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sentenza 24 novembre 1992, n. 470 (Gazzetta ufficiale, 1aserie speciale, 2 dicembre 1992, n. 50);...

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sentenza 24 novembre 1992, n. 470 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 2 dicembre 1992, n. 50); Pres. Corasaniti, Est. Cheli; Pres. cons. ministri (Avv. dello Stato Favara) c. Regione Veneto (Avv. Bertolissi, Sorrentino) Source: Il Foro Italiano, Vol. 116, No. 9 (SETTEMBRE 1993), pp. 2449/2450-2453/2454 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23187709 . Accessed: 25/06/2014 08:10 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 185.2.32.106 on Wed, 25 Jun 2014 08:10:16 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Page 1: sentenza 24 novembre 1992, n. 470 (Gazzetta ufficiale, 1aserie speciale, 2 dicembre 1992, n. 50); Pres. Corasaniti, Est. Cheli; Pres. cons. ministri (Avv. dello Stato Favara) c. Regione

sentenza 24 novembre 1992, n. 470 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 2 dicembre 1992, n.50); Pres. Corasaniti, Est. Cheli; Pres. cons. ministri (Avv. dello Stato Favara) c. Regione Veneto(Avv. Bertolissi, Sorrentino)Source: Il Foro Italiano, Vol. 116, No. 9 (SETTEMBRE 1993), pp. 2449/2450-2453/2454Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23187709 .

Accessed: 25/06/2014 08:10

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Ritenuto che, nel corso di un procedimento civile promosso dalla s.a.s. assicurazioni Bondon contro l'Inps per far accertare

il proprio diritto a pagare i contributi alla Cassa unica per gli

assegni familiari (Cuaf) nella misura ridotta di cui all'art. 20, 1° comma, n. 1, d.l. 2 marzo 1974 n. 30, convertito nella 1.

16 aprile 1974 n. 114 (modificato dalle leggi 3 giugno 1975 n.

160, art. 11 e 21 dicembre 1978 n. 845, art. 25), con conseguen te condanna del convenuto a restituire le somme versate in ecce

denza dal giugno 1982 a tutto il 1987, il Pretore di Torino, con ordinanza del 10 aprile 1992, ha sollevato, in riferimento

all'art. 3 Cost., questione di legittimità costituzionale dell'art.

2, 16° comma (recte «15°», stante la soppressione del 9° com

ma operata in sede di conversione), del d.l. 9 ottobre 1989 n.

338, convertito nella 1. 7 dicembre 1989 n. 389, secondo il quale «le disposizioni di cui al n. 1) del 1° comma dell'art. 20 d.l.

n. 30 del 1974 devono essere intese nel senso che il beneficio

previsto per i datori di lavoro iscritti negli elenchi nominativi

degli esercenti attività commerciale di cui alla 1. 27 novembre

1960 n. 1397, e successive modificazioni e integrazioni, non si

applica agli agenti di assicurazione»;

che, ad avviso del giudice rimettente, la disposizione denun

ciata, essendo intervenuta in una materia in cui si era formato

un «diritto vivente» univoco nel riconoscere il detto beneficio

anche agli agenti di assicurazione, non può definirsi di interpre tazione autentica, ma ha natura di norma innovativa dotata di

retroattività, onde sotto questo profilo, in quanto incide su ob

blighi contributivi già scaduti, essa appare viziata di illegittimità costituzionale per contrasto col principio di ragionevolezza di

cui all'art. 3 Cost.;

che, nel giudizio davanti alla corte, si è costituita la ricorren

te condividendo e integrando con altri argomenti la prospetta zione del giudice a quo, della quale sottolinea la diversità ri

spetto alla questione decisa da questa corte con la sent. n. 586

del 1990 (Foro it., Rep. 1991, voce Previdenza sociale, n. 474)

e concludendo per una dichiarazione di fondatezza. In partico lare la parte privata ritiene improprio il termine «beneficio»

usato dalla norma in esame, atteso che già precedentemente alla

riforma del 1974 i lavoratori autonomi erano assoggettati al pa

gamento di contributi Cuaf distinti da quelli dovuti dagli altri

datori di lavoro non agricoli; che l'Inps si è costituito fuori termine;

che è intervenuto il presidente del consiglio dei ministri, rap

presentato dall'avvocatura dello Stato, chiedendo che la que

stione sia dichiarata infondata, posto che la disposizione impu

gnata non ha creato un nuovo obbligo contributivo, ma si è

limitata a ristabilire l'esatta portata della norma preesistente. Considerato che la natura di norma interpretativa, per sè com

portante l'efficacia retroattiva dell'art. 2, 16° comma, d.l. n.

