sentenza 25 giugno 1981, n. 110 (Gazzetta ufficiale 1° luglio 1981, n. 179); Pres. Amadei, Rel.De Stefano; Cassese (Avv. Agostini) c. I.n.a.d.e.l. Ord. T.A.R. Lombardia 13 ottobre 1978 (Gazz.uff. 17 ottobre 1979, n. 284); Pret. Brescia 13 luglio 1979 (id. 9 gennaio 1980, n. 8)Source: Il Foro Italiano, Vol. 104, No. 9 (SETTEMBRE 1981), pp. 2105/2106-2107/2108Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23173007 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE .E CIVILE
di imputato minore degli anni diciotto sia inviata anche all'eser cente la patria potestà o tutela su di lui». Ciò perché «il di ritto di difesa » nel duplice aspetto della difesa tecnica e dei l'autodifesa «è in primo luogo garanzia di contraddittorio» e « può dirsi assicurato solo nella misura in cui si dia all'interes sato la possibilità di partecipare ad una effettiva dialettica pro cessuale », il che, per i minori degli anni diciotto, « non è pie namente realizzabile senza l'intervento, oltre che del difensore, dell'esercente la patria potestà o la tutela».
5. - A quest'ultima sentenza fa puntuale riferimento il giudice a quo nel sollevare la questione di costituzionalità del mede simo art. 304 cod. proc. pen. sollecitando una ulteriore « esten sione » dell'obbligo di inviare la comunicazione giudiziaria (a
soggetto diverso da quelli indicati nella disposizione di legge denunziata); estensione che sarebbe « imposta da una condi zione di incapacità dell'imputato » analoga a quella del minore.
Il g. i. presso il Tribunale di Napoli muove dalla esatta con siderazione che funzione della comunicazione giudiziaria è quel la di consentire all'indiziato o all'imputato di provvedere per
tempo alla propria difesa, sia tecnica, con la nomina di un
difensore, sia materiale, attraverso la raccolta e il vaglio delle
prove. Una simile attività implica nel soggetto interessalo la
presenza delle facoltà psichiche che certamente mancano nel
l'imputato infermo di mente (come possono mancare nel mino
re), con la conseguenza che nell'ipotesi di procedimento penali contro di esso sarebbe necessaria « la conoscenza della esistenza
del procedimento da parte del tutore, il quale potrà con la sua
attività personale supplire alla incapacità difensiva del folle, in
tegrando l'autodifesa del prevenuto». Le argomentazioni del giudice a quo non possono essere con
divise.
La sua prospettazione si basa, infatti, su di un duplice pre
supposto. Da un lato, egli mostra di ritenere che l'incapacità naturale di intendere e di volere di un soggetto, riferita ovvia
mente al momento in cui è stato commesso il reato a lui impu
tato, sia un dato normalmente conoscibile e conosciuto dal
giudice sin dal primo atto di istruzione. Dall'altro lato, sembra
dare per certo che l'ordinamento preveda l'obbligatoria designa zione del tutore (o di altro rappresentante legale) per l'impu tato che risulti — e quando risulti — totalmente infermo di
mente. Al contrario, nessuno dei due presupposti è riscontrabile
nel vigente sistema penale.
Non il primo, almeno di norma, perché neanche un previo accertamento dello stato di totale infermità mentale di un de
terminato soggetto, financo se prosciolto per questo motivo da
una precedente imputazione ed internato in un manicomio giu
diziario, può provare, di per sé, la persistenza dell'infermità
mentale del medesimo soggetto nel momento in cui si realizza
una diversa e successiva fattispecie criminosa che gli viene at
tribuita. Al contrario, sempre di norma, è proprio l'interrogato rio dell'imputato che fornisce al giudice i primi elementi per valutare se l'imputato stesso fosse o meno affetto da ma'attia
mentale che ne escludesse la capacità di intendere e di volere.
Non si verifica poi certamente — e tanto basta di per sé —
il secondo presupposto, perché nel nostro sistema penale non
è prevista in via generale la obbligatoria nomina di un tutore
(o di un curatore speciale o di altro rappresentante) dell'impu
tato infermo di mente, tale accertato nel corso di un procedi mento penale.
Nel sistema medesimo si riscontra un solo segno di atten
zione nel senso e ai fini qui considerati per l'imputato incapace
per infermità mentale, ma non interdetto, là dove (all'art. 155,
ult. comma, cod. pen.) si stabilisce che se il querelato è un in
fermo di mente e nessuno ne ha la rappresentanza, la facoltà
di accettare la remissione di querela è esercitata da un curatore
speciale, nominato ai sensi degli art. 11 e 14 cod. proc. penale.
