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sentenza 26 maggio 1981, n. 75 (Gazzetta ufficiale 3 giugno 1981, n. 151); Pres. Amadei, Rel....

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sentenza 26 maggio 1981, n. 75 (Gazzetta ufficiale 3 giugno 1981, n. 151); Pres. Amadei, Rel. Roehrssen; Turoni. Ord. Corte conti, Sez. III, 7 marzo 1977 (Gazz. uff. 5 giugno 1978, n. 154) Source: Il Foro Italiano, Vol. 104, No. 7/8 (LUGLIO-AGOSTO 1981), pp. 1851/1852-1853/1854 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23172565 . Accessed: 25/06/2014 09:13 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 188.72.126.196 on Wed, 25 Jun 2014 09:13:38 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Page 1: sentenza 26 maggio 1981, n. 75 (Gazzetta ufficiale 3 giugno 1981, n. 151); Pres. Amadei, Rel. Roehrssen; Turoni. Ord. Corte conti, Sez. III, 7 marzo 1977 (Gazz. uff. 5 giugno 1978,

sentenza 26 maggio 1981, n. 75 (Gazzetta ufficiale 3 giugno 1981, n. 151); Pres. Amadei, Rel.Roehrssen; Turoni. Ord. Corte conti, Sez. III, 7 marzo 1977 (Gazz. uff. 5 giugno 1978, n. 154)Source: Il Foro Italiano, Vol. 104, No. 7/8 (LUGLIO-AGOSTO 1981), pp. 1851/1852-1853/1854Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23172565 .

Accessed: 25/06/2014 09:13

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Page 2: sentenza 26 maggio 1981, n. 75 (Gazzetta ufficiale 3 giugno 1981, n. 151); Pres. Amadei, Rel. Roehrssen; Turoni. Ord. Corte conti, Sez. III, 7 marzo 1977 (Gazz. uff. 5 giugno 1978,

1851 PARTE PRIMA 1852

duce alla dichiarazione dello stato di adottabilità e quello di

chiarativo dell'adozione speciale), si deve rilevare — per quan to riguarda la presente controversia — che il primo subproce dimento si svolge con le forme camerali e si conclude con un

decreto motivato del tribunale per i minorenni. Siffatto decreto

ha le caratteristiche proprie dei provvedimenti di giurisdizione volontaria e può formare oggetto di opposizione cioè di un giu dizio contenzioso e di una sentenza suscettibile di passare in

giudicato, affermativa o negativa in ordine allo stato di adot

tabilità.

Inoltre l'art. 314/18 cod. civ. prevede la revoca, nell'interesse

del minore, dello stato di adottabilità pronunziato nelle for

me di cui all'art. 314/7 cod. civ. sempre con la procedura delle

decisioni in camera di consiglio (3° comma); e detta revoca si

contrappone nell'ottica della legge alla revocazione della sen

tenza sullo stato di adottabilità nel giudizio contenzioso di op

posizione (art. 314/19 cod. civile).

Pertanto la legge stessa, prevedendo specificamente la revoca

del decreto, ha inteso richiamarsi al principio della revocabi

lità caratterizzante i provvedimenti emessi in camera di consi

glio ai sensi dell'art. 742 cod. proc. civile.

In particolare, l'art. 314/18 cod. civ. prevede la revoca del

provvedimento in tema di adottabilità nell'interesse del minore

quando lo stato di adottabilità sia stato pronunziato « nella for

ma di cui all'art. 314/7 » (1° comma), ovvero su istanza del

p. m. o dei genitori quando non sia intervenuto l'affidamento

preadottivo (2° comma). Detta norma rappresenta l'applicazio ne del principio generale della revocabilità dei provvedimenti in camera di consiglio e non la riduzione del principio stesso

alle ipotesi tassativamente indicate.

