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sentenza 26 giugno 1997, n. 203 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 2 luglio 1997, n. 27);Pres. Granata, Est. Onida; Vladimorova c. Min. interni; interv. Pres. cons. ministri. Ord. TarFriuli-Venezia Giulia 21 settembre 1995 (G.U., 1 a s.s., n. 9 del 1996)Source: Il Foro Italiano, Vol. 120, No. 9 (SETTEMBRE 1997), pp. 2369/2370-2373/2374Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23191655 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
fronti del Tribunale di Foggia in relazione alla sentenza della
II sezione civile, n. 749 del 26 aprile - 1° giugno 1996, con
la quale l'ex deputato Francesco Cafarelli veniva condannato
al risarcimento del danno non patrimoniale, nella misura di lire
dieci milioni, a favore del magistrato dott. Luigi Picardi, per le dichiarazioni, ritenute diffamatorie, contenute in un esposto inviato dal convenuto — all'epoca membro della stessa camera
e componente della commissione antimafia — al consiglio supe riore della magistratura, e poi confermate davanti all'ispettore ministeriale inviato a Foggia a seguito dell'apertura dell'inchie
sta sollecitata dal consiglio; che la ricorrente lamenta la lesione della sfera di attribuzioni
costituzionali della stessa camera, risultante dagli art. 68 e 64
Cost., alla stregua dei quali spetterebbe in esclusiva alla camera
di appartenenza del parlamentare il potere di valutare la perse
guibilità, anche in sede civile, di fatti commessi da un proprio
membro, definendo sia la natura del comportamento — espres sione di opinioni e voti — sia la sussistenza o meno della con
nessione tra il comportamento, divenuto oggetto del giudizio
civile, e l'esercizio della funzione parlamentare; che la camera deduce che, nella fattispecie, il Tribunale di
Foggia ha disatteso la valutazione di insindacabilità degli atti
del parlamentare compiuta dalla stessa camera dei deputati in
sede di pronuncia sulla richiesta di autorizzazione a procedere a carico dell'onorevole Cafarelli per il reato di diffamazione
ai danni di altro magistrato; che comunque, ad avviso della ricorrente, l'esposto inviato
al consiglio superiore della magistratura non potrebbe essere fonte
di responsabilità, trattandosi di atto doveroso, con il quale il
parlamentare, nella qualità di segretario della commissione par lamentare antimafia, ha informato detto consiglio dei risultati
dell'attività della commissione circa il comportamento del ma
gistrato; che si chiede pertanto a questa corte di dichiarare che spetta
esclusivamente ad essa camera, ai sensi degli art. 64, 68, 72
e 82 Cost., valutare il comportamento dei parlamentari per le
opinioni ed i voti espressi nell'esplicazione del mandato, anche
nei confronti del giudice civile; di dichiarare che l'autorità giu diziaria «è carente di giurisdizione in ordine alla proponibilità dell'azione civile per il risarcimento dei danni senza la previa
deliberazione della camera di appartenenza del parlamentare in
ordine alla valutazione se la fattispecie concreta rientri o meno
nell'ipotesi di cui all'art. 68» Cost.; e, in conseguenza, di an
nullare la sentenza del Tribunale di Foggia perché viziata da
difetto assoluto di potere, rientrando il fatto nella detta previ
sione costituzionale.
Considerato che in questa fase del giudizio, a norma dell'art.
37, 3° e 4° comma, 1. 11 marzo 1953 n. 87 la corte è chiamata
a deliberare senza contraddittorio se il ricorso sia ammissibile,
in quanto esista la materia di un conflitto la cui risoluzione
spetti alla sua competenza; che la camera dei deputati è legittimata a sollevare il presente
conflitto, in quanto organo competente a dichiarare definitiva
mente la propria volontà in ordine all'applicabilità dell'art. 68,
1° comma, Cost.; che al Tribunale di Foggia va riconosciuta la legittimazione
passiva, in quanto organo competente a dichiarare definitiva
mente la volontà del potere cui appartiene, nell'ambito delle
funzioni giurisdizionali ad esso attribuite per la decisione sulla
domanda di risarcimento del danno avanzata in sede civile;
che, per quanto attiene al profilo oggettivo del conflitto, la
ricorrente lamenta la lesione di attribuzioni ad essa spettanti in base alla Costituzione.
Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara ammissibi
le il conflitto di attribuzione proposto dalla camera dei deputati
nei confronti del Tribunale di Foggia con il ricorso indicato
in epigrafe;
dispone: a) che la cencelleria della corte dia immediata comu
nicazione alla camera dei deputati, ricorrente, della presente or
dinanza; b) che, a cura della ricorrente, il ricorso e la presente
ordinanza siano notificati al Tribunale di Foggia entro il termi
ne di dieci giorni dalla comunicazione.
Il Foro Italiano — 1997.
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 26 giugno 1997, n. 203
(Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 2 luglio 1997, n. 27); Pres. Granata, Est. Onida; Vladimorova c. Min. interni; interv. Pres. cons, ministri. Ord. Tar Friuli-Venezia Giulia
21 settembre 1995 (G.U., la s.s., n. 9 del 1996).
Straniero — Extracomunitario — Ricongiungimento con il fi
glio naturale minorenne residente in Italia — Disparità di trat
tamento rispetto al genitore coniugato — Incostituzionalità
(Cost., art. 10, 30, 31; 1. 30 dicembre 1986 n. 943, norme
in materia di collocamento e di trattamento dei lavoratori ex
tracomunitari immigrati e contro le immigrazioni clandestine, art. 4).
È incostituzionale l'art. 4, 1° comma, l. 30 dicembre 1986 n.
943, nella parte in cui non consente, a favore del genitore straniero extracomunitario, il diritto al soggiorno in Italia,
sempreché possa godere di normali condizioni di vita, al fine di ricongiungersi al figlio, considerato minore secondo la le
gislazione italiana, legalmente residente e convivente in Italia
con l'altro genitore, ancorché non unito al primo in ma
trimonio. (1)
(1) Con la presente sentenza la Corte costituzionale interviene in
tema di ingresso dei cittadini extracomunitari nel territorio italiano, con
riferimento al diritto loro riconosciuto dall'art. 4, 1° comma, 1. 30 di cembre 1986 n. 943, che consente al lavoratore residente ed occupato in Italia di ricongiungersi al coniuge ed ai figli minori a carico, per i quali è ammesso l'ingresso ed il soggiorno nel territorio nazionale,
purché sia loro garantita una condizione di vita normale. La corte ha
dichiarato l'incostituzionalità della norma, nella parte in cui non accor
da il medesimo diritto al ricongiungimento familiare con il proprio fi
glio, minore secondo la legge italiana, ed in Italia residente, anche al
cittadino extracomunitario, non legato all'altro genitore da legittimo vincolo matrimoniale. L'art. 4 1. 943/86 assume, infatti, secondo le
argomentazioni della corte, una ben più ampia portata, nella misura
in cui fa riferimento all'istituto del ricongiungimento familiare, con ciò
consacrando un vero e proprio diritto all'unità del nucleo familiare, a garanzia del rispetto e della tutela della persona, ed in particolare dei minori, tutela di fatto svilita, con ciò discriminando i figli naturali, in violazione degli art. 30 e 31 Cost., e più in generale non garantendo allo straniero quella protezione accordata all'art. 10 Cost. Il ricongiun
gimento, infatti, prima ancora d'essere preordinato ad assicurare la con
vivenza tra i genitori-coniugi, inerisce al rapporto tra il genitore ed il
figlio minore ed è alla luce della sua intrinseca inespropriabilità che
la corte legge la norma in questione in chiave doppiamente estensiva.
L'ingresso nel territorio italiano spetta infatti non solo al minore, al
fine di raggiungere il genitore lavoratore, ma anche, specularmente, al
genitore il cui figlio minore risiede legalmente in Italia; in seconda bat
tuta, di codesto diritto risulta ugualmente titolare anche il genitore na
turale, in virtù quindi del riconoscimento e della tutela della famiglia di fatto, o, comunque, in ossequio alla protezione dell'infanzia che la
Costituzione in assoluto sancisce. Sul punto non si ravvisano specifici precedenti giurisprudenziali, es
sendosi piuttosto pronunciata la Corte costituzionale, con sentenza 19
gennaio 1995, n. 28, Foro it., 1995, I, 2068, sulla infondatezza della
questione di legittimità costituzionale, sempre con riferimento all'art.
