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sentenza 24 maggio 1985; Giud. Brusco; Banca popolare di Novara (Avv. Murtula, Scolari) c.U.i.b.-U.i.l., F.i.s.a.c.-C.g.i.l., F.i.b.-C.i.s.l., F.a.b.i. (Avv. Paolillo)Source: Il Foro Italiano, Vol. 108, No. 9 (SETTEMBRE 1985), pp. 2441/2442-2445/2446Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23178024 .
Accessed: 24/06/2014 21:42
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
realizzare il principio costituzionale di eguaglianza; ha, inoltre,
rilevato che la disciplina normativa vigente, con l'attribuire rile
vanza esclusiva alla posizione paterna, lede da più punti di vista
la posizione giuridica della madre, nei suoi rapporti con lo Stato
e con la famiglia, non potendosi, da un lato, contestare l'interesse
giuridicamente rilevante di costei a che anche i suoi figli siano
tnemhri della sua stessa comunità statale e possano godere della
tutela collegata a tale appartenenza, dall'altro la posizione di
totale eguaglianza, nei diritti e nei doveri, della donna nell'ambito
familiare. Pertanto, una volta escluso che l'esigenza di realizzare
l'unità familiare, mediante l'assoggettamento della moglie e del
marito alla medesima disciplina normativa in ordine ai rispettivi
status ed ai rapporti che ne derivano, possa prevalere sui
fondamentali principi di eguaglianza — e per quanto attiene alla
parità dei sessi e per quel che riguarda la posizione giuridica e
morale dei coniugi — e, nel contempo, che il rispetto delle regole del diritto internazionale privato possa giungere al punto di
ledere la posizione giuridica del soggetto nei suoi fondamentali
rapporti con lo Stato, è indubbio che la norma in esame si pone
in manifesto contrasto con l'art. 3, 1° comma, e con l'art. 29, 2°
comma, Cost.
Infatti1, sotto il primo profilo, si determina una palese di
scriminazione tra il coniuge italiano di sesso maschile, che
può contare sull'applicazione della legge italiana nei rapporti
nascenti dal matrimonio con uno straniero, e quello di sesso
femminile che deve sottostare alla legge nazionale dello sposo, con la inammissibile conseguenza che ove quest'ultima non pre Vede l'istituto del divorzio, costei, per il solo fatto di aver
contratto matrimonio con uno straniero, viene ad essere privata di una delle più significative forme di tutela collegate all'appar tenenza alla nostra comunità statuale, quale la possibilità di
riottenere il proprio stato libero quando il matrimonio è irrime
diabilmente distrutto, il che, invece, non si verifica nei confronti
del cittadino italiano di sesso maschile che venga a trovarsi nella
medesima situazione.
Sotto il secondo profilo, la norma di collegamento che
privilegia il marito, attribuendo alla sua legge la disciplina del
le relazioni interconiugali, crea una ingiustificata e non ra
gionevole disparità di trattamento fra i due coniugi, che -non
può essere risolta con ài semplice riferimento alla riserva
prevista nel dettato costituzionale a garanzia della unità familiare, sia perché il processo interpretativo avviato dalla giurisprudenza della Corte costituzionale, e recepito nella riforma del diritto di
famiglia, ha tolto ogni fondamento storico e logico al privilegio accordato alla posizione di capofamiglia del marito, sia perché la
norma non giova certo all'unità familiare quando è ormai defini
tivamente venuta meno la comunione materiale e spirituale che,
al di là di ogni fictio legis, costituisce l'essenza del vincolo
coniugale.
La costituzionalità o meno dell'art. 18 preleggi ha, poi, una
rilevanza immediata e necessaria sulla questione di cui oggi
questo tribunale è chiamato a decidere, giacché, dovendo in forza
dell'attuale formulazione di detta norma di collegamento, applicar si la legge del marito, cioè quella cilena, che non prevede l'istituto del divorzio, il giudizio dovrebbe concludersi con una
pronuncia di inammissibilità della domanda.
PRETURA DI GENOVA; PRETURA DI GENOVA; sentenza 24 maggio 1985; Gtiud.
