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sentenza 25 luglio 1996, n. 311 (Gazzetta ufficiale, 1aserie speciale, 31 luglio 1996, n. 31); Pres....

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sentenza 25 luglio 1996, n. 311 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 31 luglio 1996, n. 31); Pres. Ferri, Est. Onida; De Martino c. Min. interno. Ord. Tar Lombardia 10 maggio 1995 (G.U., 1 a s.s., n. 42 del 1995) Source: Il Foro Italiano, Vol. 120, No. 3 (MARZO 1997), pp. 711/712-717/718 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23191826 . Accessed: 28/06/2014 12:51 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 46.243.173.112 on Sat, 28 Jun 2014 12:51:36 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sentenza 25 luglio 1996, n. 311 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 31 luglio 1996, n. 31);Pres. Ferri, Est. Onida; De Martino c. Min. interno. Ord. Tar Lombardia 10 maggio 1995 (G.U.,1 a s.s., n. 42 del 1995)Source: Il Foro Italiano, Vol. 120, No. 3 (MARZO 1997), pp. 711/712-717/718Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23191826 .

Accessed: 28/06/2014 12:51

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PARTE PRIMA

diverse occasioni, ha censurato norme le quali imponevano il

mantenimento di misure cautelari di sospensione dall'esercizio

di funzioni o attività professionali, collegate dall'adozione di

provvedimenti restrittivi della libertà personale, anche dopo che

tali ultimi provvedimenti fossero venuti meno (cfr. sentenze n.

766 del 1988, id., Rep. 1988, voce Professioni intellettuali, n.

113, con riguardo alla sospensione dall'esercizio della professio ne di dottore commercialista; n. 40 del 1990, id., 1990, I, 355, con riguardo alla «inabilitazione» di diritto all'esercizio delle

funzioni di notaio; n. 595 del 1990, id., 1992, I, 1008, con ri

guardo alla sospensione dello spedizioniere doganale; cfr. an

che, sui principi di proporzionalità e di adeguatezza in materia

di misure cautelari personali adottate dal giudice, sentenza n.

109 del 1994, id., 1994, I, 1654). All'opposto, la corte ha escluso che leda i principi costituzio

nali la statuizione legislativa (art. 9, 2° comma, 1. 7 febbraio

1990 n. 19) che prevede un termine massimo (quinquennale) di durata della sospensione cautelare facoltativa disposta nei con

fronti del pubblico dipendente «a causa del procedimento pena

le», e la revoca di diritto di tale sospensione dopo la scadenza

del termine: riconoscendo che tale statuizione realizza in modo

non irragionevole il «doveroso bilanciamento» fra l'interesse del

dipendente a riprendere il servizio e quello dell'amministrazione

ad escludere temporaneamente dal servizio il dipendente sul quale

penda l'imputazione per un grave reato (sentenza n. 447 del

1995, id., 1996, I, 15). 5. - Ora, la sospensione prevista dall'art. 110 d.p.r. n. 43

del 1988 è misura che può certo trovare fondamento nell'esi

genza cautelare, valutata dal legislatore, di inibire temporanea mente la permanenza nell'esercizio di delicate funzioni pubbli che di chi sia indagato o processato per reati specificamente connessi a tale esercizio.

Tuttavia, da un lato, tale sospensione estende i suoi effetti

non alla sola autorizzazione all'esercizio in concreto della fun

zione di ufficiale di riscossione, ma anche all'«abilitazione», e

cioè al titolo tecnico-professionale abilitante all'esercizio di tale

attività, nonché allo stesso rapporto di impiego, e dunque ecce

de, per questo aspetto, l'ambito delle esigenze cautelari che po trebbero giustificarla.

Dall'altro lato, e soprattutto, anche in questo caso si riscon

tra quell'assoluto «automatismo della misura cautelare» (sen tenza n. 40 del 1990, cit.) che confligge con i principi di ragio nevolezza e di proporzionalità, in base ai quali dovrebbe in li

nea generale essere invece «consentito di valutare

discrezionalmente, in relazione alla gravità del fatto e delle sue

circostanze nonché alla personalità del soggetto agente, l'op

portunità di applicare o meno la misura cautelare» (ibidem). Tanto più che la sospensione in esame opera in base al presup

posto meramente formale della pendenza del procedimento pe

nale, qualunque sia la fase in cui esso si trova, e non ha altro limite di durata se non quello della definizione del procedimen to medesimo, che può ritardare anche per lungo tempo.

Né il tentativo di restringere in via interpretativa, in base al

canone dell'interpretazione conforme a Costituzione — secon

do le tesi in parte avanzate in questa sede dalla difesa del Banco di Napoli, e che trovano riscontro anche in una isolata pronun cia di merito, fra quelle prodotte in questa sede —, potrebbe far superare le censure di incostituzionalità.

