sentenza 27 aprile 1995, n. 134 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 3 maggio 1995, n. 18);Pres. Baldassarre, Est. Cheli; Pres. cons. ministri (Avv. dello Stato O. Russo) c. RegioneBasilicata. Giudizio di legittimità costituzionale in via principaleSource: Il Foro Italiano, Vol. 118, No. 7/8 (LUGLIO-AGOSTO 1995), pp. 2047/2048-2049/2050Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23193324 .
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2047 PARTE PRIMA 2048
del «giuramento» con formule diverse, quali l'«impegno» o la
«promessa»; la previsione di una formula unica ovvero la pre determinazione di due o più formule alternative la cui scelta
fosse personalmente demandata al testimone, ecc.), ha dichiara
to, con la sentenza n. 234 del 1984 (id., 1984, I, 2675), l'inam missibilità delle questioni allora sollevate. Analoga pronunzia è stata resa da questa corte, l'anno dopo, riguardo a un'identi
ca questione sollevata nei confronti delle norme sul giuramento del testimone nel processo penale (v. ordinanza n. 278 del 1985,
id., Rep. 1986, voce Testimonianza in materia penale, n. 3). 3. - Successivamente alle dècisioni ora ricordate, il legislato
re, adottando il nuovo codice di procedura penale, è intervenu
to sul problema escludendo l'opzione, pur non incompatibile con i principi costituzionali, implicante la predeterminazione le
gislativa di formule di «impegno» o di «promessa» accanto a
quella di «giuramento» al fine di lasciare alla libertà dei singoli testimoni la scelta dell'una o dell'altra formula in armonia con
le proprie convinzioni morali o religiose. In luogo di questa
opzione, vigente in altri ordinamenti, il facitore del codice di
procedura penale del 1988 ha scelto la soluzione legislativa di
un'unica formula (art. 497 c.p.c.) contenente l'«impegno» so
lenne del teste a dire la verità, nella quale, «in omaggio alla
tutela della libertà di coscienza», come si legge nella «relazione
al progetto», il testimone, dopo essere stato avvertito dal giudi ce relativamente all'obbligo di dire la verità e alle responsabilità
previste dalla legge penale per i testimoni falsi o reticenti, è
invitato a rendere la seguente dichiarazione: «Consapevole della
responsabilità morale e giuridica che assumo con la mia deposi
zione, mi impegno a dire tutta la verità e a non nascondere
nulla di quanto è a mia conoscenza».
In conseguenza di questa scelta del legislatore, limitata al so
lo processo penale, il giudice a quo ritiene che si sia creata nel
l'ordinamento un'irragionevole differenziazione in danno della
disciplina normativa prevista per l'esame dei testimoni nel pro cesso civile, disciplina tuttora basata sulla formula di giuramen to comune ai due processi anteriormente all'emanazione del nuo
vo codice di procedura penale. Infatti, secondo il giudice rimet
tente, si è venuta a determinare una differente tutela del valore
costituzionale della libertà di coscienza nei preliminari della te
stimonianza nei due distinti procedimenti, per il fatto che, di
versamente da quanto è garantito ai testimoni nel processo pe
nale, a coloro che sono chiamati a testimoniare nel processo civile non è evitato il rischio di essere sottoposti a gravi turba
menti di coscienza a causa del conflitto interno fra il dovere
civile di contribuire all'accertamento della verità giudiziale e il
dovere morale di osservare un imperativo religioso da essi con
diviso (con conseguente pregiudizio, nei casi di rifiuto a testi
moniare, nei confronti del diritto di difesa, sotto specie di dirit
to alla prova). Ed invero l'asimmetria sussistente nell'ordinamento quanto
alla differente tutela accordata alla libertà di coscienza del testi
mone nel processo penale e in quello civile manifesta un'irra
gionevole disparità di trattamento in relazione alla protezione di un diritto inviolabile dell'uomo, la libertà di coscienza, che, come tale, esige una garanzia uniforme o, almeno, omogenea nei vari ambiti in cui si esplica.
Né, d'altra parte, può logicamente affermarsi che la diversità
di trattamento contestata sia giustificabile in dipendenza della
differente struttura dei due procedimenti, dal momento che, co
me ha già implicitamente ammesso questa corte con la sentenza n. 117 del 1979 allorché ha esteso la declaratoria d'incostituzio
nalità della disciplina processual-civilistica a quella processual
penalistica, il trattamento normativo del giuramento del testi
mone nei due distinti procedimenti concerne aspetti comuni o,
comunque, omogenei. Infatti, come ha correttamente ricordato
il giudice a quo, identica è nei due casi la ratio legis (spronare il teste a dire la verità) e identiche sono le conseguenze penali
per chi si rifiuta, nell'uno o nell'altro dei processi, di prestare
giuramento. Il particolare profilo sottoposto al presente giudizio, cioè l'ir
ragionevole disparità di trattamento in relazione alla garanzia della libertà di coscienza religiosa, non consente di oltrepassare i confini del giuramento del testimone e di affrontare il proble ma del giuramento in generale (anche alla luce dell'art. 54 Cost.).