Le ulteriori disposizioni riguardanti gli infermi di mente o non
si riferiscono all'imputato (art. 121 cod. pen. che prevede l'eser
cizio del diritto di querela ad opera di un curatore speciale
quando la persona offesa sia inferma di mente e non vi è chi
ne abbia la rappresentanza o chi la esercita si trovi in conflitto
di interesse con il rappresentato; art. 153 cod. pen. che attri
buisce l'esercizio del diritto di remissione della querela al tu
tore dell'interdetto a cagione di infermità mentale) ovvero, se
concernono l'imputato, ne presuppongono l'interdizione con la
conseguente nomina del tutore (art. 192, 2° comma, cod. proc.
pen. che riconosce il diritto di impugnazione al tutore per le
persone soggette a tutela; art. 193, 1° comma, ultima parte, cod.
proc. pen., che esige il concorso della volontà di chi esercita
l'autorità tutoria per la validità della dichiarazione dell'impu
tato interdetto contraria all'impugnazione per lui proposta da!
difensore). Su un piano diverso si colloca, poi, la disposizione
dell'art. 636, 3° comma, cod. proc. pen. che prescrive, per l'ap plicazione di misure di sicurezza a carico di un infermo di
mente, che l'invito a rendere le dichiarazioni ritenute oppor tune nel suo interesse sia diretto al tutore, al curatore e, in man canza di costoro, al coniuge, a un ascendente o a un discen dente che non siano in conflitto di interessi con l'infermo di mente.
È perciò evidente la diversità della situazione in esame ri
spetto a quella dell'imputato minore degli anni diciotto. La mi nore età è un dato certo, di piana risultanza anagrafica e per ciò di immediata evidenza, mentre l'esistenza di soggetti eser centi la (patria) potestà o la tutela è presupposta, in via ge nerale ed obbligatoria, dall'ordinamento. Il raffronto che, pro posto in questi termini non è concludente, potrebbe portare a ben diverso risultato se fosse instaurato tra la situazione del mi nore degli anni diciotto e l'interdetto per infermità mentale,
soggetto, come tale, a tutela.
Non è, dunue, incidendo sull'art. 304 cod. proc. pen. che s!
può soddisfare l'esigenza avvertita dal giudice a quo, che que sta corte ritiene meritevole di attenta considerazione. La solu zione del problema da lui posto esigerebbe — per colmare la ritenuta lacuna dell'ordinamento — la produzione di una appo sita disciplina, innovativa rispetto al sistema vigente, che non
solo affermasse la necessità dell'interposizione di un soggetto idoneo ad integrare la affievolita capacità ovvero a supplire alia
totale incapacità di difesa — nel duplice senso sopra chiarito —
dell'imputato infermo di mente, ma stabilisse altresì' il tempo e la procedura per un tale adempimento nonché gli effetti che
ne conseguirebbero sullo svolgimento del processo anche in re
lazione ai poteri conferiti a questo nuovo soggetto. Provvedere su una siffatta domanda implica una serie di
scelte affidate alla discrezionalità del legislatore e quindi eccede
dai poteri di questa corte, che deve, perciò, dichiarare inammis
sibile la questione proposta dal giudice istruttore di Napoli. Per questi motivi, dichiara inammissibile la questione di le
gittimità costituzionale dell'art. 304 cod. proc. pen. sollevata, con
riferimento all'art. 24, 2° comma, Cost, dal giudice istruttore
presso il Tribunale di Napoli con l'ordinanza indicata in epi
grafe.
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 25 giugno 1981, n. 110
(Gazzetta ufficiale 1° luglio 1981, n. 179); Pres. Amadei, Rei.
De Stefano; Cassese (Avv. Agostini) c. I.n.a.d.e.l. Ord. T.A.R.
Lombardia 13 ottobre 1978 (Gazz. uff. 17 ottobre 1979, n. 284);
Pret. Brescia 13 luglio 1979 (id. 9 gennaio 1980, n. 8).
Impiegato degli enti locali — Indennità premio di servizio —
Superstiti aventi diritto — Genitori — Esclusione — Illegit
timità (Cost., art. 3; legge 8 marzo 1968 n. 152, nuove norme
in materia previdenziale per il personale degli enti locali,
art. 3).
