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sentenza 27 luglio 1983; Pres. ed est. Fiorella; F.i.l.t.e.a.-C.g.i.l. (Avv. Renna, Colopi, F....

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sentenza 27 luglio 1983; Pres. ed est. Fiorella; F.i.l.t.e.a.-C.g.i.l. (Avv. Renna, Colopi, F. Romano) c. Soc. Panfil Winnetou (Avv. De Carlo, Piccinno, Gius. Costantino) Source: Il Foro Italiano, Vol. 107, No. 12 (DICEMBRE 1984), pp. 3037/3038-3049/3050 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23178362 . Accessed: 24/06/2014 20:02 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 185.2.32.36 on Tue, 24 Jun 2014 20:02:45 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Page 1: sentenza 27 luglio 1983; Pres. ed est. Fiorella; F.i.l.t.e.a.-C.g.i.l. (Avv. Renna, Colopi, F. Romano) c. Soc. Panfil Winnetou (Avv. De Carlo, Piccinno, Gius. Costantino)

sentenza 27 luglio 1983; Pres. ed est. Fiorella; F.i.l.t.e.a.-C.g.i.l. (Avv. Renna, Colopi, F. Romano)c. Soc. Panfil Winnetou (Avv. De Carlo, Piccinno, Gius. Costantino)Source: Il Foro Italiano, Vol. 107, No. 12 (DICEMBRE 1984), pp. 3037/3038-3049/3050Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23178362 .

Accessed: 24/06/2014 20:02

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

contratto stipulato tra le parti il 21 gennaio 1965 con cui la

S.a.t.a.p., quale concessionaria della costruzione ed esercizio della

autostrada Torino-Alessandria-Piacenza, commetteva all'Alpina (la

quale aveva già fornito il progetto esecutivo del tronco autostra

dale in oggetto) la progettazione in corso d'opera. Non sussiste pertanto la pretesa carenza di legittimazione

passiva della S.a.t.a.p., in quanto la normativa da costei richiama

ta non ha inteso disporre una modificazione soggettiva nell'ambi

to del rapporto scaturente dal citato contratto, ma ha semplice mente autorizzato l'A.n.a.s. al pagamento dei debiti delle società

concessionarie di tronchi autostradali, con effetto solutorio per

quest'ultima, le quali tuttavia continuavano a rispondere delle

obbligazioni assunte e senza costituire peraltro alcun diritto

soggettivo a favore dei creditori delle società menzionate nei

confronti della medesima A.n.a.s. (con conseguente carenza di

giurisdizione dell'a.g.o. sulle eventuali controversie sul punto). Per quanto riguarda, poi, la questione relativa alla nullità del

contratto di cui è causa, ai sensi dell'art. 2 1. 23 novembre 1939

n. 1815 e dell'art. 2231 c.c., si osserva che dall'esame delle citate

disposizioni si evince che, mentre la legge ammette l'esercizio di

attività professionali da parte di studi associati, invece pone un

esplicito divieto, sanzionato anche penalmente (art. 7 1. 1815/39), allo svolgimento della medesima da parte di altri soggetti, ed in

particolare di società.

La Corte costituzionale, chiamata a decidere sulla legittimità di

tali disposizioni, in relazione dell'art. 41 Cost., ha recentemente, con la sentenza 22 gennaio 1976 (Foro it., 1976, I, 265), dato

ragione del divieto, sotto il profilo della esigenza di tutela sia

delle varie categorie professionali, sia del corretto esercizio delle

stesse prestazioni intellettuali, in rapporto alla responsabilità per sonale spettante al professionista (nella società di capitali, invece, la responsabilità è contenuta nei limiti del capitale sociale,

mentre, d'altra parte, nessuna norma impone ai soci, oppure agli

amministratori, il possesso di particolari requisiti professionali) ed

ail'intuit us personae che è proprio di tali tipi di rapporti (mentre nella società di capitali le quote sono trasferibili, gli amministra

tori possono essere sostituiti, anche da liquidatori, amministratori,

ecc.).

Deve porsi il problema, a questo punto, di stabilire se tra le

società, la cui costituzione ed attività sono vietate, debbano

comprendersi anche le c.d. società di « engineering », o di proget tazione industriale, le quali, come è noto, costituiscono delle

strutture indispensabili per la realizzazione di grandiosi complessi abitativi od industriali, per cui non sarebbero sufficienti i normali

studi professionali, sia per le dimensioni organizzative connesse

alla esecuzione dell'opera, sia per le esigenze di carattere inter

disciplinare che la stessa realizzazione comporta. Il Tribunale di Milano ha già avuto modo, con le sentenze del

19 marzo 1979 nella causa S.t.e.g.s. s.p.a. - Foster Wheeler it.

