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sentenza 26 novembre 1985; Giud. Meliadò; Guastalla (Avv. Campris) c. Associazione italiana...

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sentenza 26 novembre 1985; Giud. Meliadò; Guastalla (Avv. Campris) c. Associazione italiana assistenza spastici (Avv. Bizzini) Source: Il Foro Italiano, Vol. 109, No. 6 (GIUGNO 1986), pp. 1713/1714-1725/1726 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23180437 . Accessed: 28/06/2014 16:51 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 46.243.173.176 on Sat, 28 Jun 2014 16:51:05 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sentenza 26 novembre 1985; Giud. Meliadò; Guastalla (Avv. Campris) c. Associazione italianaassistenza spastici (Avv. Bizzini)Source: Il Foro Italiano, Vol. 109, No. 6 (GIUGNO 1986), pp. 1713/1714-1725/1726Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23180437 .

Accessed: 28/06/2014 16:51

Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at .http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

I

PRETURA DI CALTAGIRONE; sentenza 26 novembre 1985; Giud. Meliadò; Guastalla (Avv. Campris) c. Associazione ita liana assistenza spastici (Avv. Bizzini).

PRETURA DI CALTAGIRONE;

Lavoro (rapporto) — Trasferimento del lavoratore — Criteri di scelta dei lavoratori da trasferire — Limiti al potere imprendi toriale (Cod. civ., art. 1175, 1374, 1375; 1. 20 maggio 1970 n.

300, norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell'attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento, art. 13).

Nell'ipotesi in cui sia necessario provvedere a mezzo di tempora nei trasferimenti alla sostituzione di lavoratori addetti presso altra sede dell'organizzazione aziendale, e a tale sostituzione siano interessati, con riferimento alle mansioni svolte, una

pluralità di dipendenti, il potere di organizzazione e di scelta del datore di lavoro, pur giustificato sotto il profilo tecnico-or

ganizzativo ex art. 13 l. 300/70, soggiace ai limiti posti da

norme dell'ordinamento giuridico o dall'autonomia collettiva

attraverso la predisposizione di criteri di procedimentalizzazio ne del potere imprenditoriale (nella specie, è stato ritenuto

legittimo il trasferimento di una lavoratrice nel quale risultino assenti ogni intento discriminatorio del datore di lavoro o un

esercizio dei suoi poteri direttivo e di coordinamento non

conforme ai principi sanciti dall'ordinamento). (1)

II

PRETURA DI COSENZA; sentenza 30 ottobre 1985; Giud. R.

Greco; Ricca (Avv. L. Carratelli), Ricupero (Avv. Del Vec

chio), Piluso (Avv. Ghezzi, Dondi), Stumpo e altro (Aw. M.

Siniscalchi), Summaria (Avv. Ventura, G. Grandinetti), Los

so (Avv. Perri), Gerbasi (Avv. De Luca) c. Cassa di rispar mio di Calabria e di Lucania; Cassa di risparmio di Calabria

e di Lucania (Avv. Persiani, Magliari) c. Greco (Avv. Acri),

Sgambellone e altri {Avv. V. Ferrari), Sapio e altri.

Lavoro (rapporto) — Ente pubblico economico — Concorso a

dirigente — Violazione dei principi di correttezza e buona fede — Nullità della graduatoria (Cod. civ., art. 1175, 1375, 1418).

Va dichiarata la nullità dell'intera graduatoria del concorso a

dirigente di ente pubblico economico svolto senza osservare i

principi di correttezza e buona fede (nella specie, il pretore ha

dichiarato la nullità della graduatoria del concorso bandito

da cassa di risparmio ed espletato poi con circostanze che

lasciavano ritenere la predeterminazione dei nomi dei vinci

tori). (2)

(1-2) Le decisioni in epigrafe affrontano, sotto due distinti profili (la

prima in riferimento alla fattispecie di trasferimento del lavoratore, la seconda in relazione alla problematica, più volte al « vaglio » della

Corte di legittimità, dei concorsi privati), l'indagine sui « limiti » al

potere imprenditoriale. Il Pretore di Cosenza compie un'ampia ricognizione della giu

risprudenza della Suprema corte degli ultimi anni volta a deli

neare le potestà giudiziali di controllo su atti di esercizio dei poteri discrezionali del datore di lavoro, con specifico riferimento all'ente

pubblico economico ed ai concorsi interni di promozione. Per una

prospettazione delle problematiche afferenti alla materia, con riferimen ti di giurisprudenza e di dottrina, cfr. M. Buoncristiano in nota alle

decisioni, richiamate dalla sentenza qui riportata, Cass. 28 marzo 1984, n. 2052 e 27 maggio 1983, n. 2675, Foro it., 1984, I, 1540. Adde Cass. 22 gennaio 1985, n. 261, 19 gennaio 1985, n. 171 e Trib. Firenze 26

luglio 1985, id., 1985, I, 2025, con nota di richiami; Pret. Livorno 8

giugno 1985, Giust. civ., 1986, I, 279, con nota di C.Z. In dottrina cons. M. Buoncristiano, Profili della tutela civile contro i poteri privati, Roma, 1984. Sul funzionario di banca cfr. G. Carriero, Brevi note sul funzionario di azienda di credito, in Foro it., 1986, I, 1040.

La decisione del Pretore di Caltagirone nella sua elaborata motiva zione richiama, per una fattispecie di trasferimento del prestatore di

lavoro, i principi elaborati dalla giurisprudenza in materia di concorsi

privati e, in particolare, i canoni della buona fede e correttezza che limitano il potere imprenditoriale di trasferire il lavoratore (per una recente applicazione alla fattispecie de qua dei principi di buona fede e correttezza ex art. 1375 c.c., v. Cass. 14 maggio 1985, n. 2993, id., Mass., 559, e in Notiziario giur. lav., 1985, 560 ed anche i richiami nella nota a Pret. Torino cit. infra; in dottrina cfr. L. Angiello, Il

trasferimento dei lavoratori; profili generali, in Riv. it. dir. lav., 1984, I, 3 ss., spec. 38 s.; per i criteri di scelta dei prestatori di lavoro da trasferire v. nella più recente giurisprudenza di merito Pret. Firenze 21 dicembre 1983, Foro it., Rep. 1984, voce Lavoro (rapporto), n. 1066; V. altresì Trib. Firenze 23 marzo 1985, Riv. it. dir. lav., 1985, II, 426).

Il Foro Italiano — 1986 — Parte /-111.

I

Motivi della decisione. — (Omissis). Nel merito, poi, il ricorso

va rigettato, non palesandosi alcuno degli aspetti di illegittimità evidenziati dalla ricorrente avverso il provvedimento di trasferi mento territoriale denunciato (e meglio da considerarsi come

trasferta, in considerazione del suo carattere di temporaneità: cfr. Cass. 19 ottobre 1983, n. 6144, Foro it., Rep. 1983, voce Lavoro

(rapporto), n. 1235) per ciò che attiene rispettivamente a) all'esi

stenza di motivi di discriminazione sindacale; b) all'inosservanza della 1. n. 1204/71 (art. 1, 7); c) al difetto delle ragioni causalmen

te giustificatrici, ex art. 13 statuto lavoratori; d) alla elusione della

direttiva costituzionale della tutela della « funzione familiare »

della donna-lavoratrice (37 Cost.). Poco è da dire che sono le prime due deduzioni: in verità già

l'istruttoria urgente aveva fatto constatare che i motivi di discri

minazione e di rappresaglia sindacale del tutto genericamente adombrati dalla ricorrente erano integralmente avulsi da prova, e, sotto tal profilo, nulla di nuovo è emerso dal giudizio di merito; cosi come nessuna specifica violazione della 1. 1204 si è potuto osservare nei fatti descritti in ricorso, deducendosi, invero, ed a

prescindere delle specifiche situazioni di tutela offerte dalla nor

mativa di protezione delle lavoratrici madri (divieto di licenzia

mento nel periodo di gestazione e in quello post-partum, assenze

retribuite, ecc.), la lesione della « funzione familiare » della donna

in ambiti ulteriori e diversi rispetto a quelli (già) normativamente

garantiti, per la rilevanza pervasiva attribuibile all'interno del

rapporto contrattuale, al principio costituzionale dell'art. 37 (se condo la prospettazione sub d).

Al modo stesso in cui del tutto labiale si è manifestata la

contestazione della giustificatezza oggettiva del provvedimento di trasferimento — determinato dalla necessità di sostenere « tempo raneamente » una dipendente assente dal servizio, per malattia,

presso il centro ambulatoriale di Comiso, pur facente capo all'ente resistente — e nella misura almeno in cui, pur tale

censura riesca a differenziarsi da quella, del tutto essenziale ed

assorbente, che prospetta — in buona sostanza — la necessità di un « ulteriore confronto », anche all'interno di comportamenti del

datore di lavoro causalmente adeguati, fra l'interesse dell'impresa e la posizione familiare della donna lavoratrice.

