sentenza 24 novembre 1992, n. 470 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 2 dicembre 1992, n.50); Pres. Corasaniti, Est. Cheli; Pres. cons. ministri (Avv. dello Stato Favara) c. Regione Veneto(Avv. Bertolissi, Sorrentino)Source: Il Foro Italiano, Vol. 116, No. 9 (SETTEMBRE 1993), pp. 2449/2450-2453/2454Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23187709 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Ritenuto che, nel corso di un procedimento civile promosso dalla s.a.s. assicurazioni Bondon contro l'Inps per far accertare
il proprio diritto a pagare i contributi alla Cassa unica per gli
assegni familiari (Cuaf) nella misura ridotta di cui all'art. 20, 1° comma, n. 1, d.l. 2 marzo 1974 n. 30, convertito nella 1.
16 aprile 1974 n. 114 (modificato dalle leggi 3 giugno 1975 n.
160, art. 11 e 21 dicembre 1978 n. 845, art. 25), con conseguen te condanna del convenuto a restituire le somme versate in ecce
denza dal giugno 1982 a tutto il 1987, il Pretore di Torino, con ordinanza del 10 aprile 1992, ha sollevato, in riferimento
all'art. 3 Cost., questione di legittimità costituzionale dell'art.
2, 16° comma (recte «15°», stante la soppressione del 9° com
ma operata in sede di conversione), del d.l. 9 ottobre 1989 n.
338, convertito nella 1. 7 dicembre 1989 n. 389, secondo il quale «le disposizioni di cui al n. 1) del 1° comma dell'art. 20 d.l.
n. 30 del 1974 devono essere intese nel senso che il beneficio
previsto per i datori di lavoro iscritti negli elenchi nominativi
degli esercenti attività commerciale di cui alla 1. 27 novembre
1960 n. 1397, e successive modificazioni e integrazioni, non si
applica agli agenti di assicurazione»;
che, ad avviso del giudice rimettente, la disposizione denun
ciata, essendo intervenuta in una materia in cui si era formato
un «diritto vivente» univoco nel riconoscere il detto beneficio
anche agli agenti di assicurazione, non può definirsi di interpre tazione autentica, ma ha natura di norma innovativa dotata di
retroattività, onde sotto questo profilo, in quanto incide su ob
blighi contributivi già scaduti, essa appare viziata di illegittimità costituzionale per contrasto col principio di ragionevolezza di
cui all'art. 3 Cost.;
che, nel giudizio davanti alla corte, si è costituita la ricorren
te condividendo e integrando con altri argomenti la prospetta zione del giudice a quo, della quale sottolinea la diversità ri
spetto alla questione decisa da questa corte con la sent. n. 586
del 1990 (Foro it., Rep. 1991, voce Previdenza sociale, n. 474)
e concludendo per una dichiarazione di fondatezza. In partico lare la parte privata ritiene improprio il termine «beneficio»
usato dalla norma in esame, atteso che già precedentemente alla
riforma del 1974 i lavoratori autonomi erano assoggettati al pa
gamento di contributi Cuaf distinti da quelli dovuti dagli altri
datori di lavoro non agricoli; che l'Inps si è costituito fuori termine;
che è intervenuto il presidente del consiglio dei ministri, rap
presentato dall'avvocatura dello Stato, chiedendo che la que
stione sia dichiarata infondata, posto che la disposizione impu
gnata non ha creato un nuovo obbligo contributivo, ma si è
limitata a ristabilire l'esatta portata della norma preesistente. Considerato che la natura di norma interpretativa, per sè com
portante l'efficacia retroattiva dell'art. 2, 16° comma, d.l. n.