(id., Rep. 1979, voce Società, n. 125, e voce Professioni intellet

tuali, n. 19) e del 17 gennaio 1980 nella causa Fintecnica -

Intersibari (ined.), basando la propria decisione appunto sulla

constatazione che le società di « engineering » sono ormai un

dato ineliminabile nella attuale realtà giuridico-economica, di

affermarne la liceità in particolari ipotesi, anche riguardo alle

numerose leggi che predispongono in loro favore agevolazioni varie.

La liceità del fenomeno in oggetto si concilia con il disposto di

cui all'art. 2 1. 1815/39 poiché questo considera, evidentemente,

l'ipotesi di prestazioni professionali esercitate in maniera associata

senza il rispetto delle formalità previste dall'art. 1, come si

desume dall'espresso riferimento alle attività di assistenza e

consulenza, ove invece l'attività svolta dalla società di « enginee

ring » è più articolata e complessa, anche se implica, in via

occasionale, l'espletamento di un'opera intellettuale.

Tale attività, infatti, consiste nella prestazione di un risultato,

con organizzazione dei mezzi e gestione a proprio rischio, per cui

il relativo rapporto non può definirsi come una prestazione di

opera intellettuale, che ha invece per oggetto una obbligazione di

mezzi, e che si adempie con lavoro prevalentemente proprio, ma

deve invece qualificarsi come appalto (art. 1668 c.c.).

Se nell'ambito del risultato da raggiungere deve essere svolta

anche un'attività di progettazione, o altra di quelle che la legge

riserva ai professionisti, quest'ultima perde la propria autonomia,

essendo assorbita nella complessa attività svolta dalla contraente

per la realizzazione del risultato e, pertanto, costituisce essa

stessa un elemento di quella organizzazione di mezzi necessaria

per la configurazione del medesimo appalto. In tale caso, eviden

temente, non solo non sussiste la nullità sancita dall'art. 2231

c.c., che riserva ai professionisti iscritti all'albo la stipulazione dei

contratti di opera intellettuale, appunto perché nel caso conside

rato muta la qualificazione giuridica del rapporto.

Poiché la configurabilità dell'appalto si verifichi, tuttavia è

necessario che l'attività intellettuale sia completamente secondaria

ed accessoria, non solo rispetto alla organizzazione di uomini e di

mezzi mossa dalla appaltatrice (dimensione quantitativa) ma an

che alla varietà e complessità delle opere eseguite (dimensione

qualitativa). Cosi, ad esempio, la realizzazione di un vasto com

plesso turistico può dar luogo senz'altro ad una tale fattispecie,

quando l'attività di progettazione e di direzione dei lavori sia

accompagnata dalla costruzione degli edifici e delle infrastrutture, da una ricerca sociologica riguardante la destinazione e tipologia del complesso, di un'attività di marketing avente per oggetto la

promozione dell'iniziativa e la vendita degli edifici, ecc. In tali

ipotesi, evidentemente, è lecito all'appaltatore fornire il progetto e

l'attività di direzione dei lavori o con propri lavoratori subordina

ti che abbiano la qualificazione professionale necessaria o con

professionisti esterni, appositamente incaricati.

Quando però l'attività complessivamente svolta non è altrettan

to varia e non permette alla prestazione intellettuale di perdere i

suoi connotati essenziali e di essere assorbita nel risultato perse

guito, allora conserva la propria autonomia e dà luogo ad un

vero e proprio rapporto di natura professionale che, come tale, è

soggetto ai divieti di cui alla normativa citata.

Premesso quanto sopra, appare evidente che, per verificare la

validità del contratto di cui è causa, occorre individuarne in

concreto il contenuto.

Come si è già riferito, le prestazioni di cui l'opposta domanda

il pagamento consistono nella progettazione in corso d'opera dall'autostrada Torino-Alessandria-Piacenza. Si tratta, come è evi

dente, di attività di contenuto squisitamente intellettuale, che

rientra in quelle tipiche riservate alla professione di ingegnere. Tale circostanza viene suffragata all'espresso riferimento fatto

dalle parti nel contratto 21 gennaio 1965, alla natura professiona le del rapporto (art. 4), nonché al « t.u. della tariffa degli onorari

per le prestazioni professionali degli ingegneri ed architetti », art. 15.