Ma il tema — così posto — presuppone almeno la soluzione di

tre distinti quesiti, volti a realizzare: 1) che i comportamenti del

datore di lavoro a contenuto discrezionale (per l'assenza di

espliciti limiti legislativi o contrattuali) ed opportunamente giu stificati sotto l'aspetto economico-organizzativo, siano assoggettabi li ad un controllo ulteriore rispetto a quello che abbia come

punto di riferimento, per come si dice, « l'uso razionale » o « casualmente adeguato », del diritto (il che vale quanto dire ad

un mero controllo negativo, di non arbitrarietà o vessatorietà del

potere), che implichi una considerazione attiva della posizione dei

prestatori di lavoro sui quali il potere è destinato ad incidere; 2) che, a tal fine, si possa valorizzare, l'uso — in funzione di

precetto della relazione individuale di lavoro e di criterio di

composizione del contrasto fra l'interesse dell'impresa e quello del

lavoro subordinato in essa organizzato — di principi costituziona

li, pur non immediatamente cogenti (come appunto, l'art. 37

Cost.); 3) che — rispetto alla situazione di contrasto specifica tamente dedotta in giudizio — si pongano effettivamente e solo

profilo di contrasto fra la posizione dell'impresa e la situazione del prestatore d'opera, e non anche (e/o pure) la composizione di

un potenziale conflitto all'interno della stessa « collettività di

lavoro », in confronto al quale si tratta di apprezzare la efficacia

risolutiva che può essere attribuita all'art. 37 Cost, (e alla sua

ratio di tutela).

Ora, sotto il primo aspetto, una volta escluso che l'esercizio

dell'attività economica possa esser sottoposto (e reso « funziona

le ») a vincoli di « utilità sociale », non per questo non può riconoscersi che allorché l'esercizio delle prerogative d'impresa si

ponga sul piano dell'esecuzione del contratto (e non incontra il

limite invalicabile del rispetto del potere di iniziativa economica) e sia, in particolare, destinato a eludere un conflitto fra più

posizioni lavorative tutte potenzialmente assoggettabili ai poteri di

coordinamento e di direzione del datore di lavoro, il lavoratore

non possa richiedere un uso « corretto » e « conforme a buona

fede » di tale potere, ed, ancor più, che esso non sia rimesso al

puro potere di conformazione del datore di lavoro.

Il che vale quanto dire che allorché — come nel caso di specie

Sulla problematica generale del potere del datore di trasferire il

prestatore di lavoro v. Pret. Torino 29 gennaio 1986, in questo fascicolo, I, 1707, con nota di richiami.

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1715 PARTE PRIMA 1716

— si sia determinata la necessità di provvedere periodicamente, a

mezzo di temporanei trasferimenti, alla sostituzione di lavoratori addetti presso altra sede territoriale dell'organizzazione aziendale, e a tale sostituzione siano interessati, con riferimento alle man

sioni svolte, una pluralità di dipendenti, non può ritenersi che il

potere di organizzazione (e di scelta) del datore di lavoro — pur giustificato sotto il profilo tecnico — organizzativo ex art. 13

statuto — vada del tutto esente da limiti: i quali possano atteggiarsi, a secondo dei casi, come auto-limitazioni, allorché

espressi criteri di procedimentalizzazione siano stati posti dall'au

tonomia collettiva delle parti interessate, ovvero possano essere

{anche se più problematicamente) vere e proprie etero-limita

zioni, risultanti da norme (o principi) dell'ordinamento giuridico.

Ovviamente, giova sottolineare, si tratta di un ordine tematico,

distinto da quello che viene in rilievo allorché — a protezione di

beni giuridici primari del prestatore d'opera subordinato —

l'ordinamento provvede a tipizzare la situazione di tutela facendo

ricorso alla norma imperativa: che, in questi casi, nemmeno si

pone un problema di « bilanciamento degli interessi », essendo

l'« interesse (illecito) dell'impresa » puramente e semplicemente destinato a elidersi a fronte della tutela legale del prestatore;

venendo, piuttosto, in rilievo norme - cornici e clausole di

contegno contrattuale (come l'obbligo di eseguire il contratto

secondo buona fede e correttezza) esprimenti tipicamente l'idea

« del contemperamento » fra posizioni contrattuali contrapposte,

ed, in ogni caso, una forma del precetto legale che palesemente lascia ben più ampi margini di apprezzamento discrezionale

all'interprete.

Ma, detto questo, non può non soggiungersi che la notevole

valorizzazione, cui la giurisprudenza più recente sembra incline,

di clausole generali evocatrici della « idea del comportamento »

(e, in primis, dei principi di cui agli art. 1175, 1374, 1375 c.c.),

sol apparentemente introduce regole di interpretazione e di erme

neutica contrattuale, destinata ad agire « come limitata fonte di

integrazione dell'autonomia contrattuale », e non da più decisa

mente, vere e proprie « clausole generali o 1 cornici

' del sistema,

costituite da fondamenti e direttive etico sociali dell'ordinamento

(e che) ... interessano non soltanto l'adempimento delle obbliga

zioni tipicamente contrattuali, ma anche l'esercizio del potere

discrezionale del datore di lavoro » (cosi, Cass. 27 maggio 1983,

n. 3675, id., 1984, I, 1541; cfr. anche Pret. Milano, ord. 22 aprile

1985, id., 1985, I, 2111).

Ma, per questa via (non esplorata dalla giurisprudenza meno

recente, ma ben presente nelle note più vicine vicende giurispru denziali sui criteri di selezione del personale cassintegrato, prov

vedimenti di progressione in carriera del personale degli enti

pubblici economici, ed anche in tema di parità retributive), si

finisce, in buona sostanza, con l'attribuire immediato rilievo

precettivo, nell'ambito del rapporto di lavoro subordinato — ed

al fine di rendere azionabili verso l'autore dell'atto tutta una

possibile sequenza di comportamenti alternativi dalla quale emer

ga una ricostruzione comparatoria dello stesso — ai principi e

precetti di rilievo costituzionale, di pari trattamento (art. 3, 1°

comma: cfr. Cass. 19 giugno 1982, n. 3773, id., 1983, I, 113, ed

anche Pret. Cosenza 21 gennaio 1982, ibid., 1171), di giustizia sostanziale e di solidarietà sociale (art. 3, cpv., cfr. Pret. Milano,

ord. 6 agosto 1984, id., 1984, I, 2361, e sinanco di buon

andamento e di imparzialità della p.a. (ex art. 97 Cost., per ciò

che riguarda i datori di lavoro-enti pubblici economici; cfr. sez.

un. 2 novembre 1979, n. 5668, id., 1979, I, 2548; 19 giugno 1982,

n. 3773, cit., ecc.) dei quali è indubbio che sia, innanzitutto,

destinatario il legislatore, ma che, per contro, sulla base di

richiamati esiti giurisprudenziali — non vengono ad esaurire

in tale destinazione alla proposizione di valori-guida per l'at

tività legislativa la loro esclusiva funzionalità, rivelandosi anche

nel regolamento delle convenzioni di autonomia privata. Del resto, le principali difficoltà che suscita tale metodologia

più che sul piano dei principi — se si pensa, che, come si è

autorevolmente notato, « anche le disposizioni che non abbiano

destinatari diversi dal legislatore possono introdurre principi ge nerali immediatamente operanti nell'ordinamento giuridico » (Cor

te cost. 160/74, id. 1974, I, 1962; 22/69, id., 1969, I, 80), con

funzioni limitative (cfr. Cass. 25 febbraio 1978, n. 972, id., 1978,

I, 1159) — si rinvengono piuttosto sul piano dell'affidabilità delle

singole soluzioni interpretative (della qualità) della certezza del

diritto che esse caso per caso riescono a produrre (trattandosi di

« regole generali difficilmente riconducibili a criteri oggettivi » :

cosi Trib. Milano 27 gennaio 1984, id., 1984, I, 2319, a proposito delle regole di buona fede e correttezza).

Secondo un ordine di valutazioni critiche che, comunque, non

possono, per converso, fra trascurare come l'introduzione dello

Il Foro Italiano — 1986.

statuto abbia reso ancora più ardua ogni pura immedesimazione

del « piano » dell'esecuzione del contratto in quello del « potere di iniziativa economica » dell'imprenditore; cosi come il più intenso rispetto per la regola di eguaglianza (all'interno della

collettività d'impresa) che si determina sulla base della configura zione del rapporto di lavoro come « rapporto collettivo » o « di massa » : secondo una prospettiva, anche qui, resa più intensa

dalla riforma del 1970, e difficilmente declinabile pur nell'assenza

di un intervento attivo dell'autonomia collettiva, depositaria na

turale di tali istanze.

In ogni caso, è solo sulla base di tali premesse che si può valutare la pretesa della ricorrente a che la scelta, nell'ambito

delle lavoratrici suscettibili di temporaneo trasferimento presso il

centro di Comiso, avvenga tenendo conto della sua « posizione familiare », e quindi « proporzionando » il provvedimento del

datore di lavoro alla « essenziale funzione familiare » che la

Costituzione garantisce alla lavoratrice-madre (lato sensu).

