza di condanna e ordinanza di rimessione alla Corte costi tuzionale in tema di pene accessorie.
1. Gli sviluppi del fatto. - I termini della questione si ricavano in maniera chiara dalla lettura della sentenza costituzionale. Per fornire un panorama completo, bisogna però dar conto di ciò che è avvenuto tra l'emissione della sentenza-ordinanza da parte del Tribunale milita re di Padova e la decisione della corte.
La pronuncia del giudice a quo venne ritualmente impugnata dal l'imputato con ricorso al tribunale supremo militare (unico organo, a quell'epoca, competente a giudicare sui gravami nel rito militare (1)) sotto due profili, il secondo dei quali (questione di legittimità costituzionale sollevata senza sospensione del giudizio, che era stato definito nel merito) trovò accoglimento: il tribunale supremo, con sentenza dell'8 maggio 1979, annullò per violazione di legge la decisione impugnata, rinviando al Tribunale militare di Verona perché sospendesse il giudizio ai sensi dell'art. 23 1. 11 marzo 1953 n. 87: perché facesse, cioè, quello che non aveva fatto il primo giudice. Il Tribunale militare di Verona, con ordinanza del 15 giugno 1979, sospese il giudizio « fino a quando non [fosse pervenuta] la decisio ne della Suprema corte costituzionale in ordine alla questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale militare di Padova ».
2. Presupposti della questione di costituzionalità. - La decisione co stituzionale segue la linea tracciata dalla corte in precedenti senten ze (2), svolgendo un ragionamento che appare nitido e rispondente alle disposizioni legislative in vigore nella materia (3). Da un lato, ciò sembrerebbe giustificare la sinteticità della motivazione adottata; dal l'altro, persuadere della bontà degli argomenti utilizzativi. Però, il fatto che la sentenza ha avuto per la prima volta ad oggetto una situazione verificatasi in un procedimento penale (militare), e che per giunta ha toccato, sia pure tangenzialmente, un campo discusso e problematico come quello occupato dalle pene accessorie, induce a
qualche riflessione. 11 Tribunale militare di Padova ha pronunciato nel merito, dichia
rando l'imputato responsabile e condannandolo a tre mesi di reclusio ne militare (pena condizionalmente sospesa), al pagamento delle spese processuali « e ad ogni altro effetto ». A questa decisione, che ri veste l'indubbio carattere di sentenza (4), ha però aggiunto un'ordi nanza di rimessione degli atti alla Corte costituzionale, argomentando che « la pena accessoria assume rilievo giuridico e diventa degna di considerazione soltanto se ed in quanto sia stata pronunciata la condanna ».
Da un punto di vista generale, bisogna osservare che una questione di legittimità viene sollevata d'ufficio ogni qualvolta il giudice avverta
l'impossibilità di raggiungere la decisione di un procedimento per l'esistenza di una norma che deve trovarvi applicazione e la cui conformità o meno ai principi costituzionali debba essere preliminar mene vagliata. E proprio per questo motivo l'art. 23 1. 87/53 impone di sospendere il giudizio in corso trasmettendone gli atti alla Corte costituzionale.
In ordine al presupposto logico che deve sorreggere l'esame della rilevanza della questione, si discute se sia sufficiente che la norma « sospetta » possa soltanto trovare applicazione nel procedimento in corso (5), o se invece debba esservi applicata probabilmente (6) o addirittura necessariamente (7). Si osserva, in proposito, che i risultati operativi dell'indagine non divergono nel caso — come quello di
specie — di questione sollevata d'ufficio: il giudice può sempre affermare il sussistere della rilevanza intesa nel senso più ristretto di necessaria applicazione della legge (8). Ed infatti il Tribunale militare di Padova, al fine di affermare la rilevanza della questione, ha ragionato in modo consimile. Ma il ragionamento ha provato troppo,
(1) Il grado di appello, come è noto, è stato introdotto in tale rito solo con l'art. 3 1. 7 maggio 1981 n. 180.
(2) Emesse tutte in seguito ad esame di questioni sorte in giudizi civili: si vedano le seguenti sentenze: n. 105/73 (riguardante l'art. 580 c.c.), Foro it., 1973, I, 2354; n. 186/76 (art. 304 d.p.r. 29 marzo 1973 n. 156), id., 1976, I, 2032; n. 74/82 (art. 2598 c.c.), id., 1982, I, 1475.
(3) Art. 134 e 137 Cost.; 1. cost. 9 febbraio 1948 n. 1; art. 23 ss. 1. 11 marzo 1953 n. 87.
(4) Cfr. per tutti Cordero, Procedura penale, Milano, 1977, 402: « Sia o meno l'ultimo atto della serie in cui consiste il processo, la sentenza lo è certamente rispetto al procedimento nel quale è stata pronunciata, le cui fila vi confluiscono ».
(5) In questo senso Modugno, Riflessioni interlocutorie sull'autono mia del giudizio costituzionale, Napoli, 1966, 337 ss.
(6) Cosi Crisafulli, La Corte costituzionale tra magistratura e parlamento, in Scritti Calamandrei, Padova, 1958, IV, 125 ss.
_ (7) Per questa tesi, fra gli altri, Pizzorusso, Ancora sulla valuta zione della rilevanza e sui controlli ad essa relativi, in Giur. costit., 1968, 1489 s. Da ultimo cfr., in argomento, Spatolisano, Recenti tendenze della giurisprudenza costituzionale in tema di rilevanza (1977-1981), in Foro it., 1982, I, 629.
(8) Cosi Pizzetti e Zagrebelsky, « Non manifesta infondatezza » e « rilevanza » nella instaurazione incidentale del giudizio sulle leggi, Milano, 1972, 108.
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