4 1. 943/86, nella parte in cui, secondo l'interpretazione datane dal giu dice rimettente, non consentirebbe il ricongiungimento del figlio extra
comunitario con la madre svolgente in Italia un'attività casalinga, e,
quindi, riconoscendo implicitamente la corte che anche il lavoro dome
stico presenta quell'idoneità a garantire le normali condizioni di vita
che la legge richiede. In tema di disciplina dell'immigrazione ed espulsione dello straniero
extracomunitario, oltre che Corte cost. 19 gennaio 1995, n. 28, cit., vedasi Corte giust. 30 novembre 1995, causa C-175/94, Foro it., 1996,
IV, 453, con nota di R. Ferrazzi, ove si riportano l'art. 1 del disegno di legge (atto senato 1640) presentato 1*8 novembre dal ministro dell'in
terno e dal ministro di grazia e giustizia (sanatoria degli effetti prodotti dai decreti legge adottati in materia di politica dell'immigrazione per la regolamentazione dell'ingresso e soggiorno nel territorio nazionale
dei cittadini dei paesi non appartenenti all'Unione europea), nonché
la raccomandazione del consiglio del 27 settembre 1996, relativa alla
lotta contro il lavoro illegale dei cittadini di Stati terzi (in G.U.C.E.
14 ottobre 1996, C 304, 1). In dottrina, da ultimo, G. Scianoalepore, Il diritto al ricongiungi
mento familiare tra normativa speciale e disciplina costituzionale, in
Dir. famiglia, 1996, 1279, e, più in generale, G. D'Orazio, Straniero
(condizione giuridica dello) - Diritto costituzionale, voce deli'Enciclope dia giuridica Treccani, Roma, 1993, XXX. Sulla tematica dell'ugua
glianza tra filiazione legittima e naturale, P. Perlingeri, Il diritto civile
nella legalità costituzionale, Napoli, 1991, 491 e 492; più in generale,
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2371 PARTE PRIMA 2372
Diritto. — 1. - La questione sollevata investe l'art. 4, 1° com
ma, 1. 30 dicembre 1986 n. 943 (norme in materia di colloca mento e di trattamento dei lavoratori extracomunitari immigra ti e contro le immigrazioni clandestine), che regola il «diritto
al ricongiungimento» con il coniuge e con i figli minori non coniugati, spettante ai lavoratori extracomunitari legalmente re
sidenti in Italia ed occupati, alla sola condizione che questi sia
no in grado di assicurare ai congiunti normali condizioni di vi
ta; ma in realtà evoca una situazione che va al di là di quella
contemplata da detta disposizione, e che riguarda il diritto —
il cui mancato riconoscimento fonda la censura di incostituzio
nalità — del cittadino extracomunitario, privo di altro titolo
di legale soggiorno in Italia, a rimanere nel territorio nazionale
per vivere con un figlio minore nell'ambito della «famiglia di
fatto» costituita con l'altro genitore — a sua volta legalmente residente in Italia — con il quale non sia unito in matrimonio.
Tale assenza di riconoscimento del diritto alla permanenza nel
territorio nazionale appare al giudice rimettente in contrasto con
le norme degli art. 30 e 31 Cost., che sanciscono l'eguale tutela
dei figli nati fuori dal matrimonio e la speciale protezione del
l'infanzia, nonché con l'art. 19, in relazione alle norme conven
zionali internazionali che affermano il diritto alla protezione della vita familiare e delle relazioni affettive del minore.
2. - Non vi è motivo per restituire gli atti al giudice a quo
per una nuova valutazione della rilevanza, in relazione alla so
pravvenuta emanazione del d.l. n. 22 del 1996, e dei successivi
decreti legge che ne hanno reiterato la disciplina. Da un lato,
infatti, detti decreti sono tutti decaduti per mancata conversio
ne in legge; dall'altro lato, la clausola di sanatoria degli effetti
e dei rapporti giuridici sorti sulla loro base, contenuta nell'art.
1, 1° comma, della successiva 1. 9 dicembre 1996 n. 617, non
è in grado di incidere in alcun modo sulla rilevanza della que stione nel giudizio a quo, posto che le modifiche apportate da
detti decreti alla disciplina dei ricongiungimenti familiari non riguardavano in alcun modo la situazione dedotta in tale giudi zio. Infatti, essi sostanzialmente riprendevano, quanto al conte
nuto essenziale, il disposto dell'impugnato art. 4 1. 30 dicembre
1986 n. 943, pur estendendo il diritto al ricongiungimento ai
«cittadini», anziché ai soli «lavoratori», extracomunitari legal mente residenti in Italia, e dettando una disciplina parzialmente diversa delle condizioni per il ricongiungimento con il coniuge e con i figli minori.