Ma che il principio richiamato — anche a volersi ritenere

espressione di una direttiva immediatamente incidente nel mo

mento dell'esecuzione del contratto di lavoro, e quindi vincolante

per il datore di lavoro, pur nell'assenza di criteri precostituiti di

derivazione sindacale — abbia la portata indicata dalla ricorrente

è del tutto dubbio e contestabile: sembrando del tutto impossibi le che la ratio dell'art. 37 Cost, possa precostituire (anche al di

fuori degli ambiti normativi della 1. 1204/71) una situazione di

speciale favor verso la lavoratrice-madre, nel confronto (non solo)

con la posizione (dei lavoratori dell'altro sesso, ma anche) delle

lavoratrici nubili, o, coniugate, ma prive di prole.

E, in realtà, non può non sottolinearsi come quel che vi è di

essenziale nella norma è l'affermazione della parità di diritti come

riflesso della parità di capacità (la garanzia — come si è detto

dal costituente — di eguali diritti tra uomini e donne « non per il

fatto che abbiano sesso diverso, ma la stessa capacità »), all'in

terno di una scelta (autenticamente innovativa, giusto in quanto) volta a superare la tradizionale prospettazione di uno status

speciale per il lavoro femminile legittimandone la collocazione

piena all'interno del mercato del lavoro, nel motivato convinci

mento che solo attraverso la pari possibilità di accesso al diritto

di cui all'art. 4 Cost, passi una emancipazione reale della posizio ne della donna all'interno della società civile.

E da questo punto di vista, la considerazione, fatta propria dalla norma costituzionale « della essenziale funzione familiare »

della donna (figlia del discreto compromesso — al quale pervenne l'assemblea costituente — tra la proposizione del « lavoro familia

re » come compito preminente della donna, e il sovvertimento,

attraverso la regola di parità, di tale condizione, tanto più radicata nel senso comune, prima ancora che nell'organizzazione sociale e nel diritto positivo, quanto più latrice di sostanziale

inferiorità e subordinazione nel rapporto fra i sessi) non oscu

ra il dato di fondo che « la donna lavoratrice ha gli stessi dirit

ti... che spettano al lavoratore»; e che, pertanto, ogni eccezione

alla regola di parità costituisce pur sempre un'anomalia rispetto alla scelta di fondo del costituente di realizzare una piena

eguaglianza di diritti e di doveri tra uomini e donne « non per il

fatto che abbiano sesso diverso, ma la stessa capacità ».

Se su ciò si conviene, deve, nondimeno, concludersi che la « funzione familiare » (ed in specie di madre) della donna-lavo

ratrice (una volta assicurata la tutela che il legislatore ordinario

ha inteso predisporre in attuazione del precetto costituzionale) non può costituire ulteriore elemento di indiscriminato vantaggio

rispetto alla posizione delle altre lavoratrici (non coniugate, e

prive di prole ed anche dei lavoratori): costituendo soltanto, allorché si determini la necessità di procedere ad una scelta

comparativa tra più posizioni lavorative tutte egualmente assog

gettabili ad un provvedimento del datore di lavoro modificativo

delle condizioni di lavoro, un elemento, concorrente con altri, da

prendere in considerazione, all'interno dei criteri valutativi —

precostituiti in sede collettiva — al fine di « procedimentalizzare »

la scelta dell'imprenditore o, comunque, allorché la stessa sia

stata discrezionalmente esercitata, per apprezzarne la conformità e

correttezza e buona fede.

Ma, anche cosi ridimensionata, la pretesa della ricorrente

risulta non giustificata, se si pensa che: 1) pur essendo stata

prevista, in sede collettiva, la predisposÌ2Ìone da parte degli organismi sindacali di graduatorie, cui attingere il personale da

destinare in mobilità, alle stesse non si è mai dato corso; 2) che, nella specie, si trattava di trasferimento temporaneo (di « coman

do », o « trasferta » per come si esprime il c.c.n.l. di settore) dettato da esigenze contingenti e temporanee (sostituzione di

dipendente in stato di malattia: v. comunicazione del datore di

lavoro in data 13 aprile 1985); 3) che il criterio della rotazione,

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

pur nell'assenza di criteri collettivamente precostituiti, era stato in

precedenza « di fatto » adottato dalla associazione resistente, tan t'è vero che in altre occasioni erano state temporaneamente trasferite presso il centro di Comiso altre compagne di lavoro della ricorrente, aventi la stessa qualifica di fisioterapista.

Dalle quali considerazioni, congiuntamente valutate con la già ricordata assenza di alcun intento discriminatorio in capo al resistente, non può che risultarne la constatazione non solo del difetto di alcun proposito illecito nel comportamento del datore di lavoro, ma anche nell'inesistenza di un uso non equo dei poteri direttivi e di coordinamento organizzativo dalla legge attribuiti allo stesso.

Il ricorso va, pertanto, rigettato e, per conseguenza, revocata l'ordinanza di sospensione del trasferimento emessa in via urgente dall'ufficio in data 30 aprile 1985. (Omissis)

II

Motivi della decisione. — 1. - L'evoluzione giurisprudenziale seguita al leading case delle sezioni unite della Cassazione del 2 novembre 1979, n. 5688 (Foro it., 1979, I, 2548), esime il

giudicante dalla necessità di soffermarsi oltre sulla « giustiziabili tà » degli atti del datore di lavoro che siano espressione della discrezionalità a lui riservata nella concreta valutazione dei requi siti richiesti ai candidati di concorso interno per il conseguimento della promozione al grado superiore.

I punti salienti delle posizioni assunte dalla giurisprudenza della Cassazione a riguardo possono essere schematicamente ri cordati nei seguenti termini: a) modificando il precedente orien tamento, con la citata sentenza n. 5688 la corte ha affermato l'e sistenza nel diritto del lavoro di interessi legittimi tutelabili davanti al giudice ordinario con la specifica individuazione del caso in cui le promozioni dei dipendenti « vengono realizzate nel preminente interesse del lavoratore o per la risoluzione di un conflitto di interessi fra più lavoratori, per cui prevale la tecnica giuridica

* del rapporto ', caratterizzata dall'attribuzione alle parti

di situazioni attive e passive pariteticamente contrapposte »; b) con numerose decisioni successive la corte ha focalizzato le sue

indagini sulle regole di correttezza e buona fede desumibili dagli art. 1175 e 1375 c.c. Si è cosf consolidato il principio che il potere discrezionale del datore nella scelta e nella valutazione dei

requisiti dei candidati da promuovere al grado superiore si inserisce nell'ambito del rapporto contrattuale quale oggetto della

prestazione dovuta che deve necessariamente adeguarsi ai criteri di correttezza e buona fede sanciti dalle norme citate. Ha precisato, però, la corte che tali principi « non operano solamente nell'ambiente di esecuzione del contratto come modalità strumen tali di prestazioni dovute » e, quindi, non operano soltanto « come limitata fonte di integrazione dell'autonomia privata ma come clausole generali del sistema, essendo costituite da fonda menti e direttive etico-sociali dell'ordinamento giuridico che inte ressano non soltanto l'adempimento degli obblighi tipicamente contrattuali ma anche l'esercizio del potere discrezionale del datore di lavoro che a tali regole fondamentali deve ispirarsi ». Il

principio di buona fede viene inteso come principio riequilibrato re cardine all'interno dell'ordinamento, teso ad evitare che il

potere discrezionale degeneri in arbitrio (fra le tante v. Cass. 5

gennaio 1981, n. 1, id., 1981, I, 15; 10 aprile 1981, n. 2092, id., Rep. 1981, voce Lavoro (rapporto), n. 625; 3674 e 3675 del 27

maggio 1983, id., Rep. 1983, voce cit., nn. 1139, 1138); c) persi stendo in questa ottica la corte, con particolare riferimento ai concorsi interni per la promozione al grado superiore, ha individuato l'obbligo per il datore di lavoro « di una valutazione

comparativa fra gli aspiranti condotta, oltre che fuori da ogni arbitrio, secondo imparzialità » (Cass. 29 ottobre 1980, n. 5800, id., Rep. 1980, voce Impiegato dello Stato, n. 379 e nello stesso senso Cass. 22 febbraio 1985, n. 1603, id., Mass., 309). Il

principio di imparzialità, considerato congiuntamente ai criteri di buona fede e correttezza, viene anche collegato all'art. 97 Cost., il

quale, secondo la corte, « benché inerente esclusivamente alla p.a. può essere richiamato a conferma di un principio immanente dell'intero ordinamento giuridico » (Cass. 19 giugno 1982, n. 3773, id., 1983, I, 113); d) da tali considerazioni, la Cassazione ha fatto

discendere l'ulteriore conseguenza dell'obbligo della motivazione dei provvedimenti relativi alle promozioni, come necessità di

esteriorizzazione della scelta del datore al fine di consentire il

controllo sul rispetto dei meccanismi procedimentali e dei prin cipi di buona fede e correttezza ed imparzialità, anche se tale motivazione può assumere modalità diverse a seconda che si verta in un sistema di promozione basato « sulla comparazione »

o invece « sulla scelta ». (Cass. 20 marzo 1980, n. 2082, id., Rep.

