sentenza 24 marzo 1986; Pres. Avanzati, Est. Bilancetti; imp. Mealli e altriSource: Il Foro Italiano, Vol. 109, No. 7/8 (LUGLIO-AGOSTO 1986), pp. 431/432-435/436Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23180778 .
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PARTE SECONDA
Ma la definizione dell'attività creditizia come privata e la
conseguente esclusione, in chi la esercita, della qualità di incaricato di pubblico servizio è certa dopo l'entrata in vigore del d.p.r. 350/85; in precedenza, secondo l'interpretazione delle sezioni
unite, la qualità di incaricato di pubblico servizio poteva ricavarsi dall'art. 1 legge bancaria. Sono chiari, a questo punto, i termini del problema giuridico: si tratta di stabilire se la nuova normati
va del d.p.r. 350/85 è meramente interpretativa della peesistente (nel qual caso non vi sarebbe dubbio che fatti — come quello di
specie — anche se connessi anteriormente all'entrata in vigore del
d.p.r. 350/85 non costituirebbero reato) ovvero se si tratta di un
problema di successione di leggi (nel qual caso dovrà accertarsi se la nuova disciplina possa applicarsi a fatti precedentemente connessi).
È nostra convinzione che la disposizione dell'art. 1 d.p.r. 350/85 sia interpretativa della normativa esistente. A questa convinzione conducono alcune considerazioni. Anzitutto non si
può affermare che la preesistente normativa attribuisse la qualità di incaricati di pubblico servizio: a tale definizione si è giunti dopo un lungo periodo di tempo, nel quale non sono mancate decisioni di segno opposto e numerose ordinanze che avevano —
sulla premessa della inesistenza di tale qualità — dubitato della
legittimità costituzionale dell'art. 3f4 c.p.; ed è noto come la
sentenza delle sezioni unite abbia sostanzialmente — con l'ado
zione di un criterio interpretativo valido per tutti gli amministra
tori, dirigenti, dipendenti degli istituti bancari — consentito di
non rilevare quella disparità di trattamento che taluni giudici del
merito avevano dedotto. L'art. 1 legge bancaria si limita ad
affermare che l'attività di raccolta del risparmio e l'esercizio del
credito costituiscono funzioni di interesse pubblico; e lo spazio che separa questa definizione da quella di servizio pubblico è
stato coperto dalle sezioni unite con una argomentazione interpre tativa che ha suscitato in dottrina un vivo dissenso.
D'altronde la legge bancaria è intervenuta assai dopo l'entrata
in vigore dell'art. 358 c.p.; e riesce difficile ritenere che il
legislatore del 1936, se avesse voluto individuare nell'attività bancaria un « servizio pubblico », non abbia fatto ricorso a
formule normative già esistenti e collaudate o, comunque, a
espressioni che non avrebbero consentito margini interpretativi. Nessuno, crediamo, può affermare che « funzione o servizio di
interesse pubblico » sia sinonimo di servizio pubblico; basterebbe, a segnalare l'impossibilità di attribuire alle due espressioni un
identico significato, ricordare che anche il codice penale distingue nettamente il servizio pubblico dal servizio di pubblica necessità
(o — e questa volta si tratta proprio di sinonimo — di pubblico interesse): si veda l'art. 359 c.p. Infine l'art. 1 d.p.r. 350/85 non
modifica il preesistente art. 1 legge bancaria, ma lo interpreta: e che questa fosse la linea suggerita dalla direttiva comunitaria
appare chiaro nei precedenti progetti e, in particolare, da quello approvato dal senato, nel quale si fa esplicito riferimento alla
opportunità di eliminare « distorsioni ed incertezze interpretati ve ». Inoltre va osservato che il legislatore non avrebbe mancato di attuare quella modifica — se essa fosse stata necessaria —
considerando che la sua precedente inattività aveva già comporta to il deferimento dell'Italia alla Corte di giustizia; e che altra
inadempienza bene potrebbe ravvisarsi se si fosse lasciata integra una normativa che è contrastante con la caratteristica di impresa che la direttiva comunitaria aveva indicato come tipica dell'attivi tà creditizia. (Omissis)
TRIBUNALE DI AREZZO; sentenza 24 marzo 1986; Pres.