3. - L'eccezione di irrilevanza della questione, sollevata dalla
difesa del presidente del consiglio, non merita accoglimento. È ben vero, infatti, che — come si è accennato — la situazio
ne della ricorrente nel giudizio a quo è diversa da quella presa in considerazione dalla norma denunciata, e che lo stesso impu
gnato provvedimento di revoca del permesso di soggiorno non
si identifica con un provvedimento di diniego del ricongiungi
mento, e non si fonda direttamente sull'art. 4, 1° comma, 1.
n. 943 del 1986, ma piuttosto sull'asserita erroneità, nella spe cie, di un permesso di soggiorno per motivi familiari rilasciato
alla cittadina extracomunitaria non coniugata. Ma è altrettanto vero che la situazione giuridica fatta valere
dalla ricorrente nel giudizio dinanzi al Tar altro non è che quel «diritto al ricongiungimento» — visto ex parte dello straniero che intenda raggiungere nel territorio italiano il familiare ivi
G. Ferrando, Filiazione legittima e naturale, voce del Digesto civ., Torino, 1992, Vili, 299.
Sulla famiglia di fatto, recentemente, Corte cost. 18 gennaio 1996, n. 8, in questo fascicolo, I, 2716, e Famiglia e dir., 1996, 107, con nota di G. Ferrando, relativamente alla punibilità del convivente che abbia tenuto una condotta di favoreggiamento personale nei confronti dell'altro (art. 378 c.p.); 7 aprile 1988, n. 404, Foro it., 1988, I, 2515, con riferimento alla successione del convivente nel contratto di locazio
ne, alla morte del conduttore; più in generale, Cass. 30 ottobre 1996, n. 9505, id., Rep. 1996, voce Matrimonio, n. 183; 28 marzo 1994, n.
2988, id., Rep. 1994, voce Danni civili, nn. 149, 150; 22 aprile 1993, n. 4761, ibid., voce Separazione di coniugi, n. 77.
In dottrina, M. Bessone, M. Dogliotti, G. Ferrando, Giurispru denza del diritto di famiglia. II. Rapporti personali e patrimoniali. La
famiglia di fatto, 4a ed., Milano, 1994, 467 ss.; M. Dogliotti, Fami
glia di fatto, voce del Digesto civ., Torino, 1992, VIII, 188; E. Roppo, Famiglia. III. Famiglia di fatto, voce dell' Enciclopedia giuridica Trec
cani, Roma, 1989, XIV; F. Gazzoni, Dal concubinato alla famiglia di fatto, Milano, 1983.
Il Foro Italiano — 1997.
legalmente residente — che proprio e solo la norma impugnata
contempla, ma appunto esclusivamente in capo al coniuge e ai
figli minori dello straniero legalmente residente, non preveden dolo invece in capo al genitore di figlio minore a sua volta le
galmente redidente in Italia con l'altro genitore, al primo non
coniugato ma con lui convivente more uxorio, nell'ambito dun
que di una «famiglia di fatto». In effetti, il provvedimento di revoca del permesso di sog
giorno, e dunque il diniego del titolo a permanere nel territorio
nazionale, adottato a carico della ricorrente, è motivato dal fat
to che essa «è nubile e non ha qui formato una famiglia, né
ci sono elementi per ritenere che intenda farlo in futuro»; è
cioè motivato proprio in relazione alla differenza che sussiste
tra coniuge e convivente more uxorio, prescindendo del tutto
dalla presenza di figli minori che vivano o per i quali si chiede che possano vivere con entrambi i genitori, nell'ambito della
stessa «famiglia di fatto».
Appare quindi sostanzialmente corretta la motivazione con
cui il giudice a quo ha sostenuto al rilevanza della questione, con la quale si denuncia l'esistenza di una lacuna nella norma
vigente sul diritto al ricongiungimento, e dunque al soggiorno nel territorio nazionale, dei congiunti dello straniero legalmente residente in Italia. Essendo il citato art. 4 1. n. 943 del 1986
l'unica norma che disciplina tale diritto al ricongiungimento, è proprio ad esso che va riferita la censura di incompletezza.
