sentenza 25 giugno 1996, n. 216 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 3 luglio 1996, n. 27);Pres. Ferri, Est. Onida; Pititto. Ord. Trib. Catanzaro 4 maggio 1995 (G.U., 1 a s.s., n. 47 del1995)Source: Il Foro Italiano, Vol. 120, No. 6 (GIUGNO 1997), pp. 1717/1718-1719/1720Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23192002 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
che su cose e luoghi, come è espressamente previsto, anche su
persone. Secondo questo orientamento, per un verso, sarebbe
incompatibile con la natura del provvedimento sottoporre la per
sona ad un accertamento possibile solo attraverso l'esercizio di
un'azione; per altro verso, la persona umana non potrebbe es
sere in alcun modo assimilata alle cose ed ai luoghi, menzionati
dall'art. 696. Non sono, tuttavia, mancate interpretazioni diver
se da parte autorevole della dottrina, orientata ad ammettre che
anche la persona possa, ricorrendone le condizioni, essere sot
toposta, anticipatamente rispetto al giudizio, a quelle osserva
zioni che pù tardi non sarebbero utili o possibili. Ma di fronte alla norma, quale si è effettivamente affermata
nell'esperienza giuridica, che non ammetteva l'accertamento tec
nico preventivo sulla persona, questa corte ha dichiarato l'ille
gittimità costituzionale dell'art. 696, 1° comma, c.p.c., nella
parte in cui non consentiva di disporre tale accertamento o ispe
zione giudiziale sulla persona dell'istante (sentenza n. 471 del
1990, id., 1991, I, 14). Difatti, se non si riconoscesse il diritto del soggetto all'accertamento tecnico preventivo di un proprio
stato fisico (allora richiesto nella prospettiva di un'azione di
risarcimento), si limiterebbe la possibilità di soddisfare l'onere della prova, ledendo il diritto di azione garantito dall'art. 24,
1° comma, Cost. Né l'ammissione dell'accertamento sul pro
prio corpo, non basato su atti coercitivi bensì volontariamente
richiesto dalla persona, configura in alcun modo una lesione
della libertà personale, la cui inviolabilità è garantita dall'art.
13 Cost.
Gli stessi principi devono valere nel caso in cui l'accertamen
to sia richiesto dall'istante nei confronti di altra persona, essen
do anche in questo caso in gioco la possibilità di esercitare il
diritto alla prova in condizione di eguaglianza con l'altra parte
del giudizio. Tuttavia, perché possa essere adottato dal giudice il provvedimento che dispone l'accertamento o l'ispezione, è ne
cessaria la libera manifestazione di volontà della parte che con
sente di sottoporre il proprio corpo ad accertamento o ispezio
ne. Tale volontà non può essere, in questo caso, dedotta dalla
presentazione dell'istanza, che è formulata da persona diversa
da quella da sottoporre all'accertamento. Il consenso liberamente
manifestato rispetto a questo atto di istruzione sulla persona,
deve essere quindi acquisito dal giudice prima dell'emissione del
provvedimento, condizionandone l'adozione e non la sola ese
cuzione, sicché dall'eventuale diniego, manifestato in questa fa
se cautelare ed anticipata rispetto all'eventuale giudizio, non può
essere tratto alcun elemento di valutazione probatoria. Ammessa la possibilità di accertamento o di ispezione sul corpo
della persona, il contenuto dell'attività da porre in essere non
si sottrae agli altri limiti ad essa propri, necessari per rispettare la dignità e l'inviolabilità della persona umana (sentenza n. 238
del 1996, id., 1997, I, 58). Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara l'illegitti
mità costituzionale dell'art. 696, 1° comma, c.p.c., nella parte in cui non prevede che il giudice possa disporre accertamento
tecnico o ispezione giudiziale anche sulla persona nei cui con
fronti l'istanza è proposta, dopo averne acquisito il consenso.
Il Foro Italiano — 1997.
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 25 giugno 1996, n. 216
(Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 3 luglio 1996, n. 27); Pres. Ferri, Est. Onida; Pititto. Ord. Trib. Catanzaro 4 mag
gio 1995 (G.U., la s.s., n. 47 del 1995).
Misure cautelari personali — Impugnazioni — Riesame — Udien
za — Partecipazione dell'interessato e del difensore — Dirit
to dell'interessato ad un previo colloquio con il difensore —
Diverso provvedimento restrittivo emesso nelle more dell'u
dienza e divieto di colloquio con il difensore — Decorso del
termine di dieci giorni ai fini della decisione sul riesame dalla cessazione del divieto di colloquio con il difensore — Omessa
previsione — Questione infondata di costituzionalità nei sensi
di cui in motivazione (Cost., art. 24; norme attuaz., coord,
e trans, cod. proc. pen., art. 101).
È infondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di
legittimità costituzionale dell'art. 101 norme attuaz. c.p.p. nella
parte in cui non prevede — tra le ipotesi nelle quali il termine
di dieci giorni, ex art. 309, 9° comma, c.p.p., per la decisione
sulla richiesta di riesame decorre o riprende a decorrere da
data successiva a quella di ricezione degli atti da parte del
tribunale — anche il caso dell'imputato che, avendo chiesto
il riesame, sia stato raggiunto, prima dell'udienza fissata per la decisione su tale richiesta, da nuovo provvedimento restrit
tivo accompagnato da divieto temporaneo di colloquio con
i difensori, in riferimento all'art. 24 Cost. (1)
Diritto. — 1. - Il giudice rimettente lamenta in sostanza che
l'art. 101 disp. att. c.p.p., nel prevedere le ipotesi nelle quali il termine di dieci giorni per la decisione sull'istanza di riesame, fissato dall'art. 309, 9° comma, del codice, decorre, o riprende a decorrre, da data diversa e successiva rispetto a quella di rice
zione degli atti da parte del tribunale, non contempli anche il
caso dell'imputato il quale, avendo chiesto il riesame, sia stato
raggiunto, prima dell'udienza fissata per la decisione su tale
istanza, da nuovo provvedimento restrittivo accompagnato da
divieto temporaneo di colloquio con i difensori.
Le ipotesi contemplate dal citato art. 101 sono quelle del rin
vio dell'udienza nel caso di legittimo impedimento dell'imputa to che abbia chiesto di essere sentito personalmente (art. 127, 4° comma, c.p.p., cui fa rinvio l'art. 101, 1° comma, disp.
att., disponendo che in tal caso il termine decorre nuovamente
dalla data in cui il giudice riceve comunicazione della cessazio
ne dell'impedimento o comunque accerta la cessazione dello stes
so); e quella in cui l'imputato, detenuto in luogo posto fuori
del circondario del tribunale competente per il riesame, sia sta
to sentito prima del giorno dell'udienza dal magistrato di sorve
glianza del luogo, ai sensi dell'art. 127, 3° comma, c.p.p. (art.
101, 2° comma, disp. att., a norma del quale in tal caso il
termine decorre dal momento in cui pervengono al tribunale
gli atti assunti dal magistrato di sorveglianza, che deve provve dere a ciò senza ritardo, previo tempestivo avviso al difensore,
e trasmettere gli atti al tribunale con il mezzo più celere).
(1) In ordine ai presupposti interpretativi su cui si fondano i dubbi
sollevati dal giudice a quo non constano, in giurisprudenza, precedenti editi in termini. È innegabile che il divieto di colloquio con il difensore,
disciplinato dall'art. 104, 3° comma, c.p.p., si estende anche ai rappor ti tra assistito e difensore nell'ambito di procedimenti diversi da quello per cui il divieto medesimo è disposto: soluzioni alternative darebbero
infatti luogo ad agevoli manovre di aggiramento, frustrando la ratio
su cui il congegno riposa. L'interpretazione adeguatrice offerta dalla
corte con riguardo alla categoria del «legittimo impedimento» di cui
all'art. 127, 4° comma, c.p.p. consente, in realtà, di superare Vimpasse denunciato dal giudice a quo facendo uso delle risorse già esistenti in
terne al sistema, e dunque escludendo la prospettiva della declaratoria
di incostituzionalità: l'intelaiatura in cui si iscrive il meccanismo impo ne una lettura estensiva della norma, che valorizzi tutte le ipotesi in
cui, per cause pur fisiologiche, l'interessato non abbia potuto o non
possa pienamente esercitare i diritti inerenti alla sua difesa; la giuridica
impossibilità, nella specie, di esercitare — entro i limiti fissati dal giudi ce ex art. 104, 3° comma, c.p.p. — il diritto di conferire con il difenso
re (anche) in vista dell'udienza camerale di trattazione del riesame ben
può, dunque, essere configurata già de iure condito quale impedimento
legittimo, idoneo a provocare lo slittamento del termine di decorrenza
dell'arco temporale entro cui, a pena di caducazione del titolo, il tribu
nale del riesame è tenuto a decidere ex art. 309, 9° comma, c.p.p.