Avanzati, Est. Bilancetti; imp. Mealli e altri. TRIBUNALE DI AREZZO;
Valore aggiunto (imposta sul) — Bolla di accompagnamento —
Alterazione — Reato — Fattispecie (D.p.r. 6 ottobre 1978 n. 627, norme integrative e correttive del d.p.r. 26 ottobre 1972 n. 633, concernente istituzione e disciplina dell'imposta sul valore aggiun to, in attuazione della delega prevista dall'art. 7 1. 10 maggio 1976 n. 249, riguardante l'introduzione dell'obbligo di emissione
del documento di accompagnamento dei beni viaggianti, art. 7). Valore aggiunto (imposta sul) — Bolla di accompagnamento —
Alterazione — Reato — Sussistenza — Illecito amministrativo —
Esclusione (D.p.r. 6 ottobre 1978 n. 627, art. 7). Valore aggiunto (imposta sul) — Bolla di accompagnamento —
Alterazione — Falsità in scrittura privata — Rapporto di
specialità — Sussistenza (Cod. pen., art. 485; d.p.r. 6 ottobre
1978 n. 627, art. 7).
Ai fini dell'applicazione della fattispecie prevista dall'art. 7, 6°
comma, d.p.r. n. 627/78, la condotta di «alterazione di docu menti » deve essere considerata in relazione alla fase di compi lazione della c.d. bolla di accompagnamento e non a quella di
stampa del modulo, condotta alla quale si riferisce la diversa locuzione «formazione di stampati ». (1)
La alterazione dei dati originariamente indicati nel documento di accompagnamento di beni viaggianti integra il reato di cui al 6" comma dell'art. 7 d.p.r. n. 627/78 e non la semplice vio lazione amministrativa di cui al 1" comma della medesima
disposizione. (2) Sussiste un rapporto da specie a genere fra la fattispecie di al
terazione di bolla di accompagnamento ex art. 7, 6° comma, d.p.r. n. 627/78 e la falsità in scrittura privata di cui all'art. 485 c.p. (3)
Fatto e diritto. — Nel corso di una ispezione effettuata dalla
guardia di finanza nei confronti della s.a.s. Massarotti, di Maria e Matteo Massarrotti, e della s.n.c. Massarrotti, dei predetti soci, con sede entrambe in Castelfranco Veneto, venivano rinvenute diverse bolle di accompagnamento emesse dalle ditte fornitrici alle due società, palesemente alterate.
L'indagine si estendeva quindi a tutte le ditte fornitrici delle due società e si procedeva al sequestro di alcune bolle di
accompagnamento emesse dalla s.d.f. Calzaturificio Rita con sede in Loro Ciuffenna, che risultavano, anche queste, palesemente alterate; ai soci Mealli Lorenzo, Goretti Sergio e Bidini Valeriano veniva quindi contestato il reato di cui al capo di imputazione.
Interrogati questi ultimi dal magistrato in istruttoria, tutti ammettevano che le bolle in contestazione erano alquanto « pa sticciate » relativamente al quantitativo di merce indicato come
trasportato e che tutti indistintamente avevano provveduto alla
compilazione delle bolle.
Venivano, quindi, tutti rinviati a giudizio; all'odierno dibatti mento gli stessi ribadivano quanto già dichiarato, il verbalizzante confermava gli atti assunti, il pubblico ministero ed il difensore dei prevenuti concludevano come da verbale.
Osserva innanzitutto questo collegio, che le bolle in atti evi denziano senza ombra di dubbio una palese alterazione, talora resa ancor più evidente da una grafia diversa da quella usata per la compilazione, e per tutte, relativamente soltanto al quantitativo della merce trasportata.