Altre sono infatti le finalità e la ratio delle norme che preve dono il rilascio di permessi di soggiorno «per motivi di fami
glia», come l'art. 2 d.l. 30 dicembre 1989 n. 416: il quale —
come la corte ha osservato nella sentenza n. 28 del 1995 (Foro
it., 1995, I, 2068), proprio al fine di respingere un'analoga ec
cezione di irrilevanza della questione allora sollevata — lascia
alla discrezionalità dell'amministrazione l'apprezzamento della
consistenza di tali motivi, e non collega la durata del permesso di soggiorno a quella del legale soggiorno del familiare rispetto a cui il ricongiungimento si opera (e anzi prevede che il permes so possa avere durata inferiore a due anni quando è concesso
«per visite a familiari di primo grado»: art. 2 cit., 4° comma, secondo periodo).
Nella specie, ciò che viene in considerazione non sono, vice
versa, i parametri normativi offerti dall'ordinamento per l'uso
di tale potere discrezionale dell'amministrazione, ma un vero
e proprio diritto fondamentale — in ipotesi illegittimamente di
sconosciuto — del genitore straniero di figlio minore legalmente residente in Italia con l'altro genitore, non legato al primo da
vincolo matrimoniale, ad entrare e rimanere nel territorio na
zionale al fine di poter realizzare e mantenere quella comunità
di vita fra figli e genitori, che è appunto l'oggetto sostanziale
del diritto invocato. Ed è in questa prospettiva che la corte ri
tiene debba essere esaminata la questione sollevata.
4. - Nel merito, la questione è fondata.
Questa corte ha già avuto modo di affermare che la garanzia della «convivenza del nucleo familiare» si radica «nelle norme costituzionali che assicurano protezione alla famiglia e in parti colare, nell'ambito di questa, ai figli minori»; e che «il diritto
e il dovere di mantenere, istruire ed educare i figli, e perciò di tenerli con sé, e il diritto dei genitori e dei figli minori ad una vita comune nel segno dell'unità della famiglia, sono (. . .) diritti fondamentali della persona che perciò spettano in via di
principio anche agli stranieri», cui si riferisce l'art. 4 1. n. 943 del 1986 (sentenza n. 28 del 1995).
Nella specie allora decisa, l'affermazione di questi principi (unitamente al richiamo al carattere generale del principio costi
tuzionale di tutela del lavoro «in tutte le sue forme», di cui
all'art. 35 Cost.) condusse la corte ad interpretare l'art. 4 citato
nel senso che il diritto al ricongiungimento con il figlio minore
residente all'estero riguarda anche gli stranieri legalmente resi denti che in Italia svolgano attività lavorativa nell'ambito della
propria famiglia. La presente questione riguarda un profilo in un certo senso
simmetrico: è il genitore straniero di un figlio minore legalmen te residente in Italia con l'altro genitore che invoca il diritto a ricongiungersi con il figlio.
In entrambi i casi, tuttavia, vengono in considerazione tanto il diritto fondamentale del minore a poter vivere, ove possibile, con entrambi i genitori, titolari del diritto-dovere di mantener
lo, istruirlo ed educarlo; quanto il conseguente diritto dei geni tori a realizzare il ricongiungimento con il figlio.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Tali diritti sono violati da una disciplina normativa che*, ai
fini del ricongiungimento, ignora la situazione di coloro che,
pur non essendo coniugati, siano titolari dei diritti-doveri deri
vanti dalla loro condizione di genitori. La situazione, dunque, alla quale si collega il diritto al ricongiungimento familiare qui affermato non concerne il rapporto dei genitori fra di loro, bensì
il rapporto tra i genitori e il figlio minore, in funzione della
tutela costituzionale di quest'ultimo. 5. - La corte ha già osservato che la legge può legittimamente
sottoporre l'esercizio del diritto al ricongiungimento a condizio
ni volte ad assicurare «un corretto bilanciamento con altri valo
ri dotati di pari tutela costituzionale» (sentenza n. 28 del 1995), e così alla condizione che sussista la possibilità di assicurare
al familiare, con cui si opera il ricongiungimento, condizioni
di vita che consentano un'esistenza libera e dignitosa. In tal
senso, com'è noto, provvede proprio l'art. 4 1. n. 943 del 1986, che subordina il diritto al ricongiungimento alla condizione che
10 straniero residente legalmente in Italia sia in grado di assicu
rare al familiare «normali condizioni di vita». Nel caso in cui
11 ricongiungimento riguardi il genitore straniero di figlio mino
re legalmente residente in Italia, la medesima condizione potrà essere assolta sia attraverso le disponibilità economiche dell'al
tro genitore, sia attraverso le eventuali disponibilità economiche
di cui possa godere il medesimo genitore straniero che chiede
di ricongiungersi al figlio minore.
