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sentenza 24 giugno 2004, n. 186 (Gazzetta ufficiale, 1aserie speciale, 30 giugno 2004, n. 25); Pres....

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sentenza 24 giugno 2004, n. 186 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 30 giugno 2004, n. 25); Pres. Onida, Est. Maddalena; Università degli studi di Roma La Sapienza c. Toscano; interv. Pres. cons. ministri. Ord. Cons. Stato 6 giugno 2003 (G.U., 1 a s.s., n. 34 del 2003) Source: Il Foro Italiano, Vol. 127, No. 10 (OTTOBRE 2004), pp. 2643/2644-2655/2656 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23199040 . Accessed: 28/06/2014 08:16 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 193.142.30.32 on Sat, 28 Jun 2014 08:16:19 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sentenza 24 giugno 2004, n. 186 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 30 giugno 2004, n. 25);Pres. Onida, Est. Maddalena; Università degli studi di Roma La Sapienza c. Toscano; interv.Pres. cons. ministri. Ord. Cons. Stato 6 giugno 2003 (G.U., 1 a s.s., n. 34 del 2003)Source: Il Foro Italiano, Vol. 127, No. 10 (OTTOBRE 2004), pp. 2643/2644-2655/2656Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23199040 .

Accessed: 28/06/2014 08:16

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2643 PARTE PRIMA 2644

Diritto. — 1. - Il Collegio arbitrale di Roma, con le due ordi nanze indicate in epigrafe, dubita, in riferimento agli art. 3 e

111, 1° e 2° comma. Cost., della legittimità costituzionale del l'art. 819, 2° comma, c.p.c., in quanto non consente agli arbitri, come invece sarebbe consentito al giudice dall'art. 295 c.p.c., di

disporre la sospensione del giudizio arbitrale nel caso in cui il

giudice statuale debba risolvere una controversia «dalla cui de finizione dipende la decisione della controversia arbitrale».

Avendo le due ordinanze ad oggetto la medesima questione, i

giudizi vanno riuniti per essere decisi con unica sentenza. 2. - La questione non è fondata.

Va premesso che il collegio arbitrale rimettente, nel lamenta re la mancata attribuzione del potere di sospendere il giudizio per la pendenza, dinanzi al giudice statuale, di una controversia dalla cui definizione dipende la decisione della controversia ar

bitrale, intende riferirsi — come risulta evidente dalla motiva zione dell'ordinanza — alla c.d. sospensione facoltativa, per motivi di opportunità.

Esso muove, infatti, dall'esplicito presupposto che l'art. 295

c.p.c., assunto quale tertium comparationis, «pur sotto la rubrica

'sospensione necessaria' offre al giudice una vasta gamma di

facoltà, inclusa quella di disporre la sospensione del giudizio civile fino al passaggio in giudicato della sentenza penale» avente ad oggetto i medesimi fatti, cosicché sussisterebbe una

ingiustificata disparità di trattamento, sotto il profilo conside

rato, tra il giudice statuale e l'arbitro, al quale siffatta facoltà sa rebbe negata.

Tale presupposto interpretativo non trova, tuttavia, conforto nel diritto vivente, essendosi la giurisprudenza di legittimità, dopo talune oscillazioni iniziali, ormai consolidata, in sede di

regolamento dì competenza avverso i provvedimenti con i quali è disposta dal giudice la sospensione del processo (art. 42

c.p.c.), nel senso che non sussiste una discrezionale, e non sin

dacabile, facoltà di sospensione del processo, esercitatale dal

giudice fuori dei casi tassativi di sospensione necessaria.

Escluso, dunque, che il giudice statuale abbia la facoltà di so

spendere il giudizio per mere ragioni di opportunità, viene meno anche la prospettata disparità di trattamento sulla quale risulta fondata la questione di legittimità costituzionale.

Per questi motivi, la Corte costituzionale, riuniti i giudizi, di chiara non fondata la questione di legittimità costituzionale del l'art. 819, 2° Comma, c.p.c. sollevata, in riferimento agli art. 3 e

111, 1° e 2° comma, Cost., dal Collegio arbitrale di Roma, con le ordinanze in epigrafe.

delle leggi, infatti, è del tutto razionale una disciplina che non prevede la sospensione del processo e contempla l'autonoma prosecuzione di due giudizi che hanno ad oggetto situazioni fra loro in relazione di pre giudizialità. Anzi la Corte costituzionale, ponendo in evidenza come con la norma denunciata il legislatore, limitando i casi di sospensione, abbia voluto rendere più rapida e sollecita la definizione del processo, finisce per fornire una valutazione positiva di una disciplina che non prevede la sospensione del processo. Tanto è vero che la corte ricono sce la ragionevolezza della previsione normativa contenuta nell'art. 39, sottolineando che «la possibilità accordata al contribuente ... di far valere nel processo pregiudicato — indipendentemente dal corso e dal l'esito del giudizio pregiudiziale — tutte le sue difese, rende poi priva di fondamento la violazione ... del precetto costituzionale di cui al l'art. 24, 2° comma, Cost.».

Il Foro Italiano — 2004.

CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 24 giugno 2004, n. 186 (Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 30 giugno 2004, n. 25); Pres. Onida, Est. Maddalena; Università degli studi di

Roma La Sapienza c. Toscano; interv. Pres. cons, ministri.

Ord. Cons. Stato 6giugno 2003 (G.U., la s.s., n. 34 del 2003).

Impiegato dello Stato e pubblico in genere — Sentenza pe nale irrevocabile di condanna — Procedimento disciplina re — Termine per l'instaurazione — Decorrenza — Inco

stituzionalità (Cost., art. 3, 97; 1. 27 marzo 2001 n. 97, norme

sul rapporto tra procedimento penale e procedimento discipli nare ed effetti del giudicato penale nei confronti dei dipen denti delle amministrazioni pubbliche, art. 10).

E incostituzionale l'art. 10, 3° comma, l. 27 marzo 2001 n. 97, nella parte in cui prevede, per i fatti commessi anteriormente

all'entrata in vigore di detta legge, l'instaurazione del pro cedimento disciplinare entro centoventi giorni dalla conclu

sione del procedimento penale con sentenza irrevocabile di

condanna, anziché entro il termine di novanta giorni dalla

comunicazione della sentenza all'amministrazione o all'ente

competente per il procedimento disciplinare. (1)

II

CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 5 feb braio 2004, n. 2168; Pres. Mattone, Est. Balletti, P.M. Ma

tera (conci, parz. diff.); Cornaglia Ferraris (Avv. Momiglia

no, Perfigli, Marini) c. Istituto Giannina Gaslini (Avv. Bor

mioli, Maniglio, Vesci). Cassa App. Genova 10 maggio 2002 e decide nel merito.

Impiegato dello Stato e pubblico in genere — Procedimento

disciplinare — Violazione delle regole di competenza — Nullità della sanzione (Cod. civ., art. 1418; d.leg. 30 marzo 2001 n. 165, norme generali sull'ordinamento del lavoro alle

dipendenze delle amministrazioni pubbliche, art. 55).

E nulla, perché in contrasto con norma di legge inderogabile sulla competenza, la sanzione disciplinare irrogata in esito a

procedimento disciplinare instaurato da soggetto o da organo diverso dall'ufficio competente per i procedimenti disciplina ri. (2)

(1-2) I. .- Continua ad affinarsi l'elaborazione sul procedimento di

sciplinare nel lavoro pubblico. Corte cost. 186/04, in epigrafe, ha nuovamente affrontato, reputan

dola illegittima, la disciplina transitoria, stabilita dalla 1. 97/01, stavolta in riferimento ai c.d. termini esterni che scandiscono il procedimento disciplinare, ossia che ne disciplinano l'inizio e la conclusione. La Consulta ha ravvisato contrasto col principio di buon andamento del l'attività amministrativa nella norma (art. 10, 3° comma), che fa(ceva) decorrere il termine per l'instaurazione del procedimento disciplinare, per i fatti commessi anteriormente all'entrata in vigore della legge, dalla conclusione del procedimento penale concluso con sentenza defi nitiva di condanna, anziché dalla comunicazione della sentenza all'or gano competente a promuovere il procedimento disciplinare.

