sentenza 24 maggio 1983; Pres. Righi, Est. Cetro; imp. MeniniSource: Il Foro Italiano, Vol. 106, No. 9 (SETTEMBRE 1983), pp. 375/376-379/380Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23177041 .
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PARTE SECONDA
I
TRIBUNALE DI RIMINI; sentenza 24 maggio 1983; Pres. Ri
ghi, Est. Cetro; imp. Menini.
TRIBUNALE DI RIMINI;
Armi e materie esplodenti — Arma-giocattolo priva di tappo rosso
incorporato — Detenzione e porto — Reato — Insussistenza
(L. 18 aprile 1975 n. 110, norme integrative della disciplina
vigente per il controllo delle armi, delle munizioni e degli
esplosivi, art. 5).
Non costituisce reato la detenzione od il porto in luogo pubblico di un'arma-giocattolo priva del prescritto tappo rosso incorpora
to, essendo entrambi i precetti contenuti nel 4° comma dell'art. 5
l. 18 aprile 1975 n. 110 destinati unicamente ai fabbricanti di
armi-giocattolo e dovendosi la loro violazione conseguentemente ascrivere alla categoria dei reati cosiddetti « propri ». (1)
II
PRETURA DI MORBEGNO; sentenza 13 novembre 1982; Giud.
A. Martinelli; imp. Bertera.
Armi e materie esplodenti — Arma-giocattolo priva di tappo rosso
incorporato — Porto in luogo pubblico — Reato — Insussi
stenza (L. 18 aprile 1975 n. 110, art. 5).
Non costituisce reato il porto in luogo pubblico di un'arma-giocat tolo con canna priva del prescritto tappo rosso incorporato, essendo il precetto di cui al 4" comma dell'art. 5 l. 18 aprile 1975 n. 110 destinato unicamente ai fabbricanti di armi-giocatto lo e dovendosi la sua violazione conseguentemente ascrivere alla
categoria dei reati cosiddetti « propri ». (2)
III
PRETURA DI DESIO; ordinanza 10 maggio 1982; Giud. Dosi;
imp. Frigerio ed altra.
Armi e materie esplodenti — Armi-giocattolo — Necessità di
tappo rosso « incorporato » — Mancata precisazione del re
quisito della « non esigibilità » — Questione non manife
stamente infondata di costituzionalità (Cost., art. 3; 1. 18
aprile 1975 n. 110, art. 5).
Non è manifestamente infondata (e se ne rimette quindi l'esame al
la Corte costituzionale) la questione di legittimità costituzionale
dell'art. 5, 4° comma, l. 18 aprile 1975 n. 110 nella parte in cui, nello stabilire che le armi-giocattolo devono avere l'estremità
della canna occlusa da un tappo rosso incorporato, non specifica che il termine « incorporato » deve intendersi nel senso di « comunque non estraibile », in riferimento all'art. 3 Cost. (3)
(1-2) In senso difforme cfr. le ordinanze di Pret. Rimini 29 maggio 1982, Trib. Ravenna 10 febbraio 1982 e Pret. Poggibonsi 17 luglio 1980, citate nella nota (3).
In dottrina opinione conforme a quella delle decisioni in epigrafe è espressa da Mori, La nuova disciplina delle armi, in Giusi, pen., 1977, I, 259. In senso contrario v. Vigna-Bellagamba, Armi, munizioni, esplosivi, Milano, 1981, 247, secondo i quali soltanto la prima parte dell'art. 5, 4° comma, 1. n. 110/75 integrerebbe un reato «proprio» del fabbricante, mentre la violazione del secondo inciso dovrebbe ritenersi reato comune, attesa la ratio della disposizione, intesa ad assicurare in ogni circostanza l'immediata riconoscibilità delle armi giocatolo e ad eliminare qualsiasi rischio di confusione tra queste e le armi vere e proprie.
Quanto aWobiter dictum di Pret. Morbegno secondo cui il porto fuori della propria abitazione di armi giocattolo sprovviste di tappo rosso potrebbe, in particolari circostanze, integrare la fattispecie di cui all'art. 4, 2° comma, 1. n. 110/75, dovendosi l'arma giocattolo sussumere nel concetto di « qualsiasi altro strumento ... chiaramente utilizzabile ... per l'offesa della persona » in forza della ritenuta equiparazione dell'offesa psichica a quella fìsica, si rammenta che, con deliberazione 7 ottobre 1976, la locuzione « offesa alla persona » è stata dalla commissione consultiva centrale per il controllo delle armi, di cui all'art. 6 1. cit., sia pure in relazione alla classificazione delle armi ad aria compressa, intesa come riferita esclusivamente all'integrità fìsica del corpo umano.
(3) (Per altre questioni di legittimità costituzionale sollevate In ordine all'art. 5, 4° e 6° comma, 1. n. 110/75, v. le ordinanze di Pret. Rimini 29 maggio 1982 (Gazz. uff. 30 marzo 1983, n. 88) e Trib. Ravenna 10 febbraio 1982 {id 28 luglio 1982, n. 206 e in Giur. costit., 1982, II, 941), in punto di pretesa irrazionalità del trattamento sanzionatorio riservato all'ipotesi di detenzione di arma giocattolo sprovvista di tappo rosso rispetto a quello meno grave previsto, previa applicazione dell'attenuante di cui all'art. 5 1. n. 895/67 per l'ipotesi di detenzione di arma comune da sparo; nonché 'Pret. Poggibonsi, ord. 17 luglio 1980, Foro it., Rep. 1981, voce Armi, n. 38, circa la previsione di identica pena per chi detiene nella propria abitazione un'arma giocattolo priva
I
Motivi di fatto e di diritto. — L'imputato, a sostegno dell'inter
posto appello, ha dedotto che le norme incriminatrici di cui all'art.
5, 4° comma, ult. parte, 1. n. 110/75 si rivolge esclusivamente ai
fabbricanti dell'arma giocattolo e non già al comune privato. Il
reato previsto da tale norma deve, quindi, essere qualificato come
reato « proprio » in forza sia dell'interpretazione letterale sia
dell'interpretazione sistematica della norma.
Pertanto l'appellante ha domandato, in riforma della impugnata
sentenza, l'assoluzione perché il fatto non è preveduto dalla legge come reato.
All'odierno pubblico dibattimento, celebrato in contumacia del
l'imputato, le parti concludevano come in atti.
La sentenza appellante va riformata.
Le armi giocattolo, o, rectius, i giocattoli riproducenti armi,
poiché hanno come caratteristica intrinseca la inettitudine a recare
offesa e come destinazione naturale lo svago dei piccoli, restano
sottratte alla disciplina che le varie leggi dettano in materia di
armi vere e proprie. Al fine di evitare, tuttavia, che tali pseudo armi possano comunque costituire pericolo per la integrità fisica
dei piccoli destinatari di esse e, soprattutto, al fine di evitare che
mediante opportune modifiche le stesse possano essere trasformate
in vere e proprie armi, dotate cioè di capacità offensiva, il
legislatore, all'art. 5 1. 110/75, 4° comma, 1* parte, ha prescritto che i giocattoli riproducenti armi non possono essere fabbricati
con l'impiego di tecniche e di materiali che ne consentano la
trasformazione in armi da guerra o comuni da sparo o che
consentano l'utilizzazione del relativo munizionamento o il lancio
di oggetti idonei all'offesa della persona. La parte seconda dello stesso comma dell'art. 5 cit. prescrive
che (tali giocattoli) devono inoltre avere la estremità della canna
parzialmente o totalmente occlusa da un visibile tappo rosso
incorporato. In ordine alla identificazione del soggetto attivo dei reati puniti
dall'ultimo comma dell'art. 5 cit., mentre i soggetti diversi dal
fabbricante non possono essere soggetti attivi delle ipotesi crimi
nose previste dalla norma con riferimento alla fabbricazione (parte
prima del 4° comma), si pone la questione se il precetto di cui alla
parte seconda dello stesso comma possa avere come destinatari
anche persone diverse dal fabbricante.
