sentenza 24 febbraio 1994, n. 61 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 2 marzo 1994, n. 10);Pres. Casavola, Est. Vari; Pres. cons. ministri c. Regione Piemonte (Avv. Romanelli)Source: Il Foro Italiano, Vol. 119, No. 4 (APRILE 1996), pp. 1193/1194-1195/1196Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23190276 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
che una tale procedura risulta preclusa dalla norma denunciata, ha sollevato l'indicata questione di legittimità costituzionale del
l'art. 11, ultimo comma, 1. reg. Abruzzo n. 52 del 1989, «per ché disciplina la materia penale riservata alle leggi dello Stato
ed esclusa dalla potestà legislativa delle regioni» e «per l'ingiu stificato diverso trattamento che riserva, in sede penale, agli abusi commessi nella regione Abruzzo».
2. - La questione è fondata.
Sotto la rubrica «repressione degli abusi in "parziale diffor
mità"», l'art. 11 1. reg. n. 52 del 1989 stabilisce che nelle ipote si in cui venga accertata la parziale difformità delle opere dal
progetto approvato, il sindaco ingiunge ai responsabili la demo lizione delle opere abusive fissando un termine congruo, co
munque non superiore a centoventi giorni, decorrente dalla no
tifica del provvedimento, da effettuarsi nelle forme degli atti
di citazione, e che se dall'accertamento è riscontrata l'inottem
peranza all'ingiunzione, le opere stesse sono demolite a cura
del comune ed a spese dei responsabili dell'abuso (3° comma). Ove poi, come nell'ipotesi di specie, la demolizione non possa avvenire senza pregiudizio della parte di opera eseguita in con
formità, il 4° comma dell'art. 11 della detta legge regionale (ri
producendo alla lettera l'art. 12, 2° comma, 1. 28 febbraio 1985
n. 47) prescrive che il sindaco applica una sanzione pari al dop
pio del costo di produzione, stabilito in base alla 1. 27 luglio 1978 n. 392, della parte dell'opera realizzata in difformità della
concessione, se ad uso residenziale, e pari al doppio del valore
venale, determinato a cura dell'ufficio tenico erariale, per le
opere adibite ad usi diversi da quello residenziale. L'art. 11, ultimo comma, 1. reg. n. 52 del 1989 fa infine conseguire dal
pagamento dell'integrale importo della sanzione pecuniaria ir
rogata «gli effetti previsti dall'art. 22, ultimo comma, 1. 28 feb
braio 1985 n. 47», a norma del quale «Il rilascio della conces
sione in sanatoria delle concessioni estingue i reati contravven
zionali previsti dalle norme urbanistiche vigenti».
Dunque, poiché l'effetto previsto dalla disposizione della leg
ge statale è, appunto, l'estinzione dei reati contravvenzionali, fra cui quello contemplato dall'art. 20, lett. a), 1. n. 47 del
1985, l'art. 11, ultimo comma, della legge regionale ha fatto
scaturire come conseguenza del pagamento della sanzione am
ministrativa un effetto estintivo del reato non previsto dalla le
gislazione statale che subordina, invece, il detto effetto al rila
scio della concessione in sanatoria.
3. - La norma denunciata, pur non modificando direttamente
il sistema delle sanzioni penali delineato dalla legge statale, ha
però introdotto una regolamentazione del procedimento ammi
nistrativo più favorevole per il soggetto privato rispetto a quan to previsto dagli art. 12 e 13 1. n. 47 del 1985, cosi' da incidere
sulla disciplina penalistica. Essa consente, infatti, l'estinzione
dei reati contravvenzionali urbanistici anche in mancanza della
sanatoria delle opere abusive e, quindi, nonostante la non «con
formità dell'opera con gli strumenti urbanistici vigenti all'epoca della costruzione dell'opera stessa» (v. sentenza n. 231 del 1993, Foro it., Rep. 1993, voce Trentino-Alto Adige, n. 7); cosi da
prescindere dall'accertamento dell'inesistenza del «danno urba
nistico», da cui soltanto può derivare l'estinzione del reato in
forza della corresponsione della sanzione amministrativa inflit
ta per la violazione.