Il Foro Italiano — 1986.

1980, voce Lavoro (rapporto), n. 374; 17 marzo 1982, n. 1753, id., Rep. 1982, voce cit., n. 587; nonché Cass. 3675/83, 3773/82, 2092/81 e 1603/85, cit.); e) dalla violazione dei suddetti principi generali la Corte di cassazione fa derivare al dipendente escluso dalla

promozione la facoltà di tutelare giudizialmente i propri diritti mediante « azione rivolta ad invalidare quegli atti (abusivi) ovve ro denuncia dell'illecito contrattuale del datore al fine di conse

guire il risarcimento del danno subito » (v. sentenze già cit.). Per giungere a tale conclusione mantenuta costante nel tempo

la corte ha usato a volte argomentazioni e tecniche interpretative pubblicistiche a volte tematiche più precisamente privatistiche. Nella cit. decisione n. 5800/80 la corte ha asserito che « le azioni e le misure demolitorie, di annullamento e dichiarative di nullità sono esperibili sia in riferimento a tecniche di attribuzione e

regolamentazioni di poteri, sia in riferimento a tecniche pariteti che o rapportuali anche se diverso nei due casi è il punto di incidenza ».

Nella decisione n. 1/81 la corte ha considerato superfluo ai fini della giurisdizione soffermarsi sull'esame della tutela riconosciuta davanti al giudice ordinario ed ha sottolineato « le non rilevanti differenze di tale tipologia rispetto a quella dei rimedi sperimen tabili davanti al giudice amministrativo ».

In altre occasioni (Cass. 29 giugno 1981, n. 4250, id., Rep. 1981, voce cit., n. 1027) la corte ha fatto ricorso a strumenti

interpretativi propri delle teorie pubblicistiche affermando l'esi

genza della verifica se il soggetto investito del « potere » abbia abusato del potere medesimo. E, di fronte all'obiezione secondo cui alla luce dell'art. 1418 c.c. non sussisterebbero gli estremi di una sanzione di nullità, la corte ha affermato che un atto che non sia corrispondente alla funzione assegnatagli dall'ordinamento

incontra « una sanzione che anche se non può qualificarsi come nullità ai sensi dell'art. 1418 c.c. — in quanto non si verte in materia negoziale — si colloca certamente nell'ampia sfera del

l'invalidità nel senso che l'atto non può conseguire gli effetti connessi alla sua funzione ».

Di annullamento dell'atto ope iudicis parla la decisione n. 755 dell'8 febbraio 1982 (id., 1983, I, 113) mentre le citate sentenze 3674 e 3675 del 1983, escludendo per il giudice la possibilità di sostituirsi all'ente pubblico nel compimento delle operazioni di

scelta, affermano che « il controllo giudiziario non può che sfociare in una eventuale pronuncia di nullità dell'atto in conse

guenza dell'inosservanza delle norme procedimentali ovvero nel rimedio risarcitorio sostitutivo in conseguenza dell'accertato illeci

to contrattuale.

Sostanzialmente nello stesso senso sono le conclusioni della recente sentenza n. 1603/85, citata, mentre nella sentenza n. 7288 del 6 dicembre 1983 (id., Rep. 1983, voce cit., n. 1130) la corte fa riferimento alla possibilità di un'azione diretta a fare accertare

l'illegittimità dello scrutinio del concorso interno con il conseguen te obbligo della rinnovazione dello stesso.

2. - Tracciate sommariamente le tappe della evoluzione della

giurisprudenza della Cassazione circa i limiti che incontra il datore nell'esercizio del suo potere discrezionale, prima di trarne le necessarie conseguenze con riferimento al caso dedotto in

giudizio occorre una ricostruzione dei fatti di causa e la verifica se in concreto la cassa di risparmio, nell'attribuzione dei punteggi attitudinali, abbia violato i criteri di buona fede, correttezza ed

imparzialità. L'esame della documentazione relativa al concorso

impugnato e gli altri patti prodotti in giudizio evidenziano, a

parere del giudicante, l'uso scorretto del potere discrezionale della cassa di risparmio sotto diversi profili.

a) Dopo l'attribuzione del c.d. punteggio fisso, per il quale nessuna discrezionalità era riservata alla cassa di risparmio, nei

primi sette posti della graduatoria figuravano solo tre dei vincito ri (Sgambellone al terzo posto, Bruzzano al quarto e Benvenuto al settimo).

A seguito dell'attribuzione del c.d. punteggio discrezionale la

graduatoria provvisoria veniva completamente modificata median te l'attribuzione ai vincitori del concorso, già indicati, del massi mo del punteggio mentre a tutti gli altri candidati venivano at tribuiti punteggi oscillanti tra i punti 2 e 4,50 (con un solo pun teggio di 6).

Nessun elemento in atti spiega perché solo ai vincitori del concorso sia stato attribuito il massimo del punteggio discreziona le. La carenza di qualsiasi motivazione e, quindi, la mancata esteriorizzazione dei criteri di attribuzione del punteggio non consente in alcun modo il controllo sul rispetto delle regole procedimentali e dei principi di correttezza, buona fede ed

imparzialità che, come si è visto, la Suprema corte ritiene

indispensabili.

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1719 PARTE PRIMA 1720

b) La mancanza di motivazione, inoltre, non consente di

verificare non solo se la cassa di risparmio abbia proceduto ad « una valutazione comparativa fra gli aspiranti, fuori da ogni arbitrio, secondo imparzialità », ma neppure se una qualsivoglia

comparazione fra i candidati sia stata fatta.

c) Oltre agli aspetti formali legati alla mancanza di motivazio

ne, un riscontro dei profili professionali dei vari candidati e dei

loro curricula evidenzia l'irrazionalità e l'arbitrio nell'attribu

zione del punteggio attitudinale.

Premesso che a tutti i concorrenti è stato attribuito il massimo

punteggio per la parte relativa al rendimento, non si comprende in base a quali criteri sia stato attribuito solo ai vincitori il massimo dei punti relativi ai precedenti di carriera (tre punti) ed

all'espletamento di mansioni comportanti paticolari responsabilità (due punti), atteso che alcuni dei vincitori (ad es. Benvenuto, Bruzzano) non hanno mai avuto compiti di responsabilità diretta ed altri (Sapio) li hanno avuti solo tre mesi prima del 31 maggio 1979, data ultima per la considerazione delle posizioni professio nali dei concorrenti secondo le indicazioni del bando. Ciò risulta ancora più incomprensibile se si considera che altri candidati che

pur avevano ricoperto da molto tempo incarichi di responsabilità diretta non hanno ottenuto il massimo del punteggio (v. ad es. i curricula di Ricupero, Piluso, Pellegrini, Stumpo, Ricca, ecc.). Né si comprende in ogni caso perché di fronte a diversi candidati che avevano ricoperto posti di responsabilità diretta solo ad alcuni sia stato assegnato il massimo del punteggio. Non trova

spiegazione, inoltre, il fatto che solo ai vincitori (oltre che a

Stumpo e Ricupero) sia stato attribuito il massimo del punteggio relativo alle capacità professionali ed alla conoscenza dei servizi. Da dove si desumono le diverse capacità professionali atteso che

tutti hanno avuto le identiche note di qualifica ed il massimo del punteggio relativo al rendimento? Inoltre, numerosi candidati tra i non vincitori hanno avuto esperienze in diversi settori ed

uffici dell'istituto bancario, mentre alcuni dei vincitori hanno avuto esperienze in un solo settore. Ciò evidentemente non

giustifica il punteggio attribuito in relazione alla conoscenza dei servizi.

Né, d'altra parte, l'attento esame dei curricula di tutti i

candidati, la valutazione della importanza e della difficoltà degli uffici ricoperti può giustificare la rilevante disparità di trattamen to nell'attribuzione del punteggio attitudinale tra i vincitori ed i

candidati esclusi dalla promozione. d) L'uso scorretto del potere discrezionale della cassa di

risparmio emerge anche da altri elementi.

Tutti i vincitori del concorso di cui è giudizio avevano già

partecipato al precedente concorso bandito nel 1977, ottenendo, come punteggio discrezionale, lo Sgambellone punti 3,50, il Ma

razzini punti 4,50 e tutti gli altri punti tre, classificandosi lo

Sgambellone all'ottavo posto in graduatoria, Benvenuto all'undice

simo, Bruzzano al dodicesimo, Maradei al sedicesimo, Sapio al

diciassettesimo, Vidiri al ventesimo e Marranzini al ventunesimo. Numerosi candidati non promossi nel concorso del 1979 prece

devano nella graduatoria del 1977 gli attuali vincitori.

Dai fascicoli personali di tutti i candidati non è possibile ricavare alcun elemento che spieghi il balzo in avanti dei vincitori di concorso, atteso che tra il 1977 ed il 1979 tutti hanno avuto le medesime note di qualifica (ottimo) ed hanno continuato a svolgere negli stessi uffici le medesime mansioni che svolgevano prima del 1977 (solo il Sapio dal marzo 1979 è stato preposto all'ufficio controllo rischi).

