sentenza 26 febbraio 1997; Pres. De Fiore, Est. Giuliani; Geraci (Avv. Giurato) c. Societàeditoriale L'Espresso (Avv. Flamini Minuto, Chiocci) e altriSource: Il Foro Italiano, Vol. 120, No. 6 (GIUGNO 1997), pp. 1957/1958-1961/1962Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23192051 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
bre 1995 non concorrono gli interessi e la rivalutazione moneta
ria». Al riguardo va posto in luce che il diritto ad entrambi
fino al 31 dicembre 1991 (così la più recente giurisprudenza: Cass. 26 giugno 1996, n. 5895, id., 1996, I, 3027), e, in partico lare anche alla seconda, derivi dall'art. 429, 3° comma, c.p.c.,
quale esteso ai crediti previdenziali, con qualche differenza del
la disciplina della decorrenza, da Corte cost. 12 aprile 1991, n. 156 (id., 1991, I, 1321). In una situazione di svalutazione inferiore al tasso legale, per il successivo periodo competono i soli interessi, a norma dell'art. 16, 6° comma, 1. 30 dicembre
1991 n. 412. Su tali diritti ha quindi inciso la norma in questione, con
questo sembrando porsi in tensione con gli art. 38 e 3 Cost.
Appare infatti priva di ragionevolezza una disparità di tratta
mento, che si risolve nella non considerazione del ritardo nella
percezione di crediti di rango costituzionale (appunto, art. 38), e in una sorta di tributo a danno di categorie di soggetti e per di più sganciato dalla capacità contributiva; categorie peraltro
particolarmente svantaggiate: non si dimentichi che si discute
di pensioni integrate al minimo e della conservazione dell'inte
grazione quando non sia superato un reddito pure molto mode
sto (al riguardo, v. la ratio decidendi proprio di Corte cost,
n. 240 del 1994, cit., dalla quale, si è visto, i diritti alla cristal lizzazione sono scaturiti, e, ancor prima, quella di Corte cost.
156 del 1991, cit.). Sul profilo va solo aggiunto che in analogo ordine di idee si sono mosse, sia pure non richiamando l'art.
53 cost., Cass., ord. 2 maggio 1996, n. 382, cit., e, con riferi
mento all'art. 1, 6° comma, ultimo periodo, d.l. 16 febbraio
1996 n. 65, che ha escluso la rivalutazione monetaria e ogni altro onere finanziario in caso di ritardo nella corresponsione del trattamento di fine rapporto e delle indennità contrattuali
dei lavoratori portuali collocati anticipatamente a riposo in for
za di legge speciale, Cass., ord. 16 aprile 1996 n. 329 (id., 1996,
I, 2812). 8. - In definitiva, il tribunale ritiene non manifestamente in
fondate, le questioni di costituzionalità dell'art. 1, comma 183, 1. 23 dicembre 1996 n. 662, nella parte in cui prevede che i
giudizi pendenti alla data di entrata in vigore della legge stessa
aventi ad oggetto le questioni di cui ai precedenti commi 181
e 182 sono dichiarati estinti d'ufficio con compensazione delle
spese, in riferimento agli art. 3, e 24 Cost., e nella parte in
cui prevede che i provvedimenti giudiziari non ancora passati in giudicato restano privi di effetto, in riferimento alle stesse
norme e agli art. 101 e 102 Cost.; ritiene non manifestamente
infondata la questione di costituzionalità dell'art. 1, comma 182, nella parte in cui prevede che il diritto al pagamento delle som
me arretrare conseguenti alla sentenza n. 240 del 1994 della Corte
costituzionale non competa agli eredi che non siano superstiti del pensionato a loro volta aventi diritto alla pensione di rever
sibilità, e nella parte in cui prevede che nella determinazione
dell'importo maturato al 31 dicembre 1995 per il titolo di cui
alla sentenza n. 240 del 1994 cit. non concorrono gli interessi
e la rivalutazione monetaria, in riferimento agli art. 3, 38, 53
Cost.; ritiene invece infondata la questione di costituzionalità
dell'art. 1, comma 181, cit., in riferimento agli art. 3, 24, 53
Cost., nella parte in cui prevede che le somme di cui sopra siano pagate mediante assegnazione agli aventi diritto di titoli
di Stato, ed in sei annualità.
li Foro Italiano — 1997.