338 del 1989 è già stata riconosciuta da questa corte nella sen
tenza n. 586 del 1990, che ha ritenuto giustificati l'inquadra
mento comune degli agenti di commercio e degli agenti di assi
curazione ai fini della previdenza sociale in loro favore e, al
contrario, la separazione dei secondi dai primi ai fini dell'am
missione alla contribuzione agevolata alla Cuaf in favore dei
loro dipendenti. Poiché l'art. 20, 1° comma, n. 1 d.l. n. 30
del 1974, per l'ambiguità della sua formulazione, aveva dato
luogo, col passare del tempo, al formarsi di una interpretazione
estensiva contraria alla sua ratio, il legislatore del 1989 è inter
venuto per disconoscere il fondamento di tale applicazione esten
siva precisando che nella disposizione del 1974 la locuzione «da
tori di lavoro commercianti» va intesa, per quanto attiene agli
ausiliari (autonomi) del commercio, nel senso stretto e proprio
di cui all'art. 2195, nn. 2 e 5, c.c., escludente gli agenti di assi
curazione;
che, nella giurisprudenza della Corte di cassazione il carattere
di norma di interpretazione autentica dell'art. 2, 16° comma,
d.l. n. 338 del 1989 «è ormai ius receptum» (sentenze nn. 9899
del 1990, ibid., n. 472; 383 e 3702 del 1992, id., Rep. 1992, voce cit., nn. 440, 436), cosi che su questo punto la citata sen
tenza della Corte costituzionale n. 586 del 1990 è stata conside
rata una «presa d'atto del diritto vivente» (Cass. n. 383 del
1992, cit.); che l'argomento contrario addotto dal giudice a quo si fonda
su una nozione riduttiva, generalmente abbandonata, dell'isti
tuto dell'interpretazione autentica. Dire che «va riconosciuto ca
rattere interpretativo soltanto a una legge che, fermo il tenore
testuale della norma interpretata, ne chiarisce il significato ov
II Foro Italiano — 1993.
vero privilegia una tra le tante interpretazioni possibili» (senten ze nn. 155 del 1990, id., 1990, I, 3072; 246 del 1992, id., 1992, I, 2601; ord. n. 205 del 1991, id., Rep. 1991, voce Circolazione
stradale, n. 141), non implica che questo tipo di intervento legi slativo sia ammissibile soltanto in una situazione di incertezza
nell'applicazione del diritto o di conflitto di interpretazioni. È
necessario e sufficiente che la scelta ermeneutica imposta dalla
legge interpretativa rientri tra le possibili varianti di senso (scil.
compatibili col tenore letterale) del testo interpretato, cioè sta
bilisca un significato che ragionevolmente poteva essere ascritto
alla legge anteriore: entro questo limite (indubbiamente rispet tato nella specie, come dimostra la sent. n. 1266 del 1984, id.,
Rep. 1984, voce Previdenza sociale, n. 397 della Corte di cassa
zione, la cui interpretazione rigorosamente letterale, disattesa
dalla giurisprudenza successiva, è stata imperativamente ripri stinata dalla norma in esame), e sempre che non risulti l'inten
zione di incidere direttamente su concrete fattispecie sub iudice
(il che nella specie è implicitamente escluso dall'ordinanza di
rimessione, la quale non richama gli art. 101, 102 e 104 Cost.), «non è contestabile la legittimità del ricorso a tale forma di
produzione giuridica da parte del legislatore anche in presenza di un indirizzo omogeneo della Corte di cassazione, istituzional
mente investita del potere nomofilattico» (Cass. n. 2740 del 1992,
id., Rep. 1992, voce cit., nn. 286, 906). In questo caso lo stru
mento dell'interpretazione autentica è usato dal legislatore per rimediare a un'opzione interpretativa consolidata nella giurispru denza in un senso divergente dalla linea di politica del diritto
da lui giudicata più opportuna. Visti gli art. 26, 2° comma, 1. 11 marzo 1953 n. 87 e 9, 2°
comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte
costituzionale.
Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara la manife
sta infondatezza della questione di legittimità costituzionale del
l'art. 2, 16° comma (divenuto 15° in seguito alla soppressione
del 9° comma operata in sede conversione), d.l. 9 ottobre 1989
n. 338 (disposizioni urgenti in materia di evasione contributiva, di fiscalizzazione degli oneri sociali, di sgravi contributivi nel
Mezzogiorno e di finanziamento dei patronati), convertito, con
modificazioni, nella 1. 7 dicembre 1989 n. 389, sollevata, in ri
ferimento all'art. 3 Cost., dal Pretore di Torino con l'ordinan
za indicata in epigrafe.
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 24 novembre 1992, n.
470 (Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 2 dicembre 1992,
n. 50); Pres. Corasaniti, Est. Cheli; Pres. cons, ministri (Aw.
dello Stato F avara) c. Regione Veneto (Avv. Bertolissi, Sor
rentino).