È il caso di rilevare che, nel presupposto dell'accertato stato

di abbandono del minore ed in considerazione del suo premi nente interesse, non sussistono ragioni adeguate per limitare la

revoca alle ipotesi (tra loro contraddittorie) previste nel com

ma primo (pronunzia dello stato di adottabilità del figlio di ge nitori sconosciuti o deceduti) e nel comma secondo (revoca del

lo stato di adottabilità ex officio, su istanza del pubblico mi

nistero, su istanza dei genitori).

Pertanto, secondo una interpretazione della norma suggerita dalla preminente considerazione del minore, si deve ammettere

una revoca del provvedimento camerale in casi caratterizzati

dalla sopravvenienza di nuove situazioni meritevoli di esame che

comportino la necessità di una rivalutazione dell'interesse del

minore e la necessità di una nuova istruttoria circa l'esistenza

e i caratteri delle situazioni sopravvenute (quali, ad esempio, il riconoscimento del genitore naturale; nuovi elementi circa la

configurabilità o meno dello stato di abbandono del minore). Il provvedimento di revoca dello stato di adottabilità, preso

per le suddette ragioni, presenta una chiara funzione strumen

tale ed istruttoria e si colloca all'interno del procedimento già

iniziato, il quale resta pendente.

Conseguentemente, anche nella ipotesi di revoca dello stato

di adottabilità preordinata al perfezionamento della istruzione in vista della emanazione di un nuovo provvedimento sul me

desimo stato, trova applicazione il 3° comma dell'art. 314/4 cod. civ. in forza del quale il compimento dell'ottavo anno da

parte del minore nel corso del procedimento non osta alla di

chiarazione dello stato di adottabilità.

Nella specie, la revoca del provvedimento dichiarativo del

i'adottabilità del minore Dansin Massimiliano da parte del tri

bunale per i minorenni, seguito al sopravvenuto riconoscimento

del padre naturale Santangeli Bernardino, aveva comportato la rimessione del procedimento in istruttoria per rendere possi bile l'audizione del padre naturale ai sensi dell'art. 314/8 cod.

civ. e non aveva chiuso il procedimento con l'effetto particolare che il sopravvenuto compimento dell'ottavo anno da parte del

minore Santangeli Massimiliano non poteva ostare alla succes

siva dichiarazione del suo stato di adottabilità.

Con il secondo motivo (violazione dell'art. 314/11; vizi di

motivazione) si lamenta che la corte d'appello, nel valutare

l'esistenza dello stato di abbandono del minore de quo, abbia

preso in esame esclusivo la situazione precedente il riconosci

mento del minore da parte del padre naturale.

La censura è priva di fondamento. Com'è noto, al fine di ac

certare la situazione di abbandono del minore in presenza di

genitori conosciuti ed esistenti e l'interesse del minore stesso

alla dichiarazione del suo stato di adottabilità ai sensi dell'art.

314/11 cod. civ., il giudice di merito deve vagliare la condotta

passata e presente dei genitori con particolare riguardo alla na

tura, alla causa, alla durata dell'abbandono ed alla serietà dei

propositi eventualmente manifestati dai genitori e deve proce dere a valutare ponderatamente la situazione ambientale nella

quale il minore andrebbe ad inserirsi avendo riguardo a quella nella quale egli già si trovi (Cass. 1978 n. 2217, Foro it., Rep. 1978, voce Adozione, n. 86, ed altre). A tali criteri si è ispirata la sentenza impugnata, fondando il proprio convincimento sopra una motivazione logicamente adeguata e giuridicamente corret

ta, che va esente da censura in questa sede di legittimità. I giu dici di appello dopo avere accertato la mancanza di assistenza materiale e morale del minore da parte dei genitori, il carattere non contingente di detta mancanza e del conseguente abbandono hanno preso in esame particolare la condotta del padre naturale il quale aveva riconosciuto il minore dopo nove anni di totale disinteresse ed aveva sempre mantenuto una vita disordinata; i medesimi giudici hanno altresì esaminato l'attuale situazione familiare del padre e, avuto riguardo al preminente interesse del minore che si trovi ormai inserito stabilmente in un normale nucleo familiare confacente ai suoi bisogni materiali e morali, hanno ritenuto sommamente pregiudizievole per il minore stesso la sua restituzione al padre naturale.