È illegittimo l'art. 3 legge 8 marzo 1968 n. 152, nella parte in cui
non comprende i genitori ultrasessantenni o inabili a proficuo
lavoro, nullatenenti e a carico del dipendente da ente locale tra
le categorie dei superstiti aventi diritto all'indennità premio di
servizio nella forma indiretta, secondo l'ordine di precedenza
indicato dall'art. 7 legge 22 novembre 1962 n. 1646, in riferi
mento all'art. 3 Cost. (1)
(1) La sentenza che si riporta ricalca le argomentazioni già svolte da
Corte cost. 6 agosto 1979, n. 115 (rei. De Stefano), Foro it., 1979, I,
25Ù2, con nota di richiami, che ha dichiarato l'illegittimità dell'art. 3
legge 152/1968 nella parte in cui non comprende tra le categorie dei
superstiti aventi diritto all'indennità premio di servizio nella forma
indiretta i collaterali inabili permanentemente a qualsiasi proficuo
lavoro, nullatenenti e conviventi a carico dell'impiegato. Ulteriore questione di costituzionalità dello stesso art. 3 legge
152/1968 è stata sollevata da Pret. Roma, ord. 16 aprile 1980, id.,
1980, I, 2363, con nota di richiami, per la parte in cui la norma (2°
comma, lett. b) subordina il riconoscimento del diritto all'indennità
premio di servizio alla prole maggiorenne del dipendente da ente
locale, deceduto in attività di servizio, alle condizioni che sia inabile a
proficuo lavoro, nullatenente e vivesse a carico del dipendente al
momento del decesso, in relazione all'art. 7 legge 177/1976 che
prescinde da tali condizioni per il riconoscimento dell'indennità di
buonuscita agli orfani maggiorenni dei dipendenti statali.
Sulla natura previdenziale dell'indennità premio di servizio, cfr. Cass.
1° marzo 1979, n. 1316, id., 1980, I, 203, con nota di richiami,
secondo cui le relative controversie rientrano nella giurisdizione del
giudice ordinario.
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2107 PARTE PRIMA 2108
La Corte, ecc. — 1. - L'art. 3 legge 8 marzo 1968 n. 152, con la
quale sono state emanate « nuove norme in materia previdenziale
per il personale degli enti locali », riconosce, al primo comma, a
determinate condizioni, il diritto all'indennità premio di servizio
ai « superstiti dell'iscritto che muoia in attività di servizio ovvero
entro il triennio dalla cessazione senza aver conseguito, in que st'ultimo caso, l'indennità premio nella forma diretta ».
Nel secondo comma lo stesso articolo indica, nell'ordine di
precedenza e purché in possesso dei requisiti ivi specificati, « le
categorie di superstiti aventi diritto, ai sensi del precedente comma, all'indennità premio di servizio nella forma indiretta»; e
cioè: a) la vedova o il vedovo; b) la prole minorenne e, in
concorso con questa, la prole maggiorenne permanentemente ina
bile a lavoro proficuo, nullatenente ed a carico dell'iscritto alla
data del decesso del medesimo.
Con la sentenza n. 115 del 1979 (Foro it., 1979, I, 2502) questa corte ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del suddetto artico
lo « nella parte in cui non comprende tra le categorie dei
superstiti aventi diritto all'indennità premio di servizio nella
forma indiretta, rispettando l'ordine di precedenza ivi indicato, i
collaterali inabili permanentemente a qualsiasi proficuo lavoro, nullatenenti e conviventi a carico dell'iscritto».
2. - La corte è ora chiamata dalle ordinanze indicate in
narrativa ad accertare se sia costituzionalmente illegittimo il
menzionato art. 3, nella parte in cui non comprende tra le
categorie dei superstiti aventi diritto all'indennità premio di servi
zio nella forma indiretta, anche i genitori, ultrasessantenni o
inabili a proficuo lavoro, nullatenenti ed a carico dell'iscritto.
La norma è denunciata per contrasto con l'art. 3 Cost, dal
T.A.R. della Lombardia, sezione staccata di Brescia; e per con
trasto con gli art. 3, 36 e 38 Cost, dal Pretore di Brescia.
3. - Stante la identità della sollevata questione, i giudizi
vengono riuniti per essere decisi con unica sentenza.
4. - La questione è fondata.
