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Sentenza 26 giugno 1959; Pres. ed est. Caprioglio P.; Levis (Avv. Boggio) c. Fallimento Cassin (Avv....

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Sentenza 26 giugno 1959; Pres. ed est. Caprioglio P.; Levis (Avv. Boggio) c. Fallimento Cassin (Avv. Piacenza) Source: Il Foro Italiano, Vol. 83, No. 2 (1960), pp. 303/304-307/308 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23150982 . Accessed: 28/06/2014 18:29 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 185.31.195.181 on Sat, 28 Jun 2014 18:29:45 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Sentenza 26 giugno 1959; Pres. ed est. Caprioglio P.; Levis (Avv. Boggio) c. Fallimento Cassin(Avv. Piacenza)Source: Il Foro Italiano, Vol. 83, No. 2 (1960), pp. 303/304-307/308Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23150982 .

Accessed: 28/06/2014 18:29

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303 PARTE PRIMA 304

definitivo del codice (art. 468) si dispose « che la rappre sentazione ha luogo, nella linea retta, a favore dei discen

denti legittimi, legittimati e adottiv", nonché dei discen

denti dei figli naturali del defunto, e, nella linea collate

rale, a favore dei discendenti dei fratelli e delle sorelle del

defunto ». In tale modo è stata soppressa quella netta di

stinzione (« soltanto ») tra la linea retta e la linea collate

rale ; ed è evidente che per interpretare il testo vigente non si possono trarre argomenti da quanto fu detto a chia

rimento di una disposizione del progetto che non è stata

trasfusa nella redazione definitiva dell'art. 468.

L'innovazione si risolve pertanto nell'avere riunito in

un'unica norma (art. 468) la disciplina della rappresenta zione nella legittima, che invece, sotto l'impero del codice

abrogato, risultava dal coordinamento di due distinte di

sposizioni (art. 732 e art. 890 citati). Il problema si ripresenta, quindi, negli stessi termini

in cui si presentava prima dell'entrata in vigore del nuovo

codice. Nell'affrontarlo, il primo rilievo da fare è che l'art.

468 del vigente codice (alla stessa guisa degli art. 732 e

890 cod. abrog.) non offre, dal punto di vista strettamente

letterale, alcuna esplicita indicazione. Esso è concepito in

termini tali da mettere in risalto i soggetti a favore dei

quali si attua la rappresentazione, ma non da chiarire

apertamente chi siano i soggetti dei quali è consentita la

rappresentazione. Per le successioni legittime dubbi tuttavia non possono

sorgere, perchè (quanto alla linea collaterale) a qualsiasi

grado della discendenza appartenga il « rappresentante », è ovvio che egli è sempre chiamato a rappresentare, diret

tamente o indirettamente (direttamente quando sia discen

dente di primo grado, indirettamente negli altri casi), un

fratello od una sorella del de cuius, nei quali appunto si

dovranno costantemente identificare i soggetti dei quali è ammessa la rappresentazione.

Ma nelle successioni testamentarie può sorgere il dub

bio se si abbia rappresentazione solo quando istituito sia

un fratello o una sorella del testatore, o anche quando l'istituito sia un discendente di un fratello o di una sorella

dello stesso testatore (nipote, pronipote). Il dubbio è sug

gerito dalla lettera stessa dell'articolo in esame, perchè, ammettendosi la rappresentazione anche nella seconda delle

due ipotesi formulate, è innegabile che, da un punto di

vista letterale, si avrebbe pur sempre, in armonia col testo,

rappresentazione a favore di un discendente del fratello o

della sorella del de cuius.

A giudizio del Collegio il dubbio deve essere risolto

nel senso che, solo in alcuni casi, può aversi rappresenta zione, anche se l'istituito sia, non il fratello o la sorella del

testatore, ma un discendente di essi ; e che si debba invece

escludere ogni aprioristica equiparazione, agli effetti del

diritto di rappresentazione, tra l'istituzione testamentaria

del fratello o della, sorella e quella di un loro discendente.