L'espediente usato per la frode fiscale è ormai noto e col laudato: il mittente compila una bolla indicando, ad esem
pio, « 101 scarpe da donna », quantitativo che realmente con
segna al destinatario, il quale provvede, di regola, con mez zi propri (conducenti sono risultati infatti i soci accoman datari, cfr. rapporto del comando brigata volante di Castel franco Veneto del 27 dicembre 1984) ad effettuare il trasporto.
(1-3) Si tratta di pronuncia che si oppone ad un orientamento interpretativo prevalente sia in dottrina che in giurisprudenza. La diversa qualificazione giuridica dell'alterazione dei dati annotati nella c.d. bolla di accompagnamento era stata affermata originariamente da Trib. Firenze 23 febbraio 1984 (la motivazione è riportata in Giust. pen., 1985, II, 691, n. 2) e Trib. Genova 20 luglio 1984, Foro it., Rep. 1984, voce Valore aggiunto (imposta sul), n. 192 (più di recente cfr. App. Firenze 17 ottobre 1985, Fisco, 1986, 44). L'esclusione del l'applicazione della fattispecie di cui all'art. 7, 6° comma, d.p.r. n. 627/78 in relazione al comportamento in oggetto fu ribadita, in seguito, dalla stessa Cassazione, che, con ord. 22 dicembre 1985, ibid., 1027, ha però anche dichiarato la punibilità del fatto in base alle norme del codice penale sulla falsità in scrittura privata (art. 485).
In senso contrario a quanto deciso in questo caso dai Tribunale di Arezzo si sono altresì pronunciati Bertozzi, Un nuovo reato: la falsità in bolle di accompagnamento, in Riv. pen., 1979, 210; Furia, Iva: i reati di falsità in materia di documenti di accompagnamento dei beni viaggianti, in Bollettino trib., 1979, 280; Lo Giudice, Alterazione dei documenti di accompagnamento e registratori di cassa, in Fisco, 1986, 322; Traversi, Alterazione di bolla di accompagnamento « in itine re»: reato o illecito amministrativo?, in Giust. pen., 1985, II, 691. Per una opinione conforme v. però Ferro, Bolle di accompagnamento. Concorso di reati e competenza per territorio, in Fisco, 1985, 3071.
Con specifico riferimento ad un caso identico a quello verificatosi nella specie v. D'Avirro-Nannucci, I reati nella legislazione tributa ria, Padova, 1984, 507.
Per un'analisi più generale della nuova fattispecie di alterazione delle bolle di accompagnamento, introdotta con la 1. n. 516/82, cfr. Antolisei, Manuale di diritto penale, Leggi complementari, Milano, 1985, 674; L. Mazza, I reati in materia di stampa abusiva e di omessa annotazione di bolla di accompagnamento e ricevute fiscali, in Società, 1984, 691; Tagliarini, I delitti in materia tributaria, in Indice pen., 1984, 13; Traversi, I nuovi reati tributari, Milano, 1982, 102.
Il Foro Italiano — 1986.
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GIURISPRUDENZA PENALE
Se nel corso del viaggio non vi è stato alcun controllo, il
destinatario, d'accordo col mittente, rispedisce a questi l'esemplare della bolla in suo possesso perché provveda a correggerla — e
sovrapponendole è possibile ottenere un risultato apprezzabile per mascherare la successiva alterazione — modificando l'ultima cifra — e cioè l'uno — che ben si presta ad essere trasformata nella
lettera « P » e con l'aggiunta della successive lettere « aia » si
avrà il risultato che dall'originaria indicazione di « 101 » si avrà
quella di « 10 paia ». È evidente che la falsificazione perpetrata consentiva di emettere la fattura per 10 paia anziché per 101 e di
evadere sia l'imposta sul valore aggiunto che quella sul reddito, relativamente al maggior quantitativo di merce che era oggetto dell'operazione in questione.