TRIBUNALE DI ROMA; sentenza 26 febbraio 1997; Pres. De
Fiore, Est. Giuliani; Geraci (Aw. Giurato) c. Società edi
toriale L'Espresso (Aw. Flamini Minuto, Chiocci) e altri.
TRIBUNALE DI ROMA;
Responsabilità civile — Diffamazione a mezzo stampa — Dirit
to di cronaca — Diritto di satira — Modalità di esercizio — Fattispecie (Cost., art. 21; cod. pen., art. 595).
La divulgazione a mezzo stampa di notizie lesive dell'altrui onore
può considerarsi lecita espressione del diritto di cronaca solo
se ricorrono le condizioni della verità oggettiva dei fatti nar
rati, dell'interesse pubblico alla conoscenza degli stessi e della
correttezza formale delle espressioni utilizzate (nella specie, in applicazione del suddetto principio, il tribunale ha escluso
la sussistenza dell'esercizio legittimo del diritto di cronaca in
relazione alla notizia riportata su un settimanale secondo la
quale un noto magistrato avrebbe bollato come «Giuda» un
altrettanto noto collega). (1) Il diritto di satira può essere esercitato solo nei limiti della coe
renza causale fra la qualità della dimensione pubblica del per
sonaggio preso di mira ed il contenuto artistico espressivo della satira medesima, che non va asservita ad un fine mera
mente denigratorio. (2)
Svolgimento del processo. — Con atto di citazione notificato
il 1° marzo 1993, Vincenzo Geraci conveniva in giudizio la s.p.a.
(1-2) L'ennesima sortita del tribunale capitolino in tema di diffama zione a mezzo stampa (cfr., da ultimo, Trib. Roma 2 maggio 1995 e 1° aprile 1995, Foro it., 1996, I, 657; 15 maggio 1995, ibid., 2566, con nota di Laghezza) consente una breve digressione sulle sorti giuris prudenziali del c.d. decalogo del buon giornalista. A salvaguardia del diritto di cronaca, nell'ipotesi di divulgazione di notizie che astratta mente integrerebbero il reato di diffamazione, si ergono infatti i limiti della verità dei fatti narrati, dell'interesse pubblico alla conoscenza de
gli stessi e della continenza delle espressioni utilizzate, il cui rispetto nel pratico balancing fra diritto di cronaca e sfera intangibile del singo lo, non ha, tuttavia, mancato di riservare notevoli margini di incertezza
(v., explurimis, Zeno Zencovich, Clemente, Lodato, La responsabi lità professionale del giornalista e dell'editore, Padova, 1995, 217 ss.; Chiarolla, Delitto (diffamazione a mezzo stampa) e castigo (risarci mento del danno): istruzioni per l'uso, in Foro it., 1995, I, 1023; Rop
po, Diffamazione per «mass media» e responsabilità civile dell'editore, id., 1993, I, 3360; Ioffredi, Sulla risarcibilità de! danno da diffamazio ne a mezzo stampa, in Nuova giur. civ., 1993, I, 639; Pardolesi, Li bertà d'informazione, tutela della reputazione e tecniche risarcitone, in Riv. critica dir. privato, 1985, 307; Id., Rettifica, diffamazione e cronaca giudiziaria, in Foro it., 1985, I, 2781; Rapisarda, La diffama zione giornalistica fra principi consolidati ed esigenze di rimeditazione, id., 1984, II, 386).
Risolutivo, nell'odierno frangente, è stato l'esame del requisito della verità dei fatti narrati; eppure la frase principalmente incriminata come diffamatoria si limitava a ripetere il duro commento di un magistrato nei confronti di un collega, già noto al grande pubblico per la parteci pazione a diverse trasmissioni televisive. L'insussistenza del requisito non è certo stata desunta dall'omessa verifica, da parte del giornalista, dell'identità del magistrato con il biblico personaggio simbolo del trat
tamento, ma senza andare molto in là, è emersa dall'assenza della di mostrazione della verità intrinseca del fatto - presupposto del commen to riportato, vale a dire, dalla mancata prova della circostanza che l'at tore avesse, in passato, effettivamente avuto un contegno tale da
giustificare il pesante giudizio in esame (con riferimento alla responsa bilità del cronista nelle ipotesi in cui la notizia diffamatoria provenga da affermazioni altrui, cfr. La Pera, Intervista giornalistica e respon sabilità del cronista per il reato di diffamazione, in Giust. pen., 1993, II, 310; Cass. 5 febbraio 1986, Bonanota, Foro it., Rep. 1987, voce
Ingiuria, n. 25; Trib. Milano 21 luglio 1983, id., Rep. 1985, voce Re
sponsabilità civile, n. 95, sottolineando, tuttavia, che il caso di specie non riguarda dichiarazioni rilasciate nel corso di una intervista, ma ester nazioni già rese di pubblico dominio).