Tuttavia, non è senza significato sottolineare che la soluzione
prescelta dal legislatore per il processo penale — nella specie assunta come tertium comparationis — rappresenta un'attua
II Foro Italiano — 1995.
zione, fra quelle possibili, del «principio supremo della laicità
dello Stato, che è uno dei profili della forma di Stato delineata
nella Carta costituzionale della repubblica»: un principio che
«implica non indifferenza dello Stato dinanzi alle religioni, ma garanzia dello Stato per la salvaguardia della libertà di religio
ne, in regime di pluralismo confessionale e culturale» (v. sen tenza n. 203 del 1989, id., 1989, I, 1333, nonché sentenze nn.
195 del 1993, id., 1994,1, 2926 e 259 del 1990, id., 1991,1, 3028). Pertanto, al fine di assicurare tale pari tutela al valore della
libertà di coscienza riguardo all'obbligo del testimone di impe
gnarsi a dire la verità, si impone l'estensione all'art. 251, 2°
comma, c.p.c. della disciplina e della formula previste dall'art.
497, 2° comma, c.p.p., le quali sono scevre da qualsiasi riferi
mento a prestazioni di giuramento. Di modo che, a seguito di
questa pronunzia di accoglimento, l'art. 251, 2° comma, c.p.c. risulta cosi formulato: «Il giudice istruttore avverte il testimone
dell'obbligo di dire la verità e delle conseguenze penali delle
dichiarazioni false e reticenti e lo invita a rendere la seguente dichiarazione: "Consapevole della responsabilità morale e giu ridica che assumo con la mia deposizione, mi impegno a dire
tutta la verità e a non nascondere nulla di quanto è a mia cono
scenza"».
Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara l'illegitti mità costituzionale dell'art. 251, 2° comma, c.p.c.:
a) nella parte in cui prevede che il giudice istruttore «ammo
nisce il testimone sull'importanza religiosa, se credente, e mora
le del giuramento e sulle», anziché stabilire che il giudice istrut
tore «avverte il testimone dell'obbligo di dire la verità e delle»;
b) nella parte in cui prevede che il guidice istruttore «legge la formula: "Consapevole della responsabilità che con il giura mento assumete davanti a Dio, se credente, e agli uomini, giu rate di dire la verità, null'altro che la verità"», anziché stabilire
che il giudice istruttore «lo invita a rendere la seguente dichia
razione: "Consapevole della responsabilità morale e giuridica che assumo con la mia deposizione, mi impegno a dire tutta
la verità e a non nascondere nulla di quanto è a mia cono
scenza"»;
c) nella parte in cui prevede: «Quindi il testimone, in piedi,
presta il giuramento pronunciando le parole: "lo giuro"».
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 27 aprile 1995, n. 134
(<Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 3 maggio 1995, n. 18); Pres. Baldassarre, Est. Cheli; Pres. cons, ministri (Aw. dello
Stato O. Russo) c. Regione Basilicata. Giudizio di legittimità
costituzionale in via principale.
Regione in genere e regioni a statuto ordinario — Basilicata — Personale appartenente ai ruoli tecnici o atipici — Rein
quadramento — Assimilazione al personale docente di for
mazione professionale — Incostituzionalità (Cost., art. 3, 97).
È illegittima, per violazione degli art. 3 e 97 Cost., la legge della regione Basilicata riapprovata dal consiglio regionale il
15 novembre 1994 che, nel prevedere il reinquadramento del
personale trasferito alla regione per effetto del d.p.r. 616/77,
appartenente ai ruoli tecnici o atipici degli enti di provenienza con mansioni di educatore o di assistente sociale, ne dispone l'immissione negli stessi livelli funzionali del personale docen
te di formazione professionale. (1)
(1) La corte censura, ancora una volta, la normativa regionale in tema di inquadramento del personale dipendente non sorretta da criteri di logicità e contrastante con principi perequativi: per riferimenti si ve
dano, fra le altre, Corte cost. 24 gennaio 1989, n. 21 e 24 gennaio 1989, n. 19, Foro it., 1989, I, 1370 (che hanno ritenuto illegittime leggi regionali con le quali, rispettivamente, si disponeva un nuovo inquadra mento del personale proveniente dallo Stato, in posizioni di carriera
atipiche, nella carriera immediatamente superiore, a domanda e senza la valutazione delle funzioni svolte, ovvero si disponeva il passaggio
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Diritto. — 1. - Forma oggetto del presente giudizio la legge della regione Basilicata recante «norme di perequazione per il
personale destinatario della 1. reg. 23 dicembre 1982 n. 41, con
cernente l'inquadramento del personale messo a disposizione della
regione ai sensi del d.p.r. 24 luglio 1977 n. 616», approvata dal consiglio regionale il 21 giugno 1994 e riapprovata, a segui to di rinvio governativo, il 15 novembre 1994.