Infatti, anche a voler intendere la sospensione come riferita, nel caso di rapporto di lavoro privatistico, al solo esercizio del

la funzione pubblica, e non al rapporto d'impiego, pure men

zionato dalla disposizione in esame, si tratterebbe pur sempre di una misura cautelare automatica ad effetto interdittivo, inci

dente sulla efficacia della stessa abilitazione tecnico-professionale, svincolata da ogni valutazione del caso concreto ed operante sulla base del semplice presupposto formale della pendenza del

procedimento penale. E anche a intendere in senso restrittivo, a questi effetti, la nozione di pendenza del procedimento pena le, limitandola alle sole ipotesi in cui sia intervenuta la contesta zione di un fatto specifico costituente reato, con esclusione del la mera esistenza di indagini preliminari, restano comunque il

carattere automatico e la durata indeterminata della sospensio ne, indipendentemente da ogni accertamento giudiziale del rea

to medesimo.

In definitiva, non può ritenersi che la norma denunciata ri

sponda ai requisiti minimi necessari perché possa aversi una mi

sura cautelare legittimamente disposta, non contrastante con i

Il Foro Italiano — 1997.

principi di ragionevolezza e di proporzionalità e con la presun zione costituzionale di non colpevolezza dell'imputato fino alla

condanna definitiva.

6. - Restano assorbiti gli altri profili di costituzionalità solle

vati dalle ordinanze di rimessione.

Per questi motivi, la Corte costituzionale, riuniti i giudizi, dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 110 d.p.r. 28 gen naio 1988 n. 43 (istituzione del servizio di riscossione dei tributi

e di altre entrate dello Stato e di altri enti pubblici, ai sensi

dell'art. 1, 1° comma, 1. 4 ottobre 1986 n. 657).

CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 25 luglio 1996, n. 311

(iGazzetta ufficiale, la serie speciale, 31 luglio 1996, n. 31); Pres. Ferri, Est. Onida; De Martino c. Min. interno. Ord.

Tar Lombardia 10 maggio 1995 (G.U., la s.s., n. 42 del 1995).

Guardia privata e istituti di vigilanza e di investigazione — Guar

dia privata — Approvazione della nomina — Requisiti — Con

dotta politica e morale ottima — Incostituzionalità (Cost., art. 2, 3, 17, 18, 19, 20, 21, 22; r.d. 18 giugno 1931 n. 773, testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, art. 138).

È incostituzionale l'art. 138, 1° comma, n. 5, r.d. 18 giugno 1931 n. 773, nella parte in cui, stabilendo i requisiti che devo

no possedere le guardie particolari giurate: a) consente di va

lutare la condotta «politica» dell'aspirante; b) richiede una

condotta morale «ottima» anziché «buona»; c) consente di

valutare la condotta morale per aspetti non incidenti sull'at

tuale attitudine ed affidabilità dell'aspirante ad esercitare le

relative funzioni. (1)

(1) L'ordinanza di rimessione si può leggere anche in Riv. critica dir. lav., 1995, 934. La sentenza, anche per espressa affermazione contenu ta in motivazione, prosegue un indirizzo della Corte costituzionale, da ultimo rappresentato dalle sentenze (tutte riportate in Foro it., 1996, I, 87) 440/93 (incostituzionalità degli art. 11,2° comma, e 43, 2° com

ma, t.u.l.p.s., nella parte in cui ponevano a carico del soggetto richie dente un'autorizzazione di polizia — in particolare, una licenza di por to d'armi — l'onere di provare la propria buona condotta), 107/94

(incostituzionalità dell'art. 6, 1° comma, lett. a d.p.r. 636/72, nella

parte in cui non prevedeva garanzie di contraddittorio per la dichiara zione di decadenza del componente delle commissioni tributarie a segui to di perdita del requisito della buona condotta) e 108/94 (incostituzio nalità dell'art. 26 1. 53/89 e 124, 3° comma, ord. giud., nella parte in cui prevedevano che non potessero essere ammessi nei ruoli della

polizia di Stato e della magistratura ordinaria coloro che, secondo la valutazione insindacabile del ministro degli interni o del Csm, non ap partenevano a famiglia di estimazione morale indiscussa). Nelle ratio nes decidendi delle tre sentenze citate era comunque, in tutto (sentenze 107/94 e 440/93) o in parte (sentenza 108/94, che ha negato anche la legittimità della previsione dell'automatico trasferimento all'interes sato di valutazioni o comportamenti riferibili alla famiglia di apparte nenza o a singoli membri della stessa), decisivo il rilievo di elementi e circostanze particolari (l'onere della prova della buona condotta nella sentenza 440/93, l'insindacabilità della valutazione del ministro o del Csm, nella sentenza 108/94 e il difetto del contraddittorio nella senten za 107/94) mentre con la sentenza che si riporta viene affrontato e ri solto in modo diretto e immediato il problema della conformità a Co stituzione della previsione (di una particolare versione) del requisito della buona condotta. La specificità della questione sottoposta all'esame del la corte ha quindi agevolato la scelta della pronuncia di accoglimento, mentre nella sentenza 440/93 si era ritenuto sufficiente ad evitare la caducazione delle norme impugnate l'orientamento giurisprudenziale che, attraverso una interpretazione particolarmente attenta ai valori costitu zionali, ne aveva sostanzialmente limitato l'applicazione.