È intuitivo che il requisito della verità del fatto narrato, intesa come
corrispondenza fra res gestae ed historia rerum gestarum, costituisca
il cardine centrale di numerose pronunzie in subiecta materia-, ma è
altrettanto indubbio che la maggiore difficoltà nell'utilizzo dei rimanen ti due caratteri del corretto esercizio del diritto di cronaca non deve
tradursi in uno sconfinamento del giudizio sulla verità dei fatti narrati
oltre i limiti che gli sono propri (v. Chiarolla, cit., 1027, che si soffer
ma sulle diverse possibili ricostruzioni del requisito della verità, intesa ora in senso rigoroso, con la conseguente esclusione della verità putati va, ed ora, in senso più ampio, come verosimiglianza accuratamente accertata e controllata).
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1959 PARTE PRIMA 1960
Editoriale L'Espresso, Claudio Rinaldi nella qualità di direttore responsabile del settimanale omonimo ed Emanuele Pirella, do
mandandone la condanna in solido al risarcimento dei danni, nella misura indicata di lire 300.000.000 ovvero nella diversa
ritenuta di giustizia, oltre gli accessori, che assumeva di aver
subito in relazione al carattere lesivo e diffamatorio dell'artico
lo a firma del Pirella apparso, sotto il titolo «Con che faccia», alla pagina 117 del n. 32 del periodico de quo in data 9 agosto 1992. (Omissis)
Motivi della decisione. — Risulta documentalmente compro vato come, alla pagina 117 del n. 32 del periodico L'Espresso in data 9 agosto 1992, sia apparso, sotto la rubrica «Televisio
ne», l'articolo a firma di Emanuele Pirella dal titolo «Con che
faccia», il quale reca come esordio o preambolo quella che si
ritiene essere la «filosofia» stessa del giornalista in argomento là dove afferma «Si è responsabili della propria faccia. I linea
menti seguono i pensieri, le azioni, si dispongono secondo le
biografie», cui fanno seguito i riferimenti, tra gli altri, a Mario Chiesa, «quello del Pio Albergo Trivulzio» («Nessuno può dire
che... fosse un insospettabile. O forse lo era lui, ma non lo
era la sua faccia, non lo erano i capelli con un pò di velleitaria
onda, gli occhi e le labbra metà arroganti e metà stolidi»), a
Claudio Martelli («...ha cambiato faccia, da qualche mese. Già
in una Samarcanda di giugno, apparentemente sopraffatto dal
la verbosità incolta di qualche componente di un comitato di
base, il suo viso si fece serio e intenso. Martelli ha cambiato
faccia perché deve aver visto qualcosa di orribile e ha stabilito
di affrontarlo. Oggi è una delle poche facce sulle quali si può
giurare in una conta dei buoni e dei cattivi»), al capo della
polizia Parisi («Una faccia da assolvere..., sia nella versione
bovina con l'occhio sbarrato della corsa al macello, dopo i fu
nerali di Palermo, che in quella taurina e furiosa, quando inter
vistato, lamentava l'assenza di fronte a lui del campione del
Il giudizio espresso da personaggio pubblico di indubbia notorietà assume di per sé i contorni di una notizia rilevante, con la conseguenza che l'indagine sulla verità dei fatti non dovrebbe spingersi oltre l'accer tamento delle frasi effettivamente pronunciate (questo almeno sembra essere il parere espresso da Cass. 16 gennaio 1995, Bardi, id., Rep. 1995, voce Ingiuria, n. 24, che, con riferimento ad una notizia pubbli cata nel corso di una intervista sottolinea l'importanza delle qualità dell'intervistato, escludendo il reato di diffamazione nelle ipotesi in cui tali qualità sono idonee a creare particolare affidamento sulla veridicità delle affermazioni; e cfr. le argomentazioni di Trib. Roma 22 ottobre