Tale circostanza di per sé esclude che le dimensioni organizza tive della convenuta siano tali da mutare la qualificazione giuridica del rapporto, per cui le relative istanze istruttorie vanno rigettate.

Il decreto ingiuntivo va pertanto revocato e le domande

riconvenzionali respinte. (Omissis)

I

TRIBUNALE DI LECCE; sentenza 27 luglio 1983; Pres. ed est.

Fiorella; F.LLt.e.a.-C.g.il (Aw. Renna, Colopi, F. Romano) c. Soc. Panfil Winnetou (Avv. De Carlo, Piccinno, Gius.

Costantino).

TRIBUNALE DI LECCE;

Lavoro (rapporto) — Reintegrazione nel posto di lavoro —

Esecuzione forzata — Ammissibilità — Limiti (Cod. civ., art.

2931; cod. proc. civ., art. 612; 1. 20 maggio 1970 n. 300, nor

me sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della li

bertà sindacale e dell'attività sindacale nei luoghi di lavoro

e norme sul collocamento).

L'obbligo di reintegrare il lavoratore -nel posto di lavoro è

eseguibile coattivamente per la parte relativa alla riammissione

del lavoratore in azienda, alla obbligazione retributiva, al

ripristino della posizione assicurativa e a quegli obblighi fungi bili da individuare di volta in volta dal giudice che procede

all'esecuzione; non è invece eseguibile per la parte infungibile, che postula la cooperazione attiva del datore di lavoro. (1)

(1, 3, 5, 7) Il problema dell'eseguibilità in forma specifica dell'ordine di reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro continua ad essere

oggetto di soluzioni differenziate nello stesso ambito della giurispruden za di merito: mentre Pret. Alessano — che qui si riporta — sembra

adeguare sostanzialmente il proprio decisum agli orientamenti espressi sul punto dalla Corte di cassazione, Trib. Lecce, anch'essa riprodotta, può ricondursi a quell'indirizzo — già prospettato da Pret. Milano 21

aprile 1972, Foro it., 1972, I, 1141 — che, prendendo le mosse dalla riconosciuta possibilità di scomporre l'obbligo (complesso) di reintegra zione in più obblighi semplici e dalla affermata necessità di verificare il carattere fungibile/infungibile di essi in concreto, nel quadro delle

condizioni materiali e giuridiche che ne segnano l'adempimento, giunge a ritenere ammissibile la coercibilità di tale obbligo limitatamente a

quelle determinate misure tendenti a far riacquistare al lavoratore il

prestigio di cui godeva nell'ambiente di lavoro (riguardanti, in partico lare, la permanenza del lavoratore in azienda, l'esercizio dei diritti connessi all'organizzazione ed all'attività sindacale, la reiscrizione nei

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3039 PARTE PRIMA 3040

II

PRETURA DI ALESSANO; sentenza 10 dicembre 1983; Giud.

Almiento; Soc. Panfil Winnetou (Avv. De Carlo, Piccinno,

Gius. Costantino) c. F.i.l.t.eja.-C.g.iJ. (Avv. Renna, Colopi, E. Romano).

Sindacati — Decreto di repressione della condotta antisindacale —■ Esecuzione — Notifica del titolo e del precetto — Super fluità — Opposizione all'esecuzione — Ammissibilità (Cod.

proc. civ., art. 615; 1. 20 maggio 1970 n. 300, art. 28). Lavoro (rapporto) — Reintegrazione nel posto di lavoro —

Esecuzione forzata — Inammissibilità (Cod. civ., art. 2931; cod.

proc. civ., art. 612).

Per l'esecuzione del decreto ex art. 28 dello statuto dei lavoratori

non è necessaria la previa notificazione del titolo e del precet

to, ma ciò non impedisce al datore di lavoro di proporre le

opposizioni previste dagli art. 615 ss. c.p.c. (2) L'ordine di reintegrare il lavoratore (non licenziato) nel posto e

nelle mansioni in precedenza occupati non è suscettibile di

esecuzione forzata. i(3)

libri paga e matricola e nei libri assicurativi, l'utilizzazione dei servizi aziendali e la partecipazione alle iniziative sindacali).