6. - Restano assorbiti gli altri profili della questione sollevata.
Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara l'illegitti mità costituzionale dell'art. 4, 1° comma, 1. 30 dicembre 1986
n. 943 (norme in materia di collocamento e di trattamento dei
lavoratori extracomunitari immigrati e contro le immigrazioni
clandestine), nella parte in cui non prevede, a favore del genito re straniero extracomunitario, il diritto al soggiorno in Italia,
sempreché possa godere di normali condizioni di vita, per ri
congiungersi al figlio, considerato minore secondo la legislazio ne italiana, legalmente residente e convivente in Italia con l'al
tro genitore, ancorché non unito al primo in matrimonio.
CORTE COSTITUZIONALE; ordinanza 5 giugno 1997, n. 171 (Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 11 giugno 1997, n. 24); Pres. Granata, Est. Mezzanotte; Berardini ed altri c. Com
missione parlamentare di vigilanza dei servizi radiotelevisivi
ed altri. Conflitto di attribuzione.
Corte costituzionale — Conflitto di attribuzione tra poteri dello
Stato — Referendum abrogativo — Tribune referendarie —
Criteri e modalità — Ammissibilità (Cost., art. 75; 1. 11 mar
zo 1953 n. 87, norme sulla costituzione e sul funzionamento
della Corte costituzionale, art. 37; 1. 25 maggio 1970 n. 352, norme sui referendum previsti dalla Costituzione e sulla ini
ziativa legislativa del popolo, art. 52).
È ammissibile il conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato
sollevato dal comitato promotore di referendum abrogativi in tema di ordine dei giornalisti, incarichi extragiudiziari dei
magistrati, carriera dei magistrati, esercizio della caccia, obie
zione di coscienza e golden share, nei confronti della commis
sione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei
servizi radiotelevisivi, per il regolamento da questa adottato
il 20 maggio 1997 con cui sono state fissate le regole cui la
concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo doveva at
tenersi nella predisposizione delle trasmissioni da effettuarsi in occasione della campagna referendaria riguardante i refe rendum indetti per il 15 giugno 1997. (1)
(1) Il comitato promotore lamentava in particolare che l'impugnato regolamento prevedeva un ciclo di quattro dibattiti cui avrebbero potu
II Foro Italiano — 1997.
Ritenuto che Rita Bernardini, Raffella Fiori e Mauro Sabata
no, con ricorso depositato il 24 maggio 1997, nella qualità di
presentatori e promotori dei referendum abrogativi concernenti
la disciplina dell'ordine dei giornalisti, degli incarichi extragiu diziari e della carriera dei magistrati, dell'esercizio della caccia, dell'obiezione di coscienza e della golden share, indetti il 15
giugno 1997 con d.p.r. 15 aprile 1997, sollevano conflitto di
attribuzione nei confronti della commissione parlamentare per
to partecipare i soli gruppi parlamentari, anche se costituiti in un solo ramo del parlamento e non anche i comitati promotori, nonché il ritar do con il quale la commissione parlamentare aveva approvato la regola mentazione delle tribune referendarie in relazione alla data di inizio del periodo di campagna referendaria.
I referendum in tema di ordine dei giornalisti, incarichi extragiudizia ri dei magistrati, carriera dei magistrati, esercizio della caccia, obiezio ne di coscienza e golden share erano stati dichiarati ammissibili rispetti vamente da Corte cost. 10 febbraio 1997, nn. 38, 41, 33, 32, 31 e 29, Foro it., 1997, I, 651, 648, 656 e 657, con nota di richiami e osservazio ne di Romboli.