A conforto della contestata alterazione, va altresì aggiunta —
oltre quanto già evidenziato — la circostanza, anch'essa significa tiva, che la parola « paia » in tutte le bolle in sequestro compare
per metà sotto la colonna indicante il quantitativo e per l'altra
sotto quella relativa alla descrizione della merce anziché intera mente sotto quest'ultima, come sarebbe più naturale.
Sulla pretesa buona fede non è il caso di spendere parole dal
momento che appare evidente l'interesse di tutti i soci, dei quali, peraltro, nessuno si è dichiarato estraneo a questi presunti « pasticci » e tutti relativi solo al quantitativo della merce tra
sportata.
Inoltre, le fatture emesse sul presupposto di quanto risultava a
seguito dell'alterazione delle bolle toglie ogni residuo eventuale dubbio in proposito.
Se la situazione di fatto è stata acclarata senza particolare difficoltà, più delicata è la questione che si pone — ed è stata sollevata dalla difesa degli imputati — in punto di diritto ed in
particolare se nel caso riscontrato sussista il delitto di cui al capo di imputazione.
Taluni, sia in dottrina che in giurisprudenza (vedasi a questo ultimo proposito, sia la sentenza del Tribunale di Genova del 20
luglio 1984, Foro it., Rep. 1984, voce Valore aggiunto (imposta), n. 192, sia, da ultimo, anche l'ordinanza 22 dicembre 1985 n. 2873 della Suprema corte di cassazione che, incidentalmente, ha lambito la questione) ritengono che la fattispecie delittuosa di cui all'ultimo comma dell'art. 7 d.p.r. n. 627/78 si riferisca alla falsificazione non delle bolle di accompagnamento già compilate bensì dello stampato predisposto a tale scopo. La norma in
parola prevede: « chiunque forma in tutto o in parte o altera
stampati, documenti o registri previsti dal presente decreto ... o consente che altri ne faccia uso al fine di eludere le disposizioni del presente decreto, è punito ... alla stessa pena soggiace chi, senza essere concorso nella falsificazione, fa uso, agli stessi fini, dei documenti di cui al presente comma ».
Ritiene questo tribunale che il dato letterale non dovrebbe lasciare dubbi. Il termine « documento » è sempre stato usato dal
legislatore penale nel significato non già del materiale, normal mente cartaceo, bensì del contenuto, di regola scritto, ivi riporta to. La normativa del codice penale sul falso, ideologico e
materiale, ha un senso con riguardo a questo secondo significato. In materia fiscale ed in particolare con riferimento al d.p.r. 627/78 si presuppone una base materiale cartacea già predisposta con talune indicazioni scritte, da integrare dal compilatore (mit tente, vettore o destinatario). Secondo la tesi difensiva la fal
sificazione attinente allo stampato, soltanto, sarebbe prevista dal l'art. 7, ult. comma, d.p.r. citato.
Si obietta, innanzitutto, che il legislatore, letteralmente, ha inteso sanzionare la condotta falsificatoria relativa sia agli « stam
pati » che ai « documenti » e siccome sia in altre parti dello stesso decreto che in altre norme successive (v. 1. 7 agosto 1982 n. 516) ha sempre correttamente individuato e distinto le due
espressioni, non si ha motivo per dubitare che in questa previsio ne sia ricompresa anche quella relativa al documento vero e
proprio, cioè quello compilato secondo le indicazioni di cui all'art. 1 d.p.r. menzionato.
La normativa in parola concerne « l'introduzione dell'obbligo di
emissione del documento di accompagnamento dei beni viaggian ti »; tra questi, l'art. 1 comprende anche le bolle di accom
pagnamento. Si legge nel 2° comma dell'art. 1 : « il documento
deve essere datato e numerato progressivamente e deve contenere
in ogni caso le seguenti indicazioni... »; al 3° comma: « il
documento deve essere emesso in tre esemplari, firmati per ricevuta... uno degli esemplari è conservato dal mittente, gli altri due sono ritirati dal vettore che, previa sottoscrizione del destina
tario, ne conserva uno e consegna l'altro al destinatario medesimo
contemporaneamente ai beni trasportati; la sottoscrizione del
vettore spiega effetto come attestazione delle indicazioni... ».