1991, id., Rep. 1992, voce cit., n. 26). Rimane al margine il profilo della utilità sociale/continenza della no
tizia. L'obiettività e la correttezza dell'informazione, con tanto di ne cessità di non eccedere rispetto allo scopo informativo da perseguire (in questo è identificato da Pardolesi, osservazioni a Cass. 18 ottobre
1984, n. 5259, id., 1984, 1, 2711, il requisito della continenza), avrebbe ro probabilmente consentito di valutare negativamente l'estrapolazione, dal contesto originario, della frase riportata sulle pagine del periodico (a suo tempo pronunziata per commentare il contegno assunto dall'at tore durante una nomina in seno al Consiglio superiore della magistra tura; sulla rilevanza di accostamenti suggestionanti attuati anche me diante artificiose sequenze di affermazioni autonome, v., di recente, le osservazioni di Pardolesi a Cass. 29 maggio 1996, n. 4993, id., 1996, I, 2368; ma sul punto cfr. altresì le conclusioni di Cass. 20 gennaio 1992, Carrubba, id., Rep. 1992, voce cit., n. 41), mentre il requisito dell'interesse pubblico alla notizia avrebbe, dal canto suo, consentito di vagliare l'opportunità di richiamare all'attenzione del pubblico una notizia riguardante fatti risalenti nel tempo (ancora una volta si pro spetta l'astratta possibilità di considerare l'esistenza di un vero e pro prio diritto all'oblio, anche in dialettica contrapposizione al diritto di cronaca: v. Trib. Roma 15 maggio 1995, cit.).
Con riferimento, infine, al diritto di satira va segnalato, nei termini di cui alla massima, il tentativo di fissare limiti ad una forma di espres sione artistica geneticamente restia ad ogni forma di restrizione. Sul
punto, v. in particolare Chiarolla, Satira e tutela della persona. Il
pretore e la «musa infetta», id., 1990, I, 3039, sui limiti interni ed esterni posti al diritto di satira e, più in generale, Weiss, Diritto costitu zionale di satira o diritto di pettegolezzo, in Dir. famiglia, 1994, 181; Violi, Il «diritto di satira» tra licenza e censura, in Dir. informazione e informatica, 1992, 68. Per la giurisprudenza, Cass. 29 maggio 1996, n. 4993, cit.; Trib. Roma 26 giugno 1993, Foro it., Rep. 1994, voce Partiti politici, n. 12; App. Firenze 18 ottobre 1993, id., 1994, II, 356; Trib. Roma 13 febbraio 1992, id., Rep. 1993, voce Responsabilità civi
le, n. 70, e 31 ottobre 1992, ibid., n. 77).
Il Foro Italiano — 1997.
mondo dei pesi massimi, per abbatterlo»), ad Antonino Capon netto («...il volto di uno dei pochi maestri ancora presenti in
questo momento orfano di grandi coscienze... Il suo viso dice
la vita che ha fatto e quella che farà»). In un siffatto «contesto», appare altresì il riferimento all'o
dierno attore, del quale si afferma, soffermandosi per il mo
mento sulle sole espressioni che hanno formato oggetto di con
testazione e di doglianza da parte del medesimo. «Addirittura
imbarazzante è la faccia di Vincenzo Geraci, il magistrato bol
lato come "Giuda" da Paolo Borsellino. I responsabili dei ca
sting dei film sanno cosa si intende. Una faccia così la si tiene
per ruoli non propriamente angelici».
Orbene, ritiene il collegio che il brano dell'articolo in que stione relativo al Geraci possa, in prima approssimazione, esse
re convenientemente scisso in due parti, l'una consistente nell'e
spressione «il magistrato bollato come "Giuda" da Paolo Bor
sellino» e l'altra consistente nelle rimanenti affermazioni.