In conclusione, il ricorso deve essere respinto. (Omissis) Per questi motivi, ecc.

CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 26 maggio 1981, n. 75

(Gazzetta ufficiale 3 giugno 1981, n. 151); Pres. Amadei, Rei.

Roehrssen; Turoni. Ord. Corte conti, Sez. Ili, 7 marzo 1977

(Gazz. uff. 5 giugno 1978, n. 154).

Pensione — Marito superstite — Matrimonio contratto dopo il

cinquantesimo anno d'età della moglie — Diritto alla riversi

bilità — Presunta esclusione — Questione manifestamente in

fondata di costituzionalità (Cost., art. 3, 29, 36, 38; legge 15

febbraio 1958 n. 46, nuove norme sulle pensioni ordinarie a carico dello Stato, art. 19; legge 28 aprile 1967 n. 264, modi ficazione dell'art. 19 legge 15 febbraio 1958 n. 46, art. unico; d. pres. 29 dicembre 1973 n. 1092, t. u. delle norme sul trat tamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello

Stato, art. 271).

È infondata la questione di costituzionalità dell'art. 19 legge 15

febbraio 1958 n. 46, come modificato dall'art, unico legge 28 aprile 1967 n. 264, e dell'art. 271 d. pres. 29 dicembre 1973 n. 1092, nella parte in cui escludono il diritto alla pensione di riversibilità a carico dello Stato per il vedovo di assicurata che abbia contratto il matrimonio dopo avere superato il cinquante simo anno di età, contrariamente a quanto previsto se superstite sia la moglie, in riferimento agli art. 3, 29, 36 e 38 Cost., in quanto la posizione dei vedovi è stata parificata a quella delle vedove in seguito a Corte cost. 30 gennaio 1980, n. 6. (1)

La Corte, ecc. — 1. - La Corte dei conti ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 19 legge 15 febbraio 1958, n. 46 (« nuove norme sulle pensioni ordinarie a carico dello Sta to »), come modificato dall'art, unico legge 28 aprile 1967 n. 264, e riprodotto poi nell'art. 271 t. u. approvato con d. pres. 29 dicembre 1973 n. 1092 (« approvazione del testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato »), « in quanto escludente dalla disapplicazio ne della normativa sui requisiti legali chiesti alle vedove, già sposatesi anteriormente al 24 febbraio 1958, la norma contenuta nel 6° comma dell'art. 11 legge n. 46 del 1958 e nel 6° comma dell'art. 81 di detto testo unico, per la parte disponente che il matrimonio della dante causa con il richiedente sia stato contratto quando la stessa non aveva superato i 50 anni di età ».

(1) L'ordinanza della Corte conti, Sez. Ili, 7 marzo 1977, è massimata in Foro it., 1978, III, 594, con nota di richiami.

Corte cost. 30 gennaio 1980, n. 6 (id., 1980, I, 876, con nota di richiami) ha dichiarato illegittimo l'art. 11 legge 9 dicembre 1977 n. 903 nella parte in cui limitava il riconoscimento della parificazione del diritto dell'uomo a quello della donna con riferimento alla pensione ai superstiti, richiedendo che il decesso dell'assicurata fosse posteriore alla data di entrata in vigore della legge.

La sentenza che si riporta ricava dal tenore dell'art. 11 cit. (che equipara la posizione dei dipendenti pubblici a quella dei lavoratori privati fruitori dell'assicurazione generale obbligatoria), come emendato dalla sentenza n. 6/1980, che « le disposizioni denunciate sono venute meno con efficacia retroattiva e la posizione dei vedovi è stata parificata, sempre con effetto retroattivo, a quella delle vedove». Corte cost. 30 gennaio 1980, n. 9, id., 1980, I, 876, con nota di richiami, ha dichiarato l'illegittimità dell'art. 69 legge 10 agosto 1950 n. 648, nella parte in cui non prevede, accanto alla vedova, anche il vedovo quale soggetto del diritto alla riversibilità della pensione di guerra già fruita dal coniuge.