Questo convincimento è fondato sulla sostanziale unità

dell'istituto della rappresentazione, esteso, solo col codice del 1865, oltre l'ambito tradizionale della successione legit tima, a quello della successione testamentaria, mediante un dispositivo di rinvio (l'art. 890 disponeva, come si è

visto, che « i discendenti dell'erede o del legatario premorto o incapace sottentrano nell'eredità o nel legato nei casi in cui sarebbe stata ammessa a loro favore la rappresenta zione se si fosse trattato di successione intestata »).

Di questa unità si ha una nuova espressione nel codice

vigente che, senza attuare sostanziali mutamenti rispetto alla disciplina anteriore, ha trattato in un medesimo arti

colo (468) dei soggetti della rappresentazione nei due tipi di successione.

Tutto ciò induce a ritenere che, allargandosi il campo di applicazione dell'istituto, ne siano rimaste inalterate le strutture e le finalità sostanziali e che, di conseguenza, il diritto di rappresentazione non possa realizzarsi nella

successione testamentaria, con un contenuto diverso da

quello che lo caratterizza nelle successioni legittime. In questo principio sta il criterio discriminatore in base

al quale si deve decidere, di fronte all'istituzione di un

nipote ex fratre o ex sorore premorto al testatore, se ricorra

o meno il diritto di rappresentazione. In sostanza, potrà ammettersi la rappresentazione tutte le volte in cui essa

avrebbe potuto realizzarsi, e con analoghi effetti, nella

corrispondente ipotesi di successione legittima ; la si dovrà

escludere in ogni altro caso.

Esemplificando : allorché, un nipote sia stato istituito

erede o legatario, vivente il fratello o la sorella, ovvero

quando, premorto il fratello, sia stato istituito erede o le

gatario soltanto alcuno dei suoi discendenti, non si potrà ammettere rappresentazione del nipote istituito. Nel primo

caso, perchè nella corrispondente ipotesi di successione le

gittima la rappresentazione (vivente il fratello) non sarebbe

stata possibile ; nel secondo, perchè essa sarebbe stata pos

sibile, ma con effetti diversi, vale a dire estesi a tutta la

stirpe. Ma il caso sottoposto al giudizio della Corte rientra

indubbiamente tra quelli, nei quali l'istituzione testamen

taria di un nipote dà luogo al diritto di rappresentazione. È infatti pacifico che la nipote Jolanda Paccinelli, istituita

legataria della Maria Lucia Santini e premorta alla testa

trice, era figlia unica di un fratello della testatrice mede

sima, premorto ad essa. È chiaro pertanto che, anche nel

l'ipotesi di vocazione legittima del fratello premorto, si

sarebbe avuto diritto di rappresentazione a favore degli stessi soggetti e con effetti identici a quelli che si hanno, ammettendola nella concreta ipotesi di successione testa

mentaria. Il criterio obiettivo che sta alla base del convin

cimento della Corte dispensa da ogni indagine sulla volontà

della testatrice.

Per questi motivi, ecc.

CORTE D'APPELLO DI TORINO,

Sentenza 26 giugno 1959 ; Pres. ed est. Caprioglio P. ; Levis (Avv. Boggio) c. Fallimento Cassili (Avv. Pia

cenza).

Titoli di credito — Titoli nominativi — Azioni —

Trasferimento — Formalità necessarie (Cod. civ., art. 2022, 2023).

Il trasferimento della proprietà dei titoli nominativi, in rela

zione ad un contratto di riporto, può avvenire esclusiva

mente con l'osservanza delle formalità stabilite dagli art.