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1719 PARTE PRIMA 1720
L'impossibilità di concedere il colloquio, dato il carattere as
soluto del temporaneo divieto imposto nell'ambito di un altro
procedimento, e l'impossibilità nello stesso tempo di differire
il termine perentorio per la decisione, il cui mancato rispetto farebbe cadere la stessa misura cautelare, condurrebbero ad una
inevitabile menomazione del diritto di difesa, che potrebbe esse
re evitata, secondo il rimettente, solo attraverso una pronuncia di incostituzionalità di tipo additivo, che estenda la previsione di rinvio dell'udienza e di differimento del termine all'ipotesi in questione.
2. - La questione è infondata nei sensi di seguito precisati. Le premesse interpretative da cui muove il rimettente, come
si è detto, sono, da un lato, l'assolutezza del divieto di collo
quio, che estenderebbe i suoi effetti anche agli altri procedi menti a carico dello stesso imputato detenuto nonché al collo
quio dell'imputato col difensore in occasione dell'udienza di rie
same; dall'altro lato, l'inapplicabilità, in questa fattispecie, delle
norme che contemplano il rinvio dell'udienza e il differimento
del termine per la decisione. Secondo il giudice a quo evidente
mente, tale ipotesi non sarebbe riconducibile a quella del legitti mo impedimento dell'imputato, prevista dall'art. 127, 4° com
ma, c.p.p. La prima di tali premesse interpretative appare plausibile e
conforme alla ratio della norma, che prevede la possibilità,
«quando sussistono specifiche ed eccezionali esigenze di caute
la», di differire per un breve tempo (sette giorni, oggi ridotti
a cinque per effetto dell'art. 1 1. 8 agosto 1995 n. 332) l'eserci
zio del diritto di conferire con il difensore. Detto provvedimen to è infatti in grado di ottenere gli effetti pratici che da esso
si attendono solo se esplica efficacia anche con riguardo agli altri eventuali procedimenti penali in corso nei confronti del
l'imputato, impedendo l'aggiornamento altrimenti agevole del
divieto attraverso il contatto con il difensore nell'ambito di tali
altri procedimenti. Tuttavia il sopravvenire del divieto quando è in corso un al
tro procedimento nei confronti dello stesso imputato produce un temporaneo impedimento al pieno esercizio del diritto di di
fesa nell'ambito di quest'ultimo. Di una effettiva difesa fa par te integrante, infatti, la concreta possibilità dell'imputato di con
ferire col proprio difensore prima e durante l'udienza in cui
si discute l'istanza di riesame del provvedimento restrittivo, nel
l'esercizio di quello che l'art. 104 c.p.p. ha configurato come
un vero e proprio diritto dell'imputato in stato di custodia cau
telare.
La lesione del diritto di difesa denunciata dal giudice rimet
tente si verificherebbe, peraltro, solo se si accogliesse anche l'altra
delle due premesse interpretative assunte dal medesimo, quella cioè secondo cui nel caso considerato non sarebbe possibile il
rinvio dell'udienza del tribunale del riesame oltre il termine pe rentorio fissato per la decisione dall'art. 309, 9° comma, c.p.p., non versandosi in un'ipotesi di legittimo impedimento dell'im putato che abbia chiesto di essere udito personalmente.
Ora, la nozione di «legittimo impedimento» non è precisata dall'art. 127, 4° comma, c.p.p. Ma ragioni di ordine costituzio
nale — discendenti dall'esigenza di evitare compromissioni del
diritto di difesa dell'imputato — inducono a preferire una in
terpretazione estensiva, atta a ricomprendere le ipotesi in cui
l'imputato non abbia potuto o non possa esercitare pienamente i diritti inerenti alla sua difesa e cosi il diritto di conferire con
il difensore: al quale fa riscontro il diritto del difensore di con
ferire con il proprio assistito ai fini di un efficace dispiegamen to della sua attività difensiva (si veda l'art. 36 disp. att. c.p.p., sul diritto del difensore di accedere ai luoghi in cui il suo assi
stito si trovi custodito, per conferire con lui; nonché, ad altro
proposito, l'art. 38 disp. att., sulla facoltà del difensore di svol
gere investigazioni e di conferire con le persone che possano dare informazioni, al fine di esercitare il diritto alla prova).
L'imputato temporaneamente soggetto al divieto di conferire
col difensore deve dunque considerarsi di fatto impedito a par
tecipare utilmente — vale a dire nel pieno ed effettivo rispetto del suo diritto di difesa — all'udienza in cui si discute sull'i stanza di riesame da lui presentata.
Che d'altra parte lo stesso legislatore abbia considerato l'im
pedimento al colloquio col difensore come evento tale da dover
incidere sui termini, pur perentori, della procedura di riesame, al fine di conciliarli con l'effettività del diritto di difesa, è di mostrato dall'avvenuto inserimento nell'art. 309 c.p.p., ad ope
II Foro Italiano — 1997.
ra della recente novella recata dalla 1. 8 agosto 1995 n. 332, del comma 3 bis ai cui sensi nei termini previsti dai commi,
1°, 2° e 3° dello stesso articolo — vale a dire nei termini per la proposizione della richiesta di riesame — «non si computano i giorni per i quali è stato disposto il differimento del colloquio, a norma dell'art. 104, 3° comma».
