sentenza 26 gennaio 1994, n. 3 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 2 febbraio 1994, n. 6);Pres. Casavola, Est. Ferri; Zamboni (Avv. Sorrentino) c. Min. pubblica istruzione ed altro (Avv.dello Stato Carbone). Ord. Tar Lombardia, sez. Brescia, 30 aprile 1993 (G.U., 1 a s.s., n. 28 del1993)Source: Il Foro Italiano, Vol. 118, No. 3 (MARZO 1995), pp. 779/780-781/782Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23189094 .
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PARTE PRIMA
Con sentenza n. 227 del 25 giugno 1990 il Tribunale di Mace
rata aveva affermato la responsabilità penale del predetto. Su
gravame di costui, la Corte d'appello di Ancona aveva successi
vamente dichiarato la prescrizione del reato, con sentenza n.
1016 del 16 aprile 1991.
Pertanto, l'Inail, che aveva erogato prestazioni assicurative nei confronti dei superstiti, come da attestato del direttore della
sede di Macerata, agiva in via di rivalsa verso i responsabili.
(Omissis) Motivi della decisione. — Va preventivamente esaminata, se
condo priorità logica, la questione relativa alla competenza in
ordine alla domanda proposta dall'Inail nei confronti dell'An
geloni. Non v'ha dubbio che costui, uti singuli, è soggetto terzo ri
spetto al rapporto assicurativo, che coinvolge l'istituto, il lavo
ratore dipendente (ancorché qui considerato tale in forza di nor ma di legge) ed il datore di lavoro, che nel caso è la cooperati va. Onde, l'azione spiegata dall'Inail verso di lui va certamente
rubricata come surroga dell'assicuratore, che ha corrisposto l'in
dennità, nei diritti dell'assistito verso i terzi responsabili, quale
prevista dall'art. 1916 c.c., il cui ultimo comma estende l'istitu
to anche alle assicurazioni contro gli infortuni sul lavoro.
Il che vuol dire che la causa relativa, non avendo natura pre videnziale (al contrario del regresso verso il datore di lavoro, previsto dagli art. 10 ed 11 d.p.r. n. 1124 del 1965), non è sog
getta alla disciplina prevista dagli art. 442 e 444 c.p.c., secondo
un indirizzo giurisprudenziale di gran lunga prevalente (v., da
ultimo, Cass., sez. lav., 14 dicembre 1993, n. 12340, Foro it.,
Rep. 1993, voce Infortuni sul lavoro, n. 145; 15 luglio 1992, n. 8578, id., Rep. 1992, voce cit., n. 152), senza che possa rile vare un'eventuale sua connessione con l'azione di regresso (co si, fra le altre, Cass., sez. lav., 9 aprile 1990, n. 2942, id., Rep. 1990, voce Lavoro e previdenza (controversie), n. 89).
L'esattezza del rilievo non esclude peraltro che la controver
sia di cui si tratta, lungi dal dover seguire — sempre e comun
que — gli ordinari criteri della competenza per valore, non deb ba orbitare nell'ambito di cognizione del pretore del lavoro sot
to altro profilo. È invero principio noto che la surroga qui esercitata compor
ta il subentro dell'assicuratore nella stessa posizione sostanziale e processuale dell'indennizzato in forza del rapporto assicurati
vo: il che vale anche con riferimento alla competenza riguardo al relativo giudizio. È altrettanto noto che per controversie «re lative a rapporti di lavoro subordinato», ai sensi dell'art. 409, n. 1, c.p.c., affidate alla competenza del pretore del lavoro dal successivo art. 413, 1° comma, debbono intendersi tutte quelle in cui la pretesa fatta valere nel processo si ricolleghi diretta
mente ad un tale rapporto, nel senso che questo, pur non costi tuendo la causa petendi di detta pretesa, si presenti come ante cedente e presupposto necessario — e non meramente occasio nale — della situazione di fatto in ordine alla quale viene invocata la tutela giurisdizionale, comprese quelle di natura risarcitoria relative a danni che si assumono derivati da violazioni di doveri
collegati alla disciplina del rapporto di lavoro (tra le più recen
ti, v. Cass., sez. lav., 2 marzo 1994, n. 2049, id., Mass., 159; 12 ottobre 1993, n. 10080, id., Rep. 1993, voce cit., n. 41).