Ad avviso del ricorrente, la legge impugnata risulterebbe lesi
va degli art. 3, 97 e 117 Cost, per il fatto di prevedere a favore
del personale trasferito alla reigone per effetto del d.p.r. n. 616
del 1977, appartenente ai ruoli tecnici o atipici degli enti di pro venienza con mansioni di educatore o di assistente sociale —
personale già inquadrato, con 1. reg. n. 41 del 1982, nel quinto livello funzionale e poi reinquadrato, con 1. reg. n. 6 del 1984, nel sesto livello — il reinquadramento negli stessi livelli funzio
nali attribuiti al personale docente dei corsi di formazione pro fessionale ai sensi dell'art. 21 1. reg. 10 luglio 1981 n. 18 e del
l'art. 7 1. reg. 22 febbraio 1980 n. 11. 2. - La questione è fondata.
La legge impugnata, intervenendo, a distanza di oltre un de
cennio, a modificare gli inquadramenti del personale rifluito nel
ruolo regionale a seguito del d.p.r. n. 616 del 1977, intende
equiparare al personale docente addetto alle attività di forma
zione professionale la categoria degli educatori ed assistenti so ciali già appartenenti ai ruoli tecnici o atipici degli enti di pro venienza. Come rileva il ricorrente, tale categoria di dipendenti
risulta, peraltro, caratterizzata da profili professionali che non
appaiono comparabili con quelli propri del personale docente
della formazione professionale, cui la legge regionale ha affida
to «attività di insegnamento teorico (cultura generale, lingua, ecc.)», richiedendo allo stesso «in stretta connessione con le ca
ratteristiche dell'insegnamento da impartire, una preparazione di base corrispondente a quella stabilita per analoghi insegna menti teorici nella scuola media unica o in istituzioni scolasti
che di livello superiore» (v. art. 7 1. reg. 22 febbraio 1980 n. 11). L'assimilazione operata dalla legge impugnata si presenta, per
tanto, priva di ragionevole giustificazione e lesiva dei principi di cui agli art. 3 e 97 Cost., dal momento che tende indebita
mente ad unificare, dietro un conclamato ma non dimostrato
fine perequativo, categorie di personale non equiparabili nelle
mansioni e nei profili professionali e che, in ragione della loro
diversità, sono state sempre, fin dal loro primo inquadramento nel ruolo regionale, distintamente regolate dalla normativa in
tervenuta nel settore.
Si aggiunga che la legge in esame ha inteso altresì operare un reinquadramento generalizzato ed automatico della catego ria in questione ad un livello superiore, prescindendo completa mente dalla valutazione delle mansioni concretamente svolte in
precedenza dai singoli componenti la stessa categoria. Nella specie
l'esigenza di una simile valutazione veniva, invece, a imporsi anche in relazione al fatto che la stessa legge assumeva a pro
prio oggetto una categoria professionale che, per la sua atipici
tà, risultava caratterizzata da parametri differenziati di profes sionalità non riconducibili alle tradizionali carriere amministra tive dell'ente di appartenenza (v. sent. n. 21 del 1989, Foro
it., 1989, I, 1370). Dal che l'ulteriore violazione dei parametri
rappresentati negli art. 3 e 97 Cost. Resta assorbita la censura prospettata in relazione all'art. 117
Cost.
Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara l'illegitti mità costituzionale della legge della regione Basilicata intitolata
«norme di perequazione per il personale destinatario della 1.