Più cauto appare invece un altro orientamento della stessa corte, rap presentato dalla sentenza 326/95, ibid., 440, con nota di Matteini, che ha dichiarato infondata (in quanto la revoca dell'autorizzazione non

implicherebbe necessariamente la perdita del posto di lavoro) la que stione di costituzionalità degli art. 11, 3° comma, e 138, 1° comma,

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Diritto. 1. - Il dubbio di costituzionalità investe la norma

che prevede, fra i requisiti per la nomina a guardia particolare

giurata, quello secondo cui l'aspirante deve «essere persona di

ottima condotta politica e morale»: essa viene denunciata alla

luce di numerosi parametri, gli art. 2, 3, 17, 18, 19, 20, 21

e 22 Cost., e cioè in sostanza, oltre che del principio di egua

glianza, delle norme costituzionali che garantiscono i diritti di

libera espressione, individuale e associata, della persona e i di

ritti della coscienza.

2. - La questione è fondata nei limiti di seguito precisati. È opportuna una premessa di ordine generale sul contesto

in cui la norma impugnata si inserisce.

Essa è simile a numerose altre, le quali, con espressioni varie

e significati non sempre coincidenti, si riferiscono alla «condot

ta» dei soggetti interessati come elemento valutabile ai fini del

l'ammissione a uffici o funzioni pubbliche o a professioni, o

ai fini del rilascio di autorizzazioni amministrative.

Fino al 1984 la «buona condotta» costituiva per legge un re

quisito generale per l'accesso agli impieghi civili dello Stato (art.

2, 1° comma, n. 3, d.p.r. 10 gennaio 1957 n. 3). Molte altre

disposizioni, sia anteriori che posteriori a quella ora richiamata, rinviavano a quest'ultima o ne estendevano il campo di applica zione (ad es. art. 10 d.p.r. 20 dicembre 1979 n. 761, per il per sonale delle unità sanitarie locali; art. 8 d.p.r. 31 maggio 1974

n. 417, per gli insegnanti nelle scuole statali), ovvero si riferiva

no a requisiti analoghi nel disciplinare l'accesso a particolari

categorie di impieghi pubblici: così, a titolo esemplificativo, si possono ricordare le norme in tema di accesso alle forze armate

(art. 1 1. 18 dicembre 1964 n. 1414); alla magistratura ordinaria

(art. 8 e 124 r.d. 30 gennaio 1941 n. 12); ai corpi di polizia (art. 6, n. 7, r.d. 30 novembre 1930 n. 1629; art. 5 1. 7 dicembre

1959 n. 1083; art. 47, 52 e 55 1. 1° aprile 1981 n. 121); agli impieghi nei comuni e nelle province (art. 7 r.d. 3 marzo 1934

n. 383, ora abrogato dall'art. 64, lett. c, 1. 8 giugno 1990 n.

142; nonché art. 1 d.p.r. 23 giugno 1972 n. 749, per i segretari comunali e provinciali).

Parimenti, norme analoghe prevedevano il requisito della buo

na condotta o requisiti similari per l'accesso a uffici onorari

(ad es., art. 9 e 10 1. 10 aprile 1951 n. 287, per l'ufficio di giudice popolare nelle corti d'assise; art. 4 d.p.r. 26 ottobre

1972 n. 636, per i componenti delle commissioni tributarie: ma

la norma non è ripresa dall'art. 7 d.leg. 31 dicembre 1992 n.

545, contenente il nuovo ordinamento delle commissioni; art.

23 d.p.r. 6 febbraio 1981 n. 66, per i volontari nei servizi di

protezione civile; art. 3 d.m. giustizia del 30 ottobre 1979, per i presidenti di uffici elettorali) o per l'accesso a professioni o

ad albi professionali (cfr., in generale, art. 2 1. 25 aprile 1938

n. 897 e inoltre, per esempio, art. 5 1. 16 febbraio 1913 n. 89,

per i notai; art. 17 r.d.l. 27 novembre 1933 n. 1578, per i pro curatori legali; art. 31 1. 3 febbraio 1963 n. 69, per i giornalisti;

art. 48 d.p.r. 23 gennaio 1973 n. 43, per gli spedizionieri do

ganali). Infine, era previsto che le autorizzazioni di polizia — in gene

rale, e in particolare quelle in materia di armi e di porto d'armi

n. 4, t.u.l.p.s. nella parte in cui prevedono l'automatica revoca delle

autorizzazioni di polizia (nella specie, l'approvazione della nomina a

guardia giurata) e dall'ordinanza n. 272 del 1992, id., Rep. 1993, voce

Guardia privata, n. 5, che ha dichiarato la manifesta infondatezza della

questione di costituzionalità degli art. 11 e 138 t.u.l.p.s., nella parte in cui non prevedono l'obbligo di motivazione del provvedimento di

revoca dell'approvazione della nomina a guardia giurata per il venir

meno della buona condotta, in quanto la giurisprudenza amministrativa

ha sempre affermato l'esistenza di un obbligo di motivazione puntuale. In proposito, cfr. Tar Friuli-Venezia Giulia 16 febbraio 1994, n. 90,

id., 1996, III, 34, che ha ritenuto illegittimo il rifiuto di approvazione della nomina a guardia giurata per la negativa valutazione della condot

ta morale basata soltanto sulla pendenza di procedimenti penali, alcuni

conclusi con assoluzione e altri con proscioglimento per amnistia.