338 del 1989 è già stata riconosciuta da questa corte nella sen

tenza n. 586 del 1990, che ha ritenuto giustificati l'inquadra

mento comune degli agenti di commercio e degli agenti di assi

curazione ai fini della previdenza sociale in loro favore e, al

contrario, la separazione dei secondi dai primi ai fini dell'am

missione alla contribuzione agevolata alla Cuaf in favore dei

loro dipendenti. Poiché l'art. 20, 1° comma, n. 1 d.l. n. 30

del 1974, per l'ambiguità della sua formulazione, aveva dato

luogo, col passare del tempo, al formarsi di una interpretazione

estensiva contraria alla sua ratio, il legislatore del 1989 è inter

venuto per disconoscere il fondamento di tale applicazione esten

siva precisando che nella disposizione del 1974 la locuzione «da

tori di lavoro commercianti» va intesa, per quanto attiene agli

ausiliari (autonomi) del commercio, nel senso stretto e proprio

di cui all'art. 2195, nn. 2 e 5, c.c., escludente gli agenti di assi

curazione;

che, nella giurisprudenza della Corte di cassazione il carattere

di norma di interpretazione autentica dell'art. 2, 16° comma,

d.l. n. 338 del 1989 «è ormai ius receptum» (sentenze nn. 9899

del 1990, ibid., n. 472; 383 e 3702 del 1992, id., Rep. 1992, voce cit., nn. 440, 436), cosi che su questo punto la citata sen

tenza della Corte costituzionale n. 586 del 1990 è stata conside

rata una «presa d'atto del diritto vivente» (Cass. n. 383 del

1992, cit.); che l'argomento contrario addotto dal giudice a quo si fonda

su una nozione riduttiva, generalmente abbandonata, dell'isti

tuto dell'interpretazione autentica. Dire che «va riconosciuto ca

rattere interpretativo soltanto a una legge che, fermo il tenore

testuale della norma interpretata, ne chiarisce il significato ov

II Foro Italiano — 1993.

vero privilegia una tra le tante interpretazioni possibili» (senten ze nn. 155 del 1990, id., 1990, I, 3072; 246 del 1992, id., 1992, I, 2601; ord. n. 205 del 1991, id., Rep. 1991, voce Circolazione

stradale, n. 141), non implica che questo tipo di intervento legi slativo sia ammissibile soltanto in una situazione di incertezza

nell'applicazione del diritto o di conflitto di interpretazioni. È

necessario e sufficiente che la scelta ermeneutica imposta dalla

legge interpretativa rientri tra le possibili varianti di senso (scil.

compatibili col tenore letterale) del testo interpretato, cioè sta

bilisca un significato che ragionevolmente poteva essere ascritto

alla legge anteriore: entro questo limite (indubbiamente rispet tato nella specie, come dimostra la sent. n. 1266 del 1984, id.,

Rep. 1984, voce Previdenza sociale, n. 397 della Corte di cassa

zione, la cui interpretazione rigorosamente letterale, disattesa

dalla giurisprudenza successiva, è stata imperativamente ripri stinata dalla norma in esame), e sempre che non risulti l'inten

zione di incidere direttamente su concrete fattispecie sub iudice

(il che nella specie è implicitamente escluso dall'ordinanza di

rimessione, la quale non richama gli art. 101, 102 e 104 Cost.), «non è contestabile la legittimità del ricorso a tale forma di

produzione giuridica da parte del legislatore anche in presenza di un indirizzo omogeneo della Corte di cassazione, istituzional

mente investita del potere nomofilattico» (Cass. n. 2740 del 1992,

id., Rep. 1992, voce cit., nn. 286, 906). In questo caso lo stru

mento dell'interpretazione autentica è usato dal legislatore per rimediare a un'opzione interpretativa consolidata nella giurispru denza in un senso divergente dalla linea di politica del diritto

da lui giudicata più opportuna. Visti gli art. 26, 2° comma, 1. 11 marzo 1953 n. 87 e 9, 2°

comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte

costituzionale.

Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara la manife

sta infondatezza della questione di legittimità costituzionale del

l'art. 2, 16° comma (divenuto 15° in seguito alla soppressione

del 9° comma operata in sede conversione), d.l. 9 ottobre 1989

n. 338 (disposizioni urgenti in materia di evasione contributiva, di fiscalizzazione degli oneri sociali, di sgravi contributivi nel

Mezzogiorno e di finanziamento dei patronati), convertito, con

modificazioni, nella 1. 7 dicembre 1989 n. 389, sollevata, in ri

ferimento all'art. 3 Cost., dal Pretore di Torino con l'ordinan

za indicata in epigrafe.

CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 24 novembre 1992, n.

470 (Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 2 dicembre 1992,

n. 50); Pres. Corasaniti, Est. Cheli; Pres. cons, ministri (Aw.

dello Stato F avara) c. Regione Veneto (Avv. Bertolissi, Sor

rentino).

Regione — Veneto — Referendum consultivi — Referendum

su proposta di legge statale per la modifica dell'ordinamento

regionale — Incostituzionalità (Cost., art. 121, 123, 138; sta

tuto della regione Veneto, art. 47).

È illegittima, per violazione degli art. 121, 2° comma, e 138

Cost., la delibera legislativa riapprovata dal consiglio regio

nale del Veneto in data 5 marzo 1992, relativa al referendum consultivo in merito alla presentazione di proposta di legge

statale per la modifica di disposizioni concernenti l'ordina

mento delle regioni. (1)

(1) La Corte costituzionale torna, a distanza di pochi anni, a precisa re i limiti che incontra nel nostro ordinamento costituzionale il referen

dum consultivo regionale, ribadendo l'esigenza di evitare il rischio che

esso possa influire negativamente sull'ordine costituzionale e politico dello Stato. Cosi la dichiarazione di incostituzionalità è motivata nella

considerazione che un referendum consultivo quale quello previsto dal

la regione Veneto non avrebbe potuto non esercitare la propria influen

za nelle successive fasi del procedimento di formazione della legge sta

tale fino a condizionare scelte riservate agli organi centrali dello Stato.

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2451 PARTE PRIMA 2452

Diritto. — 1. - Forma oggetto di impugnativa la delibera legis lativa approvata, in seconda lettura, dal consiglio regionale del

Veneto il 5 marzo 1992, recante «referendum consultivo in me

rito alla presentazione di proposta di legge statale per la modifi

ca di disposizioni costituzionali concernenti l'ordinamento delle

regioni». Con tale delibera la regione ha previsto: a) l'indizio

ne, ai sensi del 1° comma dell'art. 47 dello statuto regionale del Veneto, di un referendum consultivo a carattere regionale in merito alla presentazione, ai sensi dell'art. 121 Cost., di una

proposta di legge statale per la modifica delle disposizioni costi

tuzionali concernenti l'ordinamento delle regioni (art. 1); b) l'e

nunciazione del quesito da sottoporre agli elettori, dove vengo no enunciati i principi cui la proposta di revisione costituziona

le dovrebbe ispirarsi (art. 3, 1° comma): c) alcune prescrizioni relative ai tempi, alle modalità ed alla copertura dei costi dell'i

niziativa (art. 1, 2° comma, 3 e 4). La delibera in questione è stata impugnata dal presidente del

consiglio dei ministri con riferimento all'art. 123 Cost., che rin

via agli statuti regionali la disciplina dei referendum su leggi e provvedimenti amministrativi delle regioni, nonché all'art. 47, 1° comma, dello statuto regionale del Veneto, dove si prevede la possibilità di indizione, da parte del consiglio regionale, di

referendum consultivi «delle popolazioni interessate a provvedi menti determinati». Ad avviso del ricorrente, infatti, il referen

dum di cui è causa, avendo ad oggetto una proposta di legge statale di revisione costituzionale, non potrebbe considerarsi ri

ferito né ad un atto proprio della regione, né ad un «provvedi mento» di portata «determinata», incidente su interessi di sog

getti collegati ad un'area delimitata al territorio regionale. Do

po aver richiamato i principi enunciati da questa corte, in tema

di referendum consultivi regionali, con la sentenza n. 256 del

1989 (Foro it., 1990, I, 385) il ricorso deduce altresì la violazio

ne degli art. 121 e 138 Cost., dal momento che l'iniziativa legi slativa delle regioni non potrebbe estendersi anche alle leggi co

stituzionali né potrebbe, in ogni caso, risultare rafforzata da

un referendum consultivo regionale, senza alterare il procedi mento di revisione costituzionale sancito dalla stessa Costituzione.