II. - Con riguardo alla disciplina a regime, v'è una pluralità di fonti di termini esterni:

1) l'art. 9, 2° comma, 1. 7 febbraio 1990 n. 19, fissa il termine di centottanta giorni per la prosecuzione o la promozione del procedi mento disciplinare dalla data in cui l'amministrazione abbia avuto noti-1 zia della sentenza irrevocabile di condanna nonché il termine di no vanta giorni per la conclusione del procedimento;

2) la disciplina contrattuale contiene regole ad hoc, stabilendo: — il termine di venti giorni per la promozione del procedimento di

sciplinare nel caso in cui l'amministrazione sia venuta a conoscenza del fatto avente rilevanza disciplinare dopo la sentenza penale di condanna (art. 25, 8° comma, c.c.n.l. regioni-autonomie locali);

— il termine di centottanta giorni dalla conoscenza del giudicato per riassumere il procedimento disciplinare sospeso (art. 25, 9° comma, c.c.n.l. ministeri);

— il termine di centoventi giorni per definire l'iter (art. 24, 6° com ma, c.c.n.l. ministeri);

3) l'art. 5, 4° comma, 1. 97/01 prevede, per i reati espressamente dalla legge menzionati, il termine di novanta giorni, decorrente dalla conoscenza del giudicato, per la promozione del procedimento disci

plinare.

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

I

Diritto. — 1. - Con ordinanza del 6 giugno 2003, il Consiglio di Stato, sezione VI giurisdizionale, ha sollevato, in riferimento

agli art. 3 e 97 Cost., questione di legittimità costituzionale del

l'art. 10, 3° comma, 1. 27 marzo 2001 n. 97 (norme sul rapporto tra procedimento penale e procedimento disciplinare ed effetti

del giudicato penale nei confronti dei dipendenti delle ammini

strazioni pubbliche), nella parte in cui, con riguardo ai soli fatti

commessi anteriormente alla data di entrata in vigore della leg

ge medesima, fa decorrere il termine per l'instaurazione del

Sulla combinazione (e l'attrito) dei termini, v. G. Noviello-V. Teno

re, La responsabilità ed il procedimento disciplinare nel pubblico im

piego privatizzato, Milano, 2002, 339, cui adde, più in generale, V. Te

nore, Il procedimento disciplinare dopo i contratti collettivi del qua driennio normativo 2002-2005, in Lavoro nelle p.a., 2003, 853.

III. - Sulla natura contrattuale dei termini che cadenzano il procedi mento disciplinare, v. Cons. Stato, sez. IV, 26 settembre 2001, n. 5049, Foro it., Rep. 2002, voce Impiegato dello Stata, n. 892; sez. VI 17 feb

braio 2000, n. 90f, id., Rep. 2000, voce cit., n. 1298. Per la conseguente inapplicabilità a questi termini del regime dei

termini processuali e, in particolare, della regola stabilita dall'art. 152

c.p.c., «che si riferisce unicamente agli atti processuali», v. Cass. 2 ot

tobre 1987, n. 7374, id., Rep. 1987, voce Lavoro (rapporto), n. 2217; 8

agosto 1987, n. 6839, ibid., n. 2219.

Contra, nella giurisprudenza amministrativa, Cons, giust. amm. sic.

26 settembre 1986, n. 161, id.. Rep. 1986, voce Termini processuali ci

vili, n. 5, e, in dottrina, V. Tenore, in G. Noviello-V. Tenore, La re

sponsabilità ed il procedimento disciplinare nel pubblico impiego pri vatizzato, cit., 240.

Sulla perentorietà dei termini di riattivazione e di conclusione del

procedimento disciplinare dopo il giudicato penale (in relazione ai ter

mini fissati dall'art. 9, 2° comma, 1. 19/90), v. Cons. Stato, ad. plen., ord. 3 settembre 1997, n. 16, Foro it., Rep. 1997, voce Impiegato dello

Stato, n. 998, e, per esteso, Foro amm., 1997, 2265, con nota di V. Te

nore, Dubbi di legittimità costituzionale sui termini perentori per l'at

tivazione e la conclusione del procedimento disciplinare dopo la sen

tenza penale di condanna. Sulla ragionevolezza della normativa stabilita dalla 1. 19/90, Corte

cost. 28 maggio 1999, n. 197, Forò it., 1999, I, 3457; conforme, Corte

cost., ord. 26 luglio 2000, n. 366, id., Rep. 2001, voce Ordinamento

penitenziario, n. 47. Alcuni Tar (Tar Emilia-Romagna, sez. I, 3 feb

braio 1999, n. 604, G.U., lu s.s., 3 novembre 1999, n. 44, 86; Tar Mar

che 24 febbraio 1999, n. 242, id., 12 maggio 1999, n. 19, 9) hanno ri

messo ancora la questione alla Consulta che, con ordinanza 2 marzo

2000, n. 67, Foro it., Rep. 2000, voce Impiegato dello Stato, n. 1441, ha confermato quanto statuito con la decisione 197/99.

I giudici amministrativi si sono poi adeguati con le decisioni del

l'adunanza plenaria 25 gennaio 2000, n. 4, ibid., n. 1444, e 26 giugno 2000, n. 15, id., 2000, III, 489.

IV. - In dottrina, v. R. Marzolo, I termini nel procedimento discipli nare dei pubblici dipendenti con particolare riferimento a quelli ini

ziali e conclusivi, in Riv. personale ente locale, 1996. 17; L. Poniz, Termini per l'esercizio del potere disciplinare e «buon andamento»

della p.a., in Riv. giur. lav., 1990, II, 425; V. Tenore, I termini che ca

denzano il procedimento disciplinare nell'impiego pubblico «privatiz zato», in Lavoro nelle p.a., 2002, 59; V. Tenore, in G. Noviello-V.

Tenore, La responsabilità ed il procedimento disciplinare nel pubblico

impiego privatizzato, cit., 223.

V. - Sull'incostituzionalità dell'art. 10, 1° comma, 1. 97/01, nella

parte in cui prevede(va) che gli art. 1 e 2 della legge, concernenti gli ef

fetti della sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti nel

giudizio disciplinare, si riferissero anche alle sentenze pronunciate an

teriormente alla sua entrata in vigore, v. Corte cost. 25 luglio 2002, n.

394, Foro it., 2004,1, 382. VI. - Cass. 2168/04, in epigrafe, ha esaminato organicamente un te

ma pressoché inedito, concernente la sorte della sanzione disciplinare

irrogata da organo diverso dall'ufficio competente per i procedimenti

disciplinari (contemplato dall'art. 55 d.leg. 165/01). Ha ritenuto che

l'art. 55 esprima non soltanto una tecnica organizzativa, ma anche

un'esigenza di giustizia o, almeno, di garanzia di giustizia, che ne so

stanzia la natura inderogabile. VII. - Sulla necessità di una scelta specifica d'imputazione del potere

disciplinare, v. Pret. Napoli 23 ottobre 1996, id., Rep. 1998, voce Lavo

ro ( rapporto), n. 1017. II potere organizzatorio non incontra limiti quanto alle modalità del

suo esercizio, purché si concentri in un unico ufficio l'intera procedura che conduce all'irrogazione della sanzione. Contra, per la tesi secondo

cui non è necessario che l'organo che cura la fase istruttoria sia lo

stesso che commini le sanzioni, in relazione agli enti locali. V. Pedaci,

Il Foro Italiano — 2004.

procedimento disciplinare dalla conclusione del procedimento

penale con sentenza irrevocabile, e non, invece, dalla comunica

zione della sentenza all'amministrazione.

2. - Prima di passare all'esame della questione occorre far

cenno alle modifiche normative introdotte dalla 1. n: 97 del

2001. 2.1. - Pèr quanto riguarda l'efficacia della sentenza penale nel

giudizio disciplinare a carico del pubblico dipendente, l'art. 653

c.p.p. prevedeva che soltanto la sentenza penale irrevocabile di

assoluzione, e non anche quella di condanna, avesse valore di

giudicato, limitatamente all'accertamento che il fatto non sussi

ste o che l'imputato non lo ha commesso, nel giudizio per re

sponsabilità disciplinare davanti alle pubbliche autorità.

A seguito delle modifiche recate dalla predetta 1. n. 97 del

2001, l'art. 653 c.p.p. vigente non solo ha confermato l'effica

cia di giudicato nel giudizio di responsabilità disciplinare della sentenza penale irrevocabile di assoluzione, precisando che essa

fa stato «quanto all'accertamento che il fatto non sussiste o non

costituisce illecito penale ovvero che l'imputato non lo ha

commesso», ma, innovando rispetto al passato, ha disposto l'ef

ficacia di giudicato nel giudizio disciplinare anche della senten

za penale irrevocabile di condanna in relazione all'accertamento

della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all'affer

mazione che l'imputato lo ha commesso.