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Page 3: sentenza 26 maggio 1981, n. 75 (Gazzetta ufficiale 3 giugno 1981, n. 151); Pres. Amadei, Rel. Roehrssen; Turoni. Ord. Corte conti, Sez. III, 7 marzo 1977 (Gazz. uff. 5 giugno 1978,

GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Secondo l'ordinanza di rimessione, tale normativa sarebbe in

contrasto con gli art. 3, 29, 36 e 38 Cost., prevedendo una

disciplina più sfavorevole per i vedovi rispetto alle vedove.

2. - La questione non è fondata.

Le disposizioni denunciate, e cioè l'art. 19 legge 15 febbraio

1958 n. 46, modificato dall'art, unico legge 28 aprile 1967 n. 264,

•e riprodotto, da ultimo, con modifiche, nell'art. 271 t.u. 29

dicembre 1973 n. 1092, nell'estendere retroattivamente la norma

che ha concesso la pensione di riversibilità anche in caso di

matrimonio contratto dopo il collocamento a riposo del dipenden

te statale, ha in effetti trattato in maniera diversa i vedovi e le

vedove: infatti l'art. 9 derogava ai requisiti di età e di durata

del matrimonio solo per le vedove e non anche per i vedovi, ai

quali ultimi si sarebbero dovuti applicare, anche per il caso

predetto, gli usuali requisiti prescritti.

Senonché in prosieguo di tempo è intervenuto l'art. 11 legge 9

dicembre 1977 n. 903 (« parità di trattamento tra uomini e donne

in materia di lavoro »), il quale ha stabilito, anche per i dipen

denti statali e degli enti pubblici, che « le prestazioni ai supersti

ti, erogate dall'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidità,

la vecchiaia ed i superstiti, gestita dal fondo pensioni per i

lavoratori dipendenti, sono estese, alle stesse condizioni previste

per la moglie dell'assicurato o del pensionato, al marito dell'assi

curata o della pensionata deceduta posteriormente alla data di

entrata in vigore della presente legge ».

Questa corte, con la sentenza n. 6 del 1980 (Foro it., 1980, I,

876), ha dichiarato la illegittimità costituzionale delle parole « deceduta posteriormente alla data di entrata in vigore della

presente legge», dando in tal modo alla disposizione or citata

effetto retroattivo.

In conseguenza di ciò le disposizioni denunciate sono venute

meno con efficacia retroattiva e la posizione dei vedovi è stata

parificata, sempre con effetto retroattivo, a quella delle vedove.

Per questi motivi, dichiara non fondata la questione di legitti

mità costituzionale dell'art. 19 legge 15 febbraio 1958 n. 46

(« nuove norme sulle pensioni ordinarie a carico dello Stato »),

come modificato dall'art, unico legge 28 aprile 1967 n. 264

(« modificazione dell'art. 19 legge 15 febbraio 1958 n. 46, recante

nuove norme sulle pensioni ordinarie a carico dello Stato ») e

dell'art. 271 d. pres. 29 dicembre 1973 n. 1092 (« approvazione

del testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei

dipendenti civili e militari dello Stato »), sollevata con l'ordinanza

indicata in epigrafe in riferimento agli art. 3, 29, 36 e 38 Cost.

CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 26 maggio 1981, n. 73

(Gazzetta ufficiale 3 giugno 1981, n. 151); Pres. Amadei, Rei.

Andrioli; imp. Bottecchia; interv. Pres. cons, ministri (Avv.

dello Stato Chiarotti). Ord. Pret. Vittorio Veneto 17 aprile

1975 (Gazz. uff. 30 luglio 1975, n. 202).