In base a quale criterio la valutazione relativa ai precedenti di

carriera, agli incarichi ricoperti, alla conoscenza dei servizi, alle

mansioni di particolare responsabilità, ecc., è stata cosi difforme

per lo Sgambellone e gli altri sei tra il 1977 ed il 1979, pur nelle

identiche situazioni di fatto? Quali meriti hanno acquisito tra il

1977 ed il 1979 gli attuali vincitori che gli altri candidati non

possono vantare? Dagli atti di giudizio nessuna risposta giunge a

tali interrogativi. È ben vero che il concorso del 1977 è stato annullato per vizi di

composizione della commissione per effetto di una sentenza del

Tribunale di Cosenza e poi è stato rinnovato nel 1981, ma il

riferimento al punteggio del 1977 è fatto esclusivamente al fine di

inviduare un parametro per valutare l'uso del potere discrezionale

della cassa di risparmio. D'altra parte, nel 1981, in occasione del rinnovo del concorso

tutti i concorrenti hanno ricevuto lo stesso punteggio attitudinale

che avevano già avuto nel 1977, per cui si è verificata questa strana conseguenza: i vincitori del 1979 hanno avuto nel 1977 un

punteggio attitudinale variante tra i punti 3 e 4,50, nel concorso

del 1979 hanno avuto 7 punti e nel 1981 hanno avuto di nuovo

punti da 3 a 4,50.

Il Foro Italiano — 1986.

In effetti, nel 1981 il concorso è stato ripetuto « ora per allora »

con riferimento alla situazione precedente il dicembre 1977 per cui può spiegarsi questa altalena nell'attribuzione del punteggio

attitudinale, ma la cosa appare poco comprensibile se si considera

che i profili professionali tracciati dalla commissione del 1981

individuano per Sgambellone e gli altri sei funzioni, mansioni e

compiti che questi hanno continuato a svolgere ininterrottamente

senza alcuna modifica fino al 1979 (ed anche oltre) ricevendo

però nel secondo concorso per gli stessi elementi un punteggio di

gran lunga più elevato.

e) Dopo le osservazioni sopra formulate acquista particolare rilevanza la circostanza che in data 11 dicembre 1979 e 20

dicembre 1979 i concorrenti Greco Pasquale e Summaria Corra

do avevano fatto pervenire al consiglio di amministrazione della

cassa di risparmio due lettere-diffida con data certa, in cui

venivano riferite le voci circolanti all'interno dell'istituto in quel

periodo, secondo le quali i vincitori del concorso che stava per

espletarsi erano stati già designati a priori per cui il concorso

sarebbe stato una pura formalità.

Nella lettera i due indicavano specificatamente i nomi dei sette

candidati che successivamente, in effetti, sono risultati i vincitori

del concorso.

Tale inquietante circostanza va posta in riferimento al fatto

che dai verbali della commissione risulta che le operazioni del

concorso si sono svolte dalle ore 16 alle ore 16,40. Cosicché in 40

minuti sono stati valutati tutti i precedenti di carriera, la capacità

organizzativa, la conoscenza dei servizi, ecc. di 24 candidati, alla

media di 1,30 minuti ciascuno. Il che evidenzia come questa fase

del concorso sia stata oltremodo sbrigativa e superficiale come se, in effetti, i nomi dei vincitori fossero già conosciuti in anticipo (sul rilievo della durata delle operazioni di concorso in relazione

al regolare svolgimento dello stesso v. Cass. 4250/81, cit.).

Non è senza importanza alla luce di tutti questi elementi,

inoltre, il fatto che nella seduta del consiglio di amministrazione

durante la quale è stata approvata la graduatoria del concorso del 1979, il consigliere Midaglia abbia espresso il suo voto contrario motivato dalle sue perplessità in ordine alla procedura

seguita e per il determinante peso che aveva assunto il punteggio discrezionale per le promozioni a dirigente atteso che solo ai

vincitori erano stati attribuiti sette punti. Ritiene il giudicante che dall'insieme di questi elementi risulta

evidente come la cassa di risparmio abbia utilizzato i margini di

discrezionalità a lei riservati in spregio ai criteri di buona fede, correttezza ed imparzialità, mediante una distorta attribuzione del

punteggio attitudinale, senza una corretta ed imparziale compara zione dei requisiti dei vari candidati e senza alcuna motivazione a sostegno delle proprie scelte.

3. - Prima di passare alla verifica degli effetti sugli atti già

compiuti dell'accertata violazione dei criteri di buona fede e

correttezza occorre esaminare la domanda di Losso Faust, diretta

a far dichiarare la nullità del punto 6) del bando di concorso (che attribuiva alla cassa di risparmio il potere discrezionale sulla

valutazione dei precedenti di carriera, gradi ed uffici ricoperti, ecc. dei candidati), in quanto preliminare a tutte le altre.

Il Losso ritiene che il potere discrezionale molto ampio riserva to alla cassa di risparmio sia idoneo a sconvolgere totalmente la

graduatoria dei candidati fondata su criteri oggettivi (il c.d.

punteggio fisso). Da ciò il ricorrente desume la nullità del citato

punto 6) del bando di concorso. Il rilievo non è fondato. L'attribuzione alla cassa di risparmio

della facoltà di attribuire, in sede di concorso interno per la

promozione al grado superiore, un punteggio discrezionale relati

vo ai precedenti di carriera ed alle capacità professionali dei

candidati, deriva espressamente dalla contrattazione collettiva (art. 100 del contratto di categoria) e non è in contrasto con alcuna

norma imperativa inderogabile. D'altra parte, l'attribuzione di tale facoltà alla cassa di rispar

mio non appare irrazionale se si tiene conto che essa è stata esercitata in un concorso diretto ad attribuire il grado di dirigen te sicché la valutazione dei precedenti di carriera, delle capacità direttive, organizzative e professionali dei candidati assume, a ben

ragione, un rilievo considerevole.

Naturalmente una cosa è il potere discrezionale, cosi come

descritto, ed altra cosa è invece l'abuso del potere discrezionale

per fini illegittimi. 4. - Passando ad esaminare le conseguenze della violazione dei

principi di correttezza, buona fede ed imparzialità, in relazione alle domande ed eccezioni delle parti, rileva il giudicante che le conclusioni difformi ed a volte contrastanti cui sono pervenuti i

ricorrenti, i convenuti e gli interventori risentono della complessa

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

e travagliata evoluzione che la questione dei limiti ai « poteri privati » ha avuto in dottrina e giurisprudenza.

Già prima della decisione 5688 del 1979 delle sezioni unite della Cassazione, quando ancora in giurisprudenza si affermava che di fronte ad un potere discrezionale del datore di lavoro stava soltanto l'interesse semplice o di fatto del dipendente, non tutelabile giudiziariamente, la dottrina percorreva la via degli « interessi legittimi nel diritto privato » al fine di individuare forme di tutela per situazioni che altrimenti ne sarebbero state

sprovviste. Altro percorso interpretativo è stato quello della c.d.

procedimentalizzazione dei poteri privati in cui il limite al potere discrezionale del datore veniva individuato nell'obbligo del rispet to delle regole procedurali derivanti da norme di legge o contrat tuali.

La « concezione causale », infine, dei poteri dell'imprenditore, propugnata da autorevole dottrina, era fondata sulla considera zione che ogni atto del datore, anche se espressione di un ampio potere discrezionale, doveva essere adeguato alla funzione che l'ordinamento riservava all'atto stesso. Da ciò, nel caso di abuso del diritto o di abuso del potere discrezionale, la conseguenza che l'atto del datore non poteva ritenersi idoneo a produrre gli effetti che voleva raggiungere. Come si è visto la Suprema corte di cassazione dopo la svolta della sentenza 5688 con la quale per la

prima volta introduceva nella sua giurisprudenza la tematica degli interessi legittimi nel diritto privato, ha successivamente trascura to tale impostazione fondando le successive pronunce sulla base

del vincolo imposto al datore dai principi di buona fede e

correttezza di cui agli art. 1175 e 1375 c.c.

È apparso cosi evidente, come è stato osservato, che « la

configurazione dell'interesse legittimo nel diritto privato finisca

per essere una brillante superfetazione rispetto alla soluzione di casi per i quali poteva essere sufficiente il richiamo al principio di correttezza ».

Ma il nuovo corso giurisprudenziale, per la consueta riluttanza della Suprema corte ad avvalersi fino in fondo delle clausole

generali dell'ordinamento, risente ancora di ambivalenze argomen tative e in numerose decisioni coesistano argomentazioni di preva lente carattere pubblicistico e tematiche interpretative strettamen

te privatistiche mentre in alcuni casi (Cass. 755/82 e Cass.

4250/81, cit.) sembra che la corte accolga, almeno in parte, la

concezione causale degli atti del datore.