4. - Ne consegue che l'art. 11, 5° comma, 1. reg. Abruzzo
13 luglio 1989 n. 52, con l'incidere sull'applicabilità delle cause
di estinzione del reato interferisce «nella "materia penale", re lativamente alla quale, secondo la costante giurisprudenza di
questa corte, "vale la riserva di disciplina a favore dello Stato, che si configura come principio di rango costituzionale"» (v. sentenze n. 231 del 1993; n. 18 del 1991, id., Rep. 1991, voce
Regione, n. 250; n. 487 del 1989, id., Rep. 1989, voce cit.,
n. 207, e n. 179 del 1986, id., Rep. 1986, voce Sicilia, n. 51), cosicché il legiferare nella suddetta materia in deroga alla legi slazione statale implica violazione degli art. 25 e 117 Cost.
5. - Restano, in tal modo, assorbite, le censure incentrate
sugli ulteriori parametri costituzionali invocati dal giudice a quo. Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara l'illegitti
mità costituzionale dell'art. 11,5° comma, 1. reg. Abruzzo 13
luglio 1989 n. 52.
Il Foro Italiano — 1996.
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 24 febbraio 1994, n.
61 (Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 2 marzo 1994, n. 10); Pres. Casavola, Est. Vari; Pres. cons, ministri c. Regione Piemonte (Aw. Romanelli).
Regione in genere e regioni a statuto ordinario — Piemonte — Tutela delle acque sotterranee — Varianti degli strumenti urbanistici locali — Incostituzionalità (Cost., art. 5, 114, 117,
128; d.p.r. 24 luglio 1977 n. 616, attuazione della delega di
cui all'art. 1 1. 22 luglio 1975 n. 382, art. 2; d.p.r. 24 maggio 1988 n. 236, attuazione della direttiva Cee n. 80/778 concer
nente la qualità delle acque destinate al consumo umano ai
sensi dell'art. 15 1. 16 aprile 1987 n. 183, art. 7, 9; 1. 18 mag gio 1989 n. 183, norme per il riassetto organizzativo e funzio
nale della difesa del suolo, art. 3, 5, 12, 14, 17, 18).
È incostituzionale l'art. 13, 2° comma, l. reg. Piemonte riap
provata il 6 luglio 1993, nella parte in cui prevede che, ai
fini della protezione delle aree da riservare al soddisfacimen to delle esigenze idropotabili, la giunta regionale definisce, sentiti gli enti locali territorialmente competenti, i vincoli e
le limitazioni d'uso del territorio, i quali costituiscono ad ogni
effetto variante agli strumenti urbanistici locali. (1)
Diritto. — 1. - Il presidente del consiglio dei ministri impu gna l'art. 13, 2° comma, 1. reg. Piemonte riapprovata il 6 luglio 1993, nella parte in cui dispone che, ai fini della protezione
(1) La decisione è commentata da Fonderico, in Ambiente, 1994, fase. 6, 71.
Con ord. 10 novembre 1994, n. 390 (Giur. costit., 1994, 3506), la Corte costituzionale ha provveduto a correggere un errore materiale con tenuto nella sent. 61/94, sostituendo le parole «leale collaborazione» a «locale subordinazione», nel terzo periodo del punto 5 del considera to in diritto.
La corte accoglie la questione di costituzionalità ritenendo che la leg ge regionale viola la competenza dei comuni in materia edilizia, cosi come fissata dalle leggi statali e quindi ne comprime l'autonomia, ga rantita dall'art. 128 Cost. Quanto alla individuazione delle modalità concrete attraverso le quali la regione deve coinvolgere, nella individua zione dei vincoli urbanistici, gli enti locali, la corte si rimette alle scelte del legislatore regionale, nei limiti del principio di ragionevolezza.
La Corte costituzionale si richiama esplicitamente in motivazione a
precedenti decisioni attraverso le quali aveva dichiarato l'illegittimità costituzionale di leggi regionali, per violazione delle competenze degli enti locali in materia edilizia stabilite con legge statale: v. Corte cost. 24 maggio 1991, n. 212, Foro it., 1991, I, 1633, con nota di richiami, e 4 aprile 1990, n. 157, id., 1990, I, 2134, con nota di richiami.