Occorre inoltre evidenziare che l'art. 2 1. n. 97 del 2001, con

la modifica apportata all'art. 445 c.p.p., ha innovato anche la di

sciplina relativa all'efficacia della sentenza di applicazione della pena su richiesta nel giudizio disciplinare, prevedendo che

tale sentenza ha efficacia nei procedimenti disciplinari quanto all'accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità

penale e all'affermazione che l'imputato lo ha commesso.

2.2. - In tema di rapporti tra processo penale e procedimento

disciplinare, la citata 1. n. 97 del 2001 ha previsto una normativa

a regime e una transitoria.

La normativa a regime è sancita dall'art. 5, 4° comma, sud

detta legge, secondo il quale «il procedimento disciplinare deve

avere inizio o in caso di intervenuta sospensione proseguire en

tro il termine di novanta giorni dalla comunicazione della sen

tenza all'amministrazione o all'ente competente per il procedi mento disciplinare».

La disciplina transitoria è dettata dall'art. 10, 3° comma, ci

tata legge, il quale prevede che i procedimenti disciplinari per fatti commessi anteriormente alla data di entrata in vigore della

legge stessa «devono essere instaurati entro centoventi giorni dalla conclusione del procedimento penale con sentenza irrevo

cabile». È anche da far presente che, con sentenza n. 394 del 2002

{Foro it., 2004, I, 382), questa corte ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 10, 1° comma, 1. n. 97 del 2001, per contrasto con gli art. 3 e 24 Cost., nella parte in cui disponeva

l'applicabilità degli art. 1 e 2 della legge (concernenti gli effetti

della sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti nel giudizio disciplinare) ai patteggiamenti perfezionatisi ante

riormente all'entrata in vigore della stessa legge. Ne consegue

che, come avviene nel caso in esame, rientrano nella disciplina transitoria i procedimenti disciplinari che hanno ad oggetto fatti

commessi prima dell'entrata in vigore della 1. n. 97 del 2001 e

Alcune notazioni in margine all'art. 59. 4° comma, d.leg. n. 29 del

1993 ed all'art. 24, 7° comma, c.c.n.l. 94-97 del personale degli enti

locali: l'ufficio competente per i procedimenti disciplinari, in Trib.

amm. reg,, 1997, II, 20 s.

Per la tesi secondo cui la mancata costituzione dell'ufficio

comporterebbe la rinunzia ad esercitare il potere disciplinare, M. Mi

scione, nota a Coli. arb. Ravenna 25 settembre 1998 (Foro it., Rep.

1999, voce Impiegato dello Stato, nn. 1310, 1335, 1345), in Lavoro

giur., 1999, 371.

Vili. - Sull'applicabilità al procedimento disciplinare nel lavoro

pubblico delle regole di diritto privato, v. Cass. 16 maggio 2Ò03, n.

7704, Foro it., 2003,1, 2675.

IX. - Su altre questioni in tema di lavoro pubblico, Cass., sez. un.,

ord. 26 febbraio 2004, n. 3948, e 15 ottobre 2003, n. 15403, id., 2004,

I, 1755. X. - Da ultimo, in dottrina, v. A.M. Perrino, Il rapporto di lavoro

pubblico, Padova, 2004.

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2647 PARTE PRIMA . 2648

che concernono sentenze di applicazione della pena su richiesta

pronunciate dopo l'entrata in vigore della legge medesima. 3. - Così ricostruito il quadro normativo di riferimento può

procedersi all'esame della questione. Il rimettente, come si è detto, dubita della legittimità costitu

zionale di detta disciplina transitoria, osservando che il far de

correre il termine per l'instaurazione del procedimento discipli nare dal momento in cui la sentenza di condanna diviene irrevo cabile anziché da quello della comunicazione all'amministra

zione, sarebbe in contrasto con il principio di buon andamento e di efficienza della pubblica amministrazione e inoltre introdur

rebbe una non giustificata disparità di trattamento rispetto al si

stema normativo a regime (art. 5, 4° comma, 1. n. 97 del 2001). 4. - In via preliminare, deve innanzitutto respingersi l'ecce

zione sollevata dall'Avvocatura generale dello Stato, secondo la

quale la norma denunciata non potrebbe trovare applicazione nel giudizio a quo, riguardando quest'ultimo fatti definiti con sentenza di patteggiamento. Infatti, come già osservato da que sta corte (sentenza n. 394 del 2002), in base al nuovo testo degli art. 445 e 653 c.p.p. non è dubbio che la sentenza di patteggia mento ha efficacia nel giudizio disciplinare.

5. - Nel merito la questione è fondata.

Come si è visto, con le novità introdotte dalla 1. n. 97 del

2001, sia la sentenza penale irrevocabile di condanna, sia la sentenza di applicazione della pena su richiesta sono destinate ad esplicare effetti nel giudizio disciplinare. Si assicura, in que sta maniera, non solo una sostanziale coerenza tra sentenza pe nale ed esito del procedimento amministrativo, ma soprattutto una linea di maggior rigore per garantire il corretto svolgimento dell'azione amministrativa.

Se questa è la finalità della disciplina in esame, la citata nor ma transitoria che fa decorrere il termine per l'instaurazione del

procedimento disciplinare dalla conclusione del giudizio penale con sentenza irrevocabile, anziché dalla comunicazione della sentenza all'amministrazione, appare irragionevole e contraria al principio di buon andamento.

Essa, infatti, non prevedendo che l'amministrazione sia posta a conoscenza del termine iniziale (sentenza penale irrevocabile di condanna) per l'instaurazione del procedimento disciplinare, ed imponendo altresì lo svolgimento di un'attività per la cono scenza di questo dato, espone l'amministrazione stessa al ri schio dell'infruttuoso decorso del termine decadenziale, ren dendo così più difficoltosa ed incerta la stessa applicazione delle sanzioni disciplinari.

In sostanza, nel ponderare l'interesse del dipendente pubblico ad ottenere una sollecita definizione della propria situazione di

sciplinare e l'esigenza dell'amministrazione di instaurare tale

procedimento, il legislatore ha adottato una soluzione sbilan ciata a vantaggio del dipendente pubblico, nel senso che gioca a favore di quest'ultimo lo scorrere del tempo necessario per ve nire in possesso di una notizia (sentenza penale di condanna) che invece dovrebbe essere comunicata ab initio all'ammini strazione.

Si realizza così un contrasto con la ratio della norma, che, come si è visto, è quella di assicurare un maggiore rigore nello

svolgimento dell'attività amministrativa. Va pertanto dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art.

10, 3° comma, 1. n. 97 del 2001, nella parte in cui prevede, per i fatti commessi anteriormente alla data di entrata in vigore di detta legge, l'instaurazione dei procedimenti disciplinari entro centoventi giorni dalla conclusione del procedimento penale con sentenza irrevocabile di condanna, anziché entro il termine di novanta giorni dalla comunicazione della sentenza all'ammini strazione o all'ente competente per il procedimento disciplinare.

Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara l'illegitti mità costituzionale dell'art. 10, 3° comma, 1. 27 marzo 2001 n. 97 (norme sul rapporto tra procedimento penale e procedimento disciplinare ed effetti del giudicato penale nei confronti dei di

pendenti delle amministrazioni pubbliche), nella parte in cui

prevede, per i fatti commessi anteriormente alla data di entrata in vigore di detta legge, l'instaurazione dei procedimenti disci

plinari entro centoventi giorni dalla conclusione del procedi mento penale con sentenza irrevocabile di condanna, anziché entro il termine di novanta giorni dalla comunicazione della sentenza all'amministrazione o all'ente competente per il pro cedimento disciplinare.

Il Foro Italiano — 2004.