Regione — Veneto — Referendum consultivi — Referendum
su proposta di legge statale per la modifica dell'ordinamento
regionale — Incostituzionalità (Cost., art. 121, 123, 138; sta
tuto della regione Veneto, art. 47).
È illegittima, per violazione degli art. 121, 2° comma, e 138
Cost., la delibera legislativa riapprovata dal consiglio regio
nale del Veneto in data 5 marzo 1992, relativa al referendum consultivo in merito alla presentazione di proposta di legge
statale per la modifica di disposizioni concernenti l'ordina
mento delle regioni. (1)
(1) La Corte costituzionale torna, a distanza di pochi anni, a precisa re i limiti che incontra nel nostro ordinamento costituzionale il referen
dum consultivo regionale, ribadendo l'esigenza di evitare il rischio che
esso possa influire negativamente sull'ordine costituzionale e politico dello Stato. Cosi la dichiarazione di incostituzionalità è motivata nella
considerazione che un referendum consultivo quale quello previsto dal
la regione Veneto non avrebbe potuto non esercitare la propria influen
za nelle successive fasi del procedimento di formazione della legge sta
tale fino a condizionare scelte riservate agli organi centrali dello Stato.
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2451 PARTE PRIMA 2452
Diritto. — 1. - Forma oggetto di impugnativa la delibera legis lativa approvata, in seconda lettura, dal consiglio regionale del
Veneto il 5 marzo 1992, recante «referendum consultivo in me
rito alla presentazione di proposta di legge statale per la modifi
ca di disposizioni costituzionali concernenti l'ordinamento delle
regioni». Con tale delibera la regione ha previsto: a) l'indizio
ne, ai sensi del 1° comma dell'art. 47 dello statuto regionale del Veneto, di un referendum consultivo a carattere regionale in merito alla presentazione, ai sensi dell'art. 121 Cost., di una
proposta di legge statale per la modifica delle disposizioni costi
tuzionali concernenti l'ordinamento delle regioni (art. 1); b) l'e
nunciazione del quesito da sottoporre agli elettori, dove vengo no enunciati i principi cui la proposta di revisione costituziona
le dovrebbe ispirarsi (art. 3, 1° comma): c) alcune prescrizioni relative ai tempi, alle modalità ed alla copertura dei costi dell'i
niziativa (art. 1, 2° comma, 3 e 4). La delibera in questione è stata impugnata dal presidente del
consiglio dei ministri con riferimento all'art. 123 Cost., che rin
via agli statuti regionali la disciplina dei referendum su leggi e provvedimenti amministrativi delle regioni, nonché all'art. 47, 1° comma, dello statuto regionale del Veneto, dove si prevede la possibilità di indizione, da parte del consiglio regionale, di
referendum consultivi «delle popolazioni interessate a provvedi menti determinati». Ad avviso del ricorrente, infatti, il referen
dum di cui è causa, avendo ad oggetto una proposta di legge statale di revisione costituzionale, non potrebbe considerarsi ri
ferito né ad un atto proprio della regione, né ad un «provvedi mento» di portata «determinata», incidente su interessi di sog
getti collegati ad un'area delimitata al territorio regionale. Do
po aver richiamato i principi enunciati da questa corte, in tema
di referendum consultivi regionali, con la sentenza n. 256 del
1989 (Foro it., 1990, I, 385) il ricorso deduce altresì la violazio
ne degli art. 121 e 138 Cost., dal momento che l'iniziativa legi slativa delle regioni non potrebbe estendersi anche alle leggi co
stituzionali né potrebbe, in ogni caso, risultare rafforzata da
un referendum consultivo regionale, senza alterare il procedi mento di revisione costituzionale sancito dalla stessa Costituzione.
2. - Va innanzitutto esclusa la fondatezza del profilo concer
nente la violazione dell'art. 121 Cost., in relazione alla previsio
ne, espressa con la delibera impugnata, di una iniziativa regio nale riferita ad una legge statale non ordinaria, ma di revisione
costituzionale.