Brusco; Banca popolare di Novara (Avv. Murtula, Scolari)
c. U.i.b.-U.i.l., F.i.s.a.c.-C.g.i.l., F.i.b.-C.i.s.l., F.a.b.i. (Avv. Pao lillo).
Sindacati — Condotta antisindacale — Trasferimento intracomuna
le di rappresentante sindacale aziendale dalla sede ad un'agen zia di banca — Sussistenza (L. 20 maggio 1970 n. 300, norme
sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà
sindacale e dell'attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme
sul collocamento, art. 22, 28). Sindacati — Condotta antisindacale — Impedimento dell'accesso
ai locali aziendali di rappresentante sindacale — Sussistenza
(L. 20 maggio 1970 n. 300, art. 14, 28).
Costituisce condotta antisindacale il trasferimento dalla sede ad
un'agenzia di banca, situata nello stesso comune, dell'unico
rappresentante di sezione aziendale sindacale che usufruisca
Il Foro Italiano — 1985.
di permessi retribuiti, senza il nulla-osta dell'associazione sin
dacale di appartenenza. (1) Costituisce condotta antisindacale l'impedire l'accesso nei locali del
l'azienda ad almeno un componente della rappresentanza sinda
cale aziendale durante lo svolgimento del lavoro straordina
rio. (2)
Motivi della decisione. — Due sono le situazioni di contrasto
tra le parti contrapposte che hanno dato luogo in un primo
tempo al ricorso ex art. 28 1. 300/70 da parte delle organizza zioni sindacali dei lavoratori e, dopo la pronuncia del decreto
pretorile, all'opposizione proposta dalla Banca popolare di Nova
ra-B.p.n.: 1) il trasferimento del dirigente sindacale Massimo Zon
za dalla sede di Genova della B.p.n. alla agenzia di Sampierdarena;
2) il diniego, opposto dalla B.p.n., all'accesso nei locali dell'azien
da da parte di componenti della r.s.a. del personale fuori dell'o
rario di lavoro, quando all'interno sono presenti altri lavoratori
che svolgono lavoro straordinario.
Le due situazioni meritano un separato esame. Circa il trasfe
rimento del dirigente s.a.s. F.i.s.a.c. - C.g.i.l. Zonza dalla sede
all'agenzia di Sampierdarena, le associazioni sindacali, sia in sede
di ricorso ex art. 28 1. 300/70, sia nell'attuale giudizio di
opposizione, hanno sostenuto l'illegittimità dello stesso ai sensi
dell'art. 22 1. 300/70, in quanto lesivo del diritto all'esercizio
dell'attività sindacale resa senza ragione alcuna se non impossibi
le, certamente notevolmente più difficoltosa. Invero con l'operato trasferimento il rappresentante sindacale viene allontanato dal
luogo ove svolge prevalentemente la sua attività sindacale e
inserito in una realtà periferica spesso avulsa dalle tematiche
oggetto dell'attività sindacale e messo in gravi difficoltà a svolgere il suo mandato, tenuto conto della limitatezza dei permessi (10 ore mensili) e del tempo ogni volta occorrente per raggiungere dal posto di lavoro la sede.
La B.p.n. ritiene, invece, perfettamente legittimo il trasferimen
to dello Zonza operato senza il nulla-osta dell'associazione sin
dacale di appartenenza, in quanto, ai sensi dell'art. 9 della
convenzione 18 giugno 1970 per i diritti e le relazioni sindacali,
stipulata tra l'Assicredito e i sindacati dei lavoratori, il complesso delle dipendenze comunque denominate (sedi, filiali, succursali,
agenzie, uffici, ecc.) operanti nell'ambito dello stesso comune
(1) La sentenza, la cui motivazione è stata redatta dall'uditore giudiziario Giuseppe Dagnino, si colloca in quel filone giurisprudenziale per il quale è legittima la identificazione da parte della contrattazione collettiva della nozione di unità produttiva di cui all'art. 22 1. 300/70 nel complesso di dipendenze operanti nel medesimo ambito comunale (v. Cass. 19 novembre 1984, n. 5920, 13 novembre 1984, n. 5735, Foro it., 1985, I, 758, con nota di richiami, cui adde, nello stesso senso, Trib. Pisa 19 ottobre 1983, id., Rep. 1984, voce Lavoro (rapporto), n.