Tale orientamento — fatto proprio anche da Pret. Como 2 aprile 1982 id., Rep. 1982, voce Lavoro (rapporto), n. 925; Pret. Lecce 28 dicembre 1981, id., 1982, I, 1018, in motivazione, cui adde Pret. Biella 7 febbraio 1980, id., Rep. 1980, voce Esecuzione forzata obblighi di fare, n. 11; Pret. Roma 3 giugno 1980, id., Rep. 1980, voce Provvedimenti di urgenza, n. 93; Pret. Domodossola 14 aprile 1979, id., Rep. 1979, voce Lavoro (rapporto), n. 1264; Pret. Milano 20 febbraio 1979, ibid., n. 1268; Pret. Ascoli Piceno 8 marzo 1976, id., 1976, I, 830 — rappresenta la conseguenza di un approccio definito « pragmatico, duttile, legato a valutazioni di opportunità » (Ghez zi-Romagnoli, Il rapporto di lavoro, Bologna, 1984, 423), che si avvale

di quanto la dottrina processual-civilistica ha via via elaborato in

materia di esecuzione in forma specifica degli obblighi di fare,

specialmente sotto il profilo della utilizzazione dei meccanismi esecutivi

diretti in funzione di mezzo di coazione indiretta (cfr. le puntualizza zioni di A. Proto Pisani, Aspetti processuali della reintegrazione nel

posto di lavoro, in Foro it., 1982, V, 117 ss. e di S. iMazzamuto, L'attuazione degli obblighi di fare, Napoli, 1978, 179, spec. 184).

In proposito, deve tuttavia segnalarsi che alla richiesta di una

lavoratrice, licenziata e riammessa ope iudicis in azienda, diretta ad

ottenere ulteriori provvedimenti che le consentissero di effettuare la

propria prestazione lavorativa, nonostante la contraria volontà del datore di lavoro, Pret. Roma 28 gennaio 1984, giud. Macioce, Lemmo c. Soc. Essedi, inedita a quanto consta, ha opposto il difetto di interesse attuale con la seguente motivazione: « che poi, in concreto, non le venga assegnato lavoro e che ella si trovi nella mortificante

quanto esasperante condizione di una ' reclusa di fatto ' è dato assai

grave e che — difettando nel giudice il potere di coartare l'assegnazio ne delle operazioni lavorative — attesta, semmai, l'intrinseca inutilità e

la oggettiva abnormità di un ordine di riammissione ' al posto ' di

lavoro non collegato ad esigenze (protette e coercibili) di presenza sindacale ma lasciato nell'assoluta indeterminatezza oggettiva ».

Differenziandosi dall'orientamento riferito, Pret. Milano 13 ottobre

1983, che pure si riporta, si colloca tra quelle decisioni — v., per

tutte, Pret. Roma 25 agosto 1979, Foro it., 1979, I, 2132, con nota di G. Silvestri e Pret. Padova 17 marzo 1980, id., 1980, I, 1779, con nota di richiami — secondo le quali non può ipotizzarsi aprioristicamente la natura assolutamente infungibile dell'attività con cui il datore di lavoro riaffida le mansioni lavorative al dipendente reintegrato, dovendo

piuttosto valutarsi, in ragione del livello di autosufficienza del prestato re nello svolgimento concreto della mansione, se ed in che misura il datore è suscettibile di essere surrogato da terzi in tale attività di collaborazione. A questa impostazione, cui ha ritenuto di adeguarsi anche Pret. Como 2 aprile 1982, cit., in un caso in cui datore di lavoro era una persona giuridica, sembra aderire da ultimo anche Pret. Roma 7 luglio 1983, giud. Foschini, Mancini c. R.a.i.-TV, a quanto consta inedita, che ha disposto a mezzo di ufficiale giudiziario la

reintegrazione nel posto e nelle mansioni di una presentatrice della

R.a.i., facendo carico al direttore del servizio cui la stessa era addetta

di consentirle di lavorare come prima del licenziamento. Della « fanta

siosa » motivazione di tale ultima sentenza ci si può limitare a

segnalare solo uno dei passaggi chiave, visto che la inconsueta (?)

lunghezza ne rende impossibile la pubblicazione: e sotto quest'ultimo profilo non resta che richiamare, anche qui, quanto ha già avuto modo di sottolineare C. M. Barone in margine ad altra prolissa decisione (v. Cass. 15 ottobre 1984, n. 5170, id., 1984, I, 2723). Dopo aver

premesso che sarebbe apodittico ritenere che « solo l'imprenditore sia in grado, per capacità ideative e tecniche e/o per la inalienabilità della sua funzione di direzione aziendale di porre in essere quella attività e

quella astensione di cui si compone il ' far lavorare ' », il giudice

romano prosegue affermando: « in una azienda o unità produttiva con

più di 15 dipendenti.. .è normale che — salvo prova del contrario —

sussistano regole generali di conduzione aziendale pacificamente appli cabili nei rapporti di lavoro per quanto attiene alla produzione, