sentenza 26 maggio 1981, n. 75 (Gazzetta ufficiale 3 giugno 1981, n. 151); Pres. Amadei, Rel.Roehrssen; Turoni. Ord. Corte conti, Sez. III, 7 marzo 1977 (Gazz. uff. 5 giugno 1978, n. 154)Source: Il Foro Italiano, Vol. 104, No. 7/8 (LUGLIO-AGOSTO 1981), pp. 1851/1852-1853/1854Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23172565 .
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1851 PARTE PRIMA 1852
duce alla dichiarazione dello stato di adottabilità e quello di
chiarativo dell'adozione speciale), si deve rilevare — per quan to riguarda la presente controversia — che il primo subproce dimento si svolge con le forme camerali e si conclude con un
decreto motivato del tribunale per i minorenni. Siffatto decreto
ha le caratteristiche proprie dei provvedimenti di giurisdizione volontaria e può formare oggetto di opposizione cioè di un giu dizio contenzioso e di una sentenza suscettibile di passare in
giudicato, affermativa o negativa in ordine allo stato di adot
tabilità.
Inoltre l'art. 314/18 cod. civ. prevede la revoca, nell'interesse
del minore, dello stato di adottabilità pronunziato nelle for
me di cui all'art. 314/7 cod. civ. sempre con la procedura delle
decisioni in camera di consiglio (3° comma); e detta revoca si
contrappone nell'ottica della legge alla revocazione della sen
tenza sullo stato di adottabilità nel giudizio contenzioso di op
posizione (art. 314/19 cod. civile).
Pertanto la legge stessa, prevedendo specificamente la revoca
del decreto, ha inteso richiamarsi al principio della revocabi
lità caratterizzante i provvedimenti emessi in camera di consi
glio ai sensi dell'art. 742 cod. proc. civile.
In particolare, l'art. 314/18 cod. civ. prevede la revoca del
provvedimento in tema di adottabilità nell'interesse del minore
quando lo stato di adottabilità sia stato pronunziato « nella for
ma di cui all'art. 314/7 » (1° comma), ovvero su istanza del
p. m. o dei genitori quando non sia intervenuto l'affidamento
preadottivo (2° comma). Detta norma rappresenta l'applicazio ne del principio generale della revocabilità dei provvedimenti in camera di consiglio e non la riduzione del principio stesso
alle ipotesi tassativamente indicate.
È il caso di rilevare che, nel presupposto dell'accertato stato
di abbandono del minore ed in considerazione del suo premi nente interesse, non sussistono ragioni adeguate per limitare la
revoca alle ipotesi (tra loro contraddittorie) previste nel com
ma primo (pronunzia dello stato di adottabilità del figlio di ge nitori sconosciuti o deceduti) e nel comma secondo (revoca del
lo stato di adottabilità ex officio, su istanza del pubblico mi
nistero, su istanza dei genitori).
Pertanto, secondo una interpretazione della norma suggerita dalla preminente considerazione del minore, si deve ammettere
una revoca del provvedimento camerale in casi caratterizzati
dalla sopravvenienza di nuove situazioni meritevoli di esame che
comportino la necessità di una rivalutazione dell'interesse del
minore e la necessità di una nuova istruttoria circa l'esistenza
e i caratteri delle situazioni sopravvenute (quali, ad esempio, il riconoscimento del genitore naturale; nuovi elementi circa la
configurabilità o meno dello stato di abbandono del minore). Il provvedimento di revoca dello stato di adottabilità, preso
per le suddette ragioni, presenta una chiara funzione strumen
tale ed istruttoria e si colloca all'interno del procedimento già
iniziato, il quale resta pendente.
Conseguentemente, anche nella ipotesi di revoca dello stato
di adottabilità preordinata al perfezionamento della istruzione in vista della emanazione di un nuovo provvedimento sul me
desimo stato, trova applicazione il 3° comma dell'art. 314/4 cod. civ. in forza del quale il compimento dell'ottavo anno da
parte del minore nel corso del procedimento non osta alla di
chiarazione dello stato di adottabilità.