5. - Una recente autorevole dottrina, proprio esaminando l'evo

luzione della giurisprudenza della Cassazione ha rappresentato la

necessità del superamento delle argomentazioni di carattere pub blicistico e della riaffermazione delle tecniche privatistiche in

subiecta materia. Da tale premessa, la dottrina in esame ha

desunto, inoltre, che in presenza di scelte imprenditoriali con

ampio margine di discrezionalità viene superata la soglia del

«rapporto». In questa ottica le clausole di buona fede e corret

tezza vengono inserite in un quadro diverso e costituiscono « un

ulteriore fondamento di responsabilità a carico dei soggetti e ciò

accanto al divieto di produrre danni ingiusti (art. 2043 c.c.) ». Ne

deriva che « il terreno della riparazione del danno può essere tale

da accogliere istanze di reintegrazione in forma specifica, ai sensi

dell'art. 2058 c.c.... che troverebbero il loro fondamento nell'esi

genza di ripristinare nel migliore dei modi possibili lo stato quo ante ».

Ritiene il giudicante di condividere senz'altro la impostazione di « difesa della frontiera delle tecniche privatistiche perché allo

stato sono più idonee ad assicurare la soddisfazione di interessi

sostanziali che hanno carattere privato ».

Non ritiene però di accogliere anche la tesi in base alla quale di fronte ad un ampio margine di discrezionalità del datore si

varca la soglia del rapporto, anche se la suggestiva prospettiva di

azioni risarcitorie e di reintegra in forma specifica lascia intrave

dere sbocchi di notevole portata.

Proprio accogliendo indicazioni della stessa dottrina con riferi

mento ad altri esempi di « poteri privati » osserva il giudicante che per la soluzione del problema alla base delle questioni dedotte in giudizio debba considerarsi preliminarmente che la

situazione di potere nella quale viene a trovarsi il datore per effetto delle norme che gli conferiscono ampi spazi di discrezio

nalità ha sempre come naturale contesto il rapporto di lavoro.

Il che determina che nell'esercizio del potere discrezionale « il

datore non solo non è legibus solutus, ma neanche solutus da

quella logica di rapporto » che, nell'insopprimibile esigenza di

contemperamento degli opposti interessi trova la più compiuta

espressione nelle norme contrattuali. Dall'enucleazione di tale

principio discende come ovvia conseguenza che l'atto del datore

in spregio ai doveri di correttezza e buona fede può configurarsi

Il Foro Italiano — 1986.

contestualmente come un inadempimento contrattuale e come una violazione di norme di legge a carattere imperativo.

Va rilevato, peraltro, che il nostro ordinamento prevede altri casi di « poteri privati », che si muovono all'interno del rapporto di lavoro con l'attribuzione di ampi margini di discrezionalità per il datore. Basti pensare al potere disciplinare (art. 2106 c.c. e art. 7 statuto lavoratori) ed al potere sospensivo in tema di cassa

integrazione: in entrambi i casi, a parere del giudicante, l'ottica del rapporto non viene travalicata e l'atto del datore che abbia violato norme imperative è esposto, secondo i principi generali, alla sanzione di nullità (a riguardo v. il dibattito sul caso Alfa Romeo seguito alle ordinanze del Pretore di Milano del 29 luglio 1982, id., Rep. 1982, voce cit., n. 1461; 14 agosto 1982, ibid., n.

1460; 1° settembre 1982, id., 1982, I, 2348, alla decisione del 23 novembre 1982, id., 1983, I, 478 del pretore ed a quella del 27

novembre 1984 del Tribunale di Milano). 6. - Sgombrato il campo da interpretazioni più pertinenti al

diritto amministrativo e restando saldamente nell'ottica del rap porto di diritto privato, la vicenda in esame può avere sbocchi in due direzioni.

Se, come assume la Cassazione, i principi di correttezza, buona fede ed imparzialità non operano soltanto come modalità della

prestazione ma costituiscono anche fondamento e direttive eti co-sociali dell'ordinamento, tanto che il principio di buona fede

deve essere,inteso come principio riequilibratore cardine dell'inte ro ordinamento, ne consegue che la loro violazione si configura come violazione di norme d'ordine pubblico a carattere imperati vo. La sanzione di nullità, ai sensi degli art. 1418 ss. c.c., dell'atto in spregio a tali principi è allora conseguenza inevitabi le. Ciò vale anche se non si è in presenza di materia negoziale, non occorrendo ricorrere alla figura generica della invalidità, atteso che la disposizione dell'art. 1324 c.c. si configura per gli atti unilaterali — come quelli in esame — come strumento di

attuazione dei principi previsti dagli art. 1175 e 1375 c.c.

Contestualmente la violazione degli art. 1175 e 1375 c.c. si

configura come un inadempimento contrattuale, atteso che le norme in esame sono anche elementi che caratterizzano la moda lità delle prestazioni dovute, che può dar luogo ad azioni

risarcitorie. In tema di concorso interno, per completezza di esposizione va

rilevato inoltre che, anche indipendentemente dagli art. 1175 e 1375 c.c., la valutazione dei requisiti dei candidati scorretta o non imparziale costituisce un inadempimento da parte del datore

degli impegni assunti con il bando di concorso {sia che questo si

consideri una promessa al pubblico, sia che si consideri un'offerta al pubblico: per la differenza v. Cass. 19 gennaio 1985, n. 171, id., 1985, I, 2026) atteso che la valutazione imparziale dei concorrenti è elemento essenziale ed indispensabile della fattispecie concorsuale. Ove si volesse accogliere la dottrina della « concezione causale » de

gli atti discrezionali del datore, in tal caso, si dovrebbe pervenire ad una conclusione di nullità dell'atto, per il difetto della causa, in

quanto l'atto non corrisponde alla funzione assegnatagli dall'or

dinamento. 7. - Dalle conclusioni esposte consegue che il giudice deve

pronunciare la nullità di quegli atti che violano quel principio di

correttezza, cardine dell'intero ordinamento (nel caso di specie l'attribuzione del punteggio attitudinale ai candidati e di con

seguenza la graduatoria finale), dovendosi modificare sul punto le

conclusioni della citata sentenza della Pretura di Cosenza dell'8 ottobre 1980.

Ciò non perché, come sostiene la cassa di risparmio, al pari del

giudice amministrativo il giudice ordinario può tutelare gli inte ressi legittimi nel diritto privato solo con pronunce di annullamen to ma perché l'uso scorretto del potere discrezionale della cassa di risparmio si pone in contrasto con norme imperative dell'ordi

namento.

Comunque, al di là dei percorsi interpretativi seguiti non pare possano sussistere dubbi sul potere del giudice di intervenire

con provvedimenti demolitori che la Cassazione ha sempre affer

mato anche se con terminologia ambivalente e con l'uso di

diversi termini quali nullità, annullamento, invalidità, ecc.

Vanno disattese, quindi, le osservazioni della difesa dei vincito

ri del concorso che, pur restando correttamente nell'ottica del

diritto privato, sostiene che dalla violazione dei criteri di corret

tezza e buona fede può derivare soltanto un'azione risarcitoria.

La tesi non può essere accolta perché imperniata sul presup

posto che i principi di buona fede e correttezza sono esclusiva

mente criteri di modalità della prestazione dovuta e, quindi,

agiscono come limitata fonte di integrazione dell'autonomia priva ta nell'ambito del rapporto contrattuale mentre — come si è visto — essi costituiscono fondamento e direttive etico-sociali dell'ordì

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1723 PARTE PRIMA 1724

namento ed implicano necessariamente il travolgimento dell'atto

privato che se ne discosti. Vanno, quindi, accolte le domande di

quanti hanno chiesto la declaratoria di nullità della graduatoria finale del concorso, mentre devono essere disattese tutte le istanze

che con diverse argomentazioni e valutazioni tendono ad ottenere

il riconoscimento giudiziario del diritto alla promozione al grado di dirigente.

È, infatti, senz'altro preclusa al giudice la possibilità di sostituir

si all'ente pubblico nel compimento delle operazioni di scelta o

di valutazione dei candidati (Cass. 3675/83, cit.), sicché in tale

materia sono ipotizzabili soltanto provvedimenti giudiziari demoli

tori e non anche provvedimenti che, in qualsiasi modo, accertata

la sussistenza di determinati requisiti dei candidati, assumano per alcuni la veste costitutiva del diritto alla promozione.

Ques'ultima conseguenza potrebbe verificarsi soltanto ove dalla

pronuncia di nullità di un atto del datore deriverebbe come

conseguenza automatica e necessaria la promozione di altri can

didati in precedenza pretermessi.

Tale non è certamente il caso in esame in cui alcuni ricorrenti

ed interventori chiedono in sostanza al giudice un intervento

ricostruttivo della loro capacità professionale al fine di un'utile

collocazione in graduatoria. Tanto meno possono essere accolte tali domande allorché si

fondano sulla considerazione che se ai vincitori di concorso sono

stati attribuiti sette punti, nel punteggio discrezionale, altrettanti

avrebbero dovuto essere attribuiti ad altri candidati. La estensio

ne ad altri, infatti, di una valutazione adottata in violazione dei

criteri di correttezza e buona fede non potrebbe mai produrre, infatti, il ripristino di una situazione di legittimità.