2. - Va innanzitutto esclusa la fondatezza del profilo concer

nente la violazione dell'art. 121 Cost., in relazione alla previsio

ne, espressa con la delibera impugnata, di una iniziativa regio nale riferita ad una legge statale non ordinaria, ma di revisione

costituzionale.

In proposito, va ricordato che l'art. 121 Cost., nel conferire

ai consigli regionali il potere di fare proposte di legge alle came

re, non ha introdotto nei confronti di tale potere limitazioni

riferite alla forza, ordinaria o costituzionale, dell'atto normati

vo che la regione intenda proporre. Né tali limitazioni potreb bero essere desunte, sia pure indirettamente, dalla disciplina ge nerale che l'art. 71 Cost, ha posto in tema di soggetti legittimati

Da sottolineare anche le affermazioni attraverso le quali la corte ha escluso che l'art. 121 Cost., nel conferire ai consigli regionali il potere di fare proposte di legge, abbia fatto ciò limitatamente alle leggi ordi narie ed ha precisato che l'interesse connesso alla iniziativa nei cui con fronti la regione ha inteso attivare la procedura referendaria può ben riferirsi ai contenuti di una riforma generale, come quella del caso in

esame, che venga ad investire lo stesso impianto dello Stato regionale e l'ordinamento delle competenze regionali nel suo complesso.

Dei referendum consultivi regionali e dei limiti all'esercizio degli stes si la Corte costituzionale si era già occupata nella sent. 18 maggio 1989, n. 256 (Foro it., 1990, I, 385, con nota di richiami), decidendo che non spetta alla regione Sardegna indire referendum consultivi in mate rie riguardanti l'attività politica internazionale e la difesa militare. La decisione è commentata da Barrera e Lippolis, in Giur. costit., 1989, I, 1194, da Bettinelli, in Regioni, 1990, 1292 e da Salerno, in Giur.

it., 1990, I, 1, 1064. Nel senso che esula dalla giurisdizione del giudice amministrativo,

per rientrare in quella dell'autorità giudiziaria ordinaria, il ricorso pro posto dai promotori del referendum regionale contro la deliberazione di inammissibilità dello stesso, v. Tar Abruzzo 4 settembre 1990, n.

421, Foro it., Rep. 1991, voce Regione, n. 129; Tar Toscana, sez. I, 7 dicembre 1989, n. 982, id., Rep. 1990, voce cit., n. 140; Cons. Stato, sez. VI, 31 marzo 1987, n. 194, id., 1987, III, 481, con nota di richia mi. Sul punto, in dottrina, v. Falcon, in Regioni, 1983, 264; Calvieri, in Giur. costit., 1988, II, 1587.

In generale, sul referendum regionale, v. pure Salerno, Il referen dum, 1992, spec. 216 ss.; Scudiero, Il referendum regionale, in Refe rendum a cura di Luciani e Volpi, 1992, 137 ss.

Il Foro Italiano — 1993.

all'esercizio dell'iniziativa delle leggi dello Stato, dove non si

opera alcun riferimento alla forza dell'atto che viene proposto. Ed è proprio la considerazione di tale quadro normativo che

ha condotto questa corte a riconoscere, nella sentenza n. 256

del 1989, cit., la spettanza al consiglio regionale, ai sensi del

l'art. 121, 2° comma, Cost., del potere di presentazione alle

camere di proposte di legge anche in tema di revisione costitu

zionale.

3. - Del pari, non merita accoglimento la censura formulata

in relazione all'art. 47, 1° comma, dello statuto veneto, con

riferimento alla natura dell'interesse connesso all'iniziativa nei

cui confronti la regione ha inteso attivare la procedura refe

rendaria.