Sospensione condizionale della pena — Successiva condanna a

pena pecuniaria — Non revocabilità della sospensione — Que

stione inammissibile di costituzionalità (Cost., art. 3; cod. pen.,

art. 168; d. 1. 11 aprile 1974 n. 99, provvedimenti urgenti sulla

giustizia penale, art. 13; legge 7 giugno 1974 n. 220, conversione

in legge, con modificazioni, del d. 1. 11 aprile 1974 n. 99).

È inammissibile, perché avente ad oggetto una norma penale di

favore, la questione di costituzionalità dell'art. 168, 1° comma,

n. 1, cod. pen., come modificato dall'art. 13 d.l. 11 aprile 1974

n. 99, convertito con modificazioni nella legge 7 giugno 1974 n.

220, nella parte in cui non prevede la revocabilità della sospen

sione condizionale della pena nei confronti del condannato il

quale, nei termini stabiliti, commetta un delitto ovvero una

contravvenzione della stessa indole per cui venga inflitta una

pena pecuniaria, in riferimento all'art. 3 Cost. (1)

(1) L'ordinanza 17 aprile 1975 del Pretore di Vittorio Veneto è

massimata in Foro it., 1975, II, 345.

Per l'inammissibilità, per difetto di rilevanza, delle questioni di

costituzionalità aventi ad oggetto norme penali di favore, cfr. Corte

cost. 20 gennaio 1977, n. 42, id., 1977, I, 556; 12 maggio 1977, n. 79,

id., 1977, I, 1341; 20 giugno 1977, n. 122, id., 1977, I, 2066; 26 luglio

1979, n. 91, id., 1980, I, 16.

Per l'infondatezza della questione di costituzionalità dell'art. 2 cod.

pen., Corte cost. 20 maggio 1980, n. 74, id., 1980, I, 1825.

In dottrina v. Dogliani, Irrilevanza « necessaria » della « quaestio »

relativa a norme penali di favore, in Giur. costit., 1976, I, 585; V.

Onida, Note su un dibattito in tema di « rilevanza » della questione di

Il Foro Italiano — 1981 — Parte I-119.

La Corte, ecc. — Fatto. — 1. - A seguito di avviso di

procedimento, notificato il 22 marzo 1975, per contravvenzione

nella vendita di pane, a Bottecchia Enzo, sorpreso il 5 febbraio

dello stesso anno a vendere a un cliente occasionale, nella

pubblica via della frazione Anzano del comune di Cappella

Maggiore (e non già, com'è scritto nell'avviso di procedimento, in

Cordignano), il pane a pezzatura anziché a peso, il Pretore di

Vittorio Veneto, con ordinanza 17 aprile 1975, debitamente co

municata e notificata, e pubblicata nella Gazzetta ufficiale n. 202

del 30 luglio 1975 — letti gli atti del procedimento a carico del

Bottecchia, imputato di contravvenzioni, di cui agli art. 17, ult.

capov., e 44, lett. b, legge 4 luglio 1967 n. 580 (omessa apposi

zione sul pane posto in vendita del prescritto cartellino con

l'indicazione del tipo), 23 e 44, lett. c, della stessa legge (vendita

di pane a pezzo anziché a peso), 26, 1° comma, e 44, lett. b,

della legge medesima (trasporto di pane in recipienti sprovvisti

della prescritta copertura e chiusura), 26, ult. capov., e 44, lett. b,

della ripetuta legge (vendita di pane in forma ambulante) — ha

rilevato che l'imputato aveva beneficiato il 18 marzo 1974 della

sospensione condizionale della pena dell'ammenda inflittagli con

decreto penale, e che con altro decreto gli si sarebbe dovuta

contestare la recidiva specifica reiterata e infraquinquennale, e, di

conseguenza, ha osservato che — secondo la « novellata » formu

lazione dell'art. 168 cod. pen., di cui al d. 1. 11 aprile 1974 n. 99

— la sospensione condizionale della pena pecuniaria, di cui

l'imputato aveva fruito prima della riforma legislativa, non si

sarebbe potuta revocare con l'emanando decreto penale in quanto

le contravvenzioni, delle quali era in atto imputato, non erano

state commesse entro i due anni dal precedente decreto, né

prevedevano pena detentiva. D'altro canto, non sembrava —

sempre a giudizio del pretore — equo concedere una seconda

condizionale, pur avendovi l'imputato diritto a norma dell'art.