1080; contra, per la necessità di nulla-osta ogni qualvolta il rappresentan te sindacale si trovi privato della base di cui è espressione, a prescindere dalla dimensione geografica, Pret. Milano, decr. 10 maggio 1983, Riv. giur. lav., 1984, li, 601, con nota di L. Fiori. In dottrina, M. Papaleoni, Sulla nozione di unità produttiva, nota a Cass. 13 novembre 1984, n. 5735, cit., in Giust. civ., 1985, I, 729). Si segnala, sul punto, il passo del la motivazione per il quale l'intervento giudiziale di declaratoria di nullità di clausola contrattuale collettiva deve essere limitato, specie ove non si tratti di lesione di diritti del singolo, alla ipotesi di evidente violazione di norme imperative di legge. Nonostante ciò, Pret. Genova perviene alla conclusione dell'antisindacalità del trasferimento di rappresentante sindacale aziendale dalla sede ad un'agenzia di una banca, sul rilievo del carattere non solamente processuale o sanziona torio dell'art. 28 1. 300 e del fatto che si trattava dello spostamento dal centro alla periferia dell'unico rappresentante di una s.a.s. che beneficiasse dei permessi retribuiti, con conseguenziale frapposizione di ostacolo all'attività sindacale.
È pure da evidenziare l'adesione a Cass. 6 giugno 1984, n. 3409 (Foro it., 1984, I, 2779, con nota di O. Mazzotta) sulla non necessarietà, ai fini dell'integrazione della condotta repressa dall'art. 28, dell'elemento psicologico, la cui esistenza, ad abundantiam (come è detto in sentenza), si ricava dalla assoluta mancanza di indicazione delle ragioni del trasferimento.
(2) Principio affermato sulla base di clausola contrattuale collettiva che prevedeva il diritto delle organizzazioni sindacali di ottenere comunicazione mensile relativa al numero di ore di lavoro straordina rio effettuate, e di prendere visione, tramite un componente della r.s.a., delle relative registrazioni, e della conseguenziale, assunta massima libertà nell'esercizio del diritto stesso (ove esso non intralci o pregiudi chi il normale svolgimento dell'attività aziendale).
Per la statuizione del diritto all'accesso incondizionato in azienda del delegato sindacale, anche se in c.i.g., Pret. Milano 23 novembre 1982, Foro it., 1983, I, 478, con nota di G. Silvestri; Pret. Cassano d'Adda 27 maggio 1983, id., Rep. 1983, voce Lavoro (rapporto), n. 2014.
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2443 PARTE PRIMA 2444
costituisce, ai fini della convenzione stessa, un'unica unità pro duttiva. Nel caso di specie, quindi, non vi sarebbe stato alcun trasferimento oggetto dell'art. 22 1. 300/70, bensì un semplice passaggio nell'ambito della stessa unità produttiva che non rien
tra, in quanto tale, nella sfera di efficacia del citato art. 22.
Sostengono a tal proposito le organizzazioni sindacali che se la norma dell'art. 9 della convenzione pretenda di considerare unica unità produttiva le varie unità produttive esistenti nello stesso
comune, la stessa viene a porsi in contrasto con le norme
previste dagli art. 13 e 35 (oltreché 22) dello statuto dei lavorato
ri, connotandosi in tal modo di nullità per contrasto con norme
imperative.