In una simile prospettiva rientrano perciò nella competenza del giudice del lavoro le cause instaurate dal dipendente nei con fronti del datore del lavoro aventi ad oggetto un ristoro di dan no infortunistico (anche differenziale rispetto all'indennizzo ero
gato dall'Inail) che si assume derivante dalla omessa predisposi zione delle cautele previste dall'art. 2087 c.c. (fra le tante: Cass., sez. lav., 20 agosto 1993, n. 8828, id., 1994, I, 452; sez. Ili 20 luglio 1993, n. 8062, id., Rep. 1993, voce cit., n. 249).
Orbene, la presente fattispecie non si discosta dagli schemi ora delineati.
La posizione degli indennizzati cui l'istituto assicuratore pub blico subentra è infatti quella di coloro che, in esito al giudizio penale, risultano danneggiati dalla morte del loro congiunto Mon tironi Sergio, avvenuta poiché il medesimo — stando all'ipotesi accusatoria verificata attraverso la sentenza — era stato adibito al restauro del tetto di una casa colonica su di una impalcatura non rispettosa di determinate cautele antinfortunistiche da par te dell'Angeloni che, quale presidente della cooperativa datrice di lavoro, era tenuto ad adottare a tutela dell'integrità fisica del dipendente (art. 2087 c.c.). Il danno è perciò assunto come discendente dalla responsabilità contrattuale del predetto, colle
li Foro Italiano — 1995.
gata allo svolgimento di un rapporto ritenuto dalla legge come
di lavoro subordinato. Talché il giudizio di surroga dell'Inail
nel diritto dei medesimi, al pari di quello che costoro avrebbero
potuto esercitare nei confronti del danneggiante Angeloni, rien
tra nella competenza del pretore del lavoro a mente di una coor
dinata lettura degli art. 409, n. 1, e 413 c.p.c., pur non essendo
qualificabile come causa previdenziale (per la configurabilità di questa in una fattispecie similare, v. invece Cass., sez. Ili, 7
aprile 1983, n. 2463, id., 1983, I, 1608). L'estensione della circoscrizione pretorile a dimensione cir
condariale ha poi equiparato nei fatti la peculiare competenza territoriale prevista dall'art. 444, 1° comma, c.p.c. con quella genericamente prevista dal precedente art. 413.
Infine, l'unicità del fatto generatore della responsabilità invo
cata dall'istituto sia nell'azione di regresso che in quella di sur
roga, soggetta anch'essa al rito speciale per le ragioni dette,
consiglia la trattazione unitaria delle due controversie per evi
denti ragioni di connessione probatoria. (Omissis)
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 26 gennaio 1994, n. 3
(Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 2 febbraio 1994, n. 6); Pres. Casavola, Est. Ferri; Zamboni (Aw. Sorrentino) c. Min. pubblica istruzione ed altro (Aw. dello Stato Carbo
ne). Ord. Tar Lombardia, sez■ Brescia, 30 aprile 1993 (G.U., la s.s., n. 28 del 1993).
Impiegato dello Stato e pubblico in genere — Dispensa dal ser vizio per motivi di salute — Riammissione in servizio — Man
cata previsione — Incostituzionalità (Cost., art. 3, 35, 97;
d.p.r. 10 gennaio 1957 n. 3, statuto degli impiegati civili dello
Stato, art. 132).