Nella specie, la revoca del provvedimento dichiarativo del
i'adottabilità del minore Dansin Massimiliano da parte del tri
bunale per i minorenni, seguito al sopravvenuto riconoscimento
del padre naturale Santangeli Bernardino, aveva comportato la rimessione del procedimento in istruttoria per rendere possi bile l'audizione del padre naturale ai sensi dell'art. 314/8 cod.
civ. e non aveva chiuso il procedimento con l'effetto particolare che il sopravvenuto compimento dell'ottavo anno da parte del
minore Santangeli Massimiliano non poteva ostare alla succes
siva dichiarazione del suo stato di adottabilità.
Con il secondo motivo (violazione dell'art. 314/11; vizi di
motivazione) si lamenta che la corte d'appello, nel valutare
l'esistenza dello stato di abbandono del minore de quo, abbia
preso in esame esclusivo la situazione precedente il riconosci
mento del minore da parte del padre naturale.
La censura è priva di fondamento. Com'è noto, al fine di ac
certare la situazione di abbandono del minore in presenza di
genitori conosciuti ed esistenti e l'interesse del minore stesso
alla dichiarazione del suo stato di adottabilità ai sensi dell'art.
314/11 cod. civ., il giudice di merito deve vagliare la condotta
passata e presente dei genitori con particolare riguardo alla na
tura, alla causa, alla durata dell'abbandono ed alla serietà dei
propositi eventualmente manifestati dai genitori e deve proce dere a valutare ponderatamente la situazione ambientale nella
quale il minore andrebbe ad inserirsi avendo riguardo a quella nella quale egli già si trovi (Cass. 1978 n. 2217, Foro it., Rep. 1978, voce Adozione, n. 86, ed altre). A tali criteri si è ispirata la sentenza impugnata, fondando il proprio convincimento sopra una motivazione logicamente adeguata e giuridicamente corret
ta, che va esente da censura in questa sede di legittimità. I giu dici di appello dopo avere accertato la mancanza di assistenza materiale e morale del minore da parte dei genitori, il carattere non contingente di detta mancanza e del conseguente abbandono hanno preso in esame particolare la condotta del padre naturale il quale aveva riconosciuto il minore dopo nove anni di totale disinteresse ed aveva sempre mantenuto una vita disordinata; i medesimi giudici hanno altresì esaminato l'attuale situazione familiare del padre e, avuto riguardo al preminente interesse del minore che si trovi ormai inserito stabilmente in un normale nucleo familiare confacente ai suoi bisogni materiali e morali, hanno ritenuto sommamente pregiudizievole per il minore stesso la sua restituzione al padre naturale.
In conclusione, il ricorso deve essere respinto. (Omissis) Per questi motivi, ecc.
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 26 maggio 1981, n. 75
(Gazzetta ufficiale 3 giugno 1981, n. 151); Pres. Amadei, Rei.
Roehrssen; Turoni. Ord. Corte conti, Sez. Ili, 7 marzo 1977
(Gazz. uff. 5 giugno 1978, n. 154).
Pensione — Marito superstite — Matrimonio contratto dopo il
cinquantesimo anno d'età della moglie — Diritto alla riversi
bilità — Presunta esclusione — Questione manifestamente in
fondata di costituzionalità (Cost., art. 3, 29, 36, 38; legge 15
febbraio 1958 n. 46, nuove norme sulle pensioni ordinarie a carico dello Stato, art. 19; legge 28 aprile 1967 n. 264, modi ficazione dell'art. 19 legge 15 febbraio 1958 n. 46, art. unico; d. pres. 29 dicembre 1973 n. 1092, t. u. delle norme sul trat tamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello
Stato, art. 271).
È infondata la questione di costituzionalità dell'art. 19 legge 15
febbraio 1958 n. 46, come modificato dall'art, unico legge 28 aprile 1967 n. 264, e dell'art. 271 d. pres. 29 dicembre 1973 n. 1092, nella parte in cui escludono il diritto alla pensione di riversibilità a carico dello Stato per il vedovo di assicurata che abbia contratto il matrimonio dopo avere superato il cinquante simo anno di età, contrariamente a quanto previsto se superstite sia la moglie, in riferimento agli art. 3, 29, 36 e 38 Cost., in quanto la posizione dei vedovi è stata parificata a quella delle vedove in seguito a Corte cost. 30 gennaio 1980, n. 6. (1)
La Corte, ecc. — 1. - La Corte dei conti ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 19 legge 15 febbraio 1958, n. 46 (« nuove norme sulle pensioni ordinarie a carico dello Sta to »), come modificato dall'art, unico legge 28 aprile 1967 n. 264, e riprodotto poi nell'art. 271 t. u. approvato con d. pres. 29 dicembre 1973 n. 1092 (« approvazione del testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato »), « in quanto escludente dalla disapplicazio ne della normativa sui requisiti legali chiesti alle vedove, già sposatesi anteriormente al 24 febbraio 1958, la norma contenuta nel 6° comma dell'art. 11 legge n. 46 del 1958 e nel 6° comma dell'art. 81 di detto testo unico, per la parte disponente che il matrimonio della dante causa con il richiedente sia stato contratto quando la stessa non aveva superato i 50 anni di età ».