In altre ipotesi la corte ha invece ritenuto che il potere del comune di confermare o meno, in sede di redazione del piano, l'ubicazione de
gli impianti industriali esistenti, è sufficiente ad escludere la violazione dell'autonomia dell'ente locale: v. Corte cost. 10 marzo 1994, n. 79, id., 1994, I, 1990, con nota di richiami, la quale ha dichiarato infonda ta la questione di legittimità costituzionale dell'art. 24, 3° comma, 1.
reg. Veneto 27 giugno 1985 n. 61, nella parte in cui, ricomprendendo in determinate zone territoriali gli impianti industriali esistenti, impor rebbe una destinazione a certe aree a prescindere dalle valutazioni del comune.
Nel senso che l'art. 128 Cost., nel fondare l'autonomia comunale sui principi fissati dalle leggi generali della repubblica, non esclude che la legge statale possa, in presenza di situazioni particolari, apportare variazioni alle procedure ordinarie, stabilendo che il comune, come en te interessato all'assetto ed alla utilizzazione del territorio, partecipi, con il rappresentante del competente servizio, alla conferenza chiamata ad approvare all'unanimità i progetti esecutivi di opere, comportanti variazioni degli strumenti urbanistici, per cui gli art. 1, 1° e 2° comma, e 2, 3° comma, seconda parte, 1. 29 maggio 1989 n. 205 e 2, 1° comma, lett. e), 1. reg. Lazio 17 luglio 1989 n. 46, nella parte in cui prevedono che l'approvazione dei progetti esecutivi delle opere nelle aree interessa
te ai campionati mondiali di calcio del 1990 sia assunta dalla conferen
za dei competenti servizi, in luogo della normale procedura comportan te la diretta partecipazione dei vari enti interessati, non sono lesivi del l'autonomia comunale tutelata dall'art. 128 Cost., v. Corte cost. 16
febbraio 1993, n. 62, id., Rep. 1993, voce Opere pubbliche, n. 125.
Per la manifesta infondatezza di questioni di costituzionalità relative
a presunte illegittime compressioni dell'autonomia locale di cui all'art. 128 Cost., in materia edilizia, v. Cons. Stato, sez. IV, 2 ottobre 1989, n. 653, id., Rep. 1989, voce Regione, n. 365, in ordine all'art. 1 d.p.r. 15 gennaio 1972 n. 8, nella parte in cui implicitamente assegna alla
regione il potere di annullare le licenze edilizie rilasciate dal comune; Tar Lazio, sez. I, 16 settembre 1987, n. 1505, id., 1989, III, 165, con
nota di richiami.
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1195 PARTE PRIMA 1196
delle aree da riservare al soddisfacimento delle esigenze idropo
tabili, «la giunta definisce, sentiti gli enti locali territorialmente
competenti, i vincoli e le limitazioni d'uso del territorio, a nor ma dell'art. 7 del d.p.r. n. 236 del 1988», precisando che «tali
vincoli e limitazioni costituiscono ad ogni effetto variante agli
strumenti urbanistici locali».
2. - Prima di passare al merito dell'impugnativa, conviene
accennare brevemente al quadro normativo nel quale si colloca
la disposizione denunciata, tenendo conto del rinvio da essa fatto
al d.p.r. n. 236 del 1988. Quest'ultimo provvedimento, nel dare
attuazione alla direttiva Cee n. 80/778, concernente la qualità
delle acque destinate al consumo umano, ha previsto aree di
salvaguardia delle risorse idriche, suddistinte in zone di tutela
assoluta, zone di rispetto e zone di protezione (art. 4), specifi
dando, nel contempo, che, in queste ultime zone, possono esse
re adottate misure relative alla destinazione del territorio inte
ressato, limitazioni per gli insediamenti, civili, produttivi, turi stici, agroforestali e zootecnici (art. 7). Ai sensi del successivo
art. 9, spetta alla regione l'individuazione delle aree di salva
guardia e la disciplina delle attività e destinazioni ammissibili, fatte salve le previsioni di cui agli art. 4, 5, 6 e 7 dello stesso
d.p.r. n. 236.