È illegittimo, per violazione dell'art. 3 Cost., l'art. 132, 1 ° com
ma, d.p.r. 10 gennaio 1957 n. 3, nella parte in cui non com
prende, tra le fattispecie di cessazione del rapporto di pubbli co impiego in ordine alle quali è possibile la riammissione
in servizio, la dispensa dal servizio per motivi di salute. (1)
Diritto. — 1. - Il Tar della Lombardia, sezione di Brescia, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 132
d.p.r. 10 gennaio 1957 n. 3 «nella parte in cui non prevede
(1) La pronunzia della corte trova precedenti in termini in Tar Lazio, sez. I, 10 giugno 1988, n. 881, Foro it., Rep. 1988, voce Ordinamento giudiziario, n. 60, e Cons. Stato, sez. V, 20 marzo 1992, n. 229, id., Rep. 1992, voce Impiegato dello Stato, n. 1141 (contra, Corte conti, sez. contr., 24 giugno 1991, n. 71 ibid., n. 1247; Cons. Stato, sez. VI, 5 marzo 1986, n. 201, id., Rep. 1986, voce cit., n. 1021; sez. IV 3 dicembre 1986, n. 814, id., Rep. 1987, voce Ordinamento giudiziario, n. 71 e voce Impiegato dello Stato, n. 1144, che ha ritenuto anche manifestamente infondata la relativa questione di legittimità costituzio nale), e risponde al principio generale del favor riconosciuto al dipen dente divenuto per malattia inidoneo allo svolgimento delle sue funzio ni, con il riconoscimento del diritto di essere utilizzato in altri compiti attinenti alla qualifica, secondo il principio generale desumibile dagli art. 71 e 129 t.u. 3/57 (Cons. Stato, sez. VI, 15 dicembre 1992, n. 1101, id., Rep. 1993, voce cit., n. 263; 5 novembre 1990, n. 936, id., Rep. 1991, voce cit., n. 996; Cons, giust. amm. sic. 2 febbraio 1987, n. 23, id., Rep. 1987, voce cit., n. 1057).
Sulla procedura da seguire per l'adozione del provvedimento di di spensa, a garanzia del dipendente, v. Cons. Stato, sez. VI, 4 luglio 1994, n. 1129, in questo fascicolo, III, 144, ivi con riferimenti generali all'istituto.
Per riferimenti sulla riammissione in servizio ex art. 132 t.u. 3/57, v. la nota a Tar Lombardia, sez. Brescia, 28 marzo 1991, n. 272, id., 1992, III, 78.
L'ordinanza di rimessione, Tar Lombardia, sez. Brescia, 30 aprile-5 maggio 1993, n. 331, è massimata id., Rep. 1993, voce cit., n. 1215.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
che il pubblico dipendente già cessato dal servizio per infermi
tà, ovvero per superamento del periodo massimo di aspettativa
per infermità, possa presentare istanza di riassunzione».
Premesso che l'elencazione, contenuta nella norma impugna ta, delle cause di cessazione del rapporto d'impiego non ostati
ve alla riammissione deve considerarsi — secondo la concorde
giurisprudenza — tassativa, il collegio rimettente osserva che
la pur ampia discrezionalità legislativa che connota l'istituto in
esame deve tuttavia fondarsi su criteri di ragionevolezza, con
i quali contrasta la mancata previsione della possibilità in servi
zio coloro che siano stati dispensati per motivi di salute e che
poi evidenzino l'integrale riacquisto della precedente capacità lavorativa. La norma censurata violerebbe, pertanto, l'art. 3
Cost., per irrazionale discriminazione dei detti soggetti rispetto
agli altri per i quali, pur essendo la cessazione dal servizio pari menti connessa ad eventi non irreversibili, la riammissione è
invece possibile: l'art. 35, 1° comma, Cost., per violazione del
la tutela del lavoro, la quale, per essere effettiva, deve farsi
carico di reinserire nell'attività lavorativa il soggetto che è ces
sato dalla malattia; infine, l'art. 97, 1° comma, Cost., sotto
entrambi i profili della imparzialità e del buon andamento della
pubblica amministrazione.
2. - La questione è fondata.