(1) L'ordinanza della Corte conti, Sez. Ili, 7 marzo 1977, è massimata in Foro it., 1978, III, 594, con nota di richiami.
Corte cost. 30 gennaio 1980, n. 6 (id., 1980, I, 876, con nota di richiami) ha dichiarato illegittimo l'art. 11 legge 9 dicembre 1977 n. 903 nella parte in cui limitava il riconoscimento della parificazione del diritto dell'uomo a quello della donna con riferimento alla pensione ai superstiti, richiedendo che il decesso dell'assicurata fosse posteriore alla data di entrata in vigore della legge.
La sentenza che si riporta ricava dal tenore dell'art. 11 cit. (che equipara la posizione dei dipendenti pubblici a quella dei lavoratori privati fruitori dell'assicurazione generale obbligatoria), come emendato dalla sentenza n. 6/1980, che « le disposizioni denunciate sono venute meno con efficacia retroattiva e la posizione dei vedovi è stata parificata, sempre con effetto retroattivo, a quella delle vedove». Corte cost. 30 gennaio 1980, n. 9, id., 1980, I, 876, con nota di richiami, ha dichiarato l'illegittimità dell'art. 69 legge 10 agosto 1950 n. 648, nella parte in cui non prevede, accanto alla vedova, anche il vedovo quale soggetto del diritto alla riversibilità della pensione di guerra già fruita dal coniuge.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Secondo l'ordinanza di rimessione, tale normativa sarebbe in
contrasto con gli art. 3, 29, 36 e 38 Cost., prevedendo una
disciplina più sfavorevole per i vedovi rispetto alle vedove.
2. - La questione non è fondata.
Le disposizioni denunciate, e cioè l'art. 19 legge 15 febbraio
1958 n. 46, modificato dall'art, unico legge 28 aprile 1967 n. 264,
•e riprodotto, da ultimo, con modifiche, nell'art. 271 t.u. 29
dicembre 1973 n. 1092, nell'estendere retroattivamente la norma
che ha concesso la pensione di riversibilità anche in caso di
matrimonio contratto dopo il collocamento a riposo del dipenden
te statale, ha in effetti trattato in maniera diversa i vedovi e le
vedove: infatti l'art. 9 derogava ai requisiti di età e di durata
del matrimonio solo per le vedove e non anche per i vedovi, ai
quali ultimi si sarebbero dovuti applicare, anche per il caso
predetto, gli usuali requisiti prescritti.
Senonché in prosieguo di tempo è intervenuto l'art. 11 legge 9
dicembre 1977 n. 903 (« parità di trattamento tra uomini e donne
in materia di lavoro »), il quale ha stabilito, anche per i dipen
denti statali e degli enti pubblici, che « le prestazioni ai supersti
ti, erogate dall'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidità,
la vecchiaia ed i superstiti, gestita dal fondo pensioni per i
lavoratori dipendenti, sono estese, alle stesse condizioni previste
per la moglie dell'assicurato o del pensionato, al marito dell'assi
curata o della pensionata deceduta posteriormente alla data di
entrata in vigore della presente legge ».
Questa corte, con la sentenza n. 6 del 1980 (Foro it., 1980, I,
876), ha dichiarato la illegittimità costituzionale delle parole « deceduta posteriormente alla data di entrata in vigore della
presente legge», dando in tal modo alla disposizione or citata
effetto retroattivo.
In conseguenza di ciò le disposizioni denunciate sono venute
meno con efficacia retroattiva e la posizione dei vedovi è stata
parificata, sempre con effetto retroattivo, a quella delle vedove.