L'art. 2 cosi dichiara: «per i beni in entrata nel territorio
doganale, il documento previsto dall'art. 1 è sostituito dalle
bollette di importazione definitiva ovvero da altro documento
doganale... ».
Identiche espressioni sono usate negli articoli seguenti. Ancor più illuminante sul diverso significato da attribuire alla
parola « stampato » ed a quella « documento » che compaiono entrambe nell'art. 7, ult. comma, stesso d.p.r., è poi l'art. 5 che
prevede espressamente al 1° comma: « con decreto del ministero delle finanze sono stabilite le caratteristiche degli stampati per la
compilazione dei documenti di cui agli art. 1 e 3 ... »; e al 2° comma: « il ministro per le finanze può prescrivere che i documenti di cui al 1° comma siano redatti su stampati forniti dall'amministrazione finanziaria... ».
Ritenere che le espressioni usate dal legislatore siano equivoche ci pare proprio insostenibile.
Non v'è dubbio che l'interesse dell'amministrazione finanziaria sia quello di scoraggiare sia la falsificazione dello stampato predisposto sia del documento risultante dalla compilazione del
primo; entrambi sono rivolti a favorire un più rigoroso controllo — e la dettagliata normativa ne è la riprova — sulle operazioni fiscalmente rilevanti.
Tutta la legislazione in materia pare confermare tale fin troppo apparente interpretazione letterale.
Il d.p.r. 29 novembre 1978, contenente « norme di attuazione delle disposizioni di cui al d.p.r. 6 ottobre 1978 n. 627, concer nente l'introduzione dell'obbligo di emissione del documento di
accompagnamento dei beni viaggianti », all'art. 1 stabilisce te stualmente: « il documento di cui all'art. 1 d.p.r. 6 ottobre 1978 n. 627, se costituito da bolla di accompagnamento, deve essere emesso in triplice esemplare utilizzando stampati sostanzialmente conformi agli allegati A e B del presente decreto ». Cosi pure la successiva normativa di cui al d.l. 10 luglio 1982 n. 429, convertito, con modificazioni, nella 1. 7 agosto 1982 n. 516, ampliando le fattispecie penali, all'art. 3, dichiara: « è punito .. a) chiunque, in mancanza delle prescritte autorizzazioni, stam
pa o fornisce stampati per la compilazione dei documenti di
accompagnamento; b) chiunque acquista... gli stampati di cui alla lett. a). È punito... chi stampa... stampati per la compila zione dei documenti di accompagnamento ... »; al successivo art. 4, 1° comma, stabilisce: «è punito ... chiunque ... 1) allega... o, comunque, rilascia o utilizza documenti contraffatti o alterati ». Anche in questa legge appare fin troppo chiara la tradizionale distinzione concettuale espressa dai termini « stampato » e « do cumento ».
Il primo criterio ermeneutico (art. 12, 1° comma, 1° parte, disp. sulla legge in generale) non lascia dubbi sul senso da attribuire alle predette espressioni che è quello « fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse ».
Con assoluta uniformità (oltreché proprietà) di linguaggio il
legislatore in subiecta materia ha quindi dato al termine « docu mento » il significato di contenuto risultante dalla compilazione del supporto cartaceo, mentre quest'ultimo, opportunamente predisposto con apposito modulo, è sempre stato individuato con
l'espressione « stampato ».
