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sentenza 25 luglio 1996, n. 310 (Gazzetta ufficiale, 1aserie speciale, 31 luglio 1996, n. 31); Pres....

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sentenza 25 luglio 1996, n. 310 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 31 luglio 1996, n. 31); Pres. Ferri, Est. Mezzanotte; Meloni; interv. Pres. cons. ministri. Ord. App. Torino 5 luglio 1995 (G.U., 1 s.s., n. 51 del 1995) Source: Il Foro Italiano, Vol. 120, No. 6 (GIUGNO 1997), pp. 1713/1714-1715/1716 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23192000 . Accessed: 28/06/2014 08:39 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 193.142.30.55 on Sat, 28 Jun 2014 08:39:56 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Page 1: sentenza 25 luglio 1996, n. 310 (Gazzetta ufficiale, 1aserie speciale, 31 luglio 1996, n. 31); Pres. Ferri, Est. Mezzanotte; Meloni; interv. Pres. cons. ministri. Ord. App. Torino

sentenza 25 luglio 1996, n. 310 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 31 luglio 1996, n. 31);Pres. Ferri, Est. Mezzanotte; Meloni; interv. Pres. cons. ministri. Ord. App. Torino 5 luglio1995 (G.U., 1 s.s., n. 51 del 1995)Source: Il Foro Italiano, Vol. 120, No. 6 (GIUGNO 1997), pp. 1713/1714-1715/1716Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23192000 .

Accessed: 28/06/2014 08:39

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

stesso. L'accoglimento di un simile petitum, dunque, lungi dal

profilarsi come unica soluzione costituzionalmente imposta, fi nirebbe esso stesso per generare conseguenze di forte disarmo nia sul piano degli equilibri del sistema, giacché introdurrebbe una non giustificata compressione del diritto alla prova delle

restanti parti del processo. 3. - Le considerazioni sin qui svolte non possono invece vale

re per ciò che concerne l'ultimo dei profili che il giudice a quo ha dedotto a sostegno della pur sintetica ordinanza di rimessio

ne. La situazione di «stallo» processuale che si determina nel

caso in cui l'imputato, per malattia irreversibile, si trovi impos sibilitato a comparire, effettivamente determina per la parte ci

vile l'impossibilità di dare seguito alla propria domanda risarci toria, giacché, anche nell'ipotesi in cui ritenesse di optare per l'esercizio dell'azione civile in sede propria, il processo civile

così introdotto sopporterebbe gli effetti sospensivi stabiliti dal

l'art. 75, 3° comma, c.p.p., non rientrando l'ipotesi di specie tra le «eccezioni previste dalla legge» che la norma stessa enun cia quali deroghe a quegli effetti.

Sotto il circoscritto profilo che viene qui in discorso, si appa lesano, dunque, forti analogie tra la stasi del processo determi nata dalla incapacità psichica dell'imputato e quella che scaturi

sce dall'impedimento a comparire dell'imputato il quale non con senta che il dibattimento prosegua in una assenza, giacché entrambe le situazioni di paralisi processuale ineluttabilmente determinano una sostanziale sterilizzazione dell'azione civile eser citata nel processo penale. Considerato, quindi, che nel primo caso l'art. 71, 6° comma, c.p.p. fa salvi i diritti della parte civile sancendo l'inapplicabilità dell'art. 75, 3° comma, dello

stesso codice e, dunque, consentendo il trasferimento dell'azio ne in sede civile senza che il relativo processo venga sospeso, si rivela fondata la doglianza del giudice a quo nella parte in cui sollecita l'adozione del medesimo regime anche nell'ipotesi che qui rileva. Come questa corte ha infatti avuto modo di pun tualizzare in una fattispecie del tutto analoga a quella oggetto del presente giudizio, ancorché riferita alla disciplina — peral tro a questi fini non difforme — dettata dal codice di rito pre vigente, «è certo che una stasi del processo che si accerti di durata indefinita ed indeterminabile, non possa non vulnerare il diritto di azione e di difesa della parte civile cui pure l'assetto del codice abrogato apprestava tutela, svincolandola dal proces so penale nel caso di sospensione del processo per infermità di mente dell'imputato» (v. sentenza n. 330 del 1994, id., 1995, I, 2429). Con ciò il perturbamento del canone dell'uguaglianza, che il rimettente deduce come parametro, finisce per assumere nella specie connotazioni di ancor più incisivo risalto, in quanto intimamente correlato ad altro valore costituzionale, quale è il

potere di agire a tutela dei propri diritti, che nell'ipotesi in esa me risulta dunque compromesso in eguale misura.

