+ All Categories
Home > Documents > sentenza 25 giugno 1981, n. 110 (Gazzetta ufficiale 1° luglio 1981, n. 179); Pres. Amadei, Rel. De...

sentenza 25 giugno 1981, n. 110 (Gazzetta ufficiale 1° luglio 1981, n. 179); Pres. Amadei, Rel. De...

Date post: 31-Jan-2017
Category:
Upload: trancong
View: 213 times
Download: 0 times
Share this document with a friend
3
sentenza 25 giugno 1981, n. 110 (Gazzetta ufficiale 1° luglio 1981, n. 179); Pres. Amadei, Rel. De Stefano; Cassese (Avv. Agostini) c. I.n.a.d.e.l. Ord. T.A.R. Lombardia 13 ottobre 1978 (Gazz. uff. 17 ottobre 1979, n. 284); Pret. Brescia 13 luglio 1979 (id. 9 gennaio 1980, n. 8) Source: Il Foro Italiano, Vol. 104, No. 9 (SETTEMBRE 1981), pp. 2105/2106-2107/2108 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23173007 . Accessed: 28/06/2014 13:20 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 92.63.103.61 on Sat, 28 Jun 2014 13:20:03 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
Transcript

sentenza 25 giugno 1981, n. 110 (Gazzetta ufficiale 1° luglio 1981, n. 179); Pres. Amadei, Rel.De Stefano; Cassese (Avv. Agostini) c. I.n.a.d.e.l. Ord. T.A.R. Lombardia 13 ottobre 1978 (Gazz.uff. 17 ottobre 1979, n. 284); Pret. Brescia 13 luglio 1979 (id. 9 gennaio 1980, n. 8)Source: Il Foro Italiano, Vol. 104, No. 9 (SETTEMBRE 1981), pp. 2105/2106-2107/2108Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23173007 .

Accessed: 28/06/2014 13:20

Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at .http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp

.JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range ofcontent in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new formsof scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected].

.

Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to IlForo Italiano.

http://www.jstor.org

This content downloaded from 92.63.103.61 on Sat, 28 Jun 2014 13:20:03 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE .E CIVILE

di imputato minore degli anni diciotto sia inviata anche all'eser cente la patria potestà o tutela su di lui». Ciò perché «il di ritto di difesa » nel duplice aspetto della difesa tecnica e dei l'autodifesa «è in primo luogo garanzia di contraddittorio» e « può dirsi assicurato solo nella misura in cui si dia all'interes sato la possibilità di partecipare ad una effettiva dialettica pro cessuale », il che, per i minori degli anni diciotto, « non è pie namente realizzabile senza l'intervento, oltre che del difensore, dell'esercente la patria potestà o la tutela».

5. - A quest'ultima sentenza fa puntuale riferimento il giudice a quo nel sollevare la questione di costituzionalità del mede simo art. 304 cod. proc. pen. sollecitando una ulteriore « esten sione » dell'obbligo di inviare la comunicazione giudiziaria (a

soggetto diverso da quelli indicati nella disposizione di legge denunziata); estensione che sarebbe « imposta da una condi zione di incapacità dell'imputato » analoga a quella del minore.

Il g. i. presso il Tribunale di Napoli muove dalla esatta con siderazione che funzione della comunicazione giudiziaria è quel la di consentire all'indiziato o all'imputato di provvedere per

tempo alla propria difesa, sia tecnica, con la nomina di un

difensore, sia materiale, attraverso la raccolta e il vaglio delle

prove. Una simile attività implica nel soggetto interessalo la

presenza delle facoltà psichiche che certamente mancano nel

l'imputato infermo di mente (come possono mancare nel mino

re), con la conseguenza che nell'ipotesi di procedimento penali contro di esso sarebbe necessaria « la conoscenza della esistenza

del procedimento da parte del tutore, il quale potrà con la sua

attività personale supplire alla incapacità difensiva del folle, in

tegrando l'autodifesa del prevenuto». Le argomentazioni del giudice a quo non possono essere con

divise.