Queste ultime, secondo quanto traspare vuoi dal loro tenore
letterale (segnatamente incentrato su di una palese «messa alla
berlina» dei connotati «somatici» e, in specie, «facciali» della
persona dell'attore, forzatamente distorti in chiave ironica tan
to da venire qualificati «addirittura imbarazzanti» e «non pro
priamente angelici»), vuoi dalla restante parte del «pezzo», pu re concernente il Geraci, non espressamente richiamata da que st'ultimo («Gonfio e pallido, gli occhi ravvicinati con le palpebre
gonfie, una bocca sottile con gli angoli all'ingiù, il viso coperto da nei grossi come quelli di Bruno Vespa. Appare da Costanzo
a rettificare le cose dette da Leoluca Orlando e, in realtà, smen
tisce con grande forza una cosa di poco conto e sorvola sulle
altre. Riappare proprio da Vespa, in un'edizione neo-a-neo di
un faccia a faccia e arzigogola su Falcone e Borsellino»), vuoi
dal «contesto» dell'articolo nei passi relativi agli altri personag
gi di pubblica notorietà sopra riportati, è da ritenere che posso no essere ricondotte (e, come tali, scriminate) nell'ambito del
l'esercizio della satira, la quale, così come riconosciuto già dal
l'ufficio (Trib. Roma 13 febbraio 1992, Foro it., Rep. 1993, voce Responsabilità civile, n. 70), ha rango di diritto soggettivo di livello e rilevanza costituzionali e che, non ponendosi in al
cun rapporto di necessità e di coincidenza con la verità del fatto
e non dovendo conformarsi a canoni di corretta ed equilibrata
espressione, ha come suoi limiti (che, nella specie, sembrano
esser stati puntualmente osservati) quello, interno, legato alla
notorietà del personaggio (il quale, proprio per aver scelto la
notorietà come dimensione esistenziale del proprio agire, giusta
quel che è dato di ricavare, nel caso concreto, se non altro dalla
stessa ripetuta — e non controversa — partecipazione del Gera
ci a trasmissioni televisive del genere del «Maurizio Costanzo
Show» o di «Telefono giallo», è da presumere che abbia rinun
ciato a quella parte del proprio diritto alla riservatezza diretta
mente correlata alla sua dimensione pubblica e che possa perciò essere messo alla berlina oltre che per le sue «fattezze» appun
to, che egli ha offerto volontariamente alla pubblica attenzione, altresì per tutti gli atti del suo ufficio, potendo così essere «cari
caturato» per i successi e gli insuccessi connessi al suo ruolo), ovvero quelli, esterni, legati a ciascuno dei mezzi di diffusione
della satira stessa ed ai contenuti del messaggio satirico, onde, ad esempio, non è da considerare certamente lecita l'attribuzio
ne di fatti offensivi determinati, mentre si palesa del tutto legit timo il riferimento di specie ad una faccia (quella appunto del
Geraci) «addirittura imbarazzante» e «non propriamente an
gelica». Diversamente, invece, è a dire per quanto attiene all'impiego
dell'espressione «il magistrato bollato come "Giuda" da Paolo
Borsellino».
Al riguardo, conviene premettere come, secondo quanto rico
nosciuto dalla giurisprudenza (Cass. 29 maggio 1996, n. 4993,
id., 1996, I, 2368), il diritto di satira, garantito dagli art. 9, 21 e 33 Cost., possa comunque essere esercitato solo nei limi
ti della coerenza causale tra la qualità della dimensione pubbli ca del personaggio fatto oggetto della satira ed il contenuto
artistico-espressivo della satira medesima (cioè dire del messag
gio sottoposto ai relativi percettori), con la conseguenza che
questa, pur caratterizzandosi per i suoi scopi caricaturali e dis
sacratori che gli consentono di non rispettare fedelmente la ve
rità dei fatti (o, nella specie, della stessa «effige» del destinata
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
rio), non può essere asservita ad un fine meramente denigrato
rio, così come accade là dove la satira, pur essendo ispirata dalle finalità sue proprie e tesa quindi a suscitare ilarità, con
tenga riferimento offensivi suscettibili di ledere la reputazione del soggetto cui la satira medesima si riferisce (Trib. Roma 26