Il pretore, confortato da autorevole dottrina e da conforme
interpretazione da parte di giudici di merito (cfr. Pret. Poggibonsi 17 luglio 1980, Foro it., Rep. 1981, voce Armi, n. 38) ha ritenuto
che la norma contestata non operi distinzione alcuna in ordine al
trattamento penale, tra le figure del fabbricante, e del detentore e
del portatore della c.d. arma-giocattolo. Tale interpretazione si fonda sul presunto argomento letterale
fornito dall'ultimo comma dell'art. 5 cit., là dove indica in « chiunque » non osservi la disposizione il reo, e che, per quanto attiene al tappo rosso di occlusione, non fa riferimento alla
fabbricazione, ma al semplice fatto che la pistola giocattolo « deve » avere la canna occlusa.
Il pretore osserva ancora che diversa interpretazione renderebbe
inutile il precetto normativo in quanto l'obbligo imposto al fabbricante risulterebbe completamente vanificato dalla possibilità
per chiunque di togliere il tappo rosso che ne consente, ictu oculi, l'identificazione come giocattolo, vanificando lo scopo della norma.
L'interpretazione data dal pretore alla norma incriminatrice è erronea.
In primo luogo, per stabilire se una norma configuri un reato comune o un reato proprio, non è sufficiente arrestarsi alla mera
espressione del destinatario della sanzione, considerando della
prima specie tutti quei reati l'enunciazione dei quali si inizia con
la parola « chiunque ». È necessario, invece, una analisi di tutta la
norma incriminatrice per accertare se il reato possa o meno essere commesso da qualsiasi persona, oppure soltanto da chi rivesta una data qualità o si trovi in una certa situazione: cosi, ad es., deve
ritenersi proprio il reato previsto dall'art. 251 c.p., di inadempi mento di contratti di forniture in tempo di guerra, per quanto la
legge usi l'espressione « chiunque ». Dal contesto della disposizio ne, infatti, si desume che autore di tale reato può essere soltanto un contraente.
Peraltro, l'argomento desunto dal pretore dalla espressione
di tappo rosso incorporato e per chi, invece, la produce o la porta in luogo pubblico.
La delimitazione dell'ambito di operatività dell'attenuante di cui all'art. 5 1. 2 ottobre 1967 n. 895 ai fatti di lieve entità relativi alle sole armi da guerra o comuni da sparo è stata ritenuta costituzionalmente legittima da Corte cost. 22 ottobre 1982, n. 167, id., 1983, I, 586, con nota di richiami di Gironi.
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GIURISPRUDENZA PENALE
« chiunque » di cui all'art. 5 cit. non giova, in quanto l'espressio ne è riferita non solo all'ipotesi della parte seconda, ma altresì
alle ipotesi criminose della parte prima del 4° comma, ipotesi
queste ultime per tabulas riferibili soltanto al fabbricante.
Invero dalla esegesi letterale della norma emerge un nesso
logico tra le due disposizioni, ricomprese peraltro nell'ambito dello stesso 4° comma, fatto palese dall'avverbio « inoltre » che altro
non può significare se non l'ampliamento delle prescrizioni impo ste ai fabbricanti al fine del rispetto del divieto di trasformabilità
di giocattoli in armi, enunciato nella rubrica della norma.
Inoltre le parole usate « occlusione della canna » e « incorpora zione » operano un riferimento ad operazioni tecniche di produ zione volte a rendere il tappo rosso non già semplicemente
appoggiato o infilato nella canna sebbene costruito in modo tale
da risultare un corpo unico con la canna, donde la non facile
estraibilità del tappo.