La sua prospettazione si basa, infatti, su di un duplice pre

supposto. Da un lato, egli mostra di ritenere che l'incapacità naturale di intendere e di volere di un soggetto, riferita ovvia

mente al momento in cui è stato commesso il reato a lui impu

tato, sia un dato normalmente conoscibile e conosciuto dal

giudice sin dal primo atto di istruzione. Dall'altro lato, sembra

dare per certo che l'ordinamento preveda l'obbligatoria designa zione del tutore (o di altro rappresentante legale) per l'impu tato che risulti — e quando risulti — totalmente infermo di

mente. Al contrario, nessuno dei due presupposti è riscontrabile

nel vigente sistema penale.

Non il primo, almeno di norma, perché neanche un previo accertamento dello stato di totale infermità mentale di un de

terminato soggetto, financo se prosciolto per questo motivo da

una precedente imputazione ed internato in un manicomio giu

diziario, può provare, di per sé, la persistenza dell'infermità

mentale del medesimo soggetto nel momento in cui si realizza

una diversa e successiva fattispecie criminosa che gli viene at

tribuita. Al contrario, sempre di norma, è proprio l'interrogato rio dell'imputato che fornisce al giudice i primi elementi per valutare se l'imputato stesso fosse o meno affetto da ma'attia

mentale che ne escludesse la capacità di intendere e di volere.

Non si verifica poi certamente — e tanto basta di per sé —

il secondo presupposto, perché nel nostro sistema penale non

è prevista in via generale la obbligatoria nomina di un tutore

(o di un curatore speciale o di altro rappresentante) dell'impu

tato infermo di mente, tale accertato nel corso di un procedi mento penale.

Nel sistema medesimo si riscontra un solo segno di atten

zione nel senso e ai fini qui considerati per l'imputato incapace

per infermità mentale, ma non interdetto, là dove (all'art. 155,

ult. comma, cod. pen.) si stabilisce che se il querelato è un in

fermo di mente e nessuno ne ha la rappresentanza, la facoltà

di accettare la remissione di querela è esercitata da un curatore

speciale, nominato ai sensi degli art. 11 e 14 cod. proc. penale.

Le ulteriori disposizioni riguardanti gli infermi di mente o non

si riferiscono all'imputato (art. 121 cod. pen. che prevede l'eser

cizio del diritto di querela ad opera di un curatore speciale

quando la persona offesa sia inferma di mente e non vi è chi

ne abbia la rappresentanza o chi la esercita si trovi in conflitto

di interesse con il rappresentato; art. 153 cod. pen. che attri

buisce l'esercizio del diritto di remissione della querela al tu

tore dell'interdetto a cagione di infermità mentale) ovvero, se

concernono l'imputato, ne presuppongono l'interdizione con la

conseguente nomina del tutore (art. 192, 2° comma, cod. proc.

pen. che riconosce il diritto di impugnazione al tutore per le

persone soggette a tutela; art. 193, 1° comma, ultima parte, cod.

proc. pen., che esige il concorso della volontà di chi esercita

l'autorità tutoria per la validità della dichiarazione dell'impu

tato interdetto contraria all'impugnazione per lui proposta da!

difensore). Su un piano diverso si colloca, poi, la disposizione

dell'art. 636, 3° comma, cod. proc. pen. che prescrive, per l'ap plicazione di misure di sicurezza a carico di un infermo di

mente, che l'invito a rendere le dichiarazioni ritenute oppor tune nel suo interesse sia diretto al tutore, al curatore e, in man canza di costoro, al coniuge, a un ascendente o a un discen dente che non siano in conflitto di interessi con l'infermo di mente.

È perciò evidente la diversità della situazione in esame ri

spetto a quella dell'imputato minore degli anni diciotto. La mi nore età è un dato certo, di piana risultanza anagrafica e per ciò di immediata evidenza, mentre l'esistenza di soggetti eser centi la (patria) potestà o la tutela è presupposta, in via ge nerale ed obbligatoria, dall'ordinamento. Il raffronto che, pro posto in questi termini non è concludente, potrebbe portare a ben diverso risultato se fosse instaurato tra la situazione del mi nore degli anni diciotto e l'interdetto per infermità mentale,

soggetto, come tale, a tutela.