La formula espressa dalla disposizione in questione — dove

si impiega il termine «provvedimenti» — va riferita chiaramen

te, al dilà della dizione impropria adottata, non solo agli atti

amministrativi, ma anche legislativi della regione, come risulta

confermato dalla stessa disciplina attuativa emanata dalla re

gione Veneto in tema di referendum consultivi (v. art. 26, 2°

comma, 1. reg. 12 gennaio 1973 n. 11). Né tale formula potreb be essere interpretata — come ritiene la difesa statale — nel

suo significato più restrittivo cosi da limitare il referendum con

sultivo ai soli «provvedimenti» caratterizzati dalla presenza di

un interesse territorialmente delimitato ed esclusivo della regio ne. In realtà, l'interesse delle popolazioni regionali, che la nor

ma statutaria ha inteso richiamare, oltre a investire l'intera gam ma delle competenze proprie della regione, può assumere anche

connotazioni più late, che superano gli stretti confini delle ma

terie e del territorio regionale, fino a intrecciarsi, in certi casi, con la dimensione nazionale. E questo in relazione alla soggetti vità politica e costituzionale che, nel contesto della nostra for

ma di Stato, delineata dall'art. 5 Cost., va riconosciuta alla

regione «riguardo a tutte le questioni di interesse della comuni

tà regionale, anche se queste sorgono in settori estranei alle sin

gole materie indicate nell'art. 117 Cost, e si proiettano al dilà

dei confini territoriali della regione medesima» (sent. n. 829 del

1988, id., Rep. 1988, voce Regione, n. 358). Non si può quindi disconoscere l'esistenza di un interesse qua

lificato di ciascuna regione (e della sua popolazione) ai conte

nuti di una riforma che, come quella in esame, venga a investire

lo stesso impianto dello Stato regionale e l'ordinamento delle

competenze regionali nel loro complesso. Né argomenti decisivi a favore della tesi restrittiva si potreb

bero, d'altro canto, trarre dal carattere di «determinatezza» che

la norma statutaria ha inteso riferire ai provvedimenti da sotto

porre alla consultazione referendaria, dal momento che il ri

chiamo a tale carattere, nella dizione statutaria, si presenta orien

tato a esprimere, più che a una limitazione di ordine territoria

le, l'esigenza che il quesito referendario, proprio ai fini della

sua chiarezza e percepibilità, sia tale da investire oggetti definiti

e agevolmente identificabili da parte dell'elettore.

4. - Il ricorso risulta, invece, fondato in relazione alla censu

ra riferita agli art. 121, 2° comma, e 138 Cost.

Ai sensi dell'art. 121, 2° comma, Cost., il consiglio regionale «può fare proposte di legge alle camere»: tali proposte — pur caratterizzandosi come atti propri della regione — assumono

natura strumentale rispetto all'attivazione di un procedimento che è e resta di competenza statale e che, ove giunga ad una

conclusione positiva, è destinato a sfociare, attraverso l'appro vazione della legge da parte del parlamento, in una espressione di volontà statuale. Ora, un referendum consultivo quale quello

previsto dalla delibera in esame — per quanto sprovvisto di

efficacia vincolante — non può non esercitare la sua influenza, di indirizzo e di orientamento, oltre che nei confronti del potere di iniziativa spettante al consiglio regionale, anche nei confronti

delle successive fasi del procedimento di formazione della legge statale, fino a condizionare scelte discrezionali affidate alla esclu

siva competenza di organi centrali dello Stato: con la conse

guente violazione di quel limite già indicato da questa corte co

me proprio dei referendum consultivi regionali e riferito all'esi

genza di evitare «il rischio di influire negativamente sull'ordine

costituzionale e politico dello Stato» (sent. n. 256 del 1989, cit.). A questo va aggiunto il rilievo che il procedimento di forma

zione delle leggi dello Stato — quale risulta fissato negli art.

70 ss. Cost. — viene a caratterizzarsi per una tipicità che non

consente di introdurre, nella fase della iniziativa affidata al con

siglio regionale, elementi aggiuntivi non previsti dal testo

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

costituzionale e suscettibili di «aggravare», mediante forme di

consultazione popolare variabili da regione e regione, lo stesso

procedimento. Tale considerazione, se vale in relazione al pote re di iniziativa delle regioni cosi come configurato in generale nell'art. 121 Cost., vale a maggior ragione nei confronti di una

iniziativa regionale quale quella in esame, destinata ad attivare un procedimento di revisione costituzionale ai sensi dell'art. 138

Cost, e questo anche in relazione al fatto che la disciplina costi

tuzionale prevede già, al 2° comma dell'art. 138, una partecipa zione popolare al procedimento, ma nella forma del referen

dum confermativo, cui può essere chiamato, per il rilievo fon

damentale degli interessi che entrano in gioco in sede di revisione

costituzionale, solo il corpo elettorale nella sua unità.

Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara l'illegitti mità costituzionale della delibera legislativa riapprovata dal con

siglio regionale del Veneto in data 5 marzo 1992, recante «refe

rendum consultivo in merito alla presentazione di proposta di

legge statale per la modifica di disposizioni concernenti l'ordi

namento delle regioni».

CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 27 maggio 1992, n. 236

(<Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 3 giugno 1992, n. 23); Pres. Corasaniti, Est. Mengoni; Galfano ed altri c. Univer

sità degli studi di Padova; interv. Pres. cons, ministri. Ord.

Tar Veneto 27 giugno 1991 (G.U., la s.s., n. 51 del 1991).

Istruzione pubblica — Università — Personale tecnico e ammi

nistrativo — Mansioni superiori — Inquadramento in sanato

ria — Trattamento economico per il periodo pregresso —

Esclusione — Questione infondata di costituzionalità (Cost., art. 36; 1. 21 febbraio 1989 n. 63, disposizioni per alcune ca

tegorie di personale tecnico e amministrativo delle università).

È infondata la questione di legittimità costituzionale della l. 21

febbraio 1989 n. 63, nella parte in cui non stabilisce che per il periodo anteriore alla decorrenza dell'inquadramento previ

sto e regolato dall'art. 1 della stessa legge per alcune catego rie di personale tecnico e amministrativo dell'università, sia

attribuito al personale che ha svolto le accertate mansioni su

periori il trattamento economico della qualifica correlata alle

mansioni stesse. (1)

(1) I. - La pronunzia in epigrafe (come corretta da Corte cost., ord.

15 luglio 1992, n. 339, G.U., la s.s., 22 luglio 1992, 34) si pone in sintonia con i principi costantemente affermati in ordine alle (limitate)

conseguenze dell'affidamento di mansioni superiori nel pubblico impie

go: per ogni riferimento, v. Cons. Stato, ad. plen., 16 maggio 1991, n. 2, ed altre, Foro it., 1991, III, 473, con nota di richiami cui si riman

da anche per la giurisprudenza della Corte costituzionale; nonché Cons.

Stato, ad. plen., 7 febbraio 1991, n. 1, ibid., 397, con nota sulla rico

noscibilità del servizio pre-ruolo nel pubblico impiego. Nel recente d.leg. 29/93 sul pubblico impiego, all'art. 57, 2° comma,

è espressamente disposto che l'esercizio temporaneo di mansioni supe riori da parte dei pubblici dipendenti di cui all'art. 2, 2° comma, stesso

decreto, non attribuisce alcun diritto di stabilizzazione delle funzioni, in deroga all'art. 2103 c.c.

In occasione dell'esame di altre disposizioni concernenti la sistema

zione in ruolo di personale in servizio a vario titolo nella pubblica am

ministrazione, la Corte costituzionale ha ritenuto legittima la previsione

(nella 1. reg. Emilia-Romagna 19 marzo 1993) dell'inquadramento in

qualifica corrispondente alle mansioni di fatto espletate (Corte cost.

25 luglio 1990, n. 369, ibid., I, 2294), mentre ha dichiarato illegittime norme (1. reg. Abruzzo 83/88) di inquadramento in qualifiche superiori non giustificate su presupposti aggiuntivi a quelli della semplice anzia

II Foro Italiano — 1993.

Diritto. — 1. - Il Tar del Veneto mette in dubbio la confor

mità all'art. 36 Cost, dell'art. 1 1. 21 febbraio 1989 n. 63, nella

parte in cui, per il periodo antecedente alla decorrenza dell'in

quadramento ivi disposto, non riconosce al personale tecnico

e amministrativo delle università, che ha svolto di fatto le ac

certate mansioni superiori, il trattamento economico della qua lifica corrispondente.

2. - La questione non è fondata.

Va osservato in limine che tra l'art. 36, 1° comma, Cost,

e l'art. 97, 3° comma, Cost, non esiste la polarità ravvisata

dal giudice a quo. Il principio dell'accesso agli impieghi nelle

pubbliche amministrazioni mediante pubblico concorso non è

incompatibile col diritto dell'impiegato, assegnato a mansioni

superiori alla sua qualifica, di percepire il trattamento economi

co della qualifica corrispondente, giusta il principio di equa re

tribuzione sancito dall'art. 36 Cost. Esso è inconciliabile soltan

to con la regola — introdotta nell'art. 2103 c.c. dall'art. 13

dello statuto dei lavoratori — di automatica acquisizione della

qualifica superiore quando l'assegnazione si prolunghi oltre un

certo periodo di tempo. L'accertamento della capacità profes sionale mediante la procedura concorsuale o in altro modo sta

bilito dalla legge è un presupposto costitutivo dell'inquadramento formale nella corrispondente qualifica funzionale, non un indi

ce necessario della qualità del lavoro prestato ai fini dell'art.