2022 e 2023 cod. civ. ; pertanto non è sufficiente, per tale

trasferimento, la consegna dei titoli girati in bianco al

riportatore. (1)

(1) Nella motivazione della sent. 6 giugno 1957, n. 2084 della Cassazione (Foro it., 1957, I, 1969, con nota di richiami) si legge : « Si sottopone così a questa Corte suprema la questione sull'esi

genza della forma solenne per il valido trasferimento di azioni

nominative, nei rapporti tra le parti. Al riguardo, la giurispru denza costante di questa Corte (sent. n. 82 del 22 gennaio 1949, Foro it., Rep. 1949, voce Società, nn. 209-211, e n. 750 del 31 marzo dello stesso anno, ibid., voce Titoli di credito, n. 8) è nel senso che ai titoli nominativi, compresi quelli azionari, è applicabile la

regola generale, secondo la quale l'alienazione dei beni mobili si perfeziona per effetto di semplice consenso ; tuttavia anche nei

rapporti tra le parti senza la doppia annotazione o la girata (art. 2022 e 2023 cod. civ.) la compravendita dei titoli stessi rimane un contratto puramente obbligatorio. Secondo una cor rente dottrinale, invece, le operazioni successive al negozio di trasmissione non hanno carattere costitutivo del diritto di pro prietà sul titolo e pertanto il nudo consenso è sufficiente al tras ferimento della proprietà. Nella fattispecie, però, non è rilevante la soluzione del quesito sull'efficacia reale o semplicemente obbli

gatoria della vendita di titoli non seguita dalla doppia annota zione o dalla girata, non essendo contestato che il trasferimento della proprietà dei titoli venduti fosse regolarmente intervenuto ».

Nella motivazione della senttenza 24 novembre 1956, n. 2084 della Cassazione (id., 1957, I, 1970, con nota di richiami) si legge :

« L'art. 1350 cod. civ. non comprende fra gli atti, per i

quali la forma scritta è richiesta ad substantiam, il trasferimento delle azioni o delle quote sociali : queste costituiscono beni mobili

(art. 812, comma 3°, cod. civ.), eia loro proprietà passa all'acqui

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305 GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE 306

La Corte, ecc. — (Omissis). Accertato che i titoli di cui

trattasi vennero consegnati dal Cassin al Levis con semplice

girata in bianco, vanno prese in esame, nei punti sostan

ziali, le censure mosse all'impugnata sentenza per avere

aderito alla tesi sostenuta dal Fallimento sulla questione fondamentale di questa causa ; se cioè un contratto di

riporto di titoli nominativi (azioni di società commerciale)

girati in bianco dal riportato abbia avuto l'effetto reale,

proprio di detto contratto, di trasferire i titoli in pro

prietà al riportatore. I primi Giudici, come si è detto, lianno risolto la

questione in senso negativo e, in base a considerazioni che

trovano consenziente questa Corte, sono giunti alla con

clusione della inidoneità della girata in bianco a trasfe

rire detti titoli.

Ha ritenuto il Tribunale :

a) che ai fini del trasferimento in discussione neces

sita con la materiale consegna dei titoli nominativi (com

presi quelli azionari di società) il cosiddetto « transfert »

(annotazione del nome dell'acquirente sul titolo e nel

registro dell'emittente), una regolare girata autenticata

da un notaio o da un agente di cambio (art. 2022, 2023

cod. civ.), oppure la girata espressamente prevista e con

sentita dall'art. 15 r. decreto n. 239 del 1942, con deposito

presso la stanza di compensazione ;

b) che l'essere il riporto un contratto reale, che si

perfeziona con la consegna dei titoli da parte del ripor tato al riportatore (art. 1549 cod. civ.), non consente affatto

di ritenere, come sostenuto dalla difesa del Levis, che

essa riassuma in sè ogni altro elemento essenziale e sia

di per sè sola sufficiente ad operare quel trasferimento

di proprietà che per i titoli nominativi è regolato dalle

suindicate norme : chè altrimenti, a parte ogni altra con

siderazione, nell'ambito del* riporto, una volta esclusa

l'osservanza delle ricordate formalità, verrebbe annullata

la distinzione fra titoli al portatore e titoli nominativi, con profondo sovvertimento di tutto il sistema che regola la materia e con patente violazione delle norme, che