Non è, dunue, incidendo sull'art. 304 cod. proc. pen. che s!

può soddisfare l'esigenza avvertita dal giudice a quo, che que sta corte ritiene meritevole di attenta considerazione. La solu zione del problema da lui posto esigerebbe — per colmare la ritenuta lacuna dell'ordinamento — la produzione di una appo sita disciplina, innovativa rispetto al sistema vigente, che non

solo affermasse la necessità dell'interposizione di un soggetto idoneo ad integrare la affievolita capacità ovvero a supplire alia

totale incapacità di difesa — nel duplice senso sopra chiarito —

dell'imputato infermo di mente, ma stabilisse altresì' il tempo e la procedura per un tale adempimento nonché gli effetti che

ne conseguirebbero sullo svolgimento del processo anche in re

lazione ai poteri conferiti a questo nuovo soggetto. Provvedere su una siffatta domanda implica una serie di

scelte affidate alla discrezionalità del legislatore e quindi eccede

dai poteri di questa corte, che deve, perciò, dichiarare inammis

sibile la questione proposta dal giudice istruttore di Napoli. Per questi motivi, dichiara inammissibile la questione di le

gittimità costituzionale dell'art. 304 cod. proc. pen. sollevata, con

riferimento all'art. 24, 2° comma, Cost, dal giudice istruttore

presso il Tribunale di Napoli con l'ordinanza indicata in epi

grafe.

CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 25 giugno 1981, n. 110

(Gazzetta ufficiale 1° luglio 1981, n. 179); Pres. Amadei, Rei.

De Stefano; Cassese (Avv. Agostini) c. I.n.a.d.e.l. Ord. T.A.R.

Lombardia 13 ottobre 1978 (Gazz. uff. 17 ottobre 1979, n. 284);

Pret. Brescia 13 luglio 1979 (id. 9 gennaio 1980, n. 8).

Impiegato degli enti locali — Indennità premio di servizio —

Superstiti aventi diritto — Genitori — Esclusione — Illegit

timità (Cost., art. 3; legge 8 marzo 1968 n. 152, nuove norme

in materia previdenziale per il personale degli enti locali,

art. 3).

È illegittimo l'art. 3 legge 8 marzo 1968 n. 152, nella parte in cui

non comprende i genitori ultrasessantenni o inabili a proficuo

lavoro, nullatenenti e a carico del dipendente da ente locale tra

le categorie dei superstiti aventi diritto all'indennità premio di

servizio nella forma indiretta, secondo l'ordine di precedenza

indicato dall'art. 7 legge 22 novembre 1962 n. 1646, in riferi

mento all'art. 3 Cost. (1)

(1) La sentenza che si riporta ricalca le argomentazioni già svolte da

Corte cost. 6 agosto 1979, n. 115 (rei. De Stefano), Foro it., 1979, I,

25Ù2, con nota di richiami, che ha dichiarato l'illegittimità dell'art. 3

legge 152/1968 nella parte in cui non comprende tra le categorie dei

superstiti aventi diritto all'indennità premio di servizio nella forma

indiretta i collaterali inabili permanentemente a qualsiasi proficuo

lavoro, nullatenenti e conviventi a carico dell'impiegato. Ulteriore questione di costituzionalità dello stesso art. 3 legge

152/1968 è stata sollevata da Pret. Roma, ord. 16 aprile 1980, id.,

1980, I, 2363, con nota di richiami, per la parte in cui la norma (2°

comma, lett. b) subordina il riconoscimento del diritto all'indennità

premio di servizio alla prole maggiorenne del dipendente da ente

locale, deceduto in attività di servizio, alle condizioni che sia inabile a

proficuo lavoro, nullatenente e vivesse a carico del dipendente al

momento del decesso, in relazione all'art. 7 legge 177/1976 che

prescinde da tali condizioni per il riconoscimento dell'indennità di

buonuscita agli orfani maggiorenni dei dipendenti statali.