In merito al requisito della buona condotta «politica», nella nota

di richiami a Cons. Stato, sez. IV, 29 settembre 1993, n. 813, ibid.,

33, che ha annullato l'esclusione di un candidato al concorso per l'am

missione in magistratura basata esclusivamente con il mero riferimento

al proscioglimento per amnistia dall'imputazione di furto aggravato con

tinuato, si ricorda che con circolare del 7 luglio 1962 il Csm aveva

invitato i dirigenti degli uffici delegati a raccogliere informazioni sui

candidati al concorso per uditore giudiziario a non inserire valutazioni

sulla condotta politica dei candidati e delle loro famiglie.

Il Foro Italiano — 1997.

— potessero essere negate a chi non fosse in grado di provare la propria buona condotta (art. 11 e 43 r.d. 18 giugno 1931

n. 733, su cui si veda però la sentenza di questa corte n. 440

del 1993, Foro it., 1996, I, 88; art. 9 1. 18 aprile 1975 n. 110). Come si è accennato, molteplici sono le espressioni usate dal

legislatore per indicare il requisito in questione. Così, talora

si richiede semplicemente la «buona condotta», talaltra si ri

chiede l'«essere» o l'«essere persona» di buona condotta, talal

tra ancora «tenere» o l'«avere sempre tenuto» buona condotta.

E ancora, ci si riferisce alla «condotta» non altrimenti qualifi

cata, o alla condotta «morale» o «politica e morale», ovvero

«civile, morale e politica», senza che in realtà sia dato di colle

gare tali variabili alla specificità delie funzioni o degli impieghi piuttosto che soltanto all'epoca cui risale la norma o ad una

scelta del legislatore del momento.

Parimenti, la condotta richiesta viene definita volta a volta

«buona», «specchiata», «specchiatissima ed illibata», «incensu

rabile», o, come nel caso della norma denunciata in questa se

de, «ottima», senza che, ancora una volta, sia dato di compren dere esattamente la ragione e la portata di tali differenti locu

zioni, né se esse debbano intendersi come equivalenti. Da tempo giurisprudenza e dottrina si sono misurate con le

incertezze ed i problemi cui tali norme danno luogo, specie in

rapporto al carattere indefinito del requisito e alla conseguente

larghezza di apprezzamento discrezionale che ne deriva in capo all'amministrazione che decide sull'ammissione agli uffici o sul

rilascio delle autorizzazioni.

3. - Fu sostanzialmente per considerazioni legate all'eccessiva

discrezionalità di apprezzamento che veniva consentita nell'ac

certamento e nella valutazione della buona condotta che il par lamento si indusse a disporre, con l'art, unico 1. 29 ottobre 1984

n. 732, che «ai fini dell'accesso agli impieghi pubblici non può essere richiesto o comunque accertato il possesso del requisito della "buona condotta"», e ad abrogare «conseguentemente» l'art. 2, 1° comma, n. 3, del testo unico sugli impiegati civili

dello Stato (d.p.r. n. 3 del 1957), oltre ad «ogni altra disposi zione incompatibile con quanto previsto» dalla stessa legge.

Tuttavia, questa abolizione apparentemente generale del re

quisito della buona condotta non ha prodotto l'effetto di espun

gere dall'ordinamento tutte le previsioni che vi facevano riferi

mento, e di superare la relativa problematica. Non solo infatti

la giurisprudenza ha chiarito che l'abolizione, riguardando l'ac

cesso agli impieghi pubblici, non ha toccato le norme che ri

chiedono la buona condotta come requisito per il rilascio di

autorizzazioni amministrative (anzi, successive leggi hanno nuo

vamente imposto il requisito in questione: cfr. l'art. 19 d.p.r. 9 ottobre 1990 n. 304, in materia di stupefacenti; l'art. 123 d.leg. 30 aprile 1992 n. 285, per i titolari di autoscuole), né — si deve

ritenere — le analoghe norme sull'accesso alle varie professioni; ma neppure si è ritenuto che l'abrogazione incidesse sulle nor

me che prevedono requisiti attinenti alla condotta ai fini del

l'accesso a specifici impieghi, e anzitutto alla magistratura. An

zi, la relativa norma dell'ordinamento giudiziario (art. 124, 5°

comma, r.d. n. 12 del 1941) è stata assunta dallo stesso legisla tore come paradigma per altri casi: così l'art. 26 1. 1° febbraio