La legittimità del citato art. 9 della convenzione 18 giugno 1970 è stato oggetto di varie pronunce da parte sia di giudici di
merito, sia della Cassazione, la quale da ultimo con una recente sentenza (Cass. 11 novembre 1984, n. 5920, Foro it., 1985, I, 758) ha ritenuto la non contrarietà a norme imperative del suddetto articolo considerando la regolamentazione convenzionale una con
seguenziale applicazione della nozione di unità produttiva deri vante dalla legge. Tale soluzione si colloca sulla stessa linea già adottata dalla Cassazione con una sentenza di poco precedente a
quella surriportata (Cass. 13 novembre 1984, n. 5735, ibid., 760) che ha riconosciuto la legittimità dell'art. 2 conv. 24 giugno 1970
(convenzione per i diritti e le relazioni sindacali relativa alle casse
di risparmio e alle banche del monte) laddove prevede che negli istituti con meno di 200 dipendènti nell'ambito comunale l'unità
produttiva s'intende unica. La Suprema corte ha ritenuto la
legittimità di detta clausola pattizia, rilevando come essa concerna
direttamente gli interessi collettivi del sindacato e come spetti a
quest'ultimo « rilasciare il nullaosta per il trasferimento dei
dirigenti delle proprie rappresentanze aziendali, onde ad esso
deve coerentemente ritenersi attribuito il potere di determinare
convenzionalmente la nozione di unità produttiva, ai fini di cui si
tratta, non essendo configurabile nell'art. 22 1. 300/70, inequivo
camente dettato a tutela dell'autonomia organizzativa del sindaca
to medesimo, una norma inderogabile e limitativa del potere correlato a tale autonomia, la quale sia estrinsecabile tanto
mediante atti unilaterali di rilevanza interna quanto mediante
pattuizione collettiva ».
Questo giudicante, pur rilevando l'esistenza di diversi orienta
menti giurisprudenziali fondati su argomenti altrettanto plausibili, osserva ulteriormente che l'intervento dell'autorità giurisdizionale che dichiara la nullità di clausole pattizie, risolvendosi in un'in
terferenza e una modifica dell'equilibrio degli interessi raggiunto in sede collettiva, deve essere limitato, specie quando non si
tratti, come nel presente ca_so, di lesioni dei diritti del singolo
lavoratore, alle ipotesi d'i evidente violazione delle norme impera tive poste dal legislatore.
La affermata legittimità dell'art. 9 della convenzione non
importa, tuttavia, quale automatica conseguenza, il riconoscimento
del carattere non antisindacale della condotta tenuto dalla B.p.n. in occasione del trasferimento dello Zonza. Invero, come è stato
autorevolmente sostenuto (v. per es. Cass. 15 luglio 1983, n. 4850,
id., Rep. 1983, voce Sindacati, n. 150, e Cass. 16 febbraio 1984, n. 1176, id., Rep. 1984, voce cat., n. 176) l'art. 28 1. 300/70 non
rappresenta una mera norma processuale e sanzionatrice delle
violazioni di specifiche norme di legge, ben potendo ravvisarsi
l'antisindacalità nel comportamento del datore di lavoro che, pur non rientrando tra le ipotesi di « antisindacalità oggettiva » di' cui
ai titoli secondo e terzo della 1. 300/70, sia comunque diretto ad
impedire o limitare l'esercizio della libertà e dell'attività sindaca
le. E un attento esame della fattispecie porta alla conclusione che
il trasferimento del sindacalista Zonza operato dalla B.p.n. nel
formale rispetto della convenzione 18 giugno 70, presenta i
caratteri dell'antisindacalità. Invero lo Zonza era, al momento
dell'intimato trasferimento dalla sede all'agenzia di Sampierdare
na, l'unico rappresentante sindacale della s.a.s. F.i.s.a.c. - C.g.i.l. che beneficiasse dei permessi retribuiti.
I dirigenti sindacali delle altre s.a.s. aziendali erano addetti alla
sede di Genova. È fatto notorio che la sede, per essere ivi
concentrata la maggior parte dei lavoratori e, soprattutto, per la
presenza in loco della controparte delle organizzazioni sindacali1
di lavoratori, rappresenta il naturale centro e il fulcro dell'attività
sindacale. In tale situazione l'allontanamento dell'unico dirigente beneficiario dei permessi sindacali dalla sede e il suo trasferimen
to in una realtà periferica, quale è indubbiamente l'agenzia di
Sampierdarena, rappresentano un serio ostacolo frapposto dall'a
zienda all'esercizio dell'attività sindacale, che viene ad essere, se
non limitata, certamente resa più difficoltosa nelle sue esplicazio
II Foro Italiano — 1985.
