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sentenza 24 ottobre 2000, n. 433 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 2 novembre 2000, n. 45);Pres. Guizzi, Est. Vari; Maestrini e altri c. Ufficio del registro di Firenze; interv. Pres. cons.ministri. Ord. Comm. trib. prov. Firenze 28 giugno 1999 (G.U., 1 a s.s., n. 5 del 2000)Source: Il Foro Italiano, Vol. 124, No. 2 (FEBBRAIO 2001), pp. 429/430-431/432Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23197528 .
Accessed: 24/06/2014 21:18
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
luogo e di tempo (nella specie costituiti dall'ufficio presso il
quale il magistrato esercita o esercitava le funzioni al momento
del fatto). Questi elementi richiedono una ricognizione estrinse
ca del reato per il quale si procede, senza che siano necessari
apprezzamenti valutativi o discrezionali, quali si vorrebbero in
vece introdurre estendendo i casi di spostamento della compe tenza sia in base al nesso tra il fatto oggetto del giudizio e le
funzioni esercitate dal magistrato interessato, sia in base alla vi
cinanza temporale della commissione del fatto rispetto al pre
gresso esercizio di tali funzioni nell'ufficio giudiziario compe tente secondo le regole generali.
Un apprezzamento valutativo è, invece, inerente ad altri isti
tuti, quali l'astensione e la ricusazione, egualmente diretti ad as
sicurare l'imparzialità del giudice, sempre coessenziale al giu
dizio, quando rilevino profili soggettivi connessi al rapporto che
egli, sia pure per ragioni del suo ufficio, possa avere con una
delle parti del processo. 4. - Se viene attribuito rilievo alle funzioni svolte da uno dei
soggetti del processo per spostare l'ordinaria competenza terri
toriale, è sempre necessario che siano delimitati l'estensione e
l'ambito territoriale della deroga. Altrimenti, considerando nella
sua più ampia latitudine l'incidenza di tali funzioni ed il rap
porto di colleganza tra magistrato-giudice e magistrato-parte del
processo, la deroga alla competenza sarebbe tale da potersi tra
durre nell'incompetenza di qualsiasi ufficio giudiziario, sino a
non rendere possibile l'esercizio della stessa giurisdizione. Se è dunque sempre necessaria la delimitazione da parte del
legislatore dei casi di spostamento della competenza, rientra
nella sua discrezionalità, da esercitare nei limiti della ragione
volezza, determinarne l'ambito, con una scelta che può essere
sindacata nel giudizio di costituzionalità solo se arbitraria o pa lesemente irragionevole, tenendo conto anche della necessaria
generalità delle norme sulla competenza, in rispondenza al prin
cipio del giudice naturale precostituito per legge. Questi limiti
non sono superati dal criterio territoriale e temporale di deroga alla ordinaria competenza stabilito dall'art. 11 c.p.p., che attri
buisce rilievo, dal punto di vista territoriale, alle funzioni eser
citate dal magistrato nell'ambito del distretto giudiziario, che
costituisce una unità organizzativa e funzionale che comprende l'ufficio di appartenenza, e, dal punto di vista temporale, alla
coincidenza di tali funzioni con il servizio prestato al momento
del giudizio o al momento del fatto per il quale si procede. Que
sta delimitazione della eccezione alle regole generali della com
petenza territoriale, ancorata a giustificati criteri obiettivi, non
appare arbitraria o irrazionale né lesiva delle garanzie preordi nate ad un giusto processo, indicate dal giudice rimettente, tanto
più se si considera che altre situazioni nelle quali si possa in
concreto dubitare dell'imparzialità del giudice, in ragione di
rapporti personali, innestati sul rapporto di ufficio, possono e
debbono trovare soluzione ricorrendo ai già menzionati istituti
dell'astensione e della ricusazione, egualmente preordinati a ga rantire tale indefettibile imparzialità.