1989 n. 53 ha disposto che per l'accesso ai ruoli delle forze

di polizia «è richiesto il possesso delle qualità morali e di con

dotta stabilite per l'ammissione ai concorsi della magistratura

ordinaria»; e, ancor più di recente, l'art. 41 d.leg. 3 febbraio

1993 n. 29, ha esteso l'applicabilità del citato art. 26 — e quin

di, mediatamente, della norma dell'ordinamento giudiziario —

«ai fini delle assunzioni di personale [...] presso la presidenza del consiglio dei ministri e le amministrazioni che esercitano

competenze istituzionali in materia di difesa e sicurezza dello

Stato, di polizia e di giustizia». Così che può dirsi, da un lato, che la buona condotta, se

non è più requisito generale di accesso agli impieghi pubblici,

è tuttora richiesta per l'accesso a varie categorie di impieghi; dall'altro lato, che la misura abolitiva disposta dal legislatore del 1984 (sia pure senza completa considerazione dello stato del

l'ordinamento, e con prevalente attenzione all'esigenza di inci

dere sulle modalità di certificazione della buona condotta) e le

successive scelte legislative manifestano la tendenza dell'ordina

mento a non rinunciare a valutazioni di questo tipo, ma a ri

chiederle, piuttosto che in via generale, con riguardo a specifi

che funzioni: il che dovrebbe comportare però anche una mag

giore specificazione del contenuto del requisito, cioè del tipo

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PARTE PRIMA

di condotte che possono legittimamente essere prese in conside

razione ai fini delle relative valutazioni.

4. - La corte ha avuto occasione più volte di intervenire nella

materia in discussione, ma finora per lo più con riferimento

ad aspetti collaterali rispetto a quello prospettato ora dal giudi ce rimettente (cfr. sentenza n. 61 del 1965, id., 1965, I, 1325;

ordinanza n. 272 del 1922, id., Rep. 1993, voce Guardia priva

ta, n. 5; sentenza n. 107 del 1994, id., 1996, I, 87; ordinanza

n. 326 del 1995, id., 1996, I, 440). Più direttamente inerenti all'oggetto della questione in esame

sono le decisioni assunte con le sentenze n. 440 del 1993 {id.,

1996, I, 88) e n. 108 del 1994 (ibid., 87). Quest'ultima ha di chiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 26 1. n. 53 del 1989, nonché l'illegittimità costituzionale conseguenziale dell'art. 124, 3° comma, dell'ordinamento giudiziario, limitatamente alla parte in cui, nel disciplinare i requisiti di ammissione rispettivamente alla polizia di Stato e alla magistratura ordinaria, prevedevano l'esclusione di coloro che non risultassero «appartenenti a fami

glia di estimazione morale indiscussa». In quella occasione la

corte affermò che «non è irragionevole che la moralità e la con

dotta di un soggetto che aspiri ad entrare nella polizia di Stato

sia accertata anche con riferimento all'atteggiamento e al com

portamento dell'interessato nei suoi ambienti di vita associata,

compresa la famiglia», sottolineando peraltro che, per rispetta re i principi costituzionali, l'esclusione dall'accesso all'impiego deve basarsi «su valutazioni imparziali aventi ad oggetto fatti

specifici e obiettivamente verificabili».

A sua volta la sentenza n. 440 del 1993 ha dichiarato l'illegit timità costituzionale delle norme del testo unico di pubblica si

curezza che, ai fini del rilascio delle autorizzazioni di polizia, richiedevano che fosse l'interessato a dover provare la propria buona condotta.

Nel motivare tale decisione si osservò che «il requisito della

buona condotta [...] rappresenta la base per vari giudizi di affi

dabilità devoluti all'autorità amministrativa e, come tale, non

può essere giudicato in se stesso lesivo di quei principi di ragio nevolezza ai quali ogni ordinamento è tenuto ad ispirarsi». E

tuttavia la corte aggiunse che «la latitudine di apprezzamento che a tale requisito è connessa esige, per non configgere con

inderogabili esisgenze di determinatezza e perché sia scongiura to il pericolo di sconfinare nell'arbitrio, una specificazione fina

listica, riferita cioè alle particolari esigenze che l'accertamento

deve soddisfare per le finalità correlate con il tipo di abilitazio

ne o di autorizzazione richiesta».

Ancora, in quella occasione si osservò come fosse stata rite

nuta la caducazione per desuetudine o per incompatibilità con

i principi costituzionali di «riferimenti legislativi alla buona con

dotta contenuti in leggi anteriori alla Costituzione», come nei

casi «nei quali si erano venuti aggiungendo al requisito stesso

altri attributi specifici, o dati di qualificazione, dal dubbio con

tenuto; segnatamente quelli della "buona condotta civile, mo

rale e politica"», notando che tale legislazione «ha contribuito

ad aumentare, nonostante l'apparene specificazione, il relativi

smo proprio della nozione (specie per quanto attiene alla buona

condotta morale) o l'anticostituzionale discriminazione tra cit

tadini (per quanto attiene alla buona condotta politica)». 5. - Il quadro sommariamente tracciato consente già di perve

nire ad alcune conclusioni.