ni. Basti pensare soltanto al tempo necessario per gli spostamenti
dall'agenzia alla sede e viceversa in occasione di incontri con la
direzione aziendale o con le altre s.a.s.; e ancora alle ridotte
possibilità per il dirigente sindacale di esercitare le facoltà
connesse al suo status (proselitismo, raccolta dei contributi, con
tatti con la base dei cui interessi è portatore) in una realtà
indubbiamente minore quale è l'agenzia di Sampierdarena rispetto
alla sede di Genova della B.p.n. Vi è ancora da osservare che la B.p.n., nell'operare il trasferi
mento, non ha indicato alcuna ragione tecnica, organizzativa o
produttiva giustificativa del provvedimento. E se è vero, come è
vero, che ai sensi dell'art. 2103 c.c., trattandosi, in virtù della
summenzionata convenzione, di unica unità produttiva, la B.p.n.
non era tenuta a giustificare lo spostamento dello Zonza con
comprovate esigenze tecniche, organizzative e produttive, è altret
tanto vero che l'assenza di qualsivoglia motivazione suscita,
quantomeno, perplessità circa gli obiettivi che la B.p.n. si
prefiggeva con il provvedimento, ingenerando la fondata impres sione che con tale atto l'attuale opponente abbia voluto dare una
« dimostrazione di forza » al sindacato dei lavoratori.
E in tal modo, il comportamento della B.p.n., antisindacale
sotto il profilo oggettivo per i motivi suesposti, risulterebbe tale
anche sotto l'aspetto soggettivo.
Ma l'accenno all'elemento psicologico, non a caso svolto in
forma dubitativa, è stato fatto ad abundantiam. In realtà « ai fini
della repressione della condotta antisindacale del datore di lavoro
è sufficiente che la medesima risulti, sotto l'aspetto oggettivo,
lesiva, anche solo potenzialmente, dei diritti sindacali alla cui
tutela è preordinata la norma dell'art. 28 1. 300/70, senza necessi
tà che la condotta stessa sia, sotto l'aspetto soggettivo, caratteriz
zata dall'intenzione di conseguire un tale risultato». Tale concet
to è stato espresso con singolare chiarezza da una recente
sentenza della Cassazione (sez. lav. 6 giugno 1984, n. 3409, id.,
1984, I, 2779) che ha ribaltato, sottoponendolo a meditata e
radicale critica, l'orientamento sino allora prevalente che attribui
va preminente importanza non solo al requisito oggettivo della
idoneità della condotta, ma anche a quello soggettivo del colle
gamento teleologico fra comportamento ed effetto.
Tale conclusione appare al giudicante più rispettosa della ratio
dell'art. 28, evitando laboriose indagini circa la sussistenza dell'e
lemento psicologico, rese ancor più difficili dalla circostanza di
essere in presenza sovente di persone giuridiche che agiscono attraverso organi. Senza considerare che, accertato l'oggettivo carattere antisindacale di una condotta, il dolo, per esprimersi in
termini penalistici, è in re ipsa, almeno tutte le volte che il
datore di lavoro non giustifichi il suo comportamento con ragioni attinenti la disciplina del rapporto di lavoro.
Pertanto, alla luce delle considerazioni sopra svolte, il trasferi
mento del sindacalista Zonza dalla sede di Genova della B.p.n. alla agenzia di Sampierdarena va considerato quale espressione di
un comportamento del datore di lavoro diretto a impedire o
limitare l'esercizio della libertà e dell'attività sindacale, e sotto
questo aspetto, l'opposizione della B.p.n. al decreto pretorile deve
essere rigettata. Controllo dello straordinario. Quanto al secondo aspetto della
controversia, non si può fare a meno di rilevare come esso
sottenda implicazioni di portata ben più vasta della semplice verifica da parte dei sindacalisti delle prestazioni di lavoro
straordinario. In effetti, come emerge dagli atti difensivi delle
parti contrapposte, la materia del contendere non è tanto (o
soltanto) circoscritta alla sussistenza o meno del diritto da parte dei rappresentanti sindacali dei lavoratori di accedere all'interno
dei locali dell'azienda per verificare l'entità delle prestazioni di
lavoro straordinario nel momento stesso in cui le medesime
vengono svolte, ma assume connotazioni di ben più ampio
respiro, coinvolgendo i poteri stessi del datore di lavoro nell'or
ganizzare il lavoro e i contenuti e i limiti dell'attività sindacale
all'interno dei luoghi di lavoro. In effetti il vero contrasto tra le
parti verte intorno all'esistenza o meno del diritto in capo ai
rappresentanti sindacali di rimanere o accedere all'interno dei
locali dell'azienda per svolgere attività sindacale anche quando gli stessi hanno terminato il loro orario di lavoro.