hanno imposto la nominatività obbligatoria delle azioni di

società commerciali, appunto per seguire, ai fini fiscali, le

vicende del titolo e individuare in ogni momento con

assoluta certezza il titolare. Per cui appariva ben ragio nevole l'osservazione fatta dalla difesa del Fallimento, che

rente per effetto del semplice consenso. Nessuna rilevanza ha il fatto che la società possa possedere beni immobili ; le società

per azioni e quelle a responsabilità limitata costituiscono per sone giuridiche (art. 2331, e 2475), il cui patrimonio è distinto da

quello dei soci, ed il trasferimento delle azioni non importa quello dei singoli beni appartenenti alla società.

« Uè la necessità dell'atto scritto può trovare fondamento nella disposizione dell'art. 2479. Questo richiede l'esibizione del titolo o la sottoscrizione dell'alienante e dell'acquirente nel libro dei soci solo per l'iscrizione del trasferimento nei libri sociali, ma il 2° comma dell'articolo chiarisce espressamente che detta iscrizione è necessaria solo perchè il trasferimento abbia effetto

di fronte alla società : nei rapporti interni fra i soci valgono invece le comuni regole sulla conclusione e la prova dei contratti.

« Nè infine può invocarsi a favore della tesi del ricorrente l'art. 1351. La vendita delle azioni o quote sociali costituisce fra le

parti un contratto perfetto, con efficacia reale od obbligatoria a seconda dei casi, e non un contratto preliminare che obblighi le parti alla conclusione di un futuro negozio : l'annotazione del trasferimento nel libro dei soci e l'adempimento delle formalità relative costituiscono atti di esecuzione degli obblighi assunti con il contratto, e non la stipulazione di un nuovo e distinto negozio ».

Per la giurisprudenza di merito vedi, in senso conforme alla

massima, App. Milano 10 maggio 1955, id., Rep. 1955, voce

Borsa, n. 11, richiamata nella motivazione delle presente ; App. Milano 26 giugno 1953, id., 1054, 1, 81.

In dottrina, aderiscono alla tesi affermata nella sentenza

riportata Abquini, Lezioni di diritto comm. - Titoli di credito, Padova, 1950, pag. 60 segg. ; Branca, Sul trasferimento della pro prietà dei titoli di credito, in Banca, borsa, ecc., 1951, I, 228 segg.

Seguono l'indirizzo opposto : Gualtieri, I titoli di credito, To

rino, 1953, pag. 128 segg. ; Bigiavi, Il trasferimento dei titoli di credito, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1950, I, pag. 42, segg. ;

Stolfi, Sul conflitto fra due acquirenti di azioni nominative, in Banca, borsa, ecc., 1951, II, pag. 23.

l'ammettere che le stesse leggi, le quali disposero la nomi

natività, consentissero o non vietassero che potesse av venire un trasferimento di titoli azionari mediante girata in bianco, è, prima che calpestare la legge, ritenere che la

legge stessa abbia consentito di frustrare il raggiungimento di quegli scopi all'atto stesso in cui li voleva perseguire, e che avevano dato origine e causa alla legge stessa ;

c) che al lume di tali principi non poteva ricono scersi giuridico fondamento alla tesi del convenuto, il

quale, richiamandosi a parte della dottrina, posta la distinzione fra titolarità e legittimazione nei titoli di

credito, intesa la prima come proprietà del titolo e la seconda come diritto ad ottenere la prestazione che nel titolo è incorporata, sostiene l'efficacia reale del con senso nei trasferimenti dei titoli per atto separato e con sidera la girata come elemento essenziale per la legitti mazione autonoma di fronte al debitore, ma non anche

per l'acquisto della proprietà del titolo di credito. Tesi

inaccettabile, perchè, se può valere per i titoli al porta tore in cui la incorporazione del credito nel documento è perfetta, per cui la contrapposizione fra titolarità e legit timazione corrisponde a quella fra proprietà e possesso, non può sicuramente valere per i titoli nominativi in cui la contrapposizione non è più così netta ; donde l'arbi trarietà della conclusione, cui addiviene la difesa del Levis, che le formalità stabilite dai citati art. 2022 e 2023 si limi terebbero a qualificare la legittimazione, ma non influi rebbero sulla titolarità.