L'espressione « chiunque », acquista, quindi, un significato on
nicomprensivo nell'ambito particolare dei fabbricanti rivolgendosi la norma sia al produttore industriale che a quello artigianale, sia
all'imprenditore che al fabbricante occasionale, ecc.
Pertanto il soggetto attivo delle ipotesi criminose previste dal 4°
comma, parte 1* e 2», dell'art. 5 cit. va individuato soltanto in
colui che fabbrica i giocattoli riproducenti armi senza osservare le
prescrizioni ivi contenute; i reati prevedutisi dalla norma devono
quindi qualificarsi come reati propri. Tale interpretazione è confermata altresì dall'art. 38 della stessa
legge relativa alla applicabilità delle disposizioni di cui all'art. 5
concernenti i giocattoli, con il decorso di un anno dal giorno di
entrata in vigore della legge. Tale norma, che non distingue tra le
varie disposizioni di cui all'art. 5, e, che quindi, concerne anche le
prescrizioni relative al tappo rosso, si giustifica soltanto se ha
come unici destinatari i fabbricanti i quali hanno bisogno di un
intervallo di tempo per adeguare i materiali, le tecniche di
fabbricazione ed i macchinari ai fini del rispetto delle prescrizioni normative riguardanti i giocattoli.
Parimenti può essere addotto, l'argomento logico sistematico che
si desume dal 5° comma dell'art. 5, secondo cui nessuna limitazio
ne è posta all'aspetto dei giocattoli riproducenti armi destinate alla
esportazione; norma che parimenti non distingue in materia di
prescrizioni di cui al precedente comma ed ha come destinatari i
fabbricanti.
Per mera completezza esegetica si osserva infine come le norme
incriminatrici speciali di cui al 4° comma dell'art. 5 si riferiscano
unicamente alla foggia, alle caratteristiche e quindi all'aspetto dei
giocattoli riproducenti armi senza operare alcuna correlazione tra
il giocattolo ed il suo proprietario, detentore, portatore o traspor
tatore, mentre tale correlazione è tipica di tutte le norme incrimi
natrici in materia di armi vere e proprie. In tali ultime fattispecie
viene punito chiunque « detenga », « porti » ovvero « trasporti »
ovvero « alteri » un'arma vera e da tale nesso sorge un precetto che pone in relazione il, soggetto e l'arma. Nella ipotesi, invece,
del 4° comma, T parte, dell'art. 5 tale condizione manca onde, a
voler accedere alla interpretazione del reato « comune » e non già « proprio », sarebbe in tal caso soggetta a pena qualsiasi condotta
di relazione con il giocattolo sia essa di proprietà, di detenzione,
di porto: inoltre sorgerebbe per il possessore l'obbligo giuridico di
reincorporare il tappo che per avventura si sia staccato dalla
canna, ecc., mentre se effettivamente il legislatore avesse voluto
punire la detenzione, il porto, o l'alterazione della arma-giocattolo
priva dei requisiti prescritti, avrebbe dovuto fare ricorso alla
formulazione espressa dalle singole condotte criminose con le
relative graduazioni di pena.
L'imputato deve essere assolto perché il fatto non costituisce
reato.
II
Fatto e diritto. — Con rapporto in data 18 marzo 1982 i
carabinieri di Traona denunciavano a questo pretore Bertera
Massimo, tra gli altri, per il reato di porto abusivo di armi da
fuoco.
In data 11 ottobre 1982 in seguito all'esame degli atti e agli
accertamenti di rito questo giudice emetteva decreto ex art. 74
c.p.p. in quanto l'arma, portata dall'imputato in luogo pubblico, non
era altro, come si evinceva dallo stesso rapporto, che un giocattolo
cui il predetto, incensurato, aveva tolto il tappo rosso e che stava
mostrando tranquillamente a un gruppo di amici.
In data 19 ottobre 1982 il procuratore della repubblica di
Sondrio, ai sensi art. 74, ult. comma, c.p.p., disponeva procedersi
in ordine alla condotta posta in essere dal Bertera in quanto
sanzionata dall'art. 5, 6° comma, 1. 110/75.