Dal canto suo, la regione Piemonte, con la legge della quale fa parte la norma impugnata, ha inteso, come risulta dall'art.
1, disciplinare e coordinare «l'organizzazione e l'esecuzione del
le funzioni avute in delega dallo Stato, a norma dell'art. 90
d.p.r. 24 luglio 1977 n. 616, riguardanti la ricerca, l'estrazione
e l'utilizzazione delle acque sotterranee, escluse le acque terma
li, minerali e radioattive o comunque regolate da leggi specia
li». Nell'ambito dell'articolata disciplina recata dalla legge in
questione si colloca l'art. 13 che, regolando, per l'appunto, l'e
sercizio delle competenze affidate dall'art. 9 d.p.r. n. 236, abili
ta la giunta regionale a definire i vincoli e le limitazioni d'uso
del territorio, a norma dell'art. 7 del menzionato decreto, sia
pure sentiti gli enti locali, ma stabilendo che «tali vincoli e limi
tazioni costituiscono ad ogni effetto variante agli strumenti ur
baninstici locali». 3. - Avverso quest'ultima disposizione si rivolgono le doglianze
del presidente del consiglio, che — lamentando la violazione
degli art. 5, 114, 117 e 128 Cost., e delle norme interposte con
tenute nell'art. 2 d.p.r. 24 luglio 1977 n. 616, negli art. 3, 5,
12, 14, 17 e 18 1. 18 maggio 1989 n. 183 e nella 1. 8 giugno 1990 n. 142 — prospetta, fondamentalmente, due motivi di cen
sura, attinenti: a) l'uno, alla lesione delle competenze degli enti
locali in materia urbanistica, a causa del mutamento delle desti
nazioni del territorio cosi come già previste dagli strumenti ur
banistici, senza il concorso nel procedimento di deliberazioni
dei consigli comunali interessati; b) l'altro, alla non compatibi lità del separato potere a valenza territoriale ed urbanistica, at
tribuito dalla norma impugnata alla giunta regionale, con le
norme sulla difesa del suolo di cui alla già citata 1. n. 183 del
1989. 4. - Il primo motivo di ricorso è fondato.
Come la corte ha già avuto occasione di affermare, l'ordine
delle competenze fra regioni e comuni in materia urbanistica
è quello da tempo delineato dalla legislazione statale in materia.
Tale ordine, fatto salvo dall'art. 2 d.p.r. 24 luglio 1977 n. 616, non è suscettibile di modifica da parte della legge regionale, senza che ne risulti leso l'art. 128 Cost., che, nel predetto art.
2, riceve attuazione per quanto si riferisce alla salvaguardia del
le funzioni già spettanti ai comuni in base alla precedente legis lazione (sentenza n. 157 del 1990, Foro it., I, 2134).
La norma impugnata — nell'attribuire all'atto con il quale la giunta regionale individua le zone di protezione delle risorse
idriche, l'effetto di incidere immediatamente sugli strumenti ur
banistici dell'ente locale, senza necessità di ulteriori, autonomi, interventi deliberativi dell'organo comunale — comporta la sot
trazione al consiglio comunale delle competenze ad esso spet tanti nella specifica materia delle varianti (art. 10, ultimo com
ma, e art. 16, ultimo comma, I. 17 agosto 1942 n. 1150), esten
dendo, nel contempo, l'ambito delle attribuzioni di carattere
più generale che, in detta materia, risultano spettare alla regio ne, in base agli art. 80 s. d.p.r. n. 616 del 1977. Obietta la
difesa della resistente che il richiamo fatto dal ricorso alle pre cedenti pronunzie di questa corte non sarebbe pertinente, in quan to queste si riferirebbero a casi di procedimenti speciali circo
scritti nell'ambito della materia urbanistica, mentre qui la giun
II Foro Italiano — 1996.
ta regionale agirebbe per la tutela di interessi d'altro tipo, che
si collocano in un livello superiore rispetto a quello comunale.