E il conflitto che oggi si pone in merito al controllo dello
straordinario si potrebbe benissimo determinare circa l'ammissibi
lità o meno della raccolta di contributi o di effettuazione di
opera di proselitismo, o, più in generale, di qualsiasi manifesta
zione di attività sindacale all'interno dei luoghi di lavoro da
parte di rappresentanti sindacali fuori dell'orario di lavoro, ma
con i locali dell'azienda aperti perché vi sono altri lavoratori che
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
— per effettuare straordinario o turni di lavoro diversi — stanno
prestando attività lavorativa.
Ciò rilevato, per rimanere ancorati all'oggetto del presente conflitto si deve osservare che, non sussistendo norme di legge che assegnino ai sindacati una funzione -di controllo sull'effettua
zione di prestazioni di lavoro straordinario, l'unica fonte che
attribuisca una qualche competenza alle organizzazioni sindacali
di lavoro straordinario è l'art. 69 del c.c.n.l. 17 febbraio 1983,
pacificamente in vigore tra le parti. Tale norma, dopo aver
stabilito un limite massimo di ore per ciascun dipendente, rico
nosce la facoltà a ciascun lavoratore di verificare periodicamente il numero delle ore straordinarie segnate. In aggiunta a tale
facoltà in capo al singolo lavoratore, il citato articolo riconosce
alle organizzazioni sindacali dei lavoratori il diritto di ottenere
dall'azienda la comunicazione mensile relativa al numero com
plessivo delle ore di lavoro straordinario effettuate nell'ambito di
ogni singolo ufficio, servizio o dipendenza, specificando il numero
dei lavoratori che hanno effettuato dette prestazioni. È altresì
attribuita a un componente la rappresentanza sindacale del per sonale la facoltà di prendere visione delle registrazioni relative al
lavoro straordinario.
È inutile sottolineare l'importanza per il sindacato di tale
previsione contrattuale, meglio potendo articolare sulla base di
dati certi e incontrovertibili la propria strategia, in tema di
richiesta di nuove assunzioni e di diversa distribuzione del
personale tra i vari uffici e dipendenze. Ed è pure evidente la
necessità che i dati corrispondano alla reale situazione.
La norma prevede, quale forma di garanzia per il sindacato
circa la « genuinità » dei dati comunicati dal datore di lavoro, la
facoltà di prendere visione delle registrazioni relative al lavoro
straordinario, senza tuttavia disciplinare le modalità di concreto
esercizio della presa visione dei registri. Essendo la ratio di tale
previsione quella di consentire al sindacato il riscontro circa la
corrispondenza dei dati comunicati a quelli effettivi, nel silenzio
della norma, si deve riconoscere alle organizzazioni! sindacali, e in
particolare al delegato della s.a.s., la più ampia libertà circa le
modalità con le quali la presa visione delle registrazioni può essere effettuata, fermo restando, naturalmente, che l'esercizio di
tale diritto non deve comportare intralcio né tantomeno pregiudi zio al normale svolgimento dell'attività aziendale.
E non pare a questo giudicante, né d'altronde la B.p.n. vi ha
fatto cenno, che il controllo della regolarità delle registrazioni da
parte di sindacalisti fuori dal proprio orario di lavoro abbia
provocato ostacoli o turbative in misura intollerabile alla normale
attività di lavoro. In effetti il diniego opposto dalla B.p.n.
all'ingresso dei sindacalisti si fonda sulla previsione dell'art. 25, lett. e), c.cjii. 17 febbraio 1983 che vieta al personale di entrare
o trattenersi nei locali dell'azienda fuori dell'orario di lavoro
normale, salvo che ciò avvenga per ragioni di servizio e con
autorizzazione della direzione. Ma tale previsione di carattere
generale cede dinanzi a ipotesi specifiche come quella prevista dall'art. 69 del citato c.c.n.l.