Anche se il giudice a quo propone quindi, e come già si è

detto, un articolato quesito inteso a rielaborare la disciplina det

tata dal codice di rito per il caso di incapacità processuale, così da includervi anche l'ipotesi dell'imputato permanentemente im

pedito a comparire, il petitum che nella sostanza si intende per

seguire mira più semplicemente ad iscrivere quest'ultima ipote si, in aggiunta alla prima, fra le «eccezioni» che rendono inope rante il particolare regime dei rapporti tra azione civile e azione

penale previsto dell'art. 75, 3° comma, del medesimo codice.

Tale disposizione andrà pertanto dichiarata costituzionalmen

te illegittima in parte qua per contrasto con gli indicati principi costituzionali.

Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara l'illegitti mità costituzionale dell'art. 75, 3° comma, c.p.p., nella parte in cui non prevede che la disciplina ivi contenuta non trovi ap

plicazione nel caso di accertato impedimento fisico permanente che non permetta all'imputato di comparire all'udienza, ove que sti non consenta che il dibattimento prosegua in sua assenza; dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli art. 486, 477, 70 e 71 c.p.p., sollevata, in riferimento agli art. 3 e 112 Cost., dal Pretore di Milano con l'ordinanza in

epigrafe.

Il Foro Italiano — 1997.

CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 25 luglio 1996, n. 310 (Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 31 luglio 1996, n. 31); Pres. Ferri, Est. Mezzanotte; Meloni; interv. Pres. cons,

ministri. Ord. App. Torino 5 luglio 1995 (G.U., la s.s., n. 51 del 1995).

Errore giudiziario e ingiusta detenzione (riparazione di) — In

giusta detenzione — Presupposti — Ordine di carcerazione

erroneamente emesso — Omessa previsione — Incostituzio

nalità (Cost., art. 3, 24; cod. proc. pen., art. 314).

È incostituzionale l'art. 314 c.p.p., nella parte in cui non preve de il diritto all'equa riparazione anche per la detenzione in

giustamente patita a causa di erroneo ordine di esecuzione. (1)

Diritto. — 1. - La Corte d'appello di Torino dubita della

legittimità costituzionale, in riferimento agli art. 3 e 24 Cost., dell'art. 314 c.p.p., nella parte in cui limita il diritto alla ripara zione per ingiusta detenzione all'ipotesi della custodia cautelare sofferta ingiustamente e non prevede la riparazione per l'ingiu sta detenzione subita a seguito di ordine di esecuzione illegitti mo, adottato cioè sulla errata premessa che la sentenza di con danna fosse divenuta definitiva.

La disposizione denunciata, ad avviso del giudice a quo, es sendo attuativa dell'ultimo comma dell'art. 24 Cost., contraste rebbe con il principio di eguaglianza di fronte alla legge, per la ingiustificata disparità di trattamento che ne risulta tra colo ro che abbiano sofferto un'ingiusta detenzione in custodia cau telare e coloro che in tale situazione si siano trovati a causa di un ordine di esecuzione illegittimo.

2. - Va preliminarmente esaminata l'eccezione di inammissi bilità avanzata dall'avvocatura generale dello Stato, secondo la

quale il giudice a quo avrebbe errato nell'individuare nell'art. 314 c.p.p. la disposizione generatrice della denunciata violazio ne degli art. 3 e 24 Cost., laddove avrebbe dovuto semmai esse re portato all'esame di questa corte l'art. 643 c.p.p., che preve de la riparazione dell'errore giudiziario.