Alla luce di ciò non può essere accolta neppure la domanda di

Summaria Corrado, il quale ha chiesto al giudice di dichiarare

nullo quel segmento di punteggio attitudinale elargito illegittima mente in più vincitori di concorso nel 1979, rispetto al punteggio da loro conseguito nel 1977. Con la conseguenza che per indivi duare coloro che dovrebbero essere considerati vincitori del

concorso del 1979 si dovrebbe tener conto del punteggio fisso

attribuito nel 1979 al quale dovrebbe aggiungersi il punteggio attitudinale attribuito nel 1977, per coloro i quali avevano parte cipato ad entrambi i concorsi.

Questa complicata soluzione, anche se non impone espressa mente al giudice di effettuare una valutazione delle attitudini

professionali dei candidati al concorso e non chiede l'attribuzione di un nuovo e diverso punteggio discrezionale, in sostanza, finisce

sempre col richiedere al giudice di stabilire quale avrebbe dovuto

essere, per alcuni candidati, il corretto punteggio attitudinale nel

1979. E ciò, come si è già detto, esula dai compiti del giudice. Fra l'altro, espunto dal punteggio attitudinale dei vincitori il

segmento immotivamente eccedente rispetto al punteggio del 1977, in base a quali elementi il giudice avrebbe dovuto affermare che

il punteggio da attribuire nel 1979 doveva essere identico a quello del 1977?

Se è pur vero che nulla in atti e nei fascicoli personali dei

vincitori di concorso spiega il perché del balzo in avanti tra il

1977 ed il 1979, come si è già visto, è anche vero che nulla esclude

che Sgambellone e gli altri sei avrebbero potuto avere nel 1979, in base a valutazioni comparative corrette, un punteggio discre

zionale diverso, seppur di poco, da quello ottenuto nel 1977. Ciò

del resto, è avvenuto per altri candidati non vincitori (Ricupero, Pellicano, Lione, Piane), sempre senza motivazione. In ogni caso,

quindi, l'assenza di motivazione e l'impossibilità di una valida

comparazione tra le singole posizioni non consentono di prendere in

considerazione, soprattutto ai fini indicati dal Summaria, il punteg

gio attitudinale attribuito a tutti i candidati nel 1979.

8. - La declaratoria di nullità della graduatoria finale comporta la nullità della nomina a dirigente di Sgambellone Mario, Bruz

zano Bruno, Benvenuto Giovanni, Maradei Alfredo, Vidiri Ma

rio, Sapio Antonio e Marrazzini Edmondo, in quanto diretta

conseguenza di un atto nullo che necessariamente la travolge, fermi restando, come meglio si vedrà in seguito, gli effetti di cui

all'art. 2126 c.c.

Va accolta, pertanto, in questo senso la domanda avanzata in

via subordinata dalla cassa di risparmio e gli effetti sul piano

pratico non mutano anche se questa domanda dovesse essere

intesa come un'azione di annullamento del contratto che ha

attribuito la qualifica di dirigente ai vincitori di concorso per errore di diritto ai sensi degli art. 1428 e 1429, n. 4, c.c. (per una tematica del genere v. Trib. Palermo 28 marzo 1981, id.,

Rep. 1981, voce cit., n. 1036). La nullità della graduatoria finale non travolge però l'intera

procedura del concorso.

Il Foro Italiano — 1986.

Per effetto degli impegni assunti col bando di concorso del

dicembre 1979, che mantiene la sua validità, la cassa di risparmio sarà tenuta a scrutinare nuovamente tutti i candidati al fine di

procedere ad una corretta attribuzione del punteggio discrezioni!

le, dopo un'imparziale comparazione dei loro requisiti, ed alla

nomina dei sette vincitori così come previsto nel bando, con

effetti giuridici ed economici che dovranno risalire alle date

previste dal bando stesso. Naturalmente in sede di rinnovo del

concorso la posizione di quanti sono stati nel frattempo collocati

a riposo per limiti di età sarà riesaminata solo allo scopo di

accertare se una corretta attribuzione del punteggio discrezionale

nel 1979 avrebbe determinato la loro promozione al grado di

dirigente. In caso positivo essi sarebbero infatti legittimati ad

agire successivamente in giudizio per ottenere il risarcimento dei

danni determinabili nelle differenze retributive nel corso del

rapporto e nelle differenze economiche relative al trattamento di

fine rapporto ed al trattamento di quiescenza.

9. - I ricorrenti Summaria e Losso, nonché Ricupero Piluso,

Stumpo e Roberti, nei loro atti di intervento hanno chiesto, in

via principale o subordinata, la condanna della cassa di risparmio al risarcimento dei danni in loro favore.

Si è già visto come una richiesta in tal senso non sia

incompatibile con un'azione diretta ad ottenere una pronuncia di

nullità di un atto del datore in violazione di norme imperative

giacché è perfettamente ipotizzabile che tale atto, nullo perché in

violazione dei principi di correttezza e buona fede, costituisca

anche un inadempimento contrattuale, consistente nel mancato

rispetto delle modalità della prestazione che il datore si era

impegnato a fornire con la promessa al pubblico.

Ma, nel caso in esame, i danni risarcibili non possono essere

commisurati, come pretendono gli attori ed interventori, alla

diminuzione patrimoniale subita per la mancata promozione. Perché ciò possa avvenire infatti occorrerebbe accertare prelimi narmente che Ricupero, Summaria, Losso, Piluso, Stumpo e

Roberti avrebbero avuto diritto nel 1979 alla promozione al

grado di dirigente. Ma l'accertamento del loro diritto alla promo zione è precluso al giudice per i motivi già esposti. D'altra parte, la pronuncia di nullità della graduatoria finale e l'accertato

obbligo della cassa di risparmio di rinnovare il concorso ai sensi

e per gli effetti del bando di concorso del dicembre 1979 garantisce tutti i candidati (per i quali sarà accertato il loro diritto alla

promozione) per il danno subito per la mancata percezione della

più elevata retribuzione relativa al grado di dirigente, non avendo

perso definitivamente le loro chances a riguardo. Ne consegue che i danni già individuati e determinati in questo

giudizio sono di ben altra natura e più ridotta portata. In sostanza, possono ricomprendere soltanto le altre conseguen

ze patrimoniali derivanti dalla partecipazione al concorso quali ad es. gli oneri e le spese sostenute (v. a proposito Pret. Roma 14 gennaio 1981 e Trib. Roma 17 febbraio 1982) nonché il

pregiudizio, economicamente valutabile anche equitativamente, ai sensi dell'art. 1226 c.c., che i candidati hanno subito sotto il

profilo del depauperamento dell'immagine professionale all'interno dell'istituto bancario e nei confronti dei colleghi per effetto della violazione dei criteri di buona fede e correttezza nella valutazio ne delle loro attitudini e delle capacità organizzative, direttive, culturali, ecc., indipendentemente dal diritto alla promozione o meno.

Per la quantificazione di tali danni, ritiene il giudicante che il

processo debba proseguire ai sensi dell'art. 278 c.p.c. per acquisi re ulteriori elementi per una definitiva liquidazione, mentre può essere pronunciata, con sentenza parziale, la condanna generica della cassa di risparmio al risarcimento dei danni in favore di

Piluso Elio, Summaria Corrado, Ricupero Giuseppe, Stumpo Giu

seppe, Roberti Raffaele e Losso Faust, che ne hanno fatto

richiesta. 10. - I vincitori di concorso costituiti in giudizio hanno chiesto

— in via subordinata — che il pretore accertasse il loro diritto

alla conservazione del grado di dirigente, anche in caso di

declaratoria di nullità o di annullamento della loro nomina a

dirigente quali vincitori di concorso, in virtù del principio sancito

dall'art. 2103 c.c., modificato dall'art. 13 dello statuto dei lavo

ratori, avendo essi svolto dopo la nomina le mansioni di dirigente

per oltre tre mesi.

La domanda non può essere accolta per due ordini di motivi:

a) ai sensi dell'art. 97 del contratto di categoria sono dirigenti coloro che « in relazione al grado gerarchico ed alle strutture

aziendali siano dagli istituti cui appartengono ritenuti come tali ».

L'allegato c) al contratto prevede per la Cassa di risparmio di

Calabria e di Lucania il grado di dirigente per il direttore

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

generale ed il vice direttore generale ed individua altresì i

dirigenti di gruppo I ed i dirigenti di gruppo II.

Non esiste in contratto un « mansionario » dei dirigenti, per cui, se si eccettuano le funzioni di direttore generale e di vice direttore generale, non è possibile individuare quali siano concre tamente le mansioni riservate dalla contrattazione ai dirigenti.

Non a caso i vincitori di concorso non hanno per nulla

specificato quali sarebbero state le mansioni da loro svolte che avrebbero comportato il diritto all'acquisizione del grado superio re ai sensi dell'art. 13 dello statuto dei lavoratori. È sufficiente, peraltro, esaminare i loro fascicoli personali per constatare che tutti hanno continuato per lungo tempo a svolgere, anche dopo il dicembre 1979, le stesse mansioni che svolgevano in precedenza e che tali compiti, come gli altri svolti negli anni successivi — ivi

comprese le più alte funzioni — possono essere ricompresi nelle

qualifiche di funzionario o di funzionario capo servizio. Vien

meno, quindi, il presupposto di fatto su cui i vincitori di concorso fondano la loro richiesta; b) ma la domanda è infonda ta anche in diritto in quanto impropriamente è stata invocata

l'applicazione dell'art. 13 alla fattispecie.