164, ult. capov., cod. pen., in quanto, cosi statuendo, la pena da

infliggere sarebbe ineseguibile in caso di nuova condanna, nei

termini stabiliti, a pena pecuniaria per delitto posteriormente

commesso.

Constatatane in tal guisa la rilevanza, il giudice a quo ha

ritenuto non manifestamente infondata la questione di costituzio

nalità dell'art. 168, n. 1, cod. pen. (modificato con l'art. 13 d. 1. 11

aprile 1974 n. 99) nella parte in cui prevede che la sospensione

condizionale della pena non sia revocabile nei confronti del

condannato il quale, nei termini stabiliti, commetta un delitto

ovvero una contravvenzione della stessa natura, per cui venga

inflitta una pena pecuniaria.

La violazione dell'art. 3, assunto a parametro di legittimità, è

stata dal Pretore di Vittorio Veneto ravvisata vuoi in ciò che con

la riforma si sarebbe istituita disparità evidente di trattamento tra

coloro che commettono reati sanzionati con pena pecuniaria per

non essere la sospensione fruita da questi ultimi soggetta a revoca

in caso di successiva condanna a pena pecuniaria, vuoi in ciò che

la disparità di trattamento non sarebbe giustificata dalla diversa

intensità delle sanzioni, per non essere multa e ammenda qua

lificabili pene di secondaria importanza rispetto alle pene detenti

ve. (Omissis)

Diritto. — Il dispositivo dell'ordinanza di rimessione impugna

l'art. 168, 1° comma, n. 1, cod. pen., là dove non si prevede che

la sospensione condizionale della pena « sia revocabile nei con

fronti del condannato il quale, nei termini stabiliti, commetta un

delitto ovvero una contravvenzione della stessa indole, per cui

venga inflitta una pena pecuniaria ».

Poiché il 1° comma dell'art. 168 configura tassativamente l'ipo

tesi in cui la sospensione va revocata di diritto, ne segue che il

giudice a quo chiede in sostanza che questa corte introduca una

nuova ipotesi di revoca obbligatoria mediante una sentenza di

accoglimento. Senonché il fondamentale principio di legalità dei

reati e delle pene preclude comunque alla corte la creazione di

costituzionalità della legge, id., 1978, I, 997, spec. 1004 segg.; Pizzo

russo (Volpe, Sorrentino, Moretti), Garanzie costituzionali, in

Commentario della Costituzione, a cura di Branca, 1981, 255-256.

In tema di sospensione condizionale della pena v., da ultimo, Corte

cost. 20 maggio 1980, n. 74, cit.; 30 luglio 1980, n. 133, Foro it., 1980,

I, 2654. In dottrina, Antonini, Lineamenti dell'evoluzione legislativa

dell'istituto della sospensione condizionale della pena, in Arch, pen.,

1975, I, 209; Ceniccola, Questioni relative alle modifiche apportate al

reato continuato e alla sospensione condizionale della pena dal d.l. 11

aprile 1974 n. 99, convertito in legge 7 giugno 1974 n. 220, in Giust.

pen., 1975, I, 254. Sulla persistente necessità di convertire le pene pecuniarie in detenti

ve ai fini dell'applicazione del beneficio cfr., da ultimo, Cass. 12 aprile

1980, Leopardi, Foro it., 1980, II, 673, con nota di richiami.

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