II

Svolgimento del processo. — Con ricorso ex art. 414 c.p.c. al

giudice del lavoro del Tribunale di Genova, Paolo Cornaglia Ferraris —

dipendente dell'istituto Giannina Gaslini con la

qualifica di dirigente medico di 1° livello — conveniva in giu dizio (dopo aver esperito procedimento d'urgenza ex art. 700

c.p.c. conclusosi sfavorevolmente per il ricorrente in sede di re

clamo ex art. 669 terdecies c.p.c.) l'istituto datore di lavoro

esponendo: — di aver svolto attività di medico-chirurgo per cir

ca venti anni alle dipendenze di detto istituto; — di avere vinto

nel 1994 il concorso per responsabile del modulo di oncologo, ma l'istituto deliberatamente non lo aveva posto nella condizio ne di svolgere attività di ricerca oncologica; — di essere stato

estromesso dall'ottobre 1998 al marzo 1999 dall'attività di ri cerca e clinica e, da tale epoca, di non aver potuto esercitare la

sua attività all'interno dell'ospedale per diversi comportamenti di mobbing perpetrati nei suoi confronti dall'istituto; — di avere

ricevuto in data 17 marzo 2000, da parte del responsabile del

l'ufficio operativo gestione del personale, lettera di contestazio ne dei seguenti addebiti tali da ledere irrimediabilmente il vin colo fiduciario: 1) avere rilasciato in data 2 marzo 2000 un'in

tervista ad un settimanale ove aveva manifestato «apprezza menti diffamatori e lesivi della dignità e dell'immagine dell'i stituto, nonché del direttore generale e dei medici che vi lavora

no», 2) aver dichiarato, con lettera in data 9 marzo 2000 all'«ufficio rilevazioni presenze e assenze», che non era obbli

gato a fornire alcuna giustificazione in merito all'omessa effet

tuazione della timbratura del cartellino; — di aver impugnato la fondatezza dei cennati addebiti sotto il profilo formale e sostan

ziale; — di essere stato licenziato in tronco con delibera del 17

aprile 2000 del commissario ad acta dell'istituto. Il ricorrente

richiedeva, quindi, all'adito giudice del lavoro di voler dichiara re la nullità o l'illegittimità del licenziamento, con conseguente

reintegra nel proprio posto di lavoro; in via subordinata, qualora fosse stato ritenuto validamente interrotto il rapporto di lavoro, di voler dichiarare l'illegittimità del recesso e condannare l'i stituto convenuto al pagamento delle indennità risarcitone.

Si costituiva in giudizio l'istituto Giannina Gaslini che impu gnava integralmente la domanda attorea e ne chiedeva il rigetto.

Il giudice del lavoro — dopo che all'udienza di discussione il

difensore del ricorrente aveva dichiarato di rinunziare alla do manda di reintegra

— rigettava il ricorso del Cornaglia Ferraris

e la Corte d'appello di Genova — su impugnativa del soccom bente e ricostituitosi il contraddittorio —

respingeva l'appello confermando così la sentenza di primo grado.

Per quello che rileva in questa sede la corte territoriale ha ri marcato che: a) in relazione all'eccepita mancata costituzione dell'«ufficio competente per i procedimenti disciplinari» ex art.

59, 4° comma, d.leg. 29/93, «nella fattispecie in esame detto uf ficio, sia al momento della contestazione dell'addebito al Cor

naglia, sia al momento della sua audizione, non era regolar mente costituito ... tuttavia nell'art. 59 non è dettata alcuna di

sciplina relativa alla composizione dell'ufficio con la conse

guenza che, al momento, il potere di esercizio e di gestione del

rapporto disciplinare non poteva che spettare a colui che, essen do stato formalmente incaricato della gestione del procedimento disciplinare stesso, rappresentava detto ufficio»; bl) sulla valu tazione della giusta causa del licenziamento disciplinare, «una delle due contestazioni concerneva la lettera 9 marzo 2000 a firma del Cornaglia, che con riferimento a diverse richieste di

giustificare le omissione di timbratura del cartellino così te stualmente rispondeva: 'in ragione del contenzioso in essere, non intendo giustificare la timbratura'»; b2) «anche a voler in

tendere, che l'inciso 'in ragione del contenzioso in essere' fosse riferibile alle asserite condotte di mobbing rivolte al ricorrente da parte dell'azienda, nondimeno deve osservarsi che la reazio ne del dipendente non poteva certo risolversi in rifiuto di sotto

porsi al potere gerarchico datoriale, quale è invece la condotta estrinsecata dal dipendente»; b3) «infatti, non vi può essere al cun nesso tra l'eventuale inadempimento del Gaslini — relativo all'asserito isolamento del Cornaglia all'interno della struttura aziendale ed all'asserita sua impossibilità di dedicarsi a proficua attività di lavoro, per non aver posto in essere dolosamente

quelle condizioni di fatto che glielo consentissero — e l'ina

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

dempimento del Cornaglia, che con la suddetta missiva ha vo

luto escludere una qualsiasi ingerenza relativa alla sua presenza sul posto di lavoro ed un qualsiasi controllo da parte dell* ufficio

competente per la rilevazione»; c) in ordine all'eccepita nullità

del licenziamento in quanto discriminatorio, la rinunzia del

Cornaglia Ferraris alla domanda di reintegra rende del tutto ul

troneo l'esame della questione attinente l'asserito licenziamento

discriminatorio, perché l'eventuale pronuncia favorevole al

Cornaglia dichiarativa della nullità del licenziamento avrebbe il

solo effetto di ordinarne la reintegra nel posto di lavoro, ex art.

18 statuto dei lavoratori, non costituente oggetto di un petitum,

il che non è consentito non esistendo un interesse pubblico ad

accertare la verità di fatti sui quali non vi è richiesta giuridica mente azionabile.

Per la cassazione di tale sentenza Paolo Cornaglia Ferraris

propone ricorso assistito da dodici motivi.

L'istituto Giannina Gaslini resiste con «controricorso a vale

re, occorrendo, come ricorso incidentale»; ricorso incidentale

assistito da un unico complesso motivo e sostenuto da memoria

ex art. 378 c.p.c. Motivi della decisione. — I. - Deve essere disposta la riunio

ne dei due ricorsi in quanto proposti contro la medesima senten

za (art. 335 c.p.c.). II. - Con i primi cinque motivi del ricorso principale il ricor

rente denuncia la violazione dell'art. 55 (4° comma) d.leg.

29/93 e vizi di motivazione nella sentenza impugnata addebi

tando alla Corte d'appello di Genova: 1) di non aver considerato

che la procedura sancita da detta norma era inderogabile e che il

vizio della cennata procedura comportava l'annullamento della

stessa ed il venir meno degli effetti del recesso (primo motivo);

2) di non aver rilevato che «l'ufficio competente per i procedi

menti disciplinari» nei confronti dei dirigenti non era stato indi

viduato e, quindi, la sanzione del recesso irrogata al Cornaglia

Ferraris — dirigente medico — era radicalmente nulla (secondo

motivo); 3) di non aver considerato in motivazione che effetti

vamente non era stato costituito «l'ufficio competente per i pro

cedimenti» nei confronti di dirigenti dopo aver ammesso nella

descrizione dei fatti di causa la sussistenza di tale circostanza

(terzo motivo); 4) di aver trascurato il disposto normativo «che

stabilisce l'identità-unicità dell'ufficio durante tutta la fase della

procedura e, inoltre, esclude che l'ufficio disciplinare possa es

sere 'il capo della struttura', cioè il vertice aziendale» (quarto

motivo); 5) di aver erroneamente sostenuto che nel complesso

normativo applicabile al caso di specie non si rinvenga alcuna

disposizione che sanzioni la violazione di una norma inderoga

bile di legge quale l'art. 59 (4° comma) cit. (e successive modi

fiche) con la nullità e gli art. 1418 e 1324 c.c. che hanno previ

sto la sanzionabilità degli effetti giuridici discendenti da atti realizzati in contrasto con norme inderogabili con la nullità e/o

inefficacia degli stessi (quinto motivo). Con il sesto motivo del ricorso principale il ricorrente — de

nunciando «violazione dei d.leg. 29/93 e 165/01, degli art. 2106,

1175 e 1375 c.c. e 7 1. 300/70, nonché vizi di motivazione» —

censura la sentenza impugnata per non avere la corte territoriale

considerato che «l'istituto aveva privato il Cornaglia Ferraris

del suo potere di difesa, laddove, in sede di audizione, non

avendo avuto in precedenza percezione della contestazione e

neanche della gravità della stessa, non era stato in grado di poter

esplicare le difese adeguate». Con il settimo, ottavo, nono, decimo ed undicesimo motivo il

ricorrente principale denuncia la sentenza riguardo al punto in

cui è stata ritenuta sussistente la giusta causa del licenziamento

impugnato, addebitando alla Corte d'appello di Genova: 1) di

non aver affatto considerato lo stato fisiologico di esso ricor

rente al momento della redazione della lettera del 9 marzo 2000

(settimo motivo); 2) di aver violato il principio di proporziona lità tra la sanzione irrogata e l'asserita infrazione che, comun

que, non avrebbe potuto integrare gli estremi della gravità ex

art. 2104, 2106 e 2119 c.c. (ottavo motivo); 3) di non aver con

siderato che esso ricorrente, con la dichiarazione di non voler

più giustificare le omesse timbrature, al più avrebbe esercitato

un suo diritto di sospensione di un'obbligazione contrattuale ex

art. 1460 c.c. (nono motivo); 4) di non avere considerato, quale

«ulteriore ed autonomo vizio di errata interpretazione del cen

nato art. 1460, che, a fronte di un'inattività forzosa a cui era

stato costretto esso ricorrente, ben poteva questi omettere di da

II Foro Italiano — 2004.

re indicazioni circa le timbrature del cartellino, non senza rile

vare che tale diritto (eccezione di inadempimento) era stato

chiaramente azionato nella missiva stessa» (decimo motivo); 5)

di «avere illogicamente ritenuto che vi fossero delle azioni tipi che di tipo diverso da esercitare in caso di demansionamento

così grave dà sfociare nell'inattività» (undicesimo motivo).