Deve riaffermarsi anzitutto che, sia in materia di accesso a

impieghi o funzioni pubbliche, sia in materia di autorizzazioni

incidenti — come nella specie in esame — sullo svolgimento di attività dei privati, può bensì ammettersi la previsione di re

quisiti attitudinali o di affidabilità, per il corretto svolgimento della funzione o dell'attività, desunti da condotte del soggetto

interessato, anche diverse da quelle aventi rilievo penale e ac

certate in sede penale, ma significative in rapporto al tipo di

funzione o di attività da svolgere, e che siano oggetto di impar ziale accertamento e di ragionevole valutazione da parte del

l'amministrazione, salvo il sindacato in sede giurisdizionale. Tuttavia, perché siano rispettati i principi costituzionali, e in

particolare il principio di eguaglianza e le libertà fondamentali

riconosciute dalla Costituzione, è necessario che sussistano pre cise limitazioni in ordine sia al tipo di condotte cui può darsi

legittimamente rilievo, sia alle modalità del loro accertamento.

Quanto a quest'ultimo aspetto è sufficiente rinviare a quanto è stato chiarito circa l'onere della prova, la necessaria verifica

li Foro Italiano — 1997.

bilità oggettiva dei fatti, l'obbligo di motivazione specifica dei

provvedimenti di diniego, nelle citate sentenze n. 440 del 1993, nn. 107 e 108 del 1994, cit., nonché nella sentenza n. 203 del

1995, id., 1996, I, 377). Quanto al tipo di condotte rilevanti, a parte l'esigenza di ri

conducibilità e di sindacabilità delle valutazioni effettuate, se

non è praticabile una integrale tipizzazione delle fattispecie, deb

bono però tenersi fermi alcuni limiti soprattutto di ordine ne

gativo. In primo luogo, deve escludersi che fra le condotte valutabili

della persona possano includersi atteggiamenti di carattere ideo

logico, religioso o politico, o scelte di adesione ad associazioni,

movimenti, partiti lecitamente operanti nell'ordinamento e l'ap

partenenza ai quali non sia, in ipotesi determinate, ritenuta nor

mativamente incompatibile con la funzione specifica. Da questo punto di vista, non è ammissibile, sul piano costi

tuzionale, che si preveda come requisito una buona condotta

«politica». Il divieto di discriminazioni politiche o in base alle

«opinioni politiche» è un principio fondamentale dell'ordina

mento democratico, costituendo parte del nucleo essenziale del

l'eguaglianza «davanti alla legge», e della garanzia di effettiva

partecipazione di tutti all'organizzazione «politica» del paese, sancito dall'art. 3, 1° e 2° comma, Cost. Il divieto di discrimi

nazione trae conferme e precisazione in altre norme e principi costituzionali. Così, il divieto di misure restrittive della capacità

giuridica per «motivi politici» (art. 22), il diritto di associarsi liberamente per fini non vietati ai singoli dalla legge penale (art.

18), il diritto di associarsi liberamente in partiti operanti con

metodo democratico (art. 49), con le sole restrizioni eventual

mente previste dalla legge (art. 98, 3° comma), il diritto di ma

nifestare liberamente il proprio pensiero (art. 21), e più in gene rale l'ispirazione democratica e pluralistica della Costituzione,

precludono certamente la possibilità di far discendere conseguenze discriminanti dalle scelte politiche del cittadino.

Ne si potrebbe addurre in contrario il riferimento, nelle nor

me costituzionali, a doveri «politici» o di «solidarietà politica»

poiché in un sistema democratico essi non possono che essere

configurati dalla legge e assistiti dalle sole sanzioni legalmente

stabilite, senza dunque che il modo o il grado del loro adempi mento possa costituire oggetto di ulteriori valutazioni discre

zionali.

In secondo luogo, per quanto riguarda condotte apprezzabili sotto il profilo «morale», deve operarsi una netta distinzione

fra condotte aventi rilievo e incidenza rispetto alla affidabilità

del soggetto per il corretto svolgimento delle funzioni o delle

attività volta per volta considerate, e che dunque possono esse

re legittimamente oggetto di valutazione a questi effetti; e con

dotte riconducibili esclusivamente ad una dimensione «privata» o alla sfera della vita e della libertà individuale, in quanto tali

non suscettibili di essere valutate ai fini di un requisito di acces

so a funzioni o ad attività pubbliche o comunque soggette a

controllo pubblico. Sotto altro profilo, non potranno essere considerate né valu

tate condotte che, per la loro natura, o per la loro occasionalità

o per la loro distanza nel tempo, o per altri motivi, non appaio no ragionevolmente suscettibili di incidere attualmente (cioè al

momento in cui il requisito della condotta assume rilievo) sulla

affidabilità del soggetto in ordine al corretto svolgimento della

specifica funzione o attività considerata.