Sulla natura previdenziale dell'indennità premio di servizio, cfr. Cass.

1° marzo 1979, n. 1316, id., 1980, I, 203, con nota di richiami,

secondo cui le relative controversie rientrano nella giurisdizione del

giudice ordinario.

This content downloaded from 92.63.103.61 on Sat, 28 Jun 2014 13:20:03 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

2107 PARTE PRIMA 2108

La Corte, ecc. — 1. - L'art. 3 legge 8 marzo 1968 n. 152, con la

quale sono state emanate « nuove norme in materia previdenziale

per il personale degli enti locali », riconosce, al primo comma, a

determinate condizioni, il diritto all'indennità premio di servizio

ai « superstiti dell'iscritto che muoia in attività di servizio ovvero

entro il triennio dalla cessazione senza aver conseguito, in que st'ultimo caso, l'indennità premio nella forma diretta ».

Nel secondo comma lo stesso articolo indica, nell'ordine di

precedenza e purché in possesso dei requisiti ivi specificati, « le

categorie di superstiti aventi diritto, ai sensi del precedente comma, all'indennità premio di servizio nella forma indiretta»; e

cioè: a) la vedova o il vedovo; b) la prole minorenne e, in

concorso con questa, la prole maggiorenne permanentemente ina

bile a lavoro proficuo, nullatenente ed a carico dell'iscritto alla

data del decesso del medesimo.

Con la sentenza n. 115 del 1979 (Foro it., 1979, I, 2502) questa corte ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del suddetto artico

lo « nella parte in cui non comprende tra le categorie dei

superstiti aventi diritto all'indennità premio di servizio nella

forma indiretta, rispettando l'ordine di precedenza ivi indicato, i

collaterali inabili permanentemente a qualsiasi proficuo lavoro, nullatenenti e conviventi a carico dell'iscritto».

2. - La corte è ora chiamata dalle ordinanze indicate in

narrativa ad accertare se sia costituzionalmente illegittimo il

menzionato art. 3, nella parte in cui non comprende tra le

categorie dei superstiti aventi diritto all'indennità premio di servi

zio nella forma indiretta, anche i genitori, ultrasessantenni o

inabili a proficuo lavoro, nullatenenti ed a carico dell'iscritto.

La norma è denunciata per contrasto con l'art. 3 Cost, dal

T.A.R. della Lombardia, sezione staccata di Brescia; e per con

trasto con gli art. 3, 36 e 38 Cost, dal Pretore di Brescia.

3. - Stante la identità della sollevata questione, i giudizi

vengono riuniti per essere decisi con unica sentenza.

4. - La questione è fondata.

Valgono, in proposito, le stesse argomentazioni, sulla cui base

la corte, con la citata sentenza n. 115 del 1979, ebbe a riconosce

re che la esclusione dei collaterali dal novero degli aventi diritto

all'indennità premio di servizio nella forma indiretta, concretava

una ingiustificata disparità di trattamento rispetto ad altre catego rie di superstiti. Posto che l'indennità premio di servizio (al pari dell'indennità di buonuscita per i dipendenti statali) « assolve

precipuamente una funzione previdenziale ed assistenziale, ponen dosi accanto alla pensione e ad altre indennità o prestazioni, nell'àmbito del trattamento di quiescenza previsto in favore del

personale collocato a riposo o comunque cessato dal servizio, e di

dati superstiti», non può, ove non sussistano valide ragioni, attribuirsi ad alcune categorie di superstiti il diritto tanto alla

pensione quanto all'indennità, e ad altre, che si trovino in eguale relazione assistenziale con il defunto ed in eguale stato di biso

gno, solo il diritto alla pensione, ma non anche il diritto all'in

dennità.