Per questi motivi, dichiara non fondata la questione di legitti
mità costituzionale dell'art. 19 legge 15 febbraio 1958 n. 46
(« nuove norme sulle pensioni ordinarie a carico dello Stato »),
come modificato dall'art, unico legge 28 aprile 1967 n. 264
(« modificazione dell'art. 19 legge 15 febbraio 1958 n. 46, recante
nuove norme sulle pensioni ordinarie a carico dello Stato ») e
dell'art. 271 d. pres. 29 dicembre 1973 n. 1092 (« approvazione
del testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei
dipendenti civili e militari dello Stato »), sollevata con l'ordinanza
indicata in epigrafe in riferimento agli art. 3, 29, 36 e 38 Cost.
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 26 maggio 1981, n. 73
(Gazzetta ufficiale 3 giugno 1981, n. 151); Pres. Amadei, Rei.
Andrioli; imp. Bottecchia; interv. Pres. cons, ministri (Avv.
dello Stato Chiarotti). Ord. Pret. Vittorio Veneto 17 aprile
1975 (Gazz. uff. 30 luglio 1975, n. 202).
Sospensione condizionale della pena — Successiva condanna a
pena pecuniaria — Non revocabilità della sospensione — Que
stione inammissibile di costituzionalità (Cost., art. 3; cod. pen.,
art. 168; d. 1. 11 aprile 1974 n. 99, provvedimenti urgenti sulla
giustizia penale, art. 13; legge 7 giugno 1974 n. 220, conversione
in legge, con modificazioni, del d. 1. 11 aprile 1974 n. 99).
È inammissibile, perché avente ad oggetto una norma penale di
favore, la questione di costituzionalità dell'art. 168, 1° comma,
n. 1, cod. pen., come modificato dall'art. 13 d.l. 11 aprile 1974
n. 99, convertito con modificazioni nella legge 7 giugno 1974 n.
220, nella parte in cui non prevede la revocabilità della sospen
sione condizionale della pena nei confronti del condannato il
quale, nei termini stabiliti, commetta un delitto ovvero una
contravvenzione della stessa indole per cui venga inflitta una
pena pecuniaria, in riferimento all'art. 3 Cost. (1)
(1) L'ordinanza 17 aprile 1975 del Pretore di Vittorio Veneto è
massimata in Foro it., 1975, II, 345.
Per l'inammissibilità, per difetto di rilevanza, delle questioni di
costituzionalità aventi ad oggetto norme penali di favore, cfr. Corte
cost. 20 gennaio 1977, n. 42, id., 1977, I, 556; 12 maggio 1977, n. 79,
id., 1977, I, 1341; 20 giugno 1977, n. 122, id., 1977, I, 2066; 26 luglio
1979, n. 91, id., 1980, I, 16.
Per l'infondatezza della questione di costituzionalità dell'art. 2 cod.
pen., Corte cost. 20 maggio 1980, n. 74, id., 1980, I, 1825.
In dottrina v. Dogliani, Irrilevanza « necessaria » della « quaestio »
relativa a norme penali di favore, in Giur. costit., 1976, I, 585; V.
Onida, Note su un dibattito in tema di « rilevanza » della questione di
Il Foro Italiano — 1981 — Parte I-119.
La Corte, ecc. — Fatto. — 1. - A seguito di avviso di
procedimento, notificato il 22 marzo 1975, per contravvenzione
nella vendita di pane, a Bottecchia Enzo, sorpreso il 5 febbraio
dello stesso anno a vendere a un cliente occasionale, nella
pubblica via della frazione Anzano del comune di Cappella
Maggiore (e non già, com'è scritto nell'avviso di procedimento, in
Cordignano), il pane a pezzatura anziché a peso, il Pretore di
Vittorio Veneto, con ordinanza 17 aprile 1975, debitamente co
municata e notificata, e pubblicata nella Gazzetta ufficiale n. 202
del 30 luglio 1975 — letti gli atti del procedimento a carico del
Bottecchia, imputato di contravvenzioni, di cui agli art. 17, ult.