Con il dodicesimo, ed ultimo, motivo il Cornaglia Ferraris —

denunciando «violazione degli art. 3 1. 108/90, 18 1. 300/70, 1418, 1324 e 2119 c.c., 30 c.c.n.l. 30 dicembre 1996 e 112

c.p.c., nonché vizi di motivazione» — rileva che la corte territo

riale «ha commesso un error in procedendo nell'avere omesso

di pronunciarsi sui fatti tutti commessi affermati (e dedotti) cir

ca la discriminatorietà del licenziamento in tronco inflittogli» ed

evidenzia che «la rinunzia azionata da esso ricorrente altro non

era che l'esercizio dell'opzione concessa dalla legge al lavora

tore, che consente allo stesso di maturare nei confronti del dato

re l'indennità sostitutiva prevista dall'art. 18 statuto dei lavora

tori pari a quindici mensilità, sicché di per sé il ricorrente stesso

avrebbe avuto comunque diritto a che fosse accertato e dichia

rato dal giudicante che il licenziamento era discriminatorio

(come instato) ed avrebbe avuto diritto a percepire le quindici mensilità richieste e previste dalla legge».

Con l'unico complesso motivo del ricorso incidentale l'isti

tuto Giannina Gaslini — denunciando «violazione degli art. 2,

21, 45 e 59 d.leg. 29/93, degli art. 7 1. 300/70 e 36 c.c.n.l.» —

assume che «la questione della procedura di recesso non è stata

affrontata correttamente, anche se la decisione cui è pervenuta la corte d'appello è sul piano sostanziale del tutto conforme a

diritto» rilevando a tal uopo che «il d.leg. 29/93 è una norma re

siduale, il cui ambito di applicazione è limitato alla materia in cui vi è un vuoto di disciplina nella contrattazione collettiva,

[per cui] la materia del contendere è regolata dal contratto col

lettivo applicabile nella specie». Il ricorrente in via incidentale

propone, inoltre, una c.d. istanza subordinata con cui, «nella de

negata ipotesi in cui la Suprema corte (riformando la sentenza

della corte d'appello in accoglimento anche parziale dei motivi

di ricorso avversari) non ritenesse giusta causa di licenziamento

la condotta gravemente insubordinata tenuta dal Cornaglia, le

condotte diffamatorie contestate dall'istituto (documentalmente

provate e mai smentite dal Cornaglia poste a fondamento del li

cenziamento) dovranno costituire nell'eventuale giudizio di rin

vio oggetto di valutazione, in quanto automaticamente legitti

manti il licenziamento stesso».

III. -1 primi cinque motivi del ricorso principale debbono es sere esaminati congiuntamente in quanto intrinsecamente con

nessi e in tale disamina è da ricomprendere pure l'esame dell'u

nico motivo del ricorso incidentale concernente anch'esso —

con deduzioni e conclusione specularmente contrapposte a

quelle contenute nel ricorso principale — la valutazione della

medesima questione attinente alla regolarità del procedimento

disciplinare instaurato dall'istituto Gaslini nei confronti del di

rigente sanitario Cornaglia Ferraris.

Benvero, al fine di un corretto approccio della questione spe

cie con riferimento all'individuazione dell'ufficio dell'ente

competente a irrogare il licenziamento per giusta causa, occorre

anzitutto verificare il contenuto della normativa applicabile

nella specie attribuendo alla stessa «il significato fatto palese

dal significato proprio delle parole secondo la connessione di

esse e dalla valutazione del legislatore» in relazione, altresì, al

processo storico-evolutivo della cennata normativa.

Al riguardo, la norma da applicare nel presente giudizio — la

cui errata interpretazione è stata censurata dal ricorrente sotto

diversi profili — è costituita dall'art. 59, 4° comma, d.leg.

29/93 [rimasto inalterato a seguito delle modifiche di cui al

d.leg. 546/93 (sub art. 27), al d.l. 361/95 (sub art. 2), al d.leg. 80/98 (sub art. 27 e 45) e, da ultimo, al d.leg. 165/01 (sub art.

55)] che statuisce che «ciascuna amministrazione, secondo il

proprio ordinamento, individua l'ufficio competente per i pro

cedimenti disciplinari. Tale ufficio, su segnalazione del capo della struttura in cui il dipendente lavora, contesta l'addebito al

dipendente medesimo, istruisce il procedimento disciplinare e

applica la sanzione. Quando le sanzioni da applicare siano rim

provero verbale e censura, il capo della struttura in cui il dipen

dente lavora provvede direttamente».

È da rilevare, altresì, che il precedente 3° comma dell'art. 59

cit. (come sostituito dall'art. 27 d.leg. 80/98) dispone che «salvo

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PARTE PRIMA 2652

quanto previsto dagli art. 20, 1° comma, e 58, 1° comma ('21 e

53, 1° comma', secondo l'art. 55 d.leg. 165/01), e ferma restan

do la definizione dei doveri del dipendente ad opera dei codici

di comportamento di cui all'art. 58 bis ('art. 54' sempre secon

do l'art. 55 cit.), la tipologia delle infrazioni e delle relative

sanzioni è definita dai contratti collettivi».

Tale norma (definita) di riforma rispetto alla regolamentazio ne ex art. 100-123 t.u. 3/57 — fondamentalmente caratteristica

della c.d. privatizzazione del procedimento disciplinare nel

l'ambito dell'impiego pubblico privatizzato [proprio in relazio

ne alla materia disciplinare questa corte ha statuito che «la san

zione disciplinare è irrogata mediante negozio giuridico, con il

quale viene esercitato il diritto potestativo di incidere sulla sfera

giuridica del dipendente, diritto conferito all'amministrazione

dalle regole del rapporto come determinate dalla legge e dal

contratto» (Cass. 3373/99, Foro it., Rep. 1999, voce Impiegato dello Stato, n. 1348)] — sostituisce alla vecchia «commissione

di disciplina» «l'ufficio competente per i procedimenti discipli nari» (in acronimo: «u.c.p.d.») e, con essa, il legislatore ha inte

so superare il macchinoso e farraginoso procedimento discipli nare già vigente nel pubblico impiego connotato da una serie di

passaggi di competenze tra strutture burocratiche diverse e,

pragmaticamente, ha fatto venir meno la precedente impalcatura formale della vecchia regolamentazione densa di termini, fasi e

sottofasi con la previsione di una disposizione di chiusura a ga ranzia del dipendente incolpato costituita dalla perenzione del

procedimento disciplinare quando fossero trascorsi novanta

giorni dall'ultimo atto del procedimento senza che alcun ulterio

re atto venisse compiuto (art. 120 t.u. 3/57) — disposizione che,

a parere della dottrina, si è dimostrata aggirabile dalla pubblica amministrazione nonostante la cennata finalità di protezione del

dipendente —.

La nuova regolamentazione del procedimento disciplinare —

improntata alla necessità di semplificare («rendere leggero») il

procedimento disciplinare — si fonda essenzialmente sul

l'u.c.p.d., in cui si concentrano — salvo le residue attribuzioni

devolute al capo della struttura ex ultimo alinea del 4° comma

dell'art. 59 — tutte le attribuzioni in materia disciplinare (inci sivamente si è accennato di «sua monofunzionalità rispetto al

resto dell'apparato amministrativo») conservandosi sostanzial

mente la peculiarità del pubblico impiego tradizionale (c.d. ter

zietà della commissione di disciplina su cui, da ultimo, Cass.