Non è infatti ammissibile che da episodici comportamenti te

nuti da un soggetto finiscano per discendere conseguenze per lui negative diverse ed ulteriori rispetto a quelle previste dalla

legge e non suscettibili, secondo una valutazione ragionevole, di rivelare un'effettiva mancanza di requisiti o di qualità richie

ste per l'esercizio delle funzioni o delle attività di cui si tratta

traducendosi così in una sorta di indebita sanzione extralegale. 6. - Alla luce di quanto si è detto, la norma denunciata non

appare, per diversi aspetti, conforme, ai parametri costituziona li invocati.

In primo luogo, eccede palesemente i limiti delle valutazioni

costituzionalmente ammissibili il riferimento ad una condotta

«politica». In secondo luogo, anche il riferimento generico alla condotta

«morale» si rivela in contrasto con l'esigenza di limitare la va

lutabilità agli aspetti della «moralità» della persona che possa

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

no avere concreta incidenza sulla sua attitudine ed affidabilità

in vista della funzione di guardia particolare giurata. In terzo luogo, la richiesta di una «ottima» condotta — espres

sione cui la giurisprudenza non ha mancato di attribuire il si

gnificato di requisito diverso e ulteriore rispetto alla semplice «buona condotta» — non appare giustificata in relazione alla

funzione della guardia particolare giurata, specie se si considera

che per l'accesso ai corpi di polizia la legge, per lungo tempo, ha prescritto il solo requisito della «buona condotta» (art. 6

r.d. n. 1629 del 1930; art. 5 1. n. 1083 del 1959; art. 47, 52

e 55 1. n. 121 del 1981: anche se di recente l'art. 26 1. n. 53

del 1989, rinviando alla corrispondente norma dell'ordinamen

to giudiziario, ha posto il requisito, ancora una volta diversa

mente definito, della «moralità e condotta incensurabili»). L'at

tività di guardia particolare giurata, ancorché abbia «scopi con

vergenti con le finalità della funzione di polizia» (sentenza n.

61 del 1965, cit.), non presenta caratteristiche tali da giustifica re requisiti di accesso più severi di quelli previsti per l'accesso

ai corpi statali di polizia. 7. - L'illegittimità costituzionale della norma denunciata non

ne investe tuttavia l'intera portata, bensì solo la parte eccedente

i limiti entro i quali, come si è detto, la condotta dell'aspirante

può legittimamente essere valutata ai fini della approvazione della nomina da parte dell'autorità pubblica.

Una ridefinizione legislativa del requisito in esame, e più in

generale degli analoghi requisiti di accesso alle funzioni pubbli che e alle attività soggette a controllo pubblico, dovrà ispirarsi ad un criterio di riordino che superi definitivamente l'attuale

assetto normativo, in cui continuano ad operare (e anzi sono

oggetto di nuovi rinvìi ed estensioni) disposizioni anteriori alla

Costituzione repubblicana e non adeguate ai principi di questa. In mancanza di nuovi interventi legislativi, le autorità ammi

nistrative competenti, sotto il controllo degli organi della giuris

dizione, applicheranno la disposizione denunciata col contenuto

normativo che residua a seguito della presente pronuncia di ille

gittimità costituzionale.

Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara l'illegitti mità costituzionale dell'art. 138, 1° comma, n. 5, del r.d. 18

giugno 1931 n. 773 (testo unico delle leggi di pubblica sicurez

za), nella parte in cui, stabilendo i requisiti che devono possede re le guardie particolari giurate: a) consente di valutare la con

dotta «politica» dell'aspirante; b) richiede una condotta morale

«ottima» anziché «buona»; c) consente di valutare la condotta

«morale» per aspetti non incidenti sull'attuale attitudine ed af

fidabilità dell'aspirante ad esercitare le relative funzioni.

CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 7 novembre 1994, n.

378 (Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 16 novembre 1994, n. 47); Pres. Casa vola, Est. Santosuosso; Soc. Cleaning c.

Inps (Avv. Lironcurti); interv. Pres. cons, ministri (Avv. dello Stato Russo). Ord. Pret. Latina 12 febbraio 1993 (G.U., la s.s., n. 27 del 1993).

Previdenza e assistenza sociale — Nuovo sistema di classifica

zione dei datori di lavoro — Disciplina transitoria — Man

canza di un termine ragionevole — Scelte discrezionali del

legislatore — Questione inammissibile di costituzionalità (Cost., art. 3, 41; 1. 9 marzo 1989 n. 88, ristrutturazione dell'Istituto

nazionale della previdenza sociale e dell'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, art. 49).