Per far caducare tale interpretazione solidamente ancorata al dato letterale, univoco e reiterato, occorrerebbe che, nella « so la » ipotesi criminosa di cui all'anzidetto art. 7, ult. comma, d.p.r. 627/78, il legislatore avesse inteso invece riferirsi ad un significa to nuovo e diverso delle due predette espressioni. Dovremmo ritenere poi che il legislatore, oltre che esprimersi in senso
improprio e in modo difforme dal solito, si sia inspiegabilmente ripetuto: infatti, come sopra richiamato, si punisce « chiunque for ma ... o altera stampati, documenti o registri », laddove i primi due, dei tre ipotizzati, oggetti delle falsificazioni, non si capirebbe bene in cosa si distinguerebbero tra loro.
Di fronte a tale inequivoco dato letterale non si rinviene alcuna « intenzione del legislatore » (v. art. 12 disp. sulla legge in
generale), intesa in senso oggettivo, che dovrebbe giustificare una diversa interpretazione.
Ritiene questo collegio che l'esigenza alla quale si è inteso
provvedere per consentire un più rigoroso controllo in un settore ove l'evasione è oltremodo diffusa è di sanzionare penalmente non solo la falsificazione del modulo in bianco, cioè lo « stampa to », ma altresì quella — certamente più diffusa e più pericolosa — concernente il modulo già compilato, divenuto cioè il « docu mento ».
Tale esigenza è stata poi avvertita anche nella successiva 1.
516/82 ove le anzidette ipotesi sono state disciplinate in modo autonomo e più articolato, ampliandone peraltro l'ambito di
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PARTE SECONDA
operatività, rispettivamente all'art. 3 ed all'art. 4, n. 1, sopra richiamati.
Seguendo la tesi qui criticata il fatto contestato nella rubrica
sarebbe riconducibile nella previsione del 1° comma, e quindi sanzionato come illecito amministrativo, anziché in quello di cui
all'ult. comma, sempre dell'art. 7 d.p.r. 627/78, che lo configura invece come delitto.
L'art. 7, 1° comma, non può ricomprendere il fatto per cui si
procede perché questa norma, oltre alla totale omissione della
compilazione, prevede l'originaria compilazione inesatta del docu
mento e, più in particolare, l'indicazione della merce trasportata in quantità diversa; il caso in esame, invece, presuppone una
indicazione esatta -fin dall'origine del quantitativo di merce tra
sportata che viene alterata solo successivamente al trasporto, allorché cioè il documento ha esaurito la sua naturale funzione
(che è di « accompagnamento dei beni viaggianti »).
In altri termini, l'ipotesi delittuosa presuppone il falso materia
le (« forma in tutto o in parte od altera ») mentre, rientra
nell'illecito amministrativo il falso ideologico (« ... inesatta compi lazione dei documenti... o indica su di essi beni diversi... o li
indica in quantità diversa ») inteso, il primo, nel senso di non
genuino e, il secondo, come non veridico.
Potrebbe obiettarsi all'interpretazione preferita che la falsifica
zione materiale del documento verrebbe ad essere punita più
gravemente della totale omessa compilazione dello stesso: cioè
chi viaggia senza documenti di sorta (intesa l'espressione nel
senso sopra precisato di stampato compilato) verrebbe punito meno gravemente di chi altera, in parte, il documento od usa il
documento alterato. Ad un più attento esame questa apparente
illogicità trae la sua giustificazione nella maggior pericolosità della seconda condotta rispetto alla prima. Chi trasporta merce
senza documento di accompagnamento è più facilmente persegui bile dagli organi di controllo; chi usa un tal documento regolare e poi, superato il controllo, lo altera, oltre a dimostrare una
maggior capacità a delinquere è certamente meno esposto al ri
schio di essere scoperto ed ha inoltre più probabilità di eludere
la norma fiscale, con conseguente maggior possibilità di ledere gli interessi protetti da questa normativa.