5. - La questione non è fondata neppure sotto il profilo della
denunciata lesione del principio di eguaglianza. Le situazioni
poste a raffronto, difatti, non sono identiche: diverso è il rap
porto inerente all'esercizio attuale delle funzioni nel distretto
competente per il giudizio o all'esercizio di esse al momento del
fatto, rispetto alle molteplici situazioni che possono verificarsi
quando l'esercizio delle funzioni sia cessato e, quindi, vi è un
distacco tra tale esercizio e l'ufficio competente per il giudizio. 6. -
Ugualmente insussistente è la denunciata violazione del
principio di buon andamento e d'imparzialità dell'amministra
zione, alla cui realizzazione è vincolata l'organizzazione dei
pubblici uffici (art. 97 Cost.). Questo principio riguarda gli or
gani dell'amministrazione della giustizia solo per quanto attiene
all'ordinamento amministrativo, mentre non si estende all'eser
cizio della giurisdizione (tra le molte, sentenze n. 53 del 1998,
Foro it., 1999, I, 2802, e n. 313 del 1995, id., Rep. 1995, voce
Oltraggio, n. 9; ordinanze n. 68 del 1999, id., Rep. 1999, voce
Stato civile, n. 6, e n. 189 del 1997, id., Rep. 1997, voce Misure
cautelari personali, n. 576). Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara non fondata
la questione di legittimità costituzionale dell'art. 11, 1° comma,
c.p.p., sollevata, in riferimento agli art. 3, 24, 97, 101 e 107
Cost., dal Pretore di Belluno con l'ordinanza indicata in epigra
fe.
Il Foro Italiano — 2001.
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 24 ottobre 2000, n.
433 (Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 2 novembre 2000, n.
45); Pres. Guizzi, Est. Vari; Maestrini e altri c. Ufficio del registro di Firenze; interv. Pres. cons, ministri. Ord. Comm.
trib. prov. Firenze 28 giugno 1999 (G.U., la s.s., n. 5 del
2000).
Tributi in genere — Commissioni tributarie — Conciliazio ne giudiziale — Giudizio di congruità da parte della com missione — Omessa previsione — Questione infondata di
costituzionalità (Cost., art. 53, 97, 104; d.leg. 31 dicembre 1992 n. 546, disposizioni sul processo tributario in attuazione
della delega al governo contenuta nell'art. 30 1. 30 dicembre
1991 n. 413, art. 48).
E infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art.
48 d.leg. 31 dicembre 1992 n. 546, nella parte in cui non con
sente alla commissione tributaria provinciale alcun giudizio sulla congruità delle imposte da versare su cui l'ufficio e il
contribuente si sono accordati, in riferimento agli art. 53, 97
e 104 Cost. (1)
(1) Analoga questione, sollevata da Comm. trib. prov. Como 5 feb
braio 1999, Tributi loc. e reg., 1999, 640, è stata dichiarata manifesta
mente inammissibile da Corte cost., ord. 24 ottobre 2000, n. 435, G.U., la s.s., n. 45 del 2000.
Il giudice rimettente (Comm. trib. prov. Firenze 28 giugno 1999,
Tributi, 2000, 227) aveva dubitato della costituzionalità della disciplina della conciliazione giudiziale innanzi alle commissioni tributarie in ra
gione del fatto che l'art. 48 d.leg. 30 dicembre 1992 n. 546 — consen
tendo agli uffici tributari di operare «a loro insindacabile giudizio e
senza neppure motivazione alcuna», «sconti senza limiti rispetto ai va
lori accertati e sostenuti con la costituzione in giudizio», in assenza di
«qualunque parametro di riferimento» — sembrava porsi in contrasto
con il principio d'imparzialità di cui all'art. 97 Cost, e con il disposto dell'art. 53 Cost. Ulteriore motivo d'incostituzionalità (questa volta per
supposto contrasto con l'art. 104 Cost, e con il principio di «indipen denza» della magistratura da ogni altro potere) era stato ravvisato in ciò
che l'assoggettamento del giudice tributario «alle decisioni dell'ammi
nistrazione» in punto di definizione del giudizio per conciliazione dele
gittimava il suo ruolo, riducendolo a quello di «notaro» di «un avve
nuto accordo su cui non può interferire» (in dottrina, nel senso dell'in
costituzionalità della disciplina della conciliazione giudiziale, v. P. Ca