L'art. 7, 3° comma, legge 22 novembre 1962 n. 1646 riconosce,

in caso di morte del dipendente da ente locale, al padre, o, in

mancanza, alla madre, il diritto alla pensione, purché abbiano

un'età superiore ad anni sessanta, oppure siano inabili al lavoro

proficuo, siano nullatenenti e risultino a carico del deceduto, e

sempre che non sopravvivano né il coniuge, né figli aventi diritto

al trattamento di quiescenza. Il denunciato art. 3 legge n. 152 del

1968, d'altro canto, non li comprende tra le categorie dei supersti ti aventi diritto all'indennità premio di servizio. Nelle stesse

condizioni di inabilità, nullatenenza e vivenza a carico, invece, sia

gli orfani maggiorenni del dipendente, sia, nel prescritto ordine di

precedenza, i suoi collaterali hanno diritto tanto alla pensione

quanto all'indennità. Si riscontra, perciò, nella cerchia dei super stiti quella ingiustificata disparità di trattamento in danno di una

categoria rispetto ad altre, su cui la corte ha già fatto leva per le

dichiarazioni di illegittimità costituzionale operate con le sentenze

n. 82 del 1973 (id., 1973, I, 2372) e n. 115 del 1979.

Merita, altresì, rilievo, a conferma della constatata disparità di

trattamento, quanto rappresentato nell'ordinanza del Pretore di

Brescia, e cioè che i genitori dell'iscritto all'I.n.a.d.e.l., mentre

sono esclusi dall'indennità premio di servizio in forma indiretta, a

tenore del denunciato art. 3 legge n. 152 del 1968, possono, per effetto dell'art. 6 della stessa legge, conseguire, al pari degli altri

superstiti e nell'ordine di precedenza ivi indicato, la riversibilità

dell'assegno vitalizio corrisposto, ai sensi dell'art. 5 della medesi

ma legge, all'iscritto cessato dal servizio senza aver maturato il

diritto all'indennità in parola. Va, pertanto, dichiarata la illegittimità, per contrasto con il

principio di eguaglianza sancito dall'art. 3 Cost., dell'art. 3 legge

n. 152 del 1968 nella parte in cui non comprende tra le categorie

dei superstiti aventi diritto all'indennità premio di servizio nella

forma indiretta i genitori ultrasessantenni o inabili a proficuo

lavoro, nullatenenti ed a carico dell'iscritto. Quanto all'ordine di

precedenza in cui si collocano tali superstiti rispetto alle altre

categorie, non può razionalmente essere che quello indicato, ai

fini del trattamento di quiescenza e di riversibilità, dal citato art,

7 legge n. 1646 del 1962, il quale colloca il padre o, in mancanza, la madre, dopo il coniuge e gli orfani e prima dei collaterali.

Resta, in conseguenza della dichiarata illegittimità costituziona

le, assorbito il riferimento fatto nell'ordinanza del Pretore di

Brescia anche agli art. 36 e 38 Cost.

Per questi motivi, dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 3

legge 8 marzo 1968 n. 152 (nuove norme in materia previdenziale

per il personale degli enti locali), nella parte in cui non com

prende tra le categorie dei superstiti aventi diritto all'indennità

premio di servizio nella forma indiretta, rispettando l'ordine di

precedenza indicato dall'art. 7 legge 22 novembre 1962 n. 1646, i

genitori ultrasessantenni o inabili a proficuo lavoro, nullatenenti e

a carico dell'iscritto.

CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 25 giugno 1981, n. 107

(Gazzetta ufficiale 1° luglio 1981, n. 179); Pres. Amadei, Rei.

Elia; Pedalino c. Pedalino; Barlotti c. Barlotti; interv. Pres.

cons, ministri (Avv. dello Stato Albisinni). Ord. Trib. Sciacca

26 giugno 1975 (Gazz. uff. 19 novembre 1975, n. 306); Trib.

Salerno 4 maggio 1976 (id. 15 settembre 1976, n. 246).

Successione ereditaria — Collazione del danaro donato — Va

lutazione della somma donata in termini nominali — Colla

zione di beni mobili e immobili — Imputazione per equiva lente — Questione infondata di costituzionalità (Cost., art. 3,

42; cod. civ., art. 747, 750, 751).