Il Bertera venne perciò tratto a giudizio, in seguito alla
suesposta richiesta, per rispondere del reato ascrittogli in rubrica. Osserva questo giudicante che la condotta posta in essere dal
prevenuto non è prevista dall'ordinamento giuridico penale come reato. Recita infatti l'art. 5.. 6° comma, 1. 110/75 «chiunque non osserva le disposizioni del precedente 4° comma è punito con la reclusione da uno a tre anni e con la multa da lire centomila a lire un milione », disponendo il 4° comma « i giocattoli riprodu centi armi non possono essere fabbricati con l'impiego di tecniche e di materiali che ne consentano la trasformazione in armi da
guerra o comuni da sparo o che consentano l'utilizzo del relativo munizionamento o il lancio di oggetti idonei all'offesa della
persona. Devono inoltre avere la estremità della canna parzialmen te o totalmente occlusa da un visibile tappo rosso incorporato ».
Orbene non pare revocabile in dubbio che il reato in esame
appartenga alla categoria dei e d. reati « propri ».
Infatti il reato de quo, per la sua intrinseca natura, desumibile dal combinato disposto del 4° e 6° comma dell'art. 5 1. 110/75, esige, per la sua sussistenza, una determinata posizione di fatto
dell'agente. Precisamente la pena inflitta dal 6° comma citato per chi viola le disposizioni del 4° comma non può, palesemente, che riferirsi al fabbricante, unico soggetto menzionato nel richiamato 4° comma. Non è dubbio che l'intero disposto del 4° comma
dell'art. 5 si riferisca esclusivamente a chi fabbrica armi giocattolo e perciò non può che essere violato (6° comma) da chi tali
giocattoli fabbrica.
Nulla rileva che il 4° comma sia stato spezzato in due periodi dal legislatore in quanto, anche se il secondo di questi ultimi non
ripete le parole « non possono essere fabbricati » ma recita « devono inoltre avere le estremità della canna parzialmente o
totalmente otturata...» appare chiaro che, sia per il contesto
normativo, che soprattutto per quello logico-letterale (il collega mento soggettivo concernente gli agenti delle attività previste dai due periodi citati è infatti fornito dall'avverbio inoltre) la canna dei giocattoli in esame deve essere totalmente o parzialmente occlusa solo esclusivamente dal fabbricante.
Non vale, a parere dello scrivente, a contestare la tesi suesposta, arrestarsi all'espressione letterale della legge, considerando reato
comune il fatto esaminato, poiché l'enunciazione dello stesso inizia con la parola « chiunque ». Occorre al proposito, secondo giuris prudenza e dottrina, esaminare la norma incriminatoria al fine di
stabilire se il reato può essere realizzato da un quivis de populo ovvero soltanto da un soggetto qualificato da specifiche caratteri stiche giuridiche o di fatto.
Nel nostro ordinamento infatti si possono rinvenire altre ipotesi
analoghe a quella esaminata: l'art. 252 c.p. (frode in forniture in
tempo di guerra) ad es. recita « chiunque, in tempo di guerra, commette frode nei contratti di forniture ... è punito ... », laddo
ve è palese che, per quanto la legge usi l'espressione chiunque, si
desume che l'autore del reato in oggetto può essere solo un
contaente. Il fatto criminoso in parola, perciò, deve, secondo
pacifica interpretazione, essere sussunto nell'ambito dei reati pro
pri. D'altro canto una lettura dell'art. 5 1. 110/75 orientata a definire
il reato de quo « comune » adombra forti sospetti sulla costituzio
nalità della norma medesima. Invero, nel minimo, la pena edittale
sancita per la detenzione di armi comuni da sparo, ai sensi degli art. 2 e 7 1. 2 ottobre 1967 n. 895, modificata dalla 1. 14 gennaio 1974 n. 87, sarebbe inferiore (8 mesi), a quella stabilita per la detenzione di un'arma giocattolo priva del prescritto tappo rosso.