sula, I procedimenti speciali nel nuovo processo tributario, in Bolletti
no trib., 1996, 944; G. Gilardi-U. Loi-M. Scum, Il nuovo processo tributario - Il d.leg. 31 dicembre 1992 n. 546 commentato per articolo,
Milano, 1997, 279). La corte esclude la sussistenza dei lamentati vizi — nonché il paral
lelismo prospettato dal giudice a quo tra la vicenda in questione e il
«patteggiamento» realizzato in sede penale ex art. 444 c.p.p., dichiarato
incostituzionale (cfr. sent. 2 luglio 1990, n. 313, Foro it., 1990,1, 2385, con note di Fiandaca e Tranchina) nella parte in cui non prevedeva la
possibilità per il giudice di valutare la congruità della pena proposta
dall'imputato e accettata dal p.m. — da un lato reputando inconferenti i
richiami agli art. 97 e 53 Cost, (che esulano dalla tematica in sé della
funzione giurisdizionale, riguardando, l'uno, l'organizzazione del
l'amministrazione secondo principi d'imparzialità e di buon andamento
e, l'altro, la garanzia sostanziale della proporzionalità dell'imposta alla
capacità del contribuente), dall'altro ritenendo l'inconfigurabilità di una compromissione dell'indipendenza del giudice tributario (costitu zionalmente garantita non dall'art. 104, ma dall'art. 101, 2° comma, in
connessione con l'art. 108 Cost.), atteso che attraverso la disposizione denunciata è lo stesso legislatore a definire i limiti della cognizione ri
servata all'organo giudicante, affidandogli il compito di accertare l'esi
stenza dei presupposti per la conciliazione e la regolarità della relativa
procedura. Sulla natura del controllo del giudice tributario in ordine alla conci
liazione giudiziale, la dottrina si è pronunciata in assoluta prevalenza nel senso che lo stesso debba condursi in termini di mera legittimità (v. S. Callipo, Gli istituti deflattivi del contenzioso tributario, in Fisco,
1997, 6093; P.P. Rivello, La conciliazione giudiziale: natura dell'i
stituto e rapporti con il diritto penale, id., 1996, 8784; C. Thomas, Co
dice del nuovo contenzioso tributario, Milano, 1996, 236), con esclu
sione di qualsivoglia sindacato sul merito dell'accordo raggiunto (così,
espressamente, D. Caputo, Ancora sulla conciliazione giudiziale:
aspetti generali e particolari, in Fisco, 1999, 2597; O. Saccone, La
conciliazione giudiziale: i nodi irrisolti e le difficoltà operative, in
particolare in tema di perfezionamento della conciliazione, in Rass.
trib., 1998, 1611; M. Redi, Conciliazione giudiziale: anabasi di un
istituto, in Dir. e pratica trib., 1996,1, 401; R. Lunelli, La conciliazio
ne giudiziale nel nuovo processo tributario, in Fisco, 1996, 5728; L.
Tosi, La conciliazione giudiziale - Aspetti procedimentali ed operativi,
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PARTE PRIMA 432
Diritto. — 1. - La questione di legittimità costituzionale sol
levata con l'ordinanza in epigrafe riguarda l'art. 48 d.leg. 31 di
cembre 1992 n. 546 (disposizioni sul processo tributario in at
tuazione della delega al governo contenuta nell'art. 30 1. 30 di
cembre 1991 n. 413), «nella parte in cui non consente alla
commissione tributaria provinciale alcun giudizio sulla con
gruità delle imposte da versare su cui l'ufficio e il contribuente
si sono accordati».
Con tale disposizione il legislatore, al fine di snellire il con
tenzioso tributario e di rendere più rapide le relative procedure di accertamento, ha dettato una disciplina della conciliazione
giudiziale che, nel testo riformato dall'art. 14 d.leg. 19 giugno 1997 n. 218, prevede un rito «ordinario» e un rito «semplifica to»: il primo finalizzato ad una composizione della lite, da per fezionare nel corso dell'udienza, sulla base di una previa richie
sta formulata da una delle due parti; il secondo ad una defini zione della controversia che, giusta le modalità previste dal 5° comma del già menzionato art. 48, si concreta nella presenta zione di una proposta dell'ufficio alla quale il contribuente ab
bia già prestato adesione.