L'art. 132 d.p.r. n. 3 del 1957 prevede che può essere riam
messo in servizio, sentito il parere del consiglio di amministra
zione, l'impiegato cessato dal servizio per dimissioni, per collo
camento a riposo, o per decadenza nei casi di cui alle lett. b
e c dell'art. 127, che prevedono rispettivamente l'accettazione
di una missione o di altro incarico da un'autorità straniera sen
za autorizzazione del ministro, e la ingiustificata mancata as
sunzione o riassunzione del servizio entro il termine prefissato, od assenza dall'ufficio per un determinato periodo minimo.
Restano escluse dall'ambito applicativo della norma, e per tanto precludono la riammissione, tutte le altre ipotesi di cessa
zione del rapporto d'impiego, vale a dire, oltre alla dispensa
per motivi di salute qui in discussione, la dispensa per incapaci tà o per persistente insufficiente rendimento (art. 129 t.u.); la
decadenza per incompatibilità, o per perdita della cittadinanza, o a seguito dell'accertamento che l'impiego fu conseguito me
diante produzione di documenti falsi o viziati da invalidità insa
nabile (art. 63 e 127, lett. a e d, t.u.): la destituzione, nonché
altri casi marginali. Dall'esame di tale quadro normativo della materia emerge che
la mancata inclusione della dispensa per motivi di salute tra
le cause di cessazione dal servizio non ostative alla riammissio
ne (e, correlativamente, la sua assimilazione alle fattispecie pre clusive della ricostituzione del rapporto) appare sfornita di ra
zionale giustificazione. Invero, pur non essendo del tutto agevole individuare una
precisa e univoca ratio discriminatrice tra le due anzidette cate
gorie di cause di cessazione dal servizio, basta osservare, ai fini
che qui interessano, che la dispensa per motivi di salute si fon
da su una situazione (lo stato di infermità) la quale, da un lato, è ovviamente indipendente dalla volontà dell'interessato, per cui
certamente esula dal provvedimento una valutazione negativa del comportamento dell'impiegato (e comunquè qualsiasi profi lo sanzionatorio); dall'altro non può considerarsi in assoluto
irreversibile, tanto più alla luce delle odierne cognizioni della
scienza medica.
In presenza di dette caratteristiche, e tenuto conto del rilievo
che l'istituto della riammissione in servizio, seppure non possa definirsi di carattere generale, ha tuttavia una portata cosi am
pia che esclude una qualificazione stricto sensu derogatoria, de
ve ritenersi che l'aver precluso in radice, sulla base evidente
mente di una presunzione assoluta di irreversibilità dello stato
di infermità, la possibilità della riammissione di chi sia stato dispensato dal servizio per motivi di salute integri la violazione
del principio di eguaglianza: detti soggetti, infatti, vengono sot
toposti ad un trattamento irrazionalmente deteriore rispetto a
quelli per i quali invece, ai sensi della norma impugnata, tale
possibilità è ammessa, pur versando i primi in situazione certa
mente degna di non minore tutela.
Ad abundantiam va rilevato che la disciplina concernente il
personale delle unità sanitarie locali, pur riproducendo in so
stanza il d.p.r. n. 3 del 1957 in tema di cessazione del rapporto
d'impiego, comprende tra le cause di cessazione che consentono
la riammissione in servizio la dispensa per motivi di salute (cfr. art. 59 d.p.r. 20 dicembre 1979 n. 761).
Il Foro Italiano — 1995.