Valgono, in proposito, le stesse argomentazioni, sulla cui base
la corte, con la citata sentenza n. 115 del 1979, ebbe a riconosce
re che la esclusione dei collaterali dal novero degli aventi diritto
all'indennità premio di servizio nella forma indiretta, concretava
una ingiustificata disparità di trattamento rispetto ad altre catego rie di superstiti. Posto che l'indennità premio di servizio (al pari dell'indennità di buonuscita per i dipendenti statali) « assolve
precipuamente una funzione previdenziale ed assistenziale, ponen dosi accanto alla pensione e ad altre indennità o prestazioni, nell'àmbito del trattamento di quiescenza previsto in favore del
personale collocato a riposo o comunque cessato dal servizio, e di
dati superstiti», non può, ove non sussistano valide ragioni, attribuirsi ad alcune categorie di superstiti il diritto tanto alla
pensione quanto all'indennità, e ad altre, che si trovino in eguale relazione assistenziale con il defunto ed in eguale stato di biso
gno, solo il diritto alla pensione, ma non anche il diritto all'in
dennità.
L'art. 7, 3° comma, legge 22 novembre 1962 n. 1646 riconosce,
in caso di morte del dipendente da ente locale, al padre, o, in
mancanza, alla madre, il diritto alla pensione, purché abbiano
un'età superiore ad anni sessanta, oppure siano inabili al lavoro
proficuo, siano nullatenenti e risultino a carico del deceduto, e
sempre che non sopravvivano né il coniuge, né figli aventi diritto
al trattamento di quiescenza. Il denunciato art. 3 legge n. 152 del
1968, d'altro canto, non li comprende tra le categorie dei supersti ti aventi diritto all'indennità premio di servizio. Nelle stesse
condizioni di inabilità, nullatenenza e vivenza a carico, invece, sia
gli orfani maggiorenni del dipendente, sia, nel prescritto ordine di
precedenza, i suoi collaterali hanno diritto tanto alla pensione
quanto all'indennità. Si riscontra, perciò, nella cerchia dei super stiti quella ingiustificata disparità di trattamento in danno di una
categoria rispetto ad altre, su cui la corte ha già fatto leva per le
dichiarazioni di illegittimità costituzionale operate con le sentenze
n. 82 del 1973 (id., 1973, I, 2372) e n. 115 del 1979.
Merita, altresì, rilievo, a conferma della constatata disparità di
trattamento, quanto rappresentato nell'ordinanza del Pretore di
Brescia, e cioè che i genitori dell'iscritto all'I.n.a.d.e.l., mentre
sono esclusi dall'indennità premio di servizio in forma indiretta, a
tenore del denunciato art. 3 legge n. 152 del 1968, possono, per effetto dell'art. 6 della stessa legge, conseguire, al pari degli altri
superstiti e nell'ordine di precedenza ivi indicato, la riversibilità
dell'assegno vitalizio corrisposto, ai sensi dell'art. 5 della medesi
ma legge, all'iscritto cessato dal servizio senza aver maturato il
diritto all'indennità in parola. Va, pertanto, dichiarata la illegittimità, per contrasto con il
principio di eguaglianza sancito dall'art. 3 Cost., dell'art. 3 legge
n. 152 del 1968 nella parte in cui non comprende tra le categorie
dei superstiti aventi diritto all'indennità premio di servizio nella
forma indiretta i genitori ultrasessantenni o inabili a proficuo
lavoro, nullatenenti ed a carico dell'iscritto. Quanto all'ordine di
precedenza in cui si collocano tali superstiti rispetto alle altre
categorie, non può razionalmente essere che quello indicato, ai
fini del trattamento di quiescenza e di riversibilità, dal citato art,
7 legge n. 1646 del 1962, il quale colloca il padre o, in mancanza, la madre, dopo il coniuge e gli orfani e prima dei collaterali.
Resta, in conseguenza della dichiarata illegittimità costituziona
le, assorbito il riferimento fatto nell'ordinanza del Pretore di
Brescia anche agli art. 36 e 38 Cost.
Per questi motivi, dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 3
legge 8 marzo 1968 n. 152 (nuove norme in materia previdenziale
per il personale degli enti locali), nella parte in cui non com
prende tra le categorie dei superstiti aventi diritto all'indennità
premio di servizio nella forma indiretta, rispettando l'ordine di
precedenza indicato dall'art. 7 legge 22 novembre 1962 n. 1646, i
genitori ultrasessantenni o inabili a proficuo lavoro, nullatenenti e
a carico dell'iscritto.
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 25 giugno 1981, n. 107
(Gazzetta ufficiale 1° luglio 1981, n. 179); Pres. Amadei, Rei.