Addirittura, in presenza dell'attenuante di speciale tenuità di cui
all'art. 5 1. 895/67 (ad es.: detenzione di una sola rivoltella di
piccolo calibro) anche il massimo della pena da infliggere sarebbe
inferiore (art. 2, 5, 7 1. cit.) a quello stabilito per la detenzione di
una qualsiasi arma giocattolo priva del prescritto tappo rosso (tre
anni). Occorre poi aggiungere che l'attenuante di cui all'art. 5, 1.
cit. non sarebbe applicabile, come è già stato notato (ord. Trib.
Ravenna del 10 febbraio 1982 su G. U. 206/82) all'ipotesi criminosa per cui si procede. Se è vero quanto sopra esposto non
sfugge la patente violazione del disposto dell'art. 3 Cost., in
quanto sarebbe decisamente irragionevole una tale disparità di
trattamento in pregiudizio di chi detiene un'arma giocattolo nei
confronti di chi invece detiene un'arma vera.
Queste ulteriori considerazioni orientano vieppiù lo scrivente a
optare per la definizione di « proprio » del reato per cui si sta
procedendo non sembrando contestabile che il giudice debba
privilegiare, tra due possibili interpretazioni, quella che, oltre a
rispettare il senso letterale e logico della norma, si armonizzi coi
principi costituzionali.
Posta, dunque, la liceità del mero porto e della semplice detenzione delle armi giocattolo sprovviste del prescritto tappo
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PARTE SECONDA
rosso non si può obliterare l'ipotesi in cui, sussistendo determina
te condizioni, anche l'uso dell'arma giocattolo priva del tappo rosso possa dar luogo a condotte penalmente apprezzabili.
Si faccia, ad es., l'ipotesi di chi, pregiudicato, per reati vari
contro il patrimonio venga colto, in tempo di notte, con addosso
un'arma-modello priva del prescritto tappo rosso. È noto che
l'arma-modello per le sue caratteristiche strutturali sembra una
vera e propria arma comune, idonea, in forza di ciò, ad esercitare
quella coazione psichica propria delle armi vere. Quid iuris? Posta
la insussistenza dell'ipotesi criminosa di cui all'art. 5 1. 110/75, in
quanto norma applicabile solo al fabbricante, si potrebbe far
rientrare il caso di specie nell'ambito dell'art. 4 1. cit. Bene è
infatti stato ritenuto (Pret. Torino 5346/82 del 4 giugno 1982) che
il porto fuori dalla propria abitazione, senza giustificato motivo, di
tale arma giocattolo sia sussumibile nel concetto di porto di altro
strumento non considerando espressamente come arma da punto o
da taglio, chiaramente utilizzabile, per le circostanze di tempo e di
luogo per l'offesa della persona. Appare indubbio che per « offesa
alla persona » possa intendersi tanto l'offesa fisica che quella
psichica. La questione comunque esula da quella affrontata nel presente
giudizio e non merita perciò approfondimento in questa sede.
Il Bertera, che è persona incensurata, infatti, come risultava dal
rapporto ed è emerso a dibattimento, mostrava l'arma giocattolo,
priva del tappo rosso, del tutto tranquillamente agli amici e in un
luogo illuminato.
In considerazione di quanto sopra esposto l'imputato va manda
to assolto.
Ili
Visti gli atti del procedimento penale a carico di Frigerio Vittorio e Frigerio Giovanna, imputati del 'reato di cui agli art.
110 c.p. e 5, 4° e 6° comma, 1. n. 110/75 per aver prodotto e posto in commercio in qualità di contitolari della ditta Bruni di
Palazzolo Milanese pistole giocattolo denominate Olimpie con
tappi rossi non incorporati all'estremità delle canne, commesso in
Palazzolo Milanese fino al 20 gennaio 1982; acquisite le risultanze
processuali, ritiene d'ufficio di dover sollevare la questione di
costituzionalità, non manifestamente infondata e rilevante per il
giudizio in corso, con riferimento all'art. 3 Cost., dell'art. 5, 4°
comma, 1. 18 aprile 1975 n. 110, nella parte in cui non specifica che la parola « incorporato » debba intendersi nel senso di « comunque non estraibile ».