L'eccezione è priva di fondamento.

L'art. 643 ha riguardo all'ipotesi tradizionale di riparazione dell'errore giudiziario, quello, cioè, del quale sia rimasto vitti ma l'imputato poi prosciolto in sede di revisione. Questa dispo sizione presuppone quindi una sentenza definitiva di condanna

successivamente rimossa. Oggetto della questione di legittimità costituzionale sollevata dal giudice rimettente è, invece, la disci

plina della riparazione in assenza di revisione. Correttamente, pertanto, la violazione delle disposizioni costituzionali di riferi

mento viene imputata all'art. 314 c.p.p. che, appunto, discipli na la riparazione per ingiusta detenzione per ipotesi diverse da

quelle che conseguono ad un giudizio di revisione conclusosi con proscioglimento.

3. - Obietta ulteriormente l'avvocatura generale dello Stato

che, alla luce della giurisprudenza di questa corte (sentenza n. 1 del 1969, Foro it., 1969, I, 249), il principio della riparazione degli errori giudiziari — sancito dall'art. 24, 4° comma, Cost. — non opera in assenza di appropriati interventi legislativi, in

dispensabili per conferire ad esso concretezza e determinatezza di contorni. E poiché l'equa riparazione per l'ingiusta detenzio ne a seguito di ordine di esecuzione erroneamente emesso non

sarebbe prevista dal legislatore, mancherebbe la disciplina at

tuativa richiesta dall'art. 24, 4° comma, Cost.

Anche questa obiezione deve essere disattesa.

È proprio l'art. 314 c.p.p. a porsi come disciplina concretiz zatrice della disposizione di principio contenuta nell'art. 24. L'ad

debito che viene mosso dal giudice rimettente a tale disciplina è che essa, nell'attuare, abbia anche discriminato, violando l'art.

3, per l'ingiustificata disparità di trattamento, non superabile in via interpretativa, in danno di chi abbia patito le conseguen ze di un illegittimo ordine di esecuzione di pena detentiva.

(1) L'irrazionalità dell'omessa estensione del meccanismo riparatorio all'ipotesi di ordine di carcerazione erroneamente emesso in executivis era già stata sottolineata, in dottrina, da Miele, La riparazione degli errori e della ingiusta detenzione, in // giusto processo, 1991, fase. 9-10, 117 s.; sul punto, cfr., inoltre, Coppetta, La riparazione per ingiusta detenzione, Padova, 1993, 161.

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1715 PARTE PRIMA 1716

4. - Nel merito, la questione è fondata.

L'art. 314 c.p.p. stabilisce che chi è stato prosciolto con sen

tenza irrevocabile perché il fatto non sussiste, per non avere

commesso il fatto, perché il fatto non costituisce reato o non

è previsto dalla legge come reato, ha diritto a un'equa ripara zione per la custodia cautelare subita, qualora non vi abbia da

to o concorso a darvi causa per dolo o colpa grave.

Lo stesso diritto spetta al prosciolto per qualsiasi causa o

al condannato che nel corso del processo sia stato sottoposto a custodia cautelare, quando con decisione irrevocabile risulti

accertato che il provvedimento che ha disposto la misura è stato

emesso o mantenuto senza che sussistessero le condizioni di ap

plicabilità previste dagli art. 273 e 280 c.p.p. Le disposizioni citate si applicano, alle medesime condizioni,

a favore delle persone nei cui confronti sia pronunciato provve dimento di archiviazione ovvero sentenza di non luogo a pro

cedere.

Nulla è detto dell'ipotesi in cui la detenzione sia stata causata

da un ordine di esecuzione illegittimo. E la diversità della situa zione di chi abbia subito la detenzione a causa di una misura

cautelare, che in prosieguo sia risultata iniqua, rispetto a quella di chi sia rimasto vittima di un ordine di esecuzione arbitrario

non è tale da giustificare un trattamento così discriminatorio,

al punto che la prima situazione venga qualificata ingiusta e

meritevole di equa riparazione e la seconda venga invece dal

legislatore completamente ignorata.