Questa norma sancisce l'adeguamento del diritto alla situazione di fatto, per cui, nel caso di espletamento per oltre tre mesi di mansioni superiori consegue l'acquisizione del diritto all'in

quadramento nella qualifica corrispondente alle mansioni svolte.

Presupposto indispensabile per l'applicazione della norma è,

quindi, una situazione di fatto (l'espletamento di mansioni supe riori) che deve necessariamente precedere il riconoscimento del

diritto alla qualifica superiore. Nel caso di specie, si è in

presenza di una situazione opposta.

Sgambellone, Bruzzano, Benvenuto, Maradei, Vidiri, Sapio e Marrazzini hanno dapprima acquisito la qualifica di dirigente quali vincitori di concorso (senza aver svolto in precedenza mansioni superiori al loro grado) ed è irrilevante se successiva mente a tale nomina abbiano svolto mansioni di dirigente (fra l'altro, come si è visto, neppure questo è avvenuto).

La fattispecie è del tutto diversa da quella designata dall'art. 13 dello statuto dei lavoratori che ha ben altra ratio e che non

può essere considerata una norma di chiusura e di salvaguardia, in ogni caso, di situazioni giuridiche acquisite, come pretendono in vincitori di concorso costituiti in giudizio. Se si accogliesse questa tesi l'art. 13 dello statuto dei lavoratori scardinerebbe il

sistema delle nullità del nostro ordinamento e si avrebbe l'intolle

rabile conseguenza che la declaratoria di nullità della nomina dei vincitori di un concorso, per effetto di una sentenza passata in

giudicato che abbia accertato la violazione di norme imperative, non produrrebbe alcun effetto pratico, vanificandosi cosi l'eserci

zio stesso della giurisdizione, atteso che l'applicazione del citato art. 13, anche dopo una pronuncia di nullità, lascerebbe in ogni caso le cose al punto di prima.

Va quindi riaffermata la nullità della nomina a dirigente dei

vincitori del concorso del 1979 per i motivi in precedenza esposti.

11. - Da ciò non consegue però, come assume la cassa di

risparmio, che i vincitori del concorso dichiarato nullo siano

tenuti a restituire le differenze retributive tra il grado di dirigente e quello di funzionario capo-servizio percepite dal 1979. Nell'am

bito del rapporto di lavoro subordinato, infatti, vige il principio

previsto dall'art. 2126 c.c., in base al quale la nullità o l'annulla

mento del contratto non produce effetti per il periodo in cui il

rapporto ha avuto esecuzione. Nel caso di specie va rilevato che

il « rapporto di lavoro da dirigente » tra Sgambellone e gli altri

sei e la cassa di risparmio ha avuto inizio ed esecuzione fin dalla

fine del dicembre 1979, giacché da tale data, indipendentemente dalle mansioni concretamente svolte, i vincitori del concorso sono stati considerati ed inquadrati a tutti gli effetti come dirigenti dalla cassa di risparmio. Da ciò consegue che, dichiarata ai sensi

degli art. 1418 e 1419 c.c. la nullità della gradutatoria finale del

concorso e della nomina a dirigente dei vincitori, questi avranno diritto a mantenere il trattamento economico complessivo relativo

al grado di dirigente già percepito e quello tuttora goduto fino a

quando il loro rapporto da dirigente avrà esecuzione e, cioè,

probabilmente, fino a quando la decisione che dichiara la nullità

non sarà passata in giudicato. (Omissis)

Il Foro Italiano — 1986.

PRETURA DI VICENZA; sentenza 16 novembre 1985; Giud.

Schiavone; Soc. Vicentini (Avv. Zilio) c. Falda e Soc. S.a.i. -

Assicuratrice industriale (Avv. Zenoni, Altichieri).

PRETURA DI VICENZA;

Responsabilità civile — Infortunio del dipendente per fatto

illecito del terzo — Danno al datore di lavoro — Pagamento di ratei di gratifica, indennità, premi, trattamento di fine

rapporto e contributi previdenziali (Cod. civ., art. 2043, 2110,

2120).

In caso di invalidità temporanea e assoluta del dipendente, causata dalla condotta colposa del terzo, il datore di lavoro ha diritto al risarcimento dei ratei di gratifica, indennità, premi, quote di trattamento di fine rapporto e dei contributi previden ziali maturati nello stesso periodo. (1)

Fatto e diritto. — Con l'atto introduttivo del presente giudizio la ditta Vicentini officine e fonderie di Cavazzale s.p.a., espo nendo di avere provveduto a termini di contratto alla integrazio ne della indennità corrisposta dall'I .n.p.s. al dipendente Panozzo Vito durante un periodo di assenza dal lavoro per invalidità

temporanea determinata da lesioni riportate in un incidente strada le provocato dal sig. Falda Beniamino e di avere subito una

perdita complessiva di lire 2.476.380, ha chiesto la condanna del

sig. Falda in solido con la S.a.i. s.p.a., assicuratrice della respon sabilità civile, al risarcimento del danno, come sopra quantificato. Costituitasi in giudizio, i convenuti si son dichiarati disposti a

pagare la minor somma di lire 841.600, pari a quanto corrisposto dalla attrice a titolo di integrazione delle retribuzioni mensili maturate durante il periodo di invalidità del dipendente, mentre hanno contestato la computabilità, ai fini del preteso risarcimento, delle ulteriori voci esposte dalla attrice, relative ai ratei di

gratifica natalizia, ferie, festività soppresse e premio maturati durante il periodo di invalidità, alla quota di trattamento di fine

rapporto relativa al medesimo periodo ed ai contributi previden ziali. (Omissis)

Osserva a questo punto il pretore: premesso che la responsabi lità del sig. Falda nella causazione dell'incidente che ha determi nato l'invalidità del sig. Panozzo è pacifica e che tra le parti non v'è controversia, in linea di diritto, sulla nota questione della risarcibilità del danno risentito dal datore di lavoro per l'invalidi tà del dipendente determinata dal fatto illecito del terzo, nel caso in esame si deve unicamente decidere se la pretesa risarcitoria della ditta attrice, che secondo i convenuti sarebbe fondata negli stretti limiti delle somme corrisposte al dipendente a titolo di

integrazione della retribuzione mensile dovuta nel periodo di in

validità, possa estendersi anche agli ulteriori oneri rimasti a suo carico sotto forma di ratei di gratifiche, indennità e premi, di quota di trattamento di fine rapporto e di contributi previdenziali.

È noto che la giurisprudenza della Suprema corte ha finora escluso dall'area della risarcibilità i pagamenti e gli oneri privi di funzione retributiva, quelli, cioè, che non sono in rapporto di

corrispettività con la prestazione di lavoro (Cass. 30 ottobre 1984, n. 5562, Foro it., 1985, I, 149). Già sulla scorta di tale insegna mento — che pure, come si vedrà, è ingiustificatamente limitativo — si può cogliere l'errore insito nella affermazione dei convenuti secondo cui nel conto del danno non dovrebbero configurare i ratei di gratifiche, indennità e premi che vengono corrisposti non con la retribuzione mensile ma a parte, siccome attinenti « ad un'area retributiva generalizzata e non sinallagmaticamente legata in senso stretto al periodo di inabilità temporanea ». È una

affermazione, questa, priva di fondamento giuridico. È pacifico che la retribuzione non si identifica nel solo stipendio o salario

mensile e neppure i convenuti contestano che anche le gratifiche, le indennità a premi di cui si discute attengono all'area retributi

(1) Ormai pacifico in giurisprudenza il diritto del datore di lavoro al risarcimento delle somme corrisposte, a titolo di retribuzione, al dipendente infortunato per fatto illecito del terzo — ed infatti sul

punto non è sorta alcuna contestazione in causa —, la frontiera calda è ora assestata sul problema della risarcibilità delle somme corrisposte dal datore ad altro titolo (contributi assicurativi, previdenziali, ecc.). La decisione in epigrafe si pronuncia positivamente, come larga parte della giurisprudenza di merito; ma è noto che la Cassazione, ogni qualvolta ha avuto modo di pronunciarsi in proposito, ha sempre dato una risposta negativa. Da ultimo v. Cass. 26 agosto 1985, n. 4550, Foro it., 1985, I, 2886, con nota di R. Pardolesi, Invalidità tempora nea del dipendente, illecito del terzo, rivalsa del datore di lavoro (ovvero: l'analisi economica del diritto in Cassazione), cui ad de App. Torino 12 gennaio 1984, Giur. piemontese, 1985, 84, in senso conforme alla presente decisione. In dottrina v. altresì M. Antinozzi, Ancora una volta sulla tutela del datore di lavoro per lesioni al proprio dipendente, in Dir. e pratica assic., 1985, 315.

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