In data 21 febbraio 1981 agenti della questura di Torino
fermavano un giovane in atteggiamento sospetto in possesso di
una pistola Olimpie che « non aveva il tappo rosso incorpora to... ma facilmente estraibile». Il Pretore di Torino procedeva nei confronti del giovane fermato e trasmetteva per competenza al
Pretore di Desio gli atti relativi alla fabbricazione di detta pistola da parte della ditta Bruni corrente in Palazzolo Milanese.
Tratti a giudizio con rito ordinario, i contitolari della ditta
costruttrice della pistola si difendevano dal reato loro contestato
in epigrafe sostenendo un'interpretazione della norma penale: affermano che l'art. 5, 4° comma, della legge sulle armi con la
parola « incorporato » non intenda riferirsi alla « non estraibilità »
del tappo rosso da collocare all'estremità della canna e con ciò
reclamano la loro innocenza.
L'arma sequestrata è catalogata « oggetto di segnalazione acusti ca », è costruita in zinco ed alluminio, ma viene venduta alle armerie come arma giocattolo. Essa è predisposta per sparare cartucce a salve per segnalazioni acustiche ma poiché il munizio
namento non può essere venduto a corredo dell'arma nella
versione « giocattolo », viene ceduta alle armerie e non ai nego zianti di giocattoli. Tuttavia ha il tappo rosso all'estremità che, come è stato provato, è facilmente estraibile.
A parte le questioni legate alla inquadrabilità dell'arma in
sequestro tra le « armi-giocattolo », questione che lo scrivente
ritiene pacifica, ritiene il giudicante che per motivi facilmente
intuibili legati alla propria attività commerciale gli imputati si
siano trincerati dietro una interpretazione di comodo della norma
tiva sulle armi.
Il 4° comma dell'art. 5 1. n. 110/75 non specifica niente più oltre
l'espressione « incorporato » ma è evidente che con tale parola abbia inteso riferirsi al concetto di « non estraibilità » altrimenti la
precisazione non sarebbe idonea a caratterizzare la specificità dell'arma come destinata unicamente al divertimento. La particola re insidiosità commerciale del comportamento tenuto dagli imputa ti consente di ritenere che essi si trincerino coscientemente dietro una lacuna della normativa, lacuna che sarebbe colmata se alla
parola « incorporato » il legislatore avesse aggiunto « comunque non facilmente estraibile ».
Poiché nell'interpretazione della dottrina e della giurisprudenza la questione ha oscillazioni applicative tali da ritenere che l'inter
prete possa aderire all'una o all'altra interpretazione con identiche
probabilità di successo, lo scrivente ritiene di dover segnalare la
questione come contrastante con i principi di certezza del diritto e
di uguaglianza ricavabili dall'art. 3 Cost, nel senso che il legislato re non ha fornito un testo della norma idoneo alla ratio che ispira la disciplina delle armi giocattolo.
TRIBUNALE DI ORISTANO; sentenza 27 aprile 1983; Pres.
Segneri, Est. Barbalinardo; imp. Serra.
TRIBUNALE DI ORISTANO;
Segreti (reati contro la inviolabilità dei) — Soppressione di cor
rispondenza commessa da persona addetta al servizio delle
poste — Omissione di atti di ufficio — Concorso apparente di norme — Sussistenza (Cod. pen., art. 15, 328, 619).