È inammissibile, investendo scelte discrezionali riservate al legis

latore, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 49,

3° comma, l. 9 marzo 1989 n. 88, nella parte in cui, dopo

Il Foro Italiano — 1997.

aver indicato i criteri di classificazione dei datori di lavoro

a tutti i fini previdenziali ed assistenziali, fa salvi gli inqua dramenti già in atto nei settori dell'industria, del commercio

e dell'agricoltura al momento dell'entrata in vigore della leg

ge stessa, in riferimento agli art. 3 e 41 Cost. (1)

(1) La sentenza si può leggere in Foro it., 1994, I, 3292, con nota di richiami di L. Carbone e R. Romboli e id., 1997, I, 71, con nota di M. De Luca.

Se ne riporta la massima per pubblicare la circolare dell'Inps sul regi me transitorio della classificazione previdenziale dei datori di lavoro e il commento di Michele De Luca.

* * *

Inps - Direzione centrale per i contributi, circolare n. 28 del 12 feb braio 1997.

Oggetto: Legge 23 dicembre 1996, n. 662, art. 1, comma 234. Cessazio ne del regime transitorio dell'art. 49, 3° comma, 1. 8 marzo 1989, n. 88. Sentenza della Corte costituzionale n. 497 del 26 ottobre 1990 -

Sgravi contributivi per il Mezzogiorno

Sommario:

1. L. 23 dicembre 1996, n. 662, art. 1, comma 234, cessazione del regi me transitorio dell'art. 49, 3° comma, l. 8 marzo 1989, n. 88

2. Efficacia degli inquadramenti derivanti da decreti di aggregazione ex art. 34 t.u. n. 797/55 o da leggi speciali

3. Iscrivibilità all'Inpdai del personale dirigente 4. Sgravi degli «oneri sociali per il Mezzogiorno»

1. - L. 23 dicembre 1996, n. 662, art. 1, comma 234, cessazione del

regime transitorio dell'art. 49, 3° comma, I. 8 marzo 1989, n. 89. La 1. 23 dicembre 1996, n. 662, all'art. 1, comma 234, recita:

«Con decorrenza 1° gennaio 1997 cessa di aver efficacia la disciplina prevista dall'art. 49, 3° comma, secondo periodo, 1. 9 marzo 1989, n. 88. A far tempo da tale data la classificazione dei datori di lavoro deve essere effettuata esclusivamente sulla base dei criteri di inquadra mento stabiliti dal predetto art. 49. Restano comunque validi gli inqua dramenti derivanti da leggi speciali o conseguenti a decreti di aggrega zione emanati ai sensi dell'art. 34 d.p.r. 30 maggio 1995, n. 797. Per le aziende inquadrate nel ramo industria anteriormente alla data di en trata in vigore della 1. n. 88/89, è fatta salva la possibilità di mantene

re, per il personale dirigente già iscritto all'Inpdai, l'iscrizione presso l'ente stesso».

La norma soprariportata pone fine, come ripetutamente auspicato non solo dalle categorie datoriali ma dalla stessa Corte costituzionale con sentenza n. 378 del 4 novembre 1994, al regime transitorio stabilito dal 3° comma dell'art. 49 1. 88/89, che salvaguardava gli inquadramen ti, nei settori industria, commercio e agricoltura, in essere alla data di entrata in vigore della legge stessa.

Tale regime viene, pertanto, a cessare dal 1° gennaio 1997 data dalla

quale i datori di lavoro, inquadrati in base ai criteri in vigore prima della 1. 88/89, devono considerarsi soggetti esclusivamente alla normati va di cui all'art. 49 della legge stessa.

Destinatari della norma sono anche i datori di lavoro per i quali il settore di inquadramento è stato assegnato a seguito di sentenza passata in giudicato.

Le sedi dovranno, pertanto, procedere alla revisione degli inquadra menti in atto alla data del 28 marzo 1989 nei tre settori espressamente indicati dal 3° comma dell'art. 49 provvedendo al trasferimento delle aziende iteressate, con effetto dalla citata data del 1° gennaio 1997, nel settore spettante in base ai criteri di cui all'articolo citato.

La norma riguarda principalmente i datori di lavoro che svolgono attività di servizi, già inquadrati nel ramo industria-servizi, che, in base

al 1° comma dell'art. 49, devono essere classificati nel settore terziario. Al riguardo, si ritiene opportuno precisare, per quanto riguarda le

imprese di pulizia, che nei confronti delle stesse, inquadrabili nel setto

re terziario, devono trovare applicazione, in presenza dei prescritti re

quisiti, le disposizioni impartite con circolare n. 130 del 29 aprile 1994 in merito alla possibilità di avvalersi del trattamento di Cigs.

Dei provvedimenti di variazione assunti, le sedi daranno tempestiva informazione alle aziende interessate richiamando esplicitamente la di

sposizione in esame.

2. - Efficacia degli inquadramenti derivanti da decreti di aggregazio ne ex art. 34 t.u. 797/55 o da leggi speciali. — L'art. 1, comma 234, della predetta legge, nell'eliminare le disparità di classificazione tra aziende

della stessa natura determinate dalla norma di cui al 3° comma dell'art.

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