È infondata la questione di costituzionalità dell'art. 751 cod. civ., in quanto dispone che la collazione del danaro donato si

effettua secondo il valore legale della specie donata, mentre gli art. 747 e 750 cod. civ. prevedono la collazione per imputazione con riguardo al valore dei beni immobili o mobili donati al

momento dell'apertura della successione, nonché degli stessi art.

747 e 750, in riferimento agli art. 3 e 42, 2° comma, Cost. (1)

(1) In limine, la corte rileva come le ordinanze di rimessione dei Tribunali di Sciacca e di Salerno (rispettivamente in Foro it., 1976. I.

517, e id., 1977, I, 549) non contestino la legittimità costituzionale del

principio nominalistico (sul quale v. la diffusa analisi di E. Quadri,

Principio nominalistico e disciplina dei rapporti monetari. Profili gene rali, Siena, 1978, e, ancóra di recente, Le clausole monetarie. Autono mia e controllo nella disciplina dei rapporti monetari, Milano, 1981); di qui l'impossibilità di sbarazzarsi della questione invocando — come

già in altre occasioni: cfr. Corte cost. 22 aprile 1980, n. 60, Foro it.,

1980, I, 1249 (commentata, da ultimo, da T. A. Auletta, in Nuove

leggi civ., 1980, 1124), in obiter, e 8 novembre 1979, n. 126, Foro it.,

1979, 1, 2807 — la discrezionalità del potare legislativo. Si passa, cosi, ad un sintetico schizzo della disciplina dei conferi

menti nella collazione (imposto dal singolare approccio adottato nella seconda ordinanza di rimessione, che solleva dubbi di legittimità costituzionale sugli art. 747 e 750 cod. civ. non ex se -— del tutto

ignorata è l'annosa polemica circa l'ingiustificato privilegio che, nel

nostro sistema collatizio, il donatario di immobile o mobile deriva dalle

possibili variazioni di valore intrinseco del bene ovvero dalle oscilla zioni monetarie intervenute tra il momento della liberalità e l'apertura della successione: v., per un'attenta ricognizione degli orientamenti emessi in dottrina e giurisprudenza, P. Forchielli, Della divisione, in

Commentario, a cura di Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1970, 451

ss., 467-468; è opportuno ricordare, al riguardo, la diversa soluzione

introdotta dal legislatore francese con la novella del 3 luglio 1971 n.

71-523 [il nuovo testo dell'art. 860, 1° comma, code civil recita: « Le

rapport est du de la valeur du bien donné à l'époque du partage,

d'après son état à l'époque de la donation »], su cui v., per un primo

ragguaglio critico, E. S. de la Marnierre, Observations sur l'indexation

comme mesure de valeur, in Rev. trim, droit civ., 1977, 54, 65, nonché

G. L. Pierre-Francois, La notion de dette de valeur en droit civil.

Essai d'une theorie, Paris, 1975, 145 ss. — ma come elementi di

valutazione dell'art. 751 cod. civ.). 11 tutto per approdare ad una prima conclusione: che la collazione di danaro non presenta identità o

affinità con quella per imputazione di beni nel loro equivalente e si

pone anzi — per esser collazione « in natura » — « accanto al

conferimento in natura di bene immobile, che è conferimento dello

stesso bene e non di altro bene ». Il ragionamento sa, da lontano, di escamotage; e riesce men che

persuasivo. Ammesso pure che, nella materia che ci occupa, non siano

immediatamente utilizzabili le distinzioni emesse in diritto societario, non si può fare a meno di osservare, tra l'altro, che: 1) per i beni

fungibili — qual è, in linea di principio, la moneta — è sancito, ex

art. 750, un regime differente da quello dettato per unique goods, come

appunto gli immobili; 2) il 1° comma dell'art. 751, ov'è detto che la

This content downloaded from 92.63.103.61 on Sat, 28 Jun 2014 13:20:03 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions


Recommended