L'addetto al servizio postale che omette di recapitare e poi getta via la corrispondenza affidatagli per la consegna, risponde del
reato di soppressione di corrispondenza commessa da persona addetta al servizio delle poste (cosi qualificato il fatto come
inizialmente contestato di appropriazione indebita aggravata) e
non anche di omissione di atti di ufficio (nella specie, si è
ravvisato un concorso apparente di norme risolubile sia in base
al principio di specialità che in base al principio di « con sunzione »). (1)
Fatto e diritto. — 11 procuratore della repubblica presso questo tribunale, all'esito dell'istruzione sommaria, chiese che nei confron ti di Carmelo Serra venisse emesso decreto di citazione a giudizio perché, dinanzi a questo collegio, rispondesse dei delitti in
epigrafe descritti.
All'odierno dibattimento, l'imputato è stato interrogato e i
testimoni sono stati escussi; fatte le letture consentite, p.m. e
difensore hanno concluso come dal verbale. Il collegio ritiene che l'imputato si è reso responsabile del solo
delitto previsto e punito dall'art. 619 c.p. Dal dibattimento, in punto di fatto, è emerso quanto segue. 11 20 aprile 1982, di pomeriggio, Bachisio Campus, nel rovistare
tra i rifiuti della « Casa dello studente » di Macomer alla ricerca, come tutti i giorni, di resti di cibo da somministrare ai propri cani
(1) Non risultano precedenti in termini editi. La sentenza si segnala perché contribuisce ad incrementare il numero
delle pronunce giurisprudenziali — fino ad ora invero tutt'altro che frequenti — inclini a risolvere il concorso apparente di norme in base ad un esplicito richiamo al « principio di consunzione » {la giurispru denza, per risolvere il concorso apparente, quasi sempre fa espresso rinvio al principio di « specialità », il che si spiega anche tenendo conto che si tratta del solo principio sancito in modo espresso dal codice penale): per un'altra recente ipotesi cfr. Cass. 9 marzo 1981, Fontana, (Foro it., Rep. 1982, voce Legge penale, n. 15), dove si afferma che « la consunzione si ha quando per identità, se non del preciso bene giuridico tutelato, degli scopi prevalenti perseguiti dalle norme concor renti, lo scopo della norma che prevede un reato minore sia chiaramen te assorbito da quello relativo ad un reato più grave, il quale esaurisca il significato antigiuridico del fatto, sicché appaia con evidenza inam missibile la duplicità di tutela e di sanzione in relazione al principo di proporzione tra fatto illecito e pena che ispira il nostro ordinamento ».
La sentenza in epigrafe sembra, invero, recepire il principio di consunzione nella stessa accezione e con gli stessi svolgimenti argomen tativi rinvenibili in quella parte della più recente dottrina che con maggiore sforzo di approfondimento ha difeso l'autonomia del suddetto principio: cfr. Pagliaro, Principi di diritto penale, parte generale, Milano, 1980, 197; Id., Relazioni logiche ed apprezzamenti di valore nel concorso di norme penali, in Indice pen., 1976, 217. Contra, da ultimo, De Francesco, « Lex specialis », specialità ed interferenza nel concorso di norme penali, Milano, 1980, passim.
In dottrina, nel senso che nel reato di soppressione di corrispon denza è sempre implicita la violazione di un dovere funzionale, v. Antolisei, Manuale di diritto penale, parte speciale, Milano, 1981, I, 200.
In argomento va peraltro ricordato che la giurisprudenza ammette, invece, la possibilità del concorso di reati fra la soppressione di corrispondenza e la malversazione a danno di privati, nell'ipotesi in cui l'addetto si impadronisca di valori racchiusi nella corrispondenza stessa (Cass. 5 giugno 1963, Polidori, Foro it., Rep. 1964, voce Segreti (delitti contro la inviolabilità dei), n. 6.)
Sulla differenza fra « soppressione » e « distruzione » di corrisponden za, v. Cass. 20 giugno 1969, Maffei, id., Rep. 1970, voce cit., n. 7; circa la natura di reato autonomo della più grave ipotesi prevista all'art. 619 c.p., v. Cass. 3 dicembre 1973, Polsinelli, id., Rep. 1974, voce cit., n. 3, entrambe citate nella sentenza in epigrafe.
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