Elia; Pedalino c. Pedalino; Barlotti c. Barlotti; interv. Pres.
cons, ministri (Avv. dello Stato Albisinni). Ord. Trib. Sciacca
26 giugno 1975 (Gazz. uff. 19 novembre 1975, n. 306); Trib.
Salerno 4 maggio 1976 (id. 15 settembre 1976, n. 246).
Successione ereditaria — Collazione del danaro donato — Va
lutazione della somma donata in termini nominali — Colla
zione di beni mobili e immobili — Imputazione per equiva lente — Questione infondata di costituzionalità (Cost., art. 3,
42; cod. civ., art. 747, 750, 751).
È infondata la questione di costituzionalità dell'art. 751 cod. civ., in quanto dispone che la collazione del danaro donato si
effettua secondo il valore legale della specie donata, mentre gli art. 747 e 750 cod. civ. prevedono la collazione per imputazione con riguardo al valore dei beni immobili o mobili donati al
momento dell'apertura della successione, nonché degli stessi art.
747 e 750, in riferimento agli art. 3 e 42, 2° comma, Cost. (1)
(1) In limine, la corte rileva come le ordinanze di rimessione dei Tribunali di Sciacca e di Salerno (rispettivamente in Foro it., 1976. I.
517, e id., 1977, I, 549) non contestino la legittimità costituzionale del
principio nominalistico (sul quale v. la diffusa analisi di E. Quadri,
Principio nominalistico e disciplina dei rapporti monetari. Profili gene rali, Siena, 1978, e, ancóra di recente, Le clausole monetarie. Autono mia e controllo nella disciplina dei rapporti monetari, Milano, 1981); di qui l'impossibilità di sbarazzarsi della questione invocando — come
già in altre occasioni: cfr. Corte cost. 22 aprile 1980, n. 60, Foro it.,
1980, I, 1249 (commentata, da ultimo, da T. A. Auletta, in Nuove
leggi civ., 1980, 1124), in obiter, e 8 novembre 1979, n. 126, Foro it.,
1979, 1, 2807 — la discrezionalità del potare legislativo. Si passa, cosi, ad un sintetico schizzo della disciplina dei conferi
menti nella collazione (imposto dal singolare approccio adottato nella seconda ordinanza di rimessione, che solleva dubbi di legittimità costituzionale sugli art. 747 e 750 cod. civ. non ex se -— del tutto
ignorata è l'annosa polemica circa l'ingiustificato privilegio che, nel
nostro sistema collatizio, il donatario di immobile o mobile deriva dalle
possibili variazioni di valore intrinseco del bene ovvero dalle oscilla zioni monetarie intervenute tra il momento della liberalità e l'apertura della successione: v., per un'attenta ricognizione degli orientamenti emessi in dottrina e giurisprudenza, P. Forchielli, Della divisione, in
Commentario, a cura di Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1970, 451
ss., 467-468; è opportuno ricordare, al riguardo, la diversa soluzione
introdotta dal legislatore francese con la novella del 3 luglio 1971 n.
71-523 [il nuovo testo dell'art. 860, 1° comma, code civil recita: « Le
rapport est du de la valeur du bien donné à l'époque du partage,
d'après son état à l'époque de la donation »], su cui v., per un primo
ragguaglio critico, E. S. de la Marnierre, Observations sur l'indexation
comme mesure de valeur, in Rev. trim, droit civ., 1977, 54, 65, nonché
G. L. Pierre-Francois, La notion de dette de valeur en droit civil.
Essai d'une theorie, Paris, 1975, 145 ss. — ma come elementi di
valutazione dell'art. 751 cod. civ.). 11 tutto per approdare ad una prima conclusione: che la collazione di danaro non presenta identità o
affinità con quella per imputazione di beni nel loro equivalente e si
pone anzi — per esser collazione « in natura » — « accanto al
conferimento in natura di bene immobile, che è conferimento dello
stesso bene e non di altro bene ». Il ragionamento sa, da lontano, di escamotage; e riesce men che
persuasivo. Ammesso pure che, nella materia che ci occupa, non siano
immediatamente utilizzabili le distinzioni emesse in diritto societario, non si può fare a meno di osservare, tra l'altro, che: 1) per i beni
fungibili — qual è, in linea di principio, la moneta — è sancito, ex
art. 750, un regime differente da quello dettato per unique goods, come
appunto gli immobili; 2) il 1° comma dell'art. 751, ov'è detto che la
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