12684/00, id., Rep. 2000, voce Lavoro (rapporto), n. 1745) —

che si era fatta preferire per una maggiore garanzia di imparzia lità rispetto al settore del lavoro privato che cumulava nel datore di lavoro le funzioni di «accusatore», «istruttore» e «giudice sanzionante la pena privata»

— in quanto anche se per l'u.c.p.d. non è possibile più parlare di posizione di terzietà, sicuramente

la specializzazione di tale organo e in special modo il suo di

stacco rispetto al capo della struttura del dipendente incolpato (cioè, a chi è — sia pure in posizione attiva —

implicato diret tamente nella vicenda disciplinare) tendono significativamente

all'imparzialità del momento disciplinare nel pubblico impiego privatizzato.

Dall'interpretazione del 4° comma dell'art. 59 si evince,

quindi, che: a) l'u.c.p.d. costituisce l'organo competente a irrogare le san

zioni disciplinari (ad eccezione del rimprovero verbale e della

censura) e deve essere individuato dall'ente in modo istituzio nale (scilicet, a prescindere e, comunque, anteriormente rispetto ad uno specifico procedimento disciplinare);

b) tutte le fasi del procedimento disciplinare sono svolte

esclusivamente dall'u.c.p.d. (che — testualmente e a conferma

dell'esclusività di tale competenza — «contesta l'addebito», «istruisce il procedimento disciplinare» e «applica la sanzio

ne»), mentre il capo della struttura in cui il dipendente lavora si

limita a segnalare l'asserito addebito del dipendente all'u.c.p.d. (che potrà, poi, anche ritenere, in propria competenza, di non

iniziare il procedimento disciplinare con la notifica della conte stazione come è confermato dalla distinzione ex lege della se

gnalazione — atto interno non avente rilievo disciplinare vero e

proprio —

rispetto alla contestazione costituente, invece, primo atto del procedimento disciplinare), non condividendosi al ri

guardo quanto affermato — in modo apodittico e in chiaro con

trasto-alterazione con il contenuto della norma — da autorevole dottrina secondo la quale «le sanzioni più gravi sono irrogate

Il Foro Italiano — 2004.

dal dirigente capo del personale, su proposta dell'apposito uffi

cio per i procedimenti disciplinari, istituiti presso ogni ammini strazione»;

c) il procedimento disciplinare instaurato da un soggetto o un

organo dell'ente diverso dall'u.c.p.d. è illegittimo e, pertanto, la

sanzione irrogata a seguito di un procedimento come dinanzi

illegittimo è viziata di nullità in quanto il provvedimento è stato

adottato in violazione di norma di legge inderogabile sulla com

petenza: in questa ipotesi, infatti, la norma determinatrice di

competenza è espressione non solo di tecnica organizzativa, ma

anche di un'esigenza di giustizia (o almeno di garanzia della

giustizia degli atti considerati), atteso che il legislatore ha stabi

lito che solo un determinato organo si trova nelle condizioni di

poter rettamente iniziare e decidere in ordine ad un determinato

provvedimento disciplinare, con la conseguenza che lo stesso

provvedimento, se compiuto da altro organo o soggetto o strut

tura dell'ente, si connota di patente illegittimità ed i suoi effetti

dovranno essere eliminati mediante il suo annullamento: non

rientrando, infatti, la norma sulla competenza nell'ambito di una

norma permissiva suppletiva o minus quam perfecta, il conse

quenziale accertamento della sua inderogabilità o imperatività non può che comportare l'applicazione del 1° comma dell'art.

1418 c.c. (con rinvio dall'art. 1324 c.c.) dell'atto o provvedi mento adottato da organo o soggetto dell'ente ex lege non com

petente. I summenzionati principi

— che, vale ribadirlo, si evincono

chiaramente dall'interpretazione della norma di legge applica bile nella specie

— debbono valere per tutti i procedimenti e i

provvedimenti disciplinari ricadenti nella previsione legislativa e, pertanto, non possono venire derogati dalla contrattazione

collettiva e ciò, in linea generale, per il principio gerarchico delle fonti e, in particolare, con riferimento a quanto disposto dal 3° comma dell'art. 59 che riserva alla contrattazione collet

tiva la possibilità di «definizione della tipologia e dell'entità delle infrazioni» —

competenza, quindi, limitata a tale specifico ambito e che non può essere arbitrariamente estesa all'indivi

duazione del soggetto competente alla gestione di ogni fase del

procedimento disciplinare se non a patto di una patente viola

zione della norma inderogabile del 4° comma dell'art. 59.

IV.a. - Tanto verificato e ritenuto in ordine al quadro norma

tivo in cui si colloca la presente fattispecie con riferimento alle

censure proposte su tale punto dal ricorrente, è necessario ora

rapportare la cennata normativa — come dinanzi interpretata con le relative conseguenze di principio

— alle vicende fattuali

giudizialmente accertate.

Nella specie, Paolo Cornaglia Ferraris è stato licenziato per

giusta causa dall'istituto Giannina Gaslini quando l'u.c.p.d. non

era costituito e, quindi, il procedimento disciplinare è stato in

staurato ed è stato svolto (nelle varie fasi procedimentali della

«contestazione», dell'«istruzione» e dell'«adozione della san

zione») da un organo o soggetto non competente ex 4° comma dell'art. 59 d.leg. 29/93.

In merito alla circostanza della mancata costituzione del

l'u.c.p.d. la Corte d'appello di Genova conclude nel senso che

«detto ufficio, sia al momento della contestazione dell'addebito

al Cornaglia, sia al momento della sua audizione, non fosse re

golarmente costituito», tant'è che «il progetto di riorganizzazio ne dell'area amministrativa e gestionale» — in forza di cui si sarebbe dovuto costituire l'u.c.p.d.

— rimase, appunto, allo sta

dio di un progetto non realizzato poiché «l'attività di organizza zione dell'ufficio competente per i procedimenti disciplinari nel concreto non venne espletato».

II giudice di appello, in luogo di trarre da tale accertata situa

zione le dovute conseguenze (id sunt: illegittimità del procedi mento disciplinare instaurato da soggetto non competente e nul

lità della sanzione ugualmente irrogata), è incorso — così come

puntualmente indicato dal ricorrente — nella violazione della

normativa di legge in materia.

Inoltre, le ragioni addotte dalla Corte d'appello di Genova per

pervenire alle cennate violazioni di legge sono state sviluppate in base ad un percorso argomentativo sicuramente inesatto, con

carenze motivazionali che possono essere valutate anche in sede

di legittimità in considerazione delle circostanziate censure

svolte in proposito dal ricorrente e rilevato, soprattutto, che il

controllo di legittimità da parte della Corte di cassazione, ai

sensi dell'art. 360, n. 3, c.p.c., non si esaurisce in una verifica di

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

correttezza dell'attività ermeneutica diretta a ricostruire la por tata precettiva della norma, ma è esteso alla sussunzione del

fatto, accertato dal giudice di merito, nell'ipotesi normativa

(Cass., sez; un., 5/SU/Oli id., 2002, I, 1186), e che, comunque,

spetta al giudice di legittimità il controllo sulla logicità della

motivazione del giudice di merito (cfr. Cass. 16805/02, id., 2003.1. 1148).

A tale riguardo la corte ritiene che il giudice d'appello non

abbia tenuto conto dei principi sopra enunciati e non abbia dato

una corretta motivazione del proprio convincimento in ordine a

molteplici punti della controversia a comprova dell'erroneità

della decisione assunta.