36 Cost.

Ciò non significa che l'art. 36 debba trovare incondizionata

applicazione ogni volta che il pubblico impiegato venga adibito

a mansioni superiori. L'art. 98, 1° comma, Cost, vieta che la

valutazione del rapporto di pubblico impiego sia ridotta alla

pura logica del rapporto di scambio.

nità nella qualifica inferiore (Corte cost. 18 gennaio 1989, n. 1, id.,

1990, I, 380). II. - Corte cost., ord. 23 luglio 1993, n. 337, G.U., la s.s., n. 34

del 1993, ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legit timità costituzionale dell'art. 29, 2° comma, d.p.r. 20 dicembre 1979

n. 761, in riferimento agli art. 3, 4, 32, 36, 97 e 98 Cost.:

«Considerato che l'interpretazione dell'art. 29, 2° comma, d.p.r. n.

761 del 1979, elaborata dalle sentenze sopra citate e accolta da una serie di decisioni dell'adunanza plenaria del Consiglio di Stato (n. 2

del 1991, Foro it., 1991, III, 473; nn. 1, 2, 5 del 1992, id., 1992, III,

438, 436, 435), si è consolidata nella giurisprudenza amministrativa; che essa si fonda su alcuni punti fermi della giurisprudenza di questa

corte, fissati dalla sentenza n. 236 del 1992 (id., 1993, I, 2453) ed ora

sanciti dall'art. 57 d.p.r. 3 febbraio 1993 n. 29, in attuazione dell'art.

2, lett. ri), della legge di delega legislativa 23 ottobre 1992 n. 421, e

precisamente: a) nell'ambito normativo dell'art. 36 Cost, sono compre si anche i rapporti di pubblico impiego; b) l'art. 97 Cost, non è incom

patibile col riconoscimento all'impiegato trasferito temporaneamente a

mansioni superiori del diritto al trattamento economico corrispondente

per il periodo di assegnazione alle medesime, ma giustifica, unitamente

all'art. 98, 1° comma, Cost., talune limitazioni di questo diritto; e) l'art. 98 Cost, è incompatibile soltanto con l'integrazione nella discipli na del pubblico impiego della regola privatistica (art. 2103 c.c.) di auto

matica acquisizione della qualifica superiore quando l'assegnazione si

prolunghi oltre un certo periodo di tempo; d) l'accertamento della ca

pacità professionale mediante procedure concorsuali o altri modi for

mali previsti dalla legge è un presupposto costitutivo dell'inquadramen to del dipendente nella corrispondente qualifica funzionale, non un in

dice della qualità del lavoro prestato necessario per l'applicabilità dell'art. 36 Cost., né a tal fine è indispensabile un provvedimento formale di

conferimento dell'incarico: in virtù dell'art. 2126 c.c., applicabile anche

ai prestatori di lavoro dipendenti da enti pubblici (art. 2129 c.c.), per far valere il diritto di cui sub b) è sufficiente che il dipendente abbia

svolto di fatto mansioni superiori alla qualifica in conformità di una

direttiva impartitagli, anche informalmente, dal dirigente preposto al

l'unità organizzativa nella quale il dipendente presta servizio; che la possibilità di abuso del potere di assegnazione temporanea del

prestatore di lavoro a mansioni superiori impegna la responsabilità di

sciplinare e patrimoniale del dirigente preposto alla gestione dell'orga nizzazione del lavoro (ed eventualmente anche la responsabilità penale ove si concretasse in abuso d'ufficio per recare ad altri un vantaggio, nel qual caso si prospetterebbe pure il limite di applicabilità previsto dall'art. 2126 c.c. qualora emergesse un disegno illecito di cui fosse

partecipe lo stesso lavoratore), ma non fornisce alcun argomento per censurare la norma in esame come lesiva del principio di eguaglianza, del diritto al lavoro, del diritto alla salute, dei principi di buon anda

mento e di imparzialità dell'amministrazione e ancora del principio che

impone ai pubblici impiegati di operare al servizio esclusivo della

nazione».

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