La disparità di trattamento tra le due situazioni appare ancor

più manifesta, se si considera che la detenzione conseguente ad

ordine di esecuzione illegittimo offende la libertà della persona

in misura non minore della detenzione cautelare ingiusta.

La scelta legislativa risulta oltretutto ingiustificata anche alla

luce della 1. 16 febbraio 1987 n. 81 (delega legislativa al governo della repubblica per l'emanazione del nuovo codice di procedu ra penale), dove, al punto 100 dell'art. 2, 1° comma, è prefigu

rata, accanto alla riparazione dell'errore giudiziario, vale a dire

del giudicato erroneo (già oggetto della disciplina del codice pre

vigente), anche la riparazione per la «ingiusta detenzione»; ciò

che lascia trasparire l'intento del legislatore delegante di non

introdurre, su questo piano, ingiustificate differenziazioni tra

custodia cautelare ed esecuzione di pena detentiva. Lo stesso

art. 2 della citata legge di delegazione, nel prevedere che il nuo

vo codice si debba adeguare alle norme delle convenzioni inter

nazionali ratificate dall'Italia e relative ai diritti della persona e al processo penale, depone nel senso della non discriminazio

ne tra le due situazioni, giacché proprio la convenzione per la

salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali,

ratificata dall'Italia con la 1. 4 agosto 1955 n. 848, prevede espres

samente, all'art. 5, il diritto alla riparazione a favore della vitti

ma di arresto o di detenzioni ingiuste senza distinzione di sorta.

L'obliterazione della ingiusta detenzone patita in seguito a

ordine di esecuzione illegittimo costituisce una autonoma ed ar

bitraria scelta del legislatore delegato — contrastante con gli art. 3 e 24 Cost. — alla quale questa corte deve ovviare con

la dichiarazione della illegittimità costituzionale dell'art. 314

c.p.p., nella parte in cui non include questa fattispecie fra le

situazioni che fanno sorgere il diritto alla equa riparazione. Non fornisce argomenti in senso contrario all'accoglimento

della questione la 1. 13 aprile 1988 n. 117 (risarcimento dei dan

ni cagionati nell'esercizio delle funzioni giudiziarie e responsa bilità civile dei magistrati). In questa legge, infatti, è espressa mente previsto, all'art. 14, che le disposizioni in essa contenute

non pregiudicano il diritto alla riparazione a favore delle vitti

me di errori giudiziari e di ingiusta detenzione. L'autonomia,

positivamente stabilita, tra azione risarcitoria e azione riparato ria per l'ingiusta detenzione rende evidente che privare di que st'ultima azione la persona colpita da un ordine di esecuzione

erroneamente emesso significa introdurre una discriminazione, che i principi costituzionali invocati dal giudice a quo non pos sono tollerare.

Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara l'illegitti mità costituzionanle dell'art. 314 c.p.p., nella parte in cui non

prevede il diritto all'equa riparazione anche per la detenzione

ingiustamente patita a causa di erroneo ordine di esecuzione.

Il Foro Italiano — 1997.

CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 19 luglio 1996, n. 257

(Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 24 luglio 1996, n. 30); Pres. Ferri, Est. Mirabelli; Parisi c. Volpe Salute; interv.

Pres. cons, ministri. Orci. Pret. Salerno-Eboli 24 ottobre 1995

(G.U., 1" s.s., n. 3 del 1996).

Istruzione preventiva — Accertamento tecnico e ispezione giu diziale — Accertamento o ispezione sulla persona — Limiti — Incostituzionalità (Cost., art. 13, 24; cod. proc. civ., art.

696).

È incostituzionale l'art. 696, 1° comma, c.p.c., nella parte in

cui non consente al giudice di disporre accertamento tecnico

o ispezione giudiziale anche sulla persona nei cui confronti

l'istanza è proposta, dopo averne acquisito il consenso. (1)

Diritto. — 1. - Il dubbio di legittimità costituzionale investe

l'art. 696, 1° comma, c.p.c., che disciplina l'accertamento tec

nico e l'ispezione giudiziale come mezzi di istruzione preventi va. Il giudice rimettente ritiene che tale disposizione — nella

parte in cui non consente di disporre tale mezzo di prova anche

sulla persona della controparte, rispetto a quella che ne fa ri

chiesta, qualora la prima vi consenta — sia in contrasto con

il diritto di agire e con la parità delle parti nel processo (art.