Non può, in ultimo, condividersi neppure l'opinione — espressa nell'anzidetta ordinanza della Suprema corte di cassazione —
secondo la quale il patto contestato in rubrica integrerebbe il
reato di cui all'art. 485 c.p., peraltro punibile, a seguito dell'introduzione dell'art. 493 bis c.p. da parte della 1. 24 novem
bre 1981 n. 689, solo a querela di parte. Le espressioni usate in detto articolo per indicare la falsifica
zione coincidono con quelle della norma contestata: « chiun
que ... forma in tutto o in parte una scrittura privata falsa o
altera una scrittura privata vera, è punito...» (art. 485 c.p.). « Chiunque, forma in tutto o in parte o altera, stampati, docu
menti o registri previsti dal presente decreto...» (art. 7, ult.
comma, d.p.r. 627/78), cosi come l'ultima parte di questo articolo
coincide sostanzialmente con la fattispecie di cui all'art. 489 c.p.
(uso di atto falso). Una prima diversità è data dall'oggetto della
falsificazione nel senso che la previsione del codice penale è più ampia ed assorbente di quella della normativa fiscale; gli stampa
ti, documenti e registri sono senz'altro una species limitata del
vasto genus della scrittura privata. Tale assunto, fondamentale
per l'esatta configurazione del fatto in esame, presuppone che le
bolle di accompagnamento sono da considerare a tutti gli effetti
scritture private in quanto formate da privati in adempimento di
un mero obbligo documentario di natura fiscale, cosi come lo
sono inequivocabilmente le fatture e le scritture contabili. Il
problema si era posto, in effetti, a seguito della decisione delle
sezioni unite (sentenza del 29 ottobre 1983, Mario, id., Rep. 1984, voce Idrocarburi, nn. 21, 22). Secondo la quale: « il modello H ter
16 del modulario generale delle dogane e delle imposte dirette, necessario per legittimare il trasporto degli olii minerali, è un atto
pubblico e il soggetto che lo rilascia è un pubblico ufficiale anche
qualora sia un privato esercente di deposito libero di olio
minerale per uso commerciale, legalmente autorizzato al rilascio
dai competenti uffici dell'amministrazione finanziaria ». L'equipa razione non ha, però, alcun pregio dal momento che la bolla di
accompagnamento ha ben altra finalità rispetto all'H ter 16 e
soprattutto non vi è quella espressa quanto eccezionale autorizza
zione fatta dall'amministrazione pubblica al privato, di sostituirla
nell'emanazione di atti fidefacienti. L'altro elemento discriminato
re tra le due fattispecie normative in esame è la finalità della
falsificazione: al generico scopo « di procurare a sé o ad altri un
vantaggio », di cui all'art. 485 c.p., l'art. 7 d.p.r. 627/78 sostitui
sce quello più specifico e pertinente alla speciale normativa
tributaria: « di eludere le disposizioni del presente decreto ». Non
v'è dubbio che questo fine rientra in quello più generale di
assicurare un vantaggio all'autore della falsificazione. È agevole a
questo punto dirimere l'apparente conflitto di norme secondo il
principio di specialità di cui all'art. 15 c.p. Tale principio ricorre,
infatti, per costante giurisprudenza (cfr. Cass. 5 gennaio 1974,
Rotunno, id., Rep. 1975, voce Concorso di reati, n. 2) allorché
una delle norme (c.d. speciale) presenti nella sua struttura tutti
gli elementi propri dell'altra (c.d. generale) oltre a quelli caratte
ristici della specializzazione; in altri termini le due disposizioni debbono presentarsi come centri concentrici di raggio diverso,
per cui quello più ampio abbracci interamente in sé quello
minore, presentando inoltre un settore residuo destinato ad acco
gliere i requisiti aggiuntivi della specialità. Come sopra evidenzia
to l'art. 485 c.p. rappresenta la norma generale mentre l'art. 7, ult. comma, d.p.r. 627/78 configura quella speciale che, pertanto, deve prevalere nell'apparente conflitto.