2. - In riferimento a questa seconda ipotesi, il giudice a quo, muovendo dalla premessa che la disposizione censurata con
sente agli uffici tributari di addivenire alla conciliazione della lite «a loro insindacabile giudizio e senza neppure motivazione
alcuna», in assenza oltretutto di «qualunque parametro di rife
rimento», ritiene violato, anzitutto, il principio d'imparzialità di cui all'art. 97 Cost. A suo avviso, tale «assoluta discrezionalità, esente da motivazione», lederebbe anche l'art. 53 Cost., consi
derato che, a fronte di «conciliazioni prive di controlli, si realiz zano discriminazioni inevitabili, anche senza ipotizzare com
portamenti illeciti».
Sarebbe inciso, al tempo stesso, il principio di «indipenden za» della magistratura da ogni altro potere, consacrato nell'art. 104 Cost.; e ciò a motivo della soggezione del giudice tributario — il cui ruolo è delegittimato e ridotto a quello di «notaro» di «un avvenuto accordo su cui non può interferire» — «alle deci sioni dell'amministrazione», atteso che «il controllo sulla con ciliazione proposta è meramente formale e non sulla congruità degli imponibili e, dunque, delle imposte concordate».
3. - Va, anzitutto, respinta l'eccezione dell'avvocatura dello
Stato, secondo la quale la questione sarebbe da reputare inam missibile per difetto di motivazione sotto il profilo della rile vanza.
Giova rammentare, al riguardo, che il menzionato art. 48, 5°
comma, d.leg. n. 546 del 1992, nel disciplinare il rito c.d. sem
plificato, dispone che l'amministrazione può, sino alla data di trattazione in camera di consiglio, ovvero fino alla discussione in pubblica udienza, depositare una proposta di conciliazione alla quale l'altra parte abbia previamente aderito, disponendosi, altresì, che «se l'istanza è presentata prima della fissazione della data di trattazione», spetta al presidente valutare la sussistenza dei presupposti e delle condizioni di ammissibilità della conci liazione e, se del caso, dichiarare l'estinzione del giudizio.
Poiché, nella specie, la proposta di conciliazione risulta pre sentata, come si evince dal testo dell'ordinanza, dopo l'udienza di discussione, che era stata rinviata proprio in vista di un pos sibile accordo fra le parti, non può dubitarsi che spettasse al
l'organo collegiale, presso il quale il giudizio risultava ormai
incardinato, di provvedere in ordine all'intervenuta proposta conciliativa e, pregiudizialmente, anche di sollevaré eventuali incidenti di costituzionalità.
Né può condividersi il rilievo che la questione, per poter esse re considerata rilevante, avrebbe richiesto la previa verifica con esito negativo dei presupposti e delle condizioni di ammissibi lità della conciliazione, posto che il dubbio sollevato dal giudice concerne proprio la disposizione attributiva della competenza in ordine a tale verifica.
4. - Nel merito la questione è infondata.
Va, in primo luogo, rilevata l'inconferenza del richiamo ope
ibid., 11120; T. Baglione-S. Menchini-M. Miccinesi-L. Castaldi-G. Galluzzi-V. Pezzuti-F. Pistolesi, Il nuovo processo tributario - Com mentario, Milano, 1997, 413; F. Batistoni Ferrara, La conciliazione giudiziale, in Riv. dir. trib., 1995,1, 1029; Casula, / procedimenti spe ciali nel nuovo processo tributario, cit., 943). Per G. Campeis e A. De Pauli, Il manuale del processo tributario, Padova, 1996, 167, invece, «laddove la conciliazione si basi su presupposti fattuali incerti il sinda cato della commissione dovrà rivolgersi precipuamente alla relativa ve rifica».
Il Foro Italiano — 2001.
rato agli art. 97 e 53 Cost., dovuto, come osserva giustamente la
parte pubblica, ad un'erronea sovrapposizione di piani, quello sostanziale e quello processuale. Come si evince dal dispositivo dell'ordinanza di rimessione, la questione di costituzionalità che
essa intende sollevare si incentra essenzialmente sulle funzioni
del giudice tributario, assumendo al riguardo che, a fronte della
discrezionalità che in subiecta materia sarebbe attribuita ai fun
zionari del fisco, la limitazione dei poteri del giudicante alla sola verifica delle condizioni e dei presupposti di ammissibilità della conciliazione, senza la possibilità di controllare la con
gruità delle determinazioni raggiunte fra le parti in causa, por rebbe la norma denunciata in contrasto, tra l'altro, con i sopra richiamati precetti costituzionali.