giugno 1993, id., Rep. 1994, voce Partiti politici, n. 12). Nella fattispecie, non è chi non veda che, in un contesto gior
nalistico rivolto alla dimostrazione dell'assunto «satirico» se
condo cui «I lineamenti seguono i pensieri, le azioni, si dispon
gono secondo le biografie», può a buon diritto figurare il riferi
mento, che di per sé non trasmodi in accostamenti sconci o
ripugnanti, ai tratti «somatici» del destinatario (come appunto il Geraci, la cui faccia, in ragione delle stesse caratteristiche
riportate nell'articolo, viene quindi definita «addirittura imba
razzante» e «non propriamente angelica»), così come avrebbe
potuto semmai trovare coerente collocazione un qualsiasi riferi
mento a circostanze relative alla vita pubblica dell'attore (e fi
nanco all'ufficio da questo ricoperto) che, pur strumentale al
l'assunto medesimo (e, in quanto tale, non particolarmente edi
ficante, giacché, se i lineamenti «si dispongono secondo le
biografie», è evidente che una faccia «imbarazzante» e «non
propriamente angelica» non può che lasciar sottintendere fatti
di segno «corrispondente»), non si fosse tuttavia risolto in un'of
fesa o in una denigrazione suscettibile di ledere la reputazione del Geraci, al pari, ad esempio, di quanto traspare dal riferi
mento dell'articolista a Mario Chiesa, fatto oggetto di satira
per «la sua faccia» (certamente da «non assolvere» secondo la
prospettazione del Pirella), ma indicato semplicemente come
«quello del Pio Albergo Trivulzio» e come un «non insospetta
bile», senza cioè alcun richiamo a specifici fatti lesivi. Per contro, il riferimento esplicito al Geraci come al «magi
strato bollato come "Giuda" da Paolo Borsellino» si palesa del tutto «eccentrico» rispetto all'intento satirico perseguito dal
giornalista, essendo evidente come un tale riferimento, sia pure indubitabilmente legato al fine di suffragare l'idea che la faccia
del Geraci possa risultare «addirittura imbarazzante» o «non
propriamente angelica», vada letto (e si risolva esso medesimo) in chiave obiettivamente denigratoria, ovvero lesiva della repu tazione dell'istante, avuto riguardo all'inequivoco significato spre
giativo di «traditore» assunto nella lingua corrente dal termine
«Giuda», il quale, dal nome di Giuda Iscariota, il traditore ap
punto di Gesù Cristo, sta ad indicare chi (come, ad esempio,
nell'espressione «è un Giuda») o il contegno di chi (come, ad
esempio, nell'espressione «bacio di Giuda») un tradimento stia
tramando o abbia già compiuto. Né sembra che il riferimento in contestazione risulti scrimina
to attraverso il richiamo al preteso esercizio del diritto di crona
ca: sotto quest'ultimo profilo, infatti, affinché la divulgazione a mezzo stampa di notizie lesive dell'onore possa considerarsi
lecita, devono ricorrere, come noto, le condizioni della verità
oggettiva della notizia pubblicata, dell'interesse pubblico alla
conoscenza del fatto (cosiddetta pertinenza) e la correttezza for
male dell'esposizione (cosiddetta continenza), laddove la condi
zione della verità della notizia comporta, come inevitabile co
rollario, l'obbligo del giornalista non soltanto di controllare l'at
tendibilità della fonte (non sussistendo fonti informative
privilegiate), ma anche di accertare e di rispettare la verità so
stanziale dei fatti oggetto della notizia, con la conseguenza che, solo se tale obbligo sia stato scrupolosamente osservato, potrà essere utilmente invocata l'esimente dell'esercizio del diritto di
cronaca (Cass. 5 maggio 1995, n. 4871, id., 1996, I, 657), nel
senso esattamente che, per verità del fatto divulgato, ai fini del
lecito esercizio del diritto di cronaca, deve intendersi l'obiettiva
rispondenza al vero del fatto stesso e non già la verità dell'avve
nuta asserzione del fatto da parte di terzi, onde non è sufficien
te a giustificare il giornalista la circostanza che la notizia diffa
matoria sia riferita come appresa da altri (Cass, pen., sez. V, 9 dicembre 1981, n. 10908; sez. VI 30 giugno 1978, n. 8753).