Se pure tale disposizione non soccorre nel caso in esame, es
sendo qui in gioco non già i termini per proporre la richiesta
di riesame, bensì quello imposto per la decisione del tribunale, nondimeno con essa vanno coordinate le altre norme in mate
ria, attraverso una interpretazione dell'art. 127, 4° comma, che
parimenti faccia salva l'effettività del diritto di difesa quando
l'impedimento al colloquio col difensore vada ad incidere, anzi
ché sul termine per ricorrere, su quello per provvedere sull'i
stanza.
Quest'ultimo termine è posto a garanzia dell'imputato, assi
curandogli una decisione tempestiva sull'istanza de liberiate me
diante la comminatoria della perdita di efficacia dell'ordinanza
cautelare in caso di mancato rispetto del termine stesso (cfr. ordinanza n. 126 del 1993, Foro it., 1994, I, 300). Ma tale ga ranzia va integrata con quella di effettività della difesa: ed in
fatti a questo scopo l'art. 127, 4° comma, esplicitamente dispo ne il rinvio dell'udienza (con conseguente nuovo decorso del
termine, ai sensi dell'art. 101, 1° comma, disp. att.) nel caso
di legittimo impedimento dell'imputato che abbia chiesto di es
sere sentito personalmente. A tal proposito deve ricordarsi come questa corte, con la sen
tenza n. 45 del 1991 (id., Rep. 1991, voce Misure cautelari per
sonali, n. 377), abbia ritenuto in via interpretativa che il diritto
dell'imputato di essere sentito personalmente dal giudice del rie
same si possa esercitare anche quando l'imputato sia detenuto
in altro luogo, benché l'art. 127, 3° comma, del codice in que sta ipotesi preveda espressamente soltanto che egli sia sentito,
a richiesta, prima del giorno dell'udienza dal magistrato di sor
veglianza del luogo. In base al criterio, affermato costantemente dalla giurispru
denza di questa corte, secondo cui fra più interpretazioni possi bili della stessa norma va preferita quella che consente di dare
ad essa un significato conforme o non in contrasto con la Co
stituzione (cfr. da ultimo sentenze nn. 121 del 1994, id., Rep.
1994, voce Separazione di coniugi, n. 26; 19 del 1995, id., 1995,
I, 1416; 98 del 1996, id., 1997, I, 343), deve pertanto accogliersi una interpretazione dell'art. 127, 4° comma, c.p.p. — e conse
guentemente dell'art. 101, 1° comma, disp. att., che ad esso
fa richiamo — secondo cui costituisce legittimo impedimento
dell'imputato, per gli effetti di cui alle indicate norme, l'impos sibilità per il medesimo di conferire con il proprio difensore, a causa di un concomitante provvedimento di differimento del
l'esercizio del diritto al colloquio, adottato, nell'ambito di di
verso procedimento, ai sensi dell'art. 104, 3° comma, dello stesso
codice.
L'impedimento sussiste anche quando sia il difensore a la
mentare l'impossibilità, a causa del temporaneo divieto di col
loquio, di conferire con l'imputato, ai fini dello svolgimento della propria attività di difesa. Tale impossibilità si traduce in
fatti in un ostacolo al pieno esercizio del diritto di difesa, e
dunque all'utile partecipazione dell'imputato alla fase procedi mentale in questione.
Ove si verifichi questa ipotesi, starà all'imputato o al suo
difensore — a cui fra l'altro, a norma dell'art. 99 c.p.p., com
petono le facoltà e i diritti che la legge riconosce all'imputato, a meno che essi siano riservati personalmente a quest'ultimo — fa valere l'impedimento, consentendo in tal modo che l'u
dienza venga rinviata, a norma dell'art. 127, 3° comma, c.p.p., ed il termine per decidere differito, ai sensi dell'art. 101 disp. att. c.p.p., senza che con ciò sia contraddetta la funzione di
garanzia per l'imputato, attribuita dalla legge al termine me
desimo.
Così interpretato il sistema normativo, la norma denunciata
sfugge alla censura di costituzionalità ad essa mossa dal giudice rimettente.
Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara non fonda
ta, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 101 disp. att. c.p.p., sollevata, in riferi
mento all'art. 24 Cost., dal Tribunale di Catanzaro con l'ordi
nanza in epigrafe indicata.
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