L'appellante ripropone in questa sede la tesi e le argo mentazioni svolte in primo grado e critica sostanzial mente la sentenza impugnata, per avere, seguendo la

impostazione delle difese avversarie, erroneamente con

centrato l'indagine sul problema generale della necessità della girata piena nel trasferimento di titoli nominativi con esclusivo riguardo al trasferimento cartolare, trascu rando la possibilità, ammessa dalla legge, di un trasferi

mento per atto separato, come appunto era avvenuto nella

specie, in cui il riporto dei titoli si era attuato con la. sti

pulazione di un contratto documentato nei fissati bollati

in atti, portanti la firma dell'agente di cambio Cassili, e

mediante la consegna dei titoli stessi al Levis.

E insiste l'appellante nel sostenere che in questa situa

zione si era certamente verificato il trasferimento di pro

prietà dei titoli, essendo il riporto un negozio per la cui

perfezione la legge (art. 1549 cod. civ.) richiede soltanto

la consegna dei titoli e nessun'altra formalità : per cui, nel silenzio della legge, ed anzi in contrasto con quanto

disposto dagli art. 1376 e 1325, non poteva ammettersi

che l'effetto traslativo del riporto dovesse essere subordinato

alla particolare norma di consegna documentata di cui agli art. 2022 e 2023.

Ritiene però la Corte, come già si è accennato, che

anche su questa fondamentale questione la decisione im

pugnata sia giuridicamente esatta, e conforme alla preva lente dottrina e all'unanime giurisprudenza.

Anche recentemente la Corte di Milano 10 maggio 1955

(Foro it., Rep. 1955, voce Borsa, li. 11) applicando i prin

cipi fissati dal Supremo collegio ha riconosciuto che il

trasferimento della proprietà dei titoli nominativi, in rela

zione ad un contratto di riporto, può avvenire esclusiva

mente con la osservanza delle formalità stabilite dalle

citate disposizioni. Dire, con riferimento all'art. 1594, che il riporto si perfeziona con la consegna dei titoli, non

è risolvere la questione, perchè, come esattamente osser

vato dalla difesa dell'appellato, se la consegna è indispen sabile, non lo è meno il trasferimento in proprietà dei

titoli e questo trasferimento del titolo di credito, come tale, non può avvenire indipendentemente dalle leggi che re

golano la sua circolazione, in un contratto di riporto che

presuppone nel riportatore la disponibilità e quindi la

circolabilità dei titoli ottenuti in riporto. Osserva l'appellante che se si dovesse riconoscere esatta

su questo punto la decisione impugnata, non potrebbe

comunque il curatore del Fallimento approfittare della

inadempienza del fallito per la mancata osservanza delle

richieste formalità nel trasferimento dei titoli, per chie

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307 PARTE PRIMA 308

dere, egli, la risoluzione contro la parte adempiente, e

che in ogni caso, non si potrebbe ignorare la particolare natura del contratto di riporto e gli effetti del suo ina

dempimento, previsti dall'art. 1551, 2° comma, in base

al quale, se entrambe le parti non adempiono la propria

obbligazione nel termine stabilito, il riporto cessa di avere

effetto e ciascuna parte ritiene ciò che ha ricevuto al tempo della stipulazione del contratto.