Nella specie, pur a prescindere dal rilievo circa l'estrema dif
ficoltà di configurare in termini di legittimo esercizio del diritto di «cronaca» un riferimento, quale quello in contestazione, che, a distanza di tempo, si venga a collocare in un contesto, quale
quello dell'intero articolo esaminato e della parte segnatamente relativa all'odierno attore, a sfondo invece «satirico», deve es
sere riconosciuta la totale irrilevanza, ai fini che qui interessa
no, della circostanza in sé che il dott. Borsellino, riferendosi
alla persona del Geraci (ed al contegno in particolare serbato
Il Foro Italiano — 1997.
da quest'ultimo nell'ambito della nomina del consigliere istrut
tore di Palermo presso il Consiglio superiore della magistratu
ra), abbia usato l'appellativo di «Giuda» (onde la manifesta
ininfluenza della prova per testi capitolata dalla convenuta al
l'udienza di precisazione delle conclusioni sotto la lettera «a», come pure degli ulteriori capitoli articolati alle lettere «b» e
«c» del verbale d'udienza del 16 marzo 1994), posto che, come
accennato, la circostanza che il termine de quo («Giuda») sia
stato, ove pure, adoperato da un terzo (il dott. Borsellino), an
corché attendibile, riferendosi esattamente al Geraci, non scri
mina il contegno del giornalista che abbia dato notizia di un
fatto obiettivamente diffamatorio (l'essere il Geraci un «Giu
da») senza fornire la dimostrazione della verità «intrinseca» del
fatto stesso (ovvero del fatto che l'attore sia stato effettivamen
te un «Giuda» e che abbia cioè tenuto un contegno da «tradito
re») e, anzi, denotando palesemente di aver fondato il proprio assunto soltanto sul richiamo alle affermazioni di un terzo (an corché provvisto, lo si ripete, di sufficiente attendibilità) e di non aver quindi «altrimenti» accertato l'oggettiva verità dell'as
sunto medesimo.
In definitiva, essendo manifesto il contenuto diffamatorio del
riferimento in contestazione (come tale, evidentemente lesivo della
reputazione del Geraci, cosi intendendosi assorbiito ogni ulte
riore profilo di illiceità pure prospettato da quest'ultimo) e non
ravvisandosi, per le ragioni accennate, la sussistenza delle scri
minanti della «satira» e della «verità dei fatti divulgati», deve
conclusivamente riconoscersi la solidale responsabilità dei con
venuti, quale discende dal dettato dell'art. 2055, 1° comma, c.c. in riferimento, per quanto attiene al Pirella, al disposto dell'art. 595 c.p., per quanto attiene al Rinaldi (nella non con
troversa qualità di direttore responsabile del settimanale) al di
sposto dell'art. 57 c.p. e, per quanto atiene alla convenuta so
cietà editrice del settimanale medesimo, al disposto dell'art. 11
1. 8 febbraio 1948 n. 47. Circa, poi, l'ammontare del danno subito dall'attore, nessu
na prova essendo stata da questo offerta in merito ad alcun
pregiudizio di natura patrimoniale sofferto in conseguenza della
pubblicazione in oggetto, deve essere liquidata al Geraci, a tito lo di ristoro del danno non patrimoniale ravvisandosi gli estre mi del reato di diffamazione a mezzo stampa in capo al Pirella
(per la cui sussistenza, sotto il profilo soggettivo, non è richie
sto il c.d. animus diffamandi ed è invece sufficiente che il col
pevole abbia voluto l'azione nella consapevolezza del discredito
che col suo operato poteva cagionare all'altrui reputazione) e
di omesso controllo (quanto meno) in capo al Rinaldi, la com
plessiva somma di lire 30.000.000 (da non rivalutare essendo
frutto dell'applicazione di criteri evidentemente attuali) oltre gli interessi legali a decorrere dalla data di pubblicazione della pre sente sentenza, equitativamente determinata in relazione, per un
verso, alla gravità del fatto in sé (tanto più in quanto commesso
col mezzo della stampa e relativo ad un soggetto chiamato all'e
sercizio dell'ufficio di magistrato) ed al risalto che la notizia
può astrattamente aver avuto essendo stata riportata su di uno
dei settimanali maggiormente diffusi, ovvero, per altro recipro co verso, alla collocazione» pur sempre assunta da riferimento
difamatorio vuoi in seno al periodico (pubblicato, cioè, alla pa gina 117 in carattere di stampa «ridotto» rispetto a quello di
base), vuoi in seno all'articolo (dedicato, cioè, anche ad «altri»
soggetti, diversi dal Geraci), vuoi in seno alla stessa parte di
questo relativa alla persona dell'attore (composta, cioè, di «quat tordici» righe, «una» — circa — soltanto delle quali occupata
dall'espressione diffamatoria). Per le ragioni anzidette, è altresì da escludere che siano nella
specie ravvisabili i presupposti di cui all'art. 120 c.p.c.
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