Così posta la questione, il rimettente non considera che sia
l'art. 97 che l'art. 53 esulano dalla tematica in sé della funzione
giurisdizionale, attenendo, secondo la consolidata giurispruden za di questa corte, l'uno all'organizzazione dell'amministra
zione secondo principi di imparzialità e di buon andamento e,
l'altro, alla garanzia sostanziale della proporzionalità dell'impo sta alla capacità del contribuente (ordinanze n. 30 del 2000, e n.
322 del 1992, Foro it., Rep. 1992, voce Riscossione delle impo ste, n. 72).
5. - Il giudice a quo ritiene, al tempo stesso, che i poteri
spettanti in materia di conciliazione all'amministrazione finan
ziaria compromettano le sue funzioni anche sotto il profilo del
l'indipendenza, così risultando violato l'art. 104 Cost.
Nonostante l'improprio riferimento a quest'ultima disposi zione, che ha per oggetto le garanzie di indipendenza istituzio
nale della magistratura ordinaria considerata nel suo complesso, il problema che l'ordinanza intende sollevare, con riguardo alle
competenze del giudice tributario, attiene, come si evince dal
contesto della stessa, all'indipendenza funzionale del singolo organo dotato di potere giurisdizionale; all'uopo evocando un
principio, il cui fondamento va rinvenuto nell'enunciazione ge nerale dell'art. 101, 2° comma (sentenza n. 440 del 1988, id., 1990, I, 3340), in connessione, quanto ai giudici speciali, come nel caso oggetto di rimessione alla corte, con l'art. 108 Cost.
Orbene, è da escludere che il menzionato principio — il quale
mira ad assicurare, come questa corte ha già avuto occasione di
chiarire (sentenze n. 40 del 1964, id., 1964, I, 1276; n. 234 del 1976, id., 1977, I, 586, e n. 375 del 1996, id., Rep. 1997, voci Corte dei conti, nn. 122, 153, Corte costituzionale, nn. 35, 42, 64, Ordinamento giudiziario, n. 91), che l'attività giurisdizio nale si svolga sotto l'esclusivo imperio della legge, senza inammissibili influenze esterne — risulti compromesso dalla di
sposizione denunciata. Infatti, attraverso la medesima, è lo stes so legislatore a definire i limiti della cognizione riservata all'or
gano giudicante, affidando ad esso, in vista di una più rapida de finizione delle controversie tributarie, il compito di accertare se la conciliazione era ammissibile, se rientrava nei casi consentiti e se la relativa procedura è stata correttamente espletata.
Come la corte ha avuto occasione di rilevare proprio nella sentenza n. 313 del 1990 (id., 1990, I, 2385), addotta dal rimet tente a sostegno della sollevata questione, il fatto, poi, che al
giudice sia attribuito un mero controllo di legittimità non pre giudica l'integrità della funzione, in ragione del ruolo che resta a lui affidato; ruolo che, essendo preordinato alla definizione del giudizio, alla quale le parti non potrebbero altrimenti perve nire, appare di decisivo rilievo e tale da riportarsi alla stessa es senza della funzione giurisdizionale.
Per il resto è sufficiente rilevare che, contrariamente a quanto opina il rimettente, la soluzione accolta in questa sentenza, a
proposito dell'art. 444, 2° comma, c.p.p., non può in alcun modo fungere qui da precedente in vista di un eventuale acco
glimento, giacché, secondo quanto è dato evincere dalla motiva
zione, la declaratoria di incostituzionalità cui la corte è perve nuta, in detta occasione, ha la sua specifica ragione d'essere nel fatto che la norma allora denunciata, nella sua formulazione ori
ginaria, non consentendo al giudice di valutare la rispondenza della pena alla sua finalità rieducativa, si risolveva in un vulnus della funzione affidata all'organo giudicante dall'art. 27, 3°
comma, Cost., quanto alla determinazione dell'entità della pena stessa.
Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 48 d.leg. 31 dicembre 1992 n. 546 (disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al governo contenuta nell'art. 30 1. 30 dicembre 1991 n. 413), sollevata, in riferimento agli art. 53, 97 e 104 Cost., dalla Commissione tributaria provinciale di Firen
ze, con l'ordinanza in epigrafe.
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