24, 1° e 2° comma, Cost.), essendo invece tale prova ammessa

sulla persona di chi ne fa istanza.

2. - L'eccezione di inammissibilità, proposta dall'avvocatura

dello Stato, non è fondata.

Non è difatti necessario, perché la questione sia rilevante nel

giudizio principale, che la parte nei cui confronti è stata propo sta l'istanza di accertamento tecnico preventivo abbia già mani

festato adesione all'accertamento da effettuare sulla propria per sona. Nell'ordine logico che il giudice ritiene di dover dare alle

questioni sottoposte al suo giudizio — e che, in quanto plausi

bile, non è suscettibile di sindacato in questa sede (da ultimo

sentenze n. 412 del 1995, Foro it., Rep. 1995, voce Corte costi

tuzionale, n. 50, e n. 213 del 1994, id., 1994, I, 3369) — l'espe ribilità di tale atto di istruzione preventiva su persona diversa

da chi lo richiede, e quindi la valutazione della proponibilità della relativa istanza, precede la verifica delle condizioni neces

sarie perché il richiesto accertamento tecnico possa essere dispo sto o eseguito.

3. - Nel merito la questione è fondata.

L'interpretazione consolidata escludeva che l'art. 696 c.p.c. consentisse l'accertamento tecnico o l'ispezione giudiziale oltre

(1) La pronuncia si richiama esplicitamente a quanto affermato dalla stessa Corte costituzionale, con la sent. 22 ottobre 1990, n. 471 (Foro it., 1991, I, 14, con nota di richiami e osservazioni di Romboli, com mentata pure da Basilico, in Giur. it., 1991, I, 1, 622, da Musumeci, in Giur. costit., 1991, 626, e da Anoiolini, Costituzione tollerante, co stituzione totale ed interpretazione della disciplina della libertà, in La tutela dei diritti fondamentali davanti alle corti costituzionali a cura di Romboli, Torino, 1994, 35 ss.), la quale ha dichiarato l'incostituzio nalità dell'art. 696, 1° comma, c.p.c., nella parte in cui non consentiva di disporre accertamento tecnico o ispezione giudiziale sulla persona dell'istante, che volontariamente chiedeva di sottoporvisi. Avendo la corte lasciato aperta la medesima questione con riferimento a soggetti diversi dall'istante, sia nel caso che questi accettassero l'ispezione, sia che si dichiarassero ad essa contrari, il giudice a quo chiedeva alla corte di pronunciarsi sull'ipotesi di richiesta di accertamento o ispezione rela tiva alla persona della controparte rispetto al richiedente, qualora essa vi consentisse.

La Corte costituzionale accoglie la questione, procedendo quindi ad un'ulteriore «manipolazione» del testo dell'art. 696, 1° comma, c.p.c. e specificando in motivazione che il consenso liberamente manifestato deve essere acquisito dal giudice prima della emissione del provvedi mento di istruzione sulla persona, condizionandone l'adozione e non la sola esecuzione, per cui dall'eventuale diniego, manifestato in questa fase cautelare ed anticipata rispetto all'eventuale giudizio, non può es sere tratto alcun elemento di valutazione probatoria.

Per la dichiarazione di incostituzionalità dell'art. 224, 2° comma, c.p.p., relativamente alla possibilità di procedere a prelievo ematico coat

tivo, v. Corte cost. 9 luglio 1996, n. 238, Foro it., 1997, I, 58, con nota di richiami.

Per l'applicabilità l'art. 696 c.p.c. nei giudizi di responsabilità, v. Corte conti, sez. giur. reg. Sardegna, ord. 21 settembre 1991, n. 446, id.. Rep. 1992, voce Responsabilità contabile, n. 939.

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