Restano assorbiti i profili di censura relativi agli art. 35 e
97 Cost.
3. - Va pertanto dichiarata l'illegittimità costituzionale del
l'impugnato art. 132, 1° comma, d.p.r. n. 3 del 1957, nella
parte in cui non include, nel novero delle cause di cessazione
dal servizio in presenza delle quali è possibile la riammissione, la dispensa per motivi di salute, comprendendo ovviamente in
tale dizione entrambe le ipotesi in cui il provvedimento può es
sere adottato, a seconda cioè che esso consegua o meno alla
scadenza del periodo massimo di aspettativa (art. 71 e 129 del
d.p.r. medesimo). È appena il caso di rilevare, infine, che, secondo consolidati
principi, l'amministrazione, nel decidere sull'istanza di riammis
sione, deve procedere al rigoroso accertamento dei requisiti og
gettivi e soggettivi previsti dalla legge, e possiede comunque un
ampio potere discrezionale nella valutazione dell'esistenza del
l'interesse pubblico all'adozione del provvedimento. Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara l'illegitti
mità costituzionale dell'art. 132, 1° comma, d.p.r. 10 gennaio 1957 n. 3 (testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto
degli impiegati civili dello Stato), nella parte in cui non com prende, tra le fattispecie di cessazione del rapporto di impiego in ordine alle quali è possibile la riammissione in servizio, la
dispensa dal servizio per motivi di salute.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 11 feb
braio 1995, n. 1557; Pres. Cantillo, Est. Lupo, P.M. Cin
que (conci, conf.); Soc. Claudia (Aw. Zappalà, Pezzano) c. Min. finanze. Cassa Comm. trib. centrale 27 aprile 1991, n. 3268.
CORTE DI CASSAZIONE;
Redditi (imposte sui) — Reddito di impresa — Attività di im bottigliamento e vendita di acque minerali — Bottiglie a ren
dere — Quote di ammortamento — Deducibilità (D.p.r. 29
settembre 1973 n. 597, istituzione e disciplina dell'imposta sul
reddito delle persone fisiche, art. 68).
Nella determinazione del reddito di impresa assoggettabile ad
Irpeg e ad Ilor sono deducibili le quote di ammortamento
delle bottiglie a rendere acquistate ed utilizzate da una società
che imbottiglia e vende acqua minerale. (1)
(1) Non si rinvengono precedenti in termini nella giurisprudenza del la Suprema corte. Comm. trib. centrale 27 aprile 1991, n. 3268, ora
cassata, è massimata in Foro it., Rep. 1991, voce Redditi (imposte sui), n. 562.
La sentenza in epigrafe muove dalla premessa che, in caso di cessione di bottiglie di acqua minerale con clausola del «vuoto a rendere», la
proprietà delle stesse resta in capo alla società che le ha poste in com
mercio; una diversa ricostruzione è proposta — in una vicenda in cui si discuteva della fruttuosità delle somme cauzionali corrisposte, in pro porzione del valore di mercato del vuoto a rendere, dai distributori di bevande al produttore — da Cass. 18 giugno 1986, n. 4066, id., 1987, I, 871, con nota di Pardolesi, e Nuova giur. civ., 1987, I, 237, con nota di Scudella, per la quale una siffatta pattuizione va inqua drata come vendita (in funzione di garanzia) sottoposta a condizione risolutiva a favore del compratore.
Sul «deperimento e consumo» delle bottiglie, v. Cass. 21 aprile 1988, n. 3085, Foro it., Rep. 1988, voce Ricchezza mobile (imposta), n. 61, cit. in sentenza, ove, in un caso di affitto di azienda, si afferma che l'accantonamento a titolo di ammortamento delle bottiglie in vetro è fiscalmente deducible da parte dell'impresa concedente solo con riferi
mento al logorio economico, tenendo conto che le bottiglie non deperi scono con l'uso e che la loro eventuale rottura è a carico dell'affittua
rio; analogamente, Cass. 18 dicembre 1987, n. 9445, id.. Rep. 1987, voce cit., n. 73; 13 dicembre 1987, n. 9449, ibid., n. 74; 15 aprile 1987, nn. 3745, 3746, ibid., nn. 75, 76.
Il decreto min. fin. 7 novembre 1992, che ha espressamente introdot
to le bottiglie a rendere tra i beni strumentali ammortizzabili (con l'ali
quota del 20%) da parte delle industrie manifatturiere alimentari (grup po V) che svolgono attività di produzione di bevande alcoliche gassate e non (specie 17a), si rinviene in Le leggi, 1992, I, 3762.
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