In proposito, va ricordato che l'art. 121 Cost., nel conferire
ai consigli regionali il potere di fare proposte di legge alle came
re, non ha introdotto nei confronti di tale potere limitazioni
riferite alla forza, ordinaria o costituzionale, dell'atto normati
vo che la regione intenda proporre. Né tali limitazioni potreb bero essere desunte, sia pure indirettamente, dalla disciplina ge nerale che l'art. 71 Cost, ha posto in tema di soggetti legittimati
Da sottolineare anche le affermazioni attraverso le quali la corte ha escluso che l'art. 121 Cost., nel conferire ai consigli regionali il potere di fare proposte di legge, abbia fatto ciò limitatamente alle leggi ordi narie ed ha precisato che l'interesse connesso alla iniziativa nei cui con fronti la regione ha inteso attivare la procedura referendaria può ben riferirsi ai contenuti di una riforma generale, come quella del caso in
esame, che venga ad investire lo stesso impianto dello Stato regionale e l'ordinamento delle competenze regionali nel suo complesso.
Dei referendum consultivi regionali e dei limiti all'esercizio degli stes si la Corte costituzionale si era già occupata nella sent. 18 maggio 1989, n. 256 (Foro it., 1990, I, 385, con nota di richiami), decidendo che non spetta alla regione Sardegna indire referendum consultivi in mate rie riguardanti l'attività politica internazionale e la difesa militare. La decisione è commentata da Barrera e Lippolis, in Giur. costit., 1989, I, 1194, da Bettinelli, in Regioni, 1990, 1292 e da Salerno, in Giur.
it., 1990, I, 1, 1064. Nel senso che esula dalla giurisdizione del giudice amministrativo,
per rientrare in quella dell'autorità giudiziaria ordinaria, il ricorso pro posto dai promotori del referendum regionale contro la deliberazione di inammissibilità dello stesso, v. Tar Abruzzo 4 settembre 1990, n.
421, Foro it., Rep. 1991, voce Regione, n. 129; Tar Toscana, sez. I, 7 dicembre 1989, n. 982, id., Rep. 1990, voce cit., n. 140; Cons. Stato, sez. VI, 31 marzo 1987, n. 194, id., 1987, III, 481, con nota di richia mi. Sul punto, in dottrina, v. Falcon, in Regioni, 1983, 264; Calvieri, in Giur. costit., 1988, II, 1587.
In generale, sul referendum regionale, v. pure Salerno, Il referen dum, 1992, spec. 216 ss.; Scudiero, Il referendum regionale, in Refe rendum a cura di Luciani e Volpi, 1992, 137 ss.
Il Foro Italiano — 1993.
all'esercizio dell'iniziativa delle leggi dello Stato, dove non si
opera alcun riferimento alla forza dell'atto che viene proposto. Ed è proprio la considerazione di tale quadro normativo che
ha condotto questa corte a riconoscere, nella sentenza n. 256
del 1989, cit., la spettanza al consiglio regionale, ai sensi del
l'art. 121, 2° comma, Cost., del potere di presentazione alle
camere di proposte di legge anche in tema di revisione costitu
zionale.
3. - Del pari, non merita accoglimento la censura formulata
in relazione all'art. 47, 1° comma, dello statuto veneto, con
riferimento alla natura dell'interesse connesso all'iniziativa nei
cui confronti la regione ha inteso attivare la procedura refe
rendaria.