Senonché, la circostanza che la giunta, nello stabilire i vincoli
e le limitazioni di cui all'art. 7 d.p.r. n. 236 del 1988, agisca in via primaria per la tutela di interessi diversi da quello urbani
stico non sembra al collegio argomento decisivo per legittimare
la-configurazione di poteri prowedimentali, quali quelli previsti nella norma denunciata, le cui modalità di esercizio abbiano,
comunque, l'effetto di comprimere le competenze costituzional
mente spettanti all'ente locale, sia pure nella differente materia
dell'uso del territorio.
Può aggiungersi che la lesione delle competenze affidate al
comune, mediante il declassamento del suo potere deliberativo
a mera competenza consultiva, appare ancor più grave, ove si
consideri che la regione opera nei limiti di una materia ad essa
delegata, quale è da considerare quella dell'art. 9 d.p.r. n. 236
del 1988. 5. - La regione Piemonte, nel resistere al ricorso, deduce,
ulteriormente, che in realtà le competenze dell'ente locale risul
terebbero già compresse dalla legge statale, e cioè dal d.p.r. n. 236 del 1988, nell'autorizzare la regione ad apporre vincoli
e limiti attinenti al perseguimento di un interesse ambientale
e sanitario da ritenere, comunque, sovraordinato al potere co
munale di assetto del territorio.
La corte ritiene, invece, che l'art. 9 d.p.r. n. 236 del 1988,
nell'affidare alla regione la determinazione di detti vincoli, lasci
alla discrezionalità del legislatore regionale l'individuazione dei
modelli procedimentali nell'ambito dei quali convogliare i vari
interessi e le varie competenze che vengono in rilievo.
Come si è già avuto occasione di affermare, proprio in una
delle sentenze richiamate dalla regione resistente, la convergen za sul territorio di rilevanti e diversificati interessi, affidati a specifiche competenze, mentre giustifica l'ampliarsi dell'istanza
partecipativa o di intesa o di locale subordinazione o più sem
plicemente di coordinamento, esige che venga assicurato «l'ar
monico confluire» degli interessi stessi (sentenza 21 aprile 1988, n. 499, id., 1989, I, 3085). Resta perciò ferma, a garanzia del
principio autonomistico previsto dagli art. 5 e 128 Cost., la ne
cessità che il procedimento che incide sull'approvazione ovvero
sulla modifica degli strumenti urbanistici si articoli in maniera
tale da assicurare la sostanziale partecipazione, allo stesso, degli enti il cui assetto territoriale è determinato proprio dagli stru
menti in questione (sentenza 26 ottobre 1988, n. 1010, ibid.,
3004). Quanto, poi, al modo in cui gli interessi concorrenti nella
specifica materia siano da armonizzare, non è questo problema che sia venuto a riguardare la sola regione Piemonte, come è
dato desumere dalla legislazione regionale esistente in materia, che offre una casistica nella quale si rinvengono diversificate
soluzioni, non esclusa quella di una fase di adozione della va
riante demandata al consiglio comunale, accompagnata, per il
caso di inottemperanza entro un certo termine, dall'esercizio
di poteri sostitutivi da parte della regione. Va da sé, comunque, che non spetta alla corte fornire indicazioni, in quanto la ricer
ca dei modi attraverso i quali il coinvolgimento dei diversi inte
ressi può essere realizzato non può che rimettersi alla discrezio
nalità del legislatore regionale, nei limiti, ovviamente, del prin
cipio di ragionevolezza. 6. - A seguito dell'accoglimento del ricorso per le considera
zioni sopra svolte, è da ritenere assorbito l'altro motivo di gra
vame, attinente, secondo il ricorrente, alla illegittima configura zione di un separato potere a valenza territoriale, che non ter
rebbe conto delle molteplici funzioni finalizzate alla difesa del
suolo, giusta le previsioni dell'art. 17, 1° comma, 1. n. 183 del
1989. Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara l'illegitti
mità costituzionale dell'art. 13, 2° comma, 1. reg. Piemonte riap
provata il 6 luglio 1993, recante «ricerca, uso e tutela delle ac
que sotterranee».
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