In conclusione, quindi, sussiste il delitto continuato come
contestato ed i tre imputati vanno dichiarati responsabili a tale
titolo. (Omissis)
I
TRIBUNALE DI ORISTANO; sentenza 18 dicembre 1985; Pres.
Segneri, Est. Barbalinardo; imp. Sanna.
TRIBUNALE DI ORISTANO;
Radiotelevisione e servizi radioelettrici — Esercizio di impianto ricetrasmittente sulla banda cittadina senza concessione ammini
strativa — Reato — Sussistenza (D.p.r. 29 marzo 1973 n. 156, t.u. delle disposizioni legislative in materia postale, di bancoposta e di telecomunicazioni, art. 195, 322; 1. 14 aprile 1975 n. 103, nuove norme in materia di diffusione radiofonica e televisiva, art.
45).
Integra gli estremi del reato di cui all'art. 195 cod. postale l'esercizio di apparecchio radioelettrico ricetrasmittente di debo
le potenza sulla banda cittadina (cosiddetta C.B.) in mancanza
della prescritta concessione. (1)
II
PRETURA DI CASSINO; sentenza 5 luglio 1985; Giud. Maglioc
CA; imp. Capocci.
Radiotelevisione e servizi radioelettrici — Esercizio di impianto ricetrasmittente sulla banda cittadina senza concessione ammini
trativa — Reato — Insussistenza (D.p.r. 29 marzo 1973 n. 156, art. 195, 403; 1. 14 aprile 1975 n. 103, art. 45).
Non costituisce reato l'esercizio di apparecchio radioelettrico
ricetrasmittente di debole potenza sulla banda cittadina (cosid detta C.B.) in mancanza della prescritta concessione. (2)
(1-2) A breve distanza da Pret. Palermo 26 febbraio 1985 e Pret. Modena 13 novembre 1984, Foro it., 1985, II, 349, con nota di
Paganelli, le due pronunce in epigrafe ripropongono la vexata quae stio della libertà d'antenna, rivendicata a gran voce da quella fascia di utenza meglio nota con la sigla di C.B. che da tempo, e a ranghi sempre più folti, intreccia comunicazioni, per svago o per esigenze di
lavoro, nell'etere cittadino, grazie all'impiego di impianti ricetrasmitten ti di debole potenza. Ed ancora una volta, nel solco di quell'« anarchia
programmatica » che ha caratterizzato gli ultimi due lustri di storia dell'emittenza radiotelevisiva, ad un verdetto assolutorio fa eco un
provvedimento di condanna. A tal riguardo, non può meravigliare il fatto che il contrasto maturi nel segno dell'autorevole caveat intimato
da Corte cost. 30 luglio 1984, n. 237, id., 1984, I, 2049, con nota di
Pardolesi, nella quale, pur dichiarandosi infondata la questione, nei termini in cui era stata posta, sulla disparità di trattamento tra il
regime di libertà di cui godono le emittenti radiotelevisive e quello vincolato a carico degli operatori C.B., non sono fugati in toto i dubbi circa la residuale vigenza dell'art. 195 cod. postale in riferimento agli apparecchi ricetrasmittenti de quibus. Tant'è che, mentre per i giudici sardi va esclusa (cosi capovolgendosi l'esito del processo di primo grado) una qualsiasi scappatoia che permetta al « cibbista » di vestire
panni diversi da quelli, desumibili dalla disciplina vigente, di (ultimo) « pirata dell'etere », per il Pretore di Cassino c'è margine per postulare una tesi assolutoria predicata sul « potere del giudice ordinario di
interpretare la legge in relazione al caso concreto ». Di più, secondo
quest'ultima direttiva, il cibbista è sgravato anche dall'obbligo, ex art. 403 cod. postale, di denunciare l'esercizio dell'impianto alla competente autorità statale, in forza della dichiarata inidoneità dello stesso a
causare disturbi radioelettrici ad altre apparecchiature installate nelle
Il Foro Italiano — 1986.
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