La formula espressa dalla disposizione in questione — dove
si impiega il termine «provvedimenti» — va riferita chiaramen
te, al dilà della dizione impropria adottata, non solo agli atti
amministrativi, ma anche legislativi della regione, come risulta
confermato dalla stessa disciplina attuativa emanata dalla re
gione Veneto in tema di referendum consultivi (v. art. 26, 2°
comma, 1. reg. 12 gennaio 1973 n. 11). Né tale formula potreb be essere interpretata — come ritiene la difesa statale — nel
suo significato più restrittivo cosi da limitare il referendum con
sultivo ai soli «provvedimenti» caratterizzati dalla presenza di
un interesse territorialmente delimitato ed esclusivo della regio ne. In realtà, l'interesse delle popolazioni regionali, che la nor
ma statutaria ha inteso richiamare, oltre a investire l'intera gam ma delle competenze proprie della regione, può assumere anche
connotazioni più late, che superano gli stretti confini delle ma
terie e del territorio regionale, fino a intrecciarsi, in certi casi, con la dimensione nazionale. E questo in relazione alla soggetti vità politica e costituzionale che, nel contesto della nostra for
ma di Stato, delineata dall'art. 5 Cost., va riconosciuta alla
regione «riguardo a tutte le questioni di interesse della comuni
tà regionale, anche se queste sorgono in settori estranei alle sin
gole materie indicate nell'art. 117 Cost, e si proiettano al dilà
dei confini territoriali della regione medesima» (sent. n. 829 del
1988, id., Rep. 1988, voce Regione, n. 358). Non si può quindi disconoscere l'esistenza di un interesse qua
lificato di ciascuna regione (e della sua popolazione) ai conte
nuti di una riforma che, come quella in esame, venga a investire
lo stesso impianto dello Stato regionale e l'ordinamento delle
competenze regionali nel loro complesso. Né argomenti decisivi a favore della tesi restrittiva si potreb
bero, d'altro canto, trarre dal carattere di «determinatezza» che
la norma statutaria ha inteso riferire ai provvedimenti da sotto
porre alla consultazione referendaria, dal momento che il ri
chiamo a tale carattere, nella dizione statutaria, si presenta orien
tato a esprimere, più che a una limitazione di ordine territoria
le, l'esigenza che il quesito referendario, proprio ai fini della
sua chiarezza e percepibilità, sia tale da investire oggetti definiti
e agevolmente identificabili da parte dell'elettore.
4. - Il ricorso risulta, invece, fondato in relazione alla censu
ra riferita agli art. 121, 2° comma, e 138 Cost.
Ai sensi dell'art. 121, 2° comma, Cost., il consiglio regionale «può fare proposte di legge alle camere»: tali proposte — pur caratterizzandosi come atti propri della regione — assumono
natura strumentale rispetto all'attivazione di un procedimento che è e resta di competenza statale e che, ove giunga ad una
conclusione positiva, è destinato a sfociare, attraverso l'appro vazione della legge da parte del parlamento, in una espressione di volontà statuale. Ora, un referendum consultivo quale quello
previsto dalla delibera in esame — per quanto sprovvisto di
efficacia vincolante — non può non esercitare la sua influenza, di indirizzo e di orientamento, oltre che nei confronti del potere di iniziativa spettante al consiglio regionale, anche nei confronti
delle successive fasi del procedimento di formazione della legge statale, fino a condizionare scelte discrezionali affidate alla esclu
siva competenza di organi centrali dello Stato: con la conse
guente violazione di quel limite già indicato da questa corte co
me proprio dei referendum consultivi regionali e riferito all'esi
genza di evitare «il rischio di influire negativamente sull'ordine
costituzionale e politico dello Stato» (sent. n. 256 del 1989, cit.). A questo va aggiunto il rilievo che il procedimento di forma
zione delle leggi dello Stato — quale risulta fissato negli art.
70 ss. Cost. — viene a caratterizzarsi per una tipicità che non
consente di introdurre, nella fase della iniziativa affidata al con
siglio regionale, elementi aggiuntivi non previsti dal testo
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
costituzionale e suscettibili di «aggravare», mediante forme di
consultazione popolare variabili da regione e regione, lo stesso
procedimento. Tale considerazione, se vale in relazione al pote re di iniziativa delle regioni cosi come configurato in generale nell'art. 121 Cost., vale a maggior ragione nei confronti di una
iniziativa regionale quale quella in esame, destinata ad attivare un procedimento di revisione costituzionale ai sensi dell'art. 138
Cost, e questo anche in relazione al fatto che la disciplina costi
tuzionale prevede già, al 2° comma dell'art. 138, una partecipa zione popolare al procedimento, ma nella forma del referen
dum confermativo, cui può essere chiamato, per il rilievo fon
damentale degli interessi che entrano in gioco in sede di revisione
costituzionale, solo il corpo elettorale nella sua unità.
Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara l'illegitti mità costituzionale della delibera legislativa riapprovata dal con
siglio regionale del Veneto in data 5 marzo 1992, recante «refe
rendum consultivo in merito alla presentazione di proposta di
legge statale per la modifica di disposizioni concernenti l'ordi
namento delle regioni».