In particolare, la corte territoriale ha errato ove ha affermato

che: a) «il Fiorucci (responsabile dell''ufficio gestione del per sonale') fosse il titolare del procedimento disciplinare e imper sonificasse l'ufficio competente»; b) «l'art. 36 c.c.n.l., dopo aver dettato disposizioni attinenti i casi del recesso e le modalità

del procedimento disciplinare, prevede l'annullamento della

procedura di accertamento della responsabilità del dirigente soltanto per la violazione dell'art. 59, 5° comma ss., d.leg. 29/93»; c) «l'art. 38 c.c.n.l. disciplina i casi di nullità del reces so tra i quali non rientra la costituzione o la composizione del

l'ufficio di cui si discute»; d) «nel complesso normativo appli cabile al caso di specie non si rinviene alcuna disposizione che

sanzioni con l'annullamento l'irregolare costituzione dell'uffi

cio e, d'altra parte, non può equipararsi la situazione in cui vi

sia inesistenza dell'organo a quello in cui si sia verificato uni

camente il mancato completamento dell'organo stesso: nel pri mo caso il provvedimento adottato da persona non competente

comporta la nullità dell'atto, nel secondo caso la mera irregola rità che resta priva di effetti sul piano sostanziale»; e) «l'art. 59, 4° comma, altro non è che una disposizione di carattere orga nizzatorio generale, con la quale viene previsto che presso cia

scuna amministrazione debba esistere un ufficio competente per i procedimenti disciplinari, senza nulla specificare in relazione

alla sua concreta articolazione, con la conseguenza che è suffi

ciente l'individuazione del titolare dell'ufficio, in assenza di

previsione sanzionatoria sia nel d.leg. che nel c.c.n.l. per le

ipotesi di irregolare costituzione»; f) «con riferimento alla di

versa persona tra colui che ha inviato la lettera di contestazione

e colui che ha intimato il recesso, non si rinviene nel d.leg. e

nelle norme di legge, nonché nel c.c.n.l., alcuna disposizione in

base alla quale la persona che gestisce il procedimento e la san

zione debba essere la medesima che in concreto l'irroga»; g) «il

commissario ad acta, con la delibera del 17 aprile 2000 —

avente ad oggetto il recesso del Cornaglia —, ha ratificato l'o

perato ed il giudizio espresso da altri facendolo proprio con lun

ga ed articolare motivazione».

In ordine ai surriferiti punti erroneamente considerati nella

sentenza impugnata vale rilevare e, sotto taluni profili, ribadire

che: al) per quanto dinanzi statuito l'ufficio titolare del proce dimento disciplinare era unicamente l'u.c.p.d. pacificamente non costituito presso l'istituto Gaslini, per cui il responsabile di

altro e diverso ufficio non poteva considerarsi titolare del pro cedimento disciplinare e impersonificare l'ufficio all'uopo competente ancora non costituito al momento dell'instaurazione

del procedimento disciplinare de quo-, b 1) il contratto collettivo

di lavoro — anche se approvato con d.p.r.— rientra nell'ambito

di una fonte di legge sottordinata rispetto alla norma dell'art. 59

e la previsione contenuta al 4° comma dell'art. 36 c.c.n.l. di

«annullamento della procedura di accertamento della responsa bilità del dirigente disciplinato dall'art. 59, 5° comma, ss.» non

esaurisce con tutta evidenza ulteriori ipotesi di nullità, come è

comprovato dal successivo art. 38 dello stesso contratto colletti

vo sanzionante «la nullità del recesso in tutti i casi in cui lo pre vedano il codice civile e le seguenti disposizioni di legge»; ci) quest'ultima disposizione contrattuale-sindacale viene conside

rata dalla corte territoriale — contraddittoriamente rispetto alla

precedente affermazione — per tentare di escluderne l'efficacia

al caso del licenziamento del Cornaglia Ferraris quando, peral tro, in tale caso la nullità del recesso deriva proprio «in forza del

codice civile e delle vigenti disposizioni di legge» e, cioè, in applicazione degli art. 1418 e 1324 c.c. per patente violazione

della disposizione inderogabile sulla competenza sancita dal 4°

comma dell'art. 59; dì) quanto testé rilevato conferma l'esi

stenza di una disposizione sanzionante con l'annullamento la ir

li. Foro Italiano — 2004.

regolare costituzione dell'u.c.p.d. e quanto accertato nella stessa

sentenza comprova l'assoluta inesistenza (e non certo il man

cato completamento) dell'organo neppure parzialmente costi

tuito — donde il verificarsi dell'ipotesi in cui la stessa corte

d'appello conclude per «la nullità dell'atto adottato da persona non competente» —; el) il 4° comma dell'art. 59 quale norma sulla competenza deve essere considerata, per quanto dinanzi

argomentato, una norma inderogabile o imperativa che determi

na, quindi, l'applicazione nella specie del 1° comma dell'art.

1418 c.c. (con rinvio dall'art. 1324 c.c.) dell'atto o provvedi mento adottato da organo o soggetto dell'ente non competente;

fi) l'art. 59, 4° comma, d.leg. sancisce espressamente che

«l'organo che gestisce il procedimento e la sanzione debba esse re il medesimo» quando prevede con assoluta chiarezza che

«l'u.c.p.d. contesta l'addebito al dipendente, istruisce il proce dimento disciplinare e applica la sanzione»; gl) il commissario

ad acta non può certo ratificare un provvedimento nullo specie se lo stesso sia stato adottato da soggetto non competente ex le

ge in quanto, a parte l'inammissibilità ex art. 1423 c.c. (con rin

vio sempre dall'art. 1324 c.c.) della convalida di un atto nullo, la e d. ratifica tenderebbe illegittimamente a spostare la compe tenza dall'organo legittimamente competente ad un diverso or

gano (in questo caso il commissario ad acta, il cui operato resta

altrimenti definito dalla normativa in materia) sicuramente non

competente. La confermata erroneità delle argomentazioni addotte dalla

corte territoriale comprova, in conclusione, l'inesattezza della

decisione dalla stessa adottata in merito alla sanzione disciplina re irrogata a Paolo Cornaglia Ferraris dall'istituto Giannina Ga

simi, sicché i primi cinque motivi del ricorso principale sono meritevoli di accoglimento con ogni relativa conseguenza.

IV.b. - L'accoglimento dei primi cinque motivi del ricorso

principale non può che comportare la valutazione del ricorso in

cidentale come dinanzi proposto dall'istituto Gaslini sulla base

delle seguenti argomentazioni: a) «il 4° comma dell'art. 59

d.leg. 29/93 è una norma transitoria, o meglio residuale, desti

nata ad essere sostituita dalle norme disposte dai singoli con

tratti collettivi nel rispetto dei principi generali sanciti per il di

ritto del lavoro privato ... il cui ambito di applicazione è limi

tato alle materie in cui vi è un vuoto di disciplina nella contrat

tazione collettiva»; b) «il 4° comma dell'art. 36 c.c.n.l. effetti

vamente opera un richiamo ad un art. 59 che in assenza di indi

cazioni ulteriori o diverse, non può che essere quello contenuto

nel c.c.n.l. medesimo, [per cui] alla fattispecie in esame la pro cedura disciplinare prevista dall'art. 59 d.leg. non si applica af

fatto, ma si applica esclusivamente la procedura stabilita ad hoc

dall'art. 36 c.c.n.l. applicabile». Anche le cennate argomentazioni

— che, pure addotte a cen

sura della sentenza impugnata, ne confermano sostanzialmente

il decisum — si appalesano errate.

In particolare, nel ribadire quanto statuito sub capo III, si ri

marca che: al) il 4° comma dell'art. 59 non costituisce affatto

una norma transitoria o residuale in quanto —

posta con il d.leg. 29/93 — è stata integralmente confermata dal d.leg. 546/93, dal

d.l. 361/95, dalla 1. 437/95, dal d.leg. 80/98, dal d.leg. 165/01 (norme queste che hanno modificato parzialmente altre disposi zioni del d.leg. n. 29 ma, significativamente, hanno lasciato

inalterato il 4° comma dell'art. 59) sicché sarebbe del tutto illo

gico o, meglio, contraddittorio sostenere la transitorietà della

cennata norma; al) in ogni caso, la possibilità di c.d. sostituzio

ne della normativa legale da parte dei contratti collettivi è previ sta (e può, quindi, verificarsi) esclusivamente entro la vasta

materia «della definizione della tipologia delle infrazioni e delle

relative sanzioni» giusta quanto sancito dal 3° comma dell'art.

59 e non certo per «l'individuazione dell'ufficio competente per i procedimenti disciplinari» che, appunto, «ciascuna ammini

strazione, secondo il proprio ordinamento, individua», in forza

del 4° comma dell'art. 59 — norma perfecta e inderogabile, per cui nella specie non esisteva l'asserito «vuoto di disciplina» bensì un «vuoto» nell'attività amministrativa dell'istituto Gasli

ni che non provvide a individuare tempestivamente e istituzio

nalmente (cioè, in generale prima di ogni procedimento disci

plinare) «l'ufficio competente per i procedimenti disciplinari»; b\) a parte l'inammissibilità della censura sull'esclusiva appli cabilità dell'art. 36 c.c.n.l. per la mancata indicazione dei cano

ni ermeneutici asseritamente violati — che, per il principio di

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2655 PARTE PRIMA 2656

autosufficienza del ricorso, il ricorrente aveva l'onere (rimasto

inadempiuto) di specificare in sede di ricorso non potendo le

censure risolversi nella mera contrapposizione di un'interpreta zione diversa da quella criticata —, il 4° comma dell'art. 59 re

sta comunque applicabile in quanto, vale conclusivamente riba

dirlo, sancisce che l'unico organo competente a istruire il pro cedimento disciplinare e ad applicare la relativa sanzione è

l'u.p.c.d. e tale norma, in quanto imperativa, non può essere de

rogata da parte della contrattazione collettiva (competente, ri

petesi, sul diverso versante della «definizione della tipologia delle infrazioni e della relativa sanzione»).