A parte che inesattamente si parla di inadempienza del riportato in relazione ad un rapporto contrattuale

che entrambe le parti hanno concordemente voluto attuare

nei suindicati termini, osserva la Corte che del tutto fuori

luogo è il richiamo al 2° comma dell'art. 1551, il quale, ovviamente, prende in considerazione l'inadempienza delle

parti soltanto per quanto riguarda la seconda parte del

contratto di riporto, la quale stabilisce l'obbligo per il

riportatore di trasferire al riportato, alla scadenza del

termine stabilito, la proprietà di altrettanti titoli della

stessa specie verso rimborso di prezzo, che può essere

aumentato o diminuito nella misura convenuta (art. 1548). Il che presuppone dunque l'esistenza di un contratto di

riporto completo nei suoi elementi costitutivi con regolare brasferimento dei titoli in proprietà del riportatore in base

alla prima compravendita : mentre nel caso in esame, come si è dimostrato, non essendosi effettuato il trasferi

mento dei titoli in proprietà del Levis nella prima opera zione, per inosservanza delle prescritte formalità, è chiaro

che non potrebbe trovare applicazione il citato comma

dell'art. 1551. (Omissis). Per questi motivi, ecc.

CORTE D'APPELLO DI BRESCIA.

Sentenza 21 maggio 1959 ; Pres. Cornelio P., Est. Ondei ; Cassa di risparmio V. E. per le proyincie siciliane c. Fall. soc. di fatto Angelo e Cattaneo.

Fallimento — Atti pregiudizievoli ai creditori — Pre cedente concordato preventivo — Revocatorie —

Decorrenza dei termini (R. d. 16 marzo 1942 n. 267,

disciplina del fallimento, art. 67, 186).

Nell'ipotesi di fallimento dichiarato nel corso della pro cedura di concordato preventivo, i termini per la propo sizione delle azioni revocatorie fallimentari decorrono dalla data della sentenza dichiarativa del fallimento. (1)

La Corte, ecc. — La Corte, pur dando il dovuto rilievo

agli argomenti contrari e al fatto che la questione è vi vamente controversa, si è convinta della impossibilità giuridica, stando nell'ambito della rigorosa interpretazione, di accogliere la tesi, secondo cui il termine dell'anno (o del biennio) anteriore, entro il quale sono soggetti a revo cazione gli atti pregiudizievoli ai creditori, si debba riferire al giorno della domanda (o del decreto) di ammissione alla

procedura di concordato preventivo, quando il fallimento sia dichiarato nel corso della procedura stessa non andata a buon fine.

Non si dubita che la legge regolatrice del fallimento, in ispecie là dove essa detta le norme per le azioni revoca

torie, sia una legge speciale, che restringe il libero esercizio dei diritti dei singoli creditori (nella specie, di servirsi delle

ipoteche giudiziali per rafforzare e garantire l'efficacia esecutiva delle sentenze o degli altri provvedimenti di

condanna) e forma eccezione alla regola generale del codice.

(1) Vedi in conformità App. Genova 17 aprile 1957, Foro it., Rep. 1957, voce Fallimento, n. 280.

Vedi in senso contrario, e cioè che il termine decorre dalla data del decreto di ammissione alla procedura di concordato, Cass. 27 ottobre 1956, id., 1957, I, 2114, con nota di richiami ; App. Firenze 18 settembre 1957, id., Rep. 1957, voce cit., n. 279 ; Trib. Firenze 15 gennaio 1957, id., Rep. 1958, voce cit., n. 355 ; Trib. Savona 19 luglio 1957, ibid., n. 354.

Da ultimo, v. De Sejio, in Banca, borsa, ecc., 1959, II, 572, in nota alla presente sentenza.

Pertanto l'art. 67 legge fall, non può estendersi fuori

dei casi e dei tempi ivi espressi. Una volta dimostrato che l'estensione dell'art. 67 fuori

del tempo della dichiarazione di fallimento, ossia prendendo come termine un diverso fatto giuridico, quale la domanda

(o il decreto) di ammissione alla procedura del concordato

preventivo, costituisce non una semplice interpretazione estensiva, ma un vero e proprio caso di interpretazione

analogica, cessa ogni possibilità di disputa e gli argomenti di convenienza o anche di inconferenza diventano argo menti di politica legislativa, e non di esegesi e di applica zione giuridica.