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 27 maggio 1992, n. 236
(<Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 3 giugno 1992, n. 23); Pres. Corasaniti, Est. Mengoni; Galfano ed altri c. Univer
sità degli studi di Padova; interv. Pres. cons, ministri. Ord.
Tar Veneto 27 giugno 1991 (G.U., la s.s., n. 51 del 1991).
Istruzione pubblica — Università — Personale tecnico e ammi
nistrativo — Mansioni superiori — Inquadramento in sanato
ria — Trattamento economico per il periodo pregresso —
Esclusione — Questione infondata di costituzionalità (Cost., art. 36; 1. 21 febbraio 1989 n. 63, disposizioni per alcune ca
tegorie di personale tecnico e amministrativo delle università).
È infondata la questione di legittimità costituzionale della l. 21
febbraio 1989 n. 63, nella parte in cui non stabilisce che per il periodo anteriore alla decorrenza dell'inquadramento previ
sto e regolato dall'art. 1 della stessa legge per alcune catego rie di personale tecnico e amministrativo dell'università, sia
attribuito al personale che ha svolto le accertate mansioni su
periori il trattamento economico della qualifica correlata alle
mansioni stesse. (1)
(1) I. - La pronunzia in epigrafe (come corretta da Corte cost., ord.
15 luglio 1992, n. 339, G.U., la s.s., 22 luglio 1992, 34) si pone in sintonia con i principi costantemente affermati in ordine alle (limitate)
conseguenze dell'affidamento di mansioni superiori nel pubblico impie
go: per ogni riferimento, v. Cons. Stato, ad. plen., 16 maggio 1991, n. 2, ed altre, Foro it., 1991, III, 473, con nota di richiami cui si riman
da anche per la giurisprudenza della Corte costituzionale; nonché Cons.
Stato, ad. plen., 7 febbraio 1991, n. 1, ibid., 397, con nota sulla rico
noscibilità del servizio pre-ruolo nel pubblico impiego. Nel recente d.leg. 29/93 sul pubblico impiego, all'art. 57, 2° comma,
è espressamente disposto che l'esercizio temporaneo di mansioni supe riori da parte dei pubblici dipendenti di cui all'art. 2, 2° comma, stesso
decreto, non attribuisce alcun diritto di stabilizzazione delle funzioni, in deroga all'art. 2103 c.c.
In occasione dell'esame di altre disposizioni concernenti la sistema
zione in ruolo di personale in servizio a vario titolo nella pubblica am
ministrazione, la Corte costituzionale ha ritenuto legittima la previsione
(nella 1. reg. Emilia-Romagna 19 marzo 1993) dell'inquadramento in
qualifica corrispondente alle mansioni di fatto espletate (Corte cost.
25 luglio 1990, n. 369, ibid., I, 2294), mentre ha dichiarato illegittime norme (1. reg. Abruzzo 83/88) di inquadramento in qualifiche superiori non giustificate su presupposti aggiuntivi a quelli della semplice anzia
II Foro Italiano — 1993.
Diritto. — 1. - Il Tar del Veneto mette in dubbio la confor
mità all'art. 36 Cost, dell'art. 1 1. 21 febbraio 1989 n. 63, nella
parte in cui, per il periodo antecedente alla decorrenza dell'in
quadramento ivi disposto, non riconosce al personale tecnico
e amministrativo delle università, che ha svolto di fatto le ac
certate mansioni superiori, il trattamento economico della qua lifica corrispondente.
2. - La questione non è fondata.
Va osservato in limine che tra l'art. 36, 1° comma, Cost,
e l'art. 97, 3° comma, Cost, non esiste la polarità ravvisata
dal giudice a quo. Il principio dell'accesso agli impieghi nelle
pubbliche amministrazioni mediante pubblico concorso non è
incompatibile col diritto dell'impiegato, assegnato a mansioni
superiori alla sua qualifica, di percepire il trattamento economi
co della qualifica corrispondente, giusta il principio di equa re
tribuzione sancito dall'art. 36 Cost. Esso è inconciliabile soltan
to con la regola — introdotta nell'art. 2103 c.c. dall'art. 13
dello statuto dei lavoratori — di automatica acquisizione della
qualifica superiore quando l'assegnazione si prolunghi oltre un
certo periodo di tempo. L'accertamento della capacità profes sionale mediante la procedura concorsuale o in altro modo sta
bilito dalla legge è un presupposto costitutivo dell'inquadramento formale nella corrispondente qualifica funzionale, non un indi
ce necessario della qualità del lavoro prestato ai fini dell'art.