La corte, ritenuto che la commissione parlamentare di vigilanza dei servizi radiotelevisivi ed il comitato promotore (v., da ultimo, Corte
cost., ord. 9 maggio 1997, n. 131, ibid., 1673, con nota di richiami) sono soggettivamente legittimati in un conflitto tra poteri, ha rilevato
come, nella specie, fosse presente altresì l'elemento oggettivo, in quan to ogni limitazione della facoltà di partecipare ai dibattiti televisivi sui referendum potrebbe in astratto ledere l'integrità delle attribuzioni dei comitati promotori.
In ordine alla disciplina della propaganda elettorale in occasione di consultazioni referendarie, v. Corte cost. 10 maggio 1995, n. 161, id., 1995,1, 1700, con nota di richiami ed osservazioni di Romboli, la quale ha dichiarato non spettare al governo l'adozione della disposizione di cui all'art. 3, 6° comma, d.l. 20 marzo 1995 n. 83, nella parte in cui
stabiliva, a partire dal trentesimo giorno precedente la data delle elezio
ni, il divieto di ogni forma di pubblicità elettorale anche se relativa a successive consultazioni referendarie. Sullo stesso tema si vedano pu re Tar Lombardia, ord. 7 giugno 1995, n. 1456, ibid., III, 455, con nota di richiami ed osservazioni di Lenoci, che ha ritenuto non sussi stere violazione della parità di trattamento tra i sostenitori delle oppo ste indicazioni di voto in materia referendaria allorquando vengano tra smessi da reti televisive spots antipromozionali che, per la loro colloca zione ed il loro contenuto, siano comunque privi di quella univocità ed idoneità ad influenzare i telespettatori proprie dei messaggi elettora
li, e Trib. Roma, ord. 5 giugno 1995, id., 1996, I, 3549, con nota di
richiami, che ha rigettato l'istanza cautelare volta al riconoscimento di
opportuni spazi di propaganda al comitato che risulti costituito dopo l'inizio della campagna referendaria.
Nel senso che la deliberazione con cui la commissione parlamentare per l'indirizzo e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi approva i criteri
per l'accesso alle tribune elettorali ed il calendario delle medesime in vista di elezioni amministrative è atto di organo centrale nazionale la cui efficacia non è limitata alla circoscrizione del tribunale amministra tivo per la regione interessata alla competizione, ma è estesa a tutto il territorio nazionale, essendo destinata a disciplinare tempi e modalità di acceso alle tribune elettorali con criteri di generalità per tutte le tra
missioni, v. Cons. Stato, sez. VI, 28 novembre 1992, n. 934, id., Rep. 1993, voce Radiotelevisione, n. 76.
I comitati promotori ricorrenti avevano chiesto alla corte, in analogia con quanto stabilito per il conflitto tra enti dalle norme integrative (art. 28), la pronuncia di un provvedimento cautelare di sospensione di alcu ne disposizioni dell'impugnato regolamento.
La richiesta è stata respinta in quanto «non v'è ragione di far luogo alla sollecitata misura extra ordinem nei confronti di un atto che preve de eguale ripartizione del tempo tra le opposte indicazioni di voto, nel contesto di una programmazione che assicura la complessiva presenza dei comitati promotori durante tutto l'arco delle previste trasmissioni». Circa l'istituto della sospensiva nei giudizi tra enti, i tempi rapidi con cui la corte decide sui conflitti hanno fatto si che questo sia decisamen te poco praticato e, di recente, quando la richiesta è stata avanzata, essa è stata ritenuta implicitamente (Corte cost. 13 febbraio 1995, n.
36, id., 1995,1, 746, con nota di richiami) o esplicitamente (Corte cost. 14 aprile 1995, n. 127, id., Rep. 1995, voce Regione, n. 124) assorbita dalla decisione sul merito del conflitto.
II ricorso era stato proposto, oltre che nei confronti della commissio ne parlamentare di vigilanza, anche verso la camera dei deputati, il senato ed il governo. La corte ha ritenuto di non dover chiedere la notifica del ricorso a quest'ultimo «non venendo in considerazione al cuna sua competenza».
Gli stessi comitati promotori avevano proposto conflitto tra poteri in ordine alla fiss&ione della data di svolgimento della consultazione referendaria al 15 giugno u.s., ritenuto inammissibile, in quanto non era astrattamente configurabile un'attribuzione costituzionale dei ricor renti suscettibile di essere violata, da Corte cost., ord. 9 maggio 1997, n. 131, cit., con nota di richiami.
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