Orbene, l'argomento fondamentale su cui poggia l'opi nione circa la decorrenza del termine (a ritroso) dalla data del decreto di ammissione alla procedura del concordato

preventivo in caso di fallimento successivo, consiste nel

l'osservanza che anche tale provvedimento forma un mezzo

per accertare lo stato di insolvenza, e che, al pari del falli

mento, esso pure presuppone tale stato : un mezzo eccezio

nale e anormale rispetto a quello (normale) a cui si rife

risce l'art. 67., ossia alla dichiarazione di fallimento.

Orbene, basta enunciare questa proposizione per doverne dedurre che non di interpretazione o applicazione estensiva

trattasi, ma di vera e propria interpretazione ed applica zione analogica, con la conseguenza del divieto della stessa a norma dell'art. 14 disp. prel. al codice civile.

Ed infatti, la differenza tra i due mezzi interpretativi (clie è pur sempre difficile) consiste nel fatto che con

l'interpretazione estensiva non si esce dal caso e dalla norma che regola un dato istituto e risolve una determinata

controversia, ma soltanto, in presenza di parole e di espres sione della legge, che, a norma del linguaggio comune,

possono avere due o più significati, si sceglie quel signifi cato che si reputa più conveniente alla materia regolata e alla cosidetta « intenzione del legislatore ». Analogamente a quanto avviene nell'interpretazione dei contratti (art. 1369 cod. civ.).

Il caso della interpretazione estensiva si ha pure quando una norma non si riferisce ad una ipotesi precisa e netta mente distinta da un'altra, ma può riferirsi in modo equi voco ad ipotesi diverse.

Per fare qualche succinto esempio (al fine di non esorbi tare in trattazioni dottrinali non consentite nelle sentenze) di interpretazione restrittiva o estensiva si poteva far discorso quando si trattava di discutere, in passato, se la

presunzione di frode si applicasse o meno alle ipoteche consensuali, o alle ipoteche giudiziali, come pure di inter

pretazione estensiva o restrittiva si trattava quando, nel concetto della «cessazione dei pagamenti», preso per base di riferimento per stabilire il tempo non prima del quale potevano essere impugnati, per presunzione di frode, atti

pregiudizievoli ai creditori, si disputava se rientrasse la cessazione dei pagamenti dichiarata e stabilita nella sen tenza dichiarativa di fallimento, oppure potesse farsi rientrare anche la cessazione dei pagamenti implicita nella domanda e nell'ammissione al concordato preventivo, oppure se nel concetto di « sentenza » potesse farsi rien trare qualsiasi provvedimento di condanna (il decreto di

ingiunzione) o in quella di « giudizio » il più vasto concetto di « procedimento », se la impossibilità di un fatto dell'uomo deve intendersi in senso materiale o anche in senso morale, se il concetto di « buon costume » debba riferirsi solamente ad un noto e determinato aspetto della vita morale oppure a qualsiasi aspetto della vita sociale, professionale, ed altri infiniti esempi.

Ma quando si tratta di decidere se una ipotesi esplicita e non equivoca, contemplata dalla legge e considerata come il caso normale dell'accertamento dell'insolvenza (ossia la dichiarazione di fallimento come termine finale della impu gnativa degli atti risalenti ad un anno o ad un biennio

anteriore), possa essere estesa ad una ipotesi diversa, riguar dante cioè il caso speciale ed eccezionale dell'accerta mento della insolvenza, che avviene in una diversa proce dura, con effetti del tutto diversi, allora è impossibile configurare una interpretazione semplicemente estensiva e si sfocia apertamente nell'analogia, la quale non consiste

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