E — lo si accenna soltanto in via incidentale — un'interpreta zione dell'art. 25, lett. e), che subordinasse all'autorizzazione della
direzione l'accesso o la permanenza nei locali dell'azienda da
parte dei sindacalisti fuori del proprio orario di lavoro, allor
quando detti locali fossero aperti per la presenza di altri lavora
tori con turni di lavoro differenti o in straordinario, porrebbe seri
dubbi circa la sua legittimità, alla luce dell'art. 14 1. 300/70 che
garantisce a tutti i lavoratori lo svolgimento di attività sindacale
all'interno dei luoghi di lavoro.
Pertanto anche sotto tale profilo si rigetta l'opposizione della
B.p.n. (Omissis)
PRETURA DI PARMA; PRETURA DI PARMA; sentenza 13 aprile 1985; Giud. Ferraù; Canali (Avv. Petronio) c. Soc. Grossi (Avv. Artoni).
Lavoro (rapporto) — Trattamento di fine rapporto — Computabi lità del servizio militare (Cost., art. 52; cod. civ., art. 2110,
2111, 2120; 1. 29 maggio 1982 n. 297, disciplina del trattamen
to di fine rapporto e norme in materia pensionistica, art. 1).
Il servizio militare di leva va considerato utile ai fini della
determinazione del trattamento di fine rapporto. (1)
(1) Non si rivengono precedenti giurisprudenziali editi (v., però, Pret. Verona 24 maggio 1984, richiamata in motivazione).
Il problema è invece stato ampiamente trattato in dottrina. Cfr., in
senso conforme G. Santoro Passarelli, Dall'indennità di anzianità al
Il Foro Italiano — 1985.
Motivi della decisione. — 1. - Ritiene il pretore che fondata sia
la domanda attrice diretta ad ottenere il riconoscimento del diritto
del Canali a vedersi computato, agli effetti della determinazione
del trattamento di fine rapporto, il periodo di servizio militare
dallo stesso prestato dall'I 1 marzo 1983 al 28 febbraio 1984 e
pronunce conseguenziali. A tal fine, occorre prender le mosse dalla norma costituzionale
di cui all'art. 52 Cost., che al 2° comma, nello stabilire che il
servizio militare è obbligatorio nei limiti e nei modi di legge,
aggiunge, poi, che « il suo adempimento non pregiudica la posi zione di lavoro del cittadino ... ».
Il significato e la portata della norma costituzionale sono stati
chiariti dalla Corte costituzionale, che con la fondamentale sen
tenza n. 8 del 16 febbraio 1963 (Foro it., 1963, I, 616) cui è
sostanzialmente conforme Corte cost. 16 maggio 1984, n. 144 (id.,
1984, I, 2425) ha dichiarato la illegittimità costituzionale del 2"
comma dell'art. 1 d.l.c.p.s. n. 303/46, in riferimento alto citata
disposizione dell'art. 52 Cost.
La Corte costituzionale ha, infatti, stabilito che questa disposi zione si riferisce, senza possibilità di dubbio, tanto al servizio
militare di leva, quanto agli eventuali richiami alle armi e ha
osservato che « il concetto di ' posizione di lavoro
' non deve
essere considerato equivalente a quello di ' posto di lavoro ',
cosi da attribuire alla norma costituzionale il solo significato di
garanzia di conservazione dell'occupazione. Viceversa, è un con
cetto molto più ampio che comprende senza dubbio anche il
diritto all'indennità di anzianità, quale ne sia la natura e la
funzione e la sua misura, per cui una qualsiasi disposizione di
legge ordinaria implicante la limitazione del diritto del prestatore di lavoro in conseguenza alto prestazione del servizio militare per
gli obblighi di leva deve essere dichiarata costituzionalmente
illegittima ».