Risulta, pertanto, confermata l'infondatezza del ricorso inci

dentale dell'istituto Giannina Gaslini che, quindi, deve essere

rigettato. V. - Si conferma, in conclusione, l'erroneità della sentenza

impugnata «per avere la corte d'appello dichiarato che la man

cata regolare costituzione delF'ufficio competente per i proce dimenti disciplinari' ex art. 55 (4° comma) d.leg. 29/93 non ab

bia comportato l'annullamento della sanzione disciplinare irro

gata», per cui i primi cinque motivi del ricorso principale deb

bono essere accolti e l'unico motivo del ricorso incidentale deve

essere respinto. A seguito della cassazione della decisione della corte territo

riale la causa deve essere decisa nel merito ex art. 384, secondo

alinea del 1° comma, c.p.c. — non essendo necessari sul punto

ulteriori accertamenti di fatto — in ordine al capo dell'origina ria domanda giudiziale del Cornaglia Ferraris concernente la

declaratoria di nullità del licenziamento per giusta causa inti

matogli dall'istituto Gaslini; mentre — in ordine al capo dell'o

riginaria domanda attinente il risarcimento del danno derivato

dall'illegittima estinzione del rapporto lavorativo — la causa

deve essere rimessa ad altro giudice ex art. 384, primo alinea

del 1° comma, c.p.c. per la quantificazione del cennato danno.

VI. - L'accoglimento dei primi cinque motivi del ricorso

principale non può che comportare l'assorbimento degli ulterio

ri motivi di tale ricorso e — quatenus opus

— della c.d. istanza

subordinata contenuta alla pag. 18 del controricorso e ricorso

incidentale.

VII. - In definitiva, alla stregua delle considerazioni svolte, vanno accolti i primi cinque motivi del ricorso principale e ri

gettato il ricorso incidentale, con assorbimento degli ulteriori

motivi del ricorso principale. Di conseguenza, la sentenza della Corte d'appello di Genova

va cassata e, A) decidendo nel merito in ordine al capo della

domanda concernente la declaratoria di nullità del licenziamento

disciplinare, va dichiarata la nullità della sanzione del licenzia

mento per giusta causa irrogata a Paolo Cornaglia Ferraris dal

l'istituto Giannina Gaslini con provvedimento del 17/18 aprile 2000 e, B) rimettendo la causa ad altro giudice limitatamente al

capo della domanda concernente la richiesta di risarcimento del danno derivato dall'illegittima estinzione del rapporto di lavoro, va demandato al giudice di rinvio di quantificare il risarcimento del danno provocato dall'istituto Giannina Gaslini a Paolo Cor

naglia Ferraris a causa della statuita nullità del provvedimento

disciplinare.

Il Foro Italiano — 2004.

CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 22 giugno 2004, n. 180 (Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 30 giugno 2004, n.

25); Pres. Zagrebelsky, Est. Amirante; Soc. M.D. c. Soc.

Quaglieri; interv. Pres. cons, ministri. Ord. Trib. Milano 9 lu

glio 2003 (G.U., la s.s„ n. 49 del 2003).

Procedimento civile — Ordinanza di ingiunzione — Prova

del credito — Estratti autentici di scritture contabili —

Questione infondata di costituzionalità (Cost., art. 3, 24, 111; cod. proc. civ., art. 186 ter, 634).

E infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art.

186 ter, 1° comma, c.p.c., nella parte in cui, richiamando

l'art. 634 stesso codice, consente la pronuncia dell'ordinan

za di ingiunzione sulla base degli estratti autentici delle

scritture contabili, in riferimento agli art. 3, 24, 2° comma, e

111, 1° e 2° comma, Cost. (1)

(1) Sull'argomento, v. Pret. Salerno 26 novembre 1996, Foro it.,

Rep. 1997, voce Procedimento civile, n. 269, e, per esteso, Giur. it., 1997,1, 2, 430, secondo cui il giudice non è tenuto a pronunciare l'or dinanza ex art. 186 ter c.p.c. sulla base delle scritture contabili quando ci sia stata da parte del debitore contestazione dei fatti costitutivi. Nello stesso senso, in dottrina, Conte, L'ordinanza di ingiunzione nel pro cesso civile, Padova, 2003, 134 ss.; contra, a favore della possibilità di

pronuncia del provvedimento anticipatorio sulla base delle scritture

contabili. Basilico. La revoca dei provvedimenti civili contenziosi, Pa

dova, 2001, 197; Cirulli (-Basilico), Le condanne anticipate nel pro cesso civile di cognizione, Milano, 1998, 226 ss.

Per quel che riguarda i precedenti nei quali la Consulta, sul presup posto di rilevanti differenze funzionali tra il procedimento ex art. 633 ss. e quello ex art. 186 ter c.p.c., ha negato che l'uno possa costituire tertium comparationis rispetto all'altro, v. soprattutto Corte cost.

295/95, Foro it., 1996, I, 458, con nota di Costantino; 65/96, ibid., 2338. con nota di Scarselli, e Riv. dir. proc., 1997, 282, con nota di

Conte; Corriere giur., 1996, 628, con nota di Maienza; 200/96. Foro

it., 1997,1, 389, con nota di Scarselli, e Riv. dir. proc., 1997, 282, con nota di Conte; Foro nap., 1996, 181, con nota di Mutarelli.

In senso critico all'impostazione della Consulta sul problema dei

rapporti tra il procedimento monitorio ex art. 186 ter e quello ex art. 633 ss. c.p.c., tra gli ultimi, v. Cea, L'art. 649 c.p.c. e la Corte costitu zionale: storia di un dialogo fra sordi, in Foro it., 2001, 1, 765 ss.; su tale argomento, per ulteriori ragguagli, v. Conte, L'ordinanza di in

giunzione, cit., spec. 11 ss.

* * *

I procedimenti ingiuntivi e la Corte costituzionale: una partita tutta ancora da giocare.

I. - Non credo che la questione demandata alla Consulta avesse un

grande fondamento; trovo pertanto giustificato che la corte se ne sia li berata in poche battute.

Tutto sommato il privilegio probatorio, derivante dalla possibilità di utilizzare gli estratti autentici delle scritture contabili quale base per ottenere l'ordinanza anticipatoria ex art. 186 ter c.p.c., non mi sembra

privo di una qualche giustificazione razionale, né lesivo di valori co stituzionalmente protetti.

Distinguiamo l'ipotesi del giudizio contumaciale da quella in cui ci sia stata costituzione della parte.

1.1. - Nel primo caso, se è pur vero che le scritture in questione, fuori

dell'ipotesi ex art. 2710 c.c., non costituiscono prova dei fatti costituti vi della domanda, pur sempre rappresentano un forte indizio dell'esi stenza degli stessi, giacché normalmente l'emissione di un documento fiscale si rivela sintomatico dell'esistenza di una prestazione di beni o servizi.

Sicché, non mi sembra scandaloso consentire, sulla base di tali do

cumenti, la pronuncia nei confronti del contumace dell'ordinanza ex art. 186 ter (sprovvista di provvisoria esecuzione), posto che oggi il

principio di economia processuale è addirittura dotato di copertura co stituzionale ex art. 111,2° comma, Cost.

A ben vedere, a giustificazione della possibilità di pronunciare l'or dinanza d'ingiunzione in tal caso, soccorrono le assonanze tra l'ipotesi di giudizio monitorio ex art. 633 ss. c.p.c. e procedimento ex art. 186 ter.

In entrambe le ipotesi il provvedimento viene emanato in assenza

dell'intimato, nel primo caso perché il giudice provvede inaudita altera

parte, nell'altro perché l'instaurazione del contraddittorio è, per scelta del convenuto, soltanto formale.

Ed ancora, in entrambe le ipotesi la mancata reazione dell'ingiun

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