36 Cost.
Ciò non significa che l'art. 36 debba trovare incondizionata
applicazione ogni volta che il pubblico impiegato venga adibito
a mansioni superiori. L'art. 98, 1° comma, Cost, vieta che la
valutazione del rapporto di pubblico impiego sia ridotta alla
pura logica del rapporto di scambio.
nità nella qualifica inferiore (Corte cost. 18 gennaio 1989, n. 1, id.,
1990, I, 380). II. - Corte cost., ord. 23 luglio 1993, n. 337, G.U., la s.s., n. 34
del 1993, ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legit timità costituzionale dell'art. 29, 2° comma, d.p.r. 20 dicembre 1979
n. 761, in riferimento agli art. 3, 4, 32, 36, 97 e 98 Cost.:
«Considerato che l'interpretazione dell'art. 29, 2° comma, d.p.r. n.
761 del 1979, elaborata dalle sentenze sopra citate e accolta da una serie di decisioni dell'adunanza plenaria del Consiglio di Stato (n. 2
del 1991, Foro it., 1991, III, 473; nn. 1, 2, 5 del 1992, id., 1992, III,
438, 436, 435), si è consolidata nella giurisprudenza amministrativa; che essa si fonda su alcuni punti fermi della giurisprudenza di questa
corte, fissati dalla sentenza n. 236 del 1992 (id., 1993, I, 2453) ed ora
sanciti dall'art. 57 d.p.r. 3 febbraio 1993 n. 29, in attuazione dell'art.
2, lett. ri), della legge di delega legislativa 23 ottobre 1992 n. 421, e
precisamente: a) nell'ambito normativo dell'art. 36 Cost, sono compre si anche i rapporti di pubblico impiego; b) l'art. 97 Cost, non è incom
patibile col riconoscimento all'impiegato trasferito temporaneamente a
mansioni superiori del diritto al trattamento economico corrispondente
per il periodo di assegnazione alle medesime, ma giustifica, unitamente
all'art. 98, 1° comma, Cost., talune limitazioni di questo diritto; e) l'art. 98 Cost, è incompatibile soltanto con l'integrazione nella discipli na del pubblico impiego della regola privatistica (art. 2103 c.c.) di auto
matica acquisizione della qualifica superiore quando l'assegnazione si
prolunghi oltre un certo periodo di tempo; d) l'accertamento della ca
pacità professionale mediante procedure concorsuali o altri modi for
mali previsti dalla legge è un presupposto costitutivo dell'inquadramen to del dipendente nella corrispondente qualifica funzionale, non un in
dice della qualità del lavoro prestato necessario per l'applicabilità dell'art. 36 Cost., né a tal fine è indispensabile un provvedimento formale di
conferimento dell'incarico: in virtù dell'art. 2126 c.c., applicabile anche
ai prestatori di lavoro dipendenti da enti pubblici (art. 2129 c.c.), per far valere il diritto di cui sub b) è sufficiente che il dipendente abbia
svolto di fatto mansioni superiori alla qualifica in conformità di una
direttiva impartitagli, anche informalmente, dal dirigente preposto al
l'unità organizzativa nella quale il dipendente presta servizio; che la possibilità di abuso del potere di assegnazione temporanea del
prestatore di lavoro a mansioni superiori impegna la responsabilità di
sciplinare e patrimoniale del dirigente preposto alla gestione dell'orga nizzazione del lavoro (ed eventualmente anche la responsabilità penale ove si concretasse in abuso d'ufficio per recare ad altri un vantaggio, nel qual caso si prospetterebbe pure il limite di applicabilità previsto dall'art. 2126 c.c. qualora emergesse un disegno illecito di cui fosse
partecipe lo stesso lavoratore), ma non fornisce alcun argomento per censurare la norma in esame come lesiva del principio di eguaglianza, del diritto al lavoro, del diritto alla salute, dei principi di buon anda
mento e di imparzialità dell'amministrazione e ancora del principio che
impone ai pubblici impiegati di operare al servizio esclusivo della
nazione».
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