Da tale chiarissima interpretazione consegue che il lavoratore ha diritto di percepire tutti gli aumenti la cui attribuzione sia connessa all'anzianità e alla « posizione di lavoro » intesa in
senso ampio, atteso che su ogni emolumento da corrispondere
trattamento di fine rapporto, Milano, 1984, 129; A. Garilli, L'appli cazione della legge 297, in Contrattazione, n. 5, 45, entrambi con argomentazione analoga a Pret. Parma qui riportata circa il collega mento tra sentenza n. 8 del 1963 della Corte costituzionale (Foro it., 1963, I, 616; v., inoltre, Corte cost. 16 maggio 1984, n. 144, id., 1984, I, 2425), art. 1 1. 297 e art. 2110 e 2111 c.c., e circa l'illegittimità costituzionale, ex art. 52 Cost., dell'esclusione del servizio di leva dal trattamento di fine rapporto che altrimenti ne deriverebbe. Secondo M.
Napoli, Il trattamento di fine rapporto: configurazione dell'istituto e
problemi applicativi, in Contrattazione, cit., 26; Id., Il trattamento di fi ne rapporto nella nuova legge di riforma, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1983, 92, la 1. 297 è neutra sul punto, prevedendo solo quale sia la retribuzione da prendere in considerazione. La disciplina sull'an e sul quantum va invece cercata in altre leggi o nella contrattazione, anche collettiva e, in mancanza, per quel che riguarda quest'ultimo, attraver so l'analogia (per l'utilizzazione della contrattazione collettiva, ma per argomentare ulteriormente il decisum, v. Pret. Parma in epigrafe).
Contra, M. Francescehelli, I principali punti controversi della
legge 297, in Contrattazione, cit., 9, che precisa che la tassatività dell'elencazione può portare a ritenere che si sia voluto escludere dal
computo del trattamento di fine rapporto il periodo di leva, con ciò
prospettando dubbi di costituzionalità in proposito. Dubbi risolti negativamente da E. D'Avossa, Il trattamento di fine
rapporto, in Lavoro SO, 1983, 24, sul rilievo che ormai il trattamento di fine rapporto è agganciato alla retribuzione percepita e non più all'anzianità di servizio e che esso attiene più alla normale retribuzione che alla posizione di lavoro del dipendente. Analogamente, A. Valle
bona, Il trattamento di fine rapporto, Milano, 1984, 77. Per G.
Giugni, R. De Luca Tamajo, G. Ferraro, Il trattamento di fine rapporto, Padova, 1984, 83, 85 e in Nuove leggi civ., 1983, 268, è inclu
so il solo periodo di richiamo alle armi (contra, Vallebona, cit., 77). R. De Luca Tamajo, dubbioso sulla questione (cfr. Le nuove liquidazioni: inquadramento sistematico e difficoltà attuative, in Contrattazione, cit., 15) si è in altra sede (Indennità di anzianità. Nuova disciplina della l. 29 maggio 1982 n. 297. Problemi interpretativi e riflessi sul costo del lavoro, in Mass. giur. lav., 1982, 898) pronunciato per la tesi nega tiva. Pure contrari sono C. Filadoro, Il trattamento di fine rapporto, in Lavoro e prev. oggi, 1982, 1588; A. Vallebona, Il trattamento di fine rapporto per i lavoratori, in Giust. civ., 1982, IV, 379; Id., op. cit., 77. Per uno spunto in tal senso, P. G. Alleva, Legislazione e con trattazione collettiva nel 1981-1982, in Giornale dir. lav. relazioni
ind., 1982, 535. Per problemi vari sul nuovo trattamento di line rapporto di lavoro,
V. la nota di richiami a Trib. Bologna 1° febbraio 1984, Trib. Milano 22 luglio 1983, Trib. Pavia 14 giugno 1983, Pret. Lodi 19 gennaio 1984, Foro it., 1984, I, 2307.
Con riguardo alla previgente disciplina dell'indennità di anzianità, v.
Cass. 1° agosto 1984, n. 4574, in questo fascicolo, I, 2370, con nota
di richiami.
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