capov., e 44, lett. b, legge 4 luglio 1967 n. 580 (omessa apposi
zione sul pane posto in vendita del prescritto cartellino con
l'indicazione del tipo), 23 e 44, lett. c, della stessa legge (vendita
di pane a pezzo anziché a peso), 26, 1° comma, e 44, lett. b,
della legge medesima (trasporto di pane in recipienti sprovvisti
della prescritta copertura e chiusura), 26, ult. capov., e 44, lett. b,
della ripetuta legge (vendita di pane in forma ambulante) — ha
rilevato che l'imputato aveva beneficiato il 18 marzo 1974 della
sospensione condizionale della pena dell'ammenda inflittagli con
decreto penale, e che con altro decreto gli si sarebbe dovuta
contestare la recidiva specifica reiterata e infraquinquennale, e, di
conseguenza, ha osservato che — secondo la « novellata » formu
lazione dell'art. 168 cod. pen., di cui al d. 1. 11 aprile 1974 n. 99
— la sospensione condizionale della pena pecuniaria, di cui
l'imputato aveva fruito prima della riforma legislativa, non si
sarebbe potuta revocare con l'emanando decreto penale in quanto
le contravvenzioni, delle quali era in atto imputato, non erano
state commesse entro i due anni dal precedente decreto, né
prevedevano pena detentiva. D'altro canto, non sembrava —
sempre a giudizio del pretore — equo concedere una seconda
condizionale, pur avendovi l'imputato diritto a norma dell'art.
164, ult. capov., cod. pen., in quanto, cosi statuendo, la pena da
infliggere sarebbe ineseguibile in caso di nuova condanna, nei
termini stabiliti, a pena pecuniaria per delitto posteriormente
commesso.
Constatatane in tal guisa la rilevanza, il giudice a quo ha
ritenuto non manifestamente infondata la questione di costituzio
nalità dell'art. 168, n. 1, cod. pen. (modificato con l'art. 13 d. 1. 11
aprile 1974 n. 99) nella parte in cui prevede che la sospensione
condizionale della pena non sia revocabile nei confronti del
condannato il quale, nei termini stabiliti, commetta un delitto
ovvero una contravvenzione della stessa natura, per cui venga
inflitta una pena pecuniaria.
La violazione dell'art. 3, assunto a parametro di legittimità, è
stata dal Pretore di Vittorio Veneto ravvisata vuoi in ciò che con
la riforma si sarebbe istituita disparità evidente di trattamento tra
coloro che commettono reati sanzionati con pena pecuniaria per
non essere la sospensione fruita da questi ultimi soggetta a revoca
in caso di successiva condanna a pena pecuniaria, vuoi in ciò che
la disparità di trattamento non sarebbe giustificata dalla diversa
intensità delle sanzioni, per non essere multa e ammenda qua
lificabili pene di secondaria importanza rispetto alle pene detenti
ve. (Omissis)
Diritto. — Il dispositivo dell'ordinanza di rimessione impugna
l'art. 168, 1° comma, n. 1, cod. pen., là dove non si prevede che
la sospensione condizionale della pena « sia revocabile nei con
fronti del condannato il quale, nei termini stabiliti, commetta un
delitto ovvero una contravvenzione della stessa indole, per cui
venga inflitta una pena pecuniaria ».
Poiché il 1° comma dell'art. 168 configura tassativamente l'ipo
tesi in cui la sospensione va revocata di diritto, ne segue che il
giudice a quo chiede in sostanza che questa corte introduca una
nuova ipotesi di revoca obbligatoria mediante una sentenza di
accoglimento. Senonché il fondamentale principio di legalità dei
reati e delle pene preclude comunque alla corte la creazione di
costituzionalità della legge, id., 1978, I, 997, spec. 1004 segg.; Pizzo
russo (Volpe, Sorrentino, Moretti), Garanzie costituzionali, in
Commentario della Costituzione, a cura di Branca, 1981, 255-256.
In tema di sospensione condizionale della pena v., da ultimo, Corte
cost. 20 maggio 1980, n. 74, cit.; 30 luglio 1980, n. 133, Foro it., 1980,
I, 2654. In dottrina, Antonini, Lineamenti dell'evoluzione legislativa
dell'istituto della sospensione condizionale della pena, in Arch, pen.,
1975, I, 209; Ceniccola, Questioni relative alle modifiche apportate al
reato continuato e alla sospensione condizionale della pena dal d.l. 11
aprile 1974 n. 99, convertito in legge 7 giugno 1974 n. 220, in Giust.
pen., 1975, I, 254. Sulla persistente necessità di convertire le pene pecuniarie in detenti
ve ai fini dell'applicazione del beneficio cfr., da ultimo, Cass. 12 aprile
1980, Leopardi, Foro it., 1980, II, 673, con nota di richiami.
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