23 dicembre 1982 n. 41, concernente l'inquadramento del per sonale messo a disposizione della regione ai sensi del d.p.r. 24
luglio 1977 n. 616», riapprovata dal consiglio regionale il 15
novembre 1994.
di alcune categorie di personale ad una fascia funzionale superiore sulla
base del solo parametro automatico dell'anzianità di servizio); Corte cost. 3 aprile 1987, n. 99 e 31 dicembre 1986, n. 317, id., 1987, I, 1676 (che hanno, invece, ritenuto legittime disposizioni di leggi regiona li di accorpamento in un'unica qualifica di personale proveniente da
enti soppressi e di unificazione nell'unica qualifica di «direttore di di
partimento» delle qualifiche statali di «dirigente generale» e di «diri
gente superiore»). Per ogni riferimento in materia di inquadramento nei ruoli regionali di personale proveniente dallo Stato e da altri enti
pubblici e sui limiti della potestà legislativa regionale in materia di di
sciplina del personale, secondo i principi dettati dalla 1. 93/83, si veda
no le note di richiami alle sentenze citate.
Il Foro Italiano — 1995.
I
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 30 marzo 1995, n. 94
(<Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 15 aprile 1995, n. 14); Pres. ed est. Baldassarre; Commissario dello Stato per la
regione siciliana (Aw. dello Stato Fiorilli) c. Regione sicilia na (Aw. Torre, Castaldi, Pitruzzella).
Corte costituzionale — Giudizio sulle leggi promosso in via prin
cipale — Impugnazione di legge regionale per contrasto con
regolamento comunitario — Ammissibilità (Cost., art. 134).
È ammissibile l'impugnativa promossa in via principale dal go verno avverso la legge regionale, non ancora entrata in vigo
re, per presunto contrasto con la normativa comunitaria. (1)
II
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 10 novembre 1994, n.
384 (Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 16 novembre 1994, n. 47); Pres. Casavola, Est. Guizzi; Pres. cons, ministri (Aw. dello Stato Braguglia) c. Regione Umbria (Avv. Pedetta,
Predieri).
Corte costituzionale — Giudizio sulle leggi promosso in via prin
cipale — Impugnazione di legge regionale per contrasto con
regolamento comunitario — Ammissibilità (Cost., art. 134).
È ammissibile l'impugnativa promossa in via principale dal go verno avverso la legge regionale, non ancora entrata in vigo re, che si sospetti in contrasto con la normativa comu
nitaria. (2)
(1-7) Le due pronunzie sono riportate rispettivamente in Foro it., 1995, I, 1081 e 1994, I, 3289.
Se ne riproducono ora due massime per consentire la pubblicazione della nota di A. Barone.
# * *
La Corte costituzionale ritorna sui rapporti fra diritto comunitario e diritto interno.
1. - Le sentenze massimate risultano, in parte qua, uguali ed espressi ve di un orientamento univoco: identico il principio enunciato, identico il «contesto» processuale — giudizio di costituzionalità promosso in
via principale avverso una legge regionale — nel quale sono state pro nunciate. In entrambe la corte sancisce l'ammissibilità delle questioni di costituzionalità delle deliberazioni legislative regionali ritenute in con
trasto con norme comunitarie direttamente applicabili; e cosi facendo, sembra compiere un evidente revirement rispetto alla sua precedente giurisprudenza.
2. - La nostra corte con la ormai celeberrima sentenza Granitoi (Cor te cost. 8 giugno 1984, n. 170, Foro it., 1984, I, 2062, con nota di A. Tizzano), rimeditando il proprio precedente orientamento, ha rico nosciuto il principio del c.d. primato della normativa comunitaria diret tamente applicabile sulle disposizioni nazionali confliggenti, non più as
sicurato, però, attraverso la dichiarazione di illegittimità costituzionale di queste ultime, ma garantito direttamente dal giudice ordinario tenuto
a risolvere la controversia (nella quale il contrasto sia insorto) applican do solo ed esclusivamente la norma comunitaria, la quale fissa «la di
sciplina di specie» e disapplicando (meglio non applicando, come op portunamente chiarito da Corte cost. 18 aprile 1991, n. 168, id., 1992,
I, 660, con nota di L. Daniele) la norma interna incompatibile. Con
la conseguente inammissibilità della questione di costituzionalità even
tualmente sollevata dal giudice nazionale, siccome priva del necessario
requisito della rilevanza. La base teorica del revirement cosi operato — vale a dire il principio
della diversità e della separazione dei due ordinamenti, comunitario e
statale — si differenzia dalla ricostruzione che del rapporto fra i due
sistemi ha da sempre offerto la Corte di giustizia, ancorata all'afferma
zione secondo cui il primato del diritto comunitario deriva dalla sua
sovraordinazione, all'interno di un unico contesto ordinamentale, ri
spetto al diritto nazionale. Tuttavia, il risultato cui la Corte costituzio nale con la sentenza 170/84 è giunta, sul piano pratico del tutto colli
mante con le enunciazioni formulate dalla Corte comunitaria nella sen
tenza Simmenthal (Corte giust. 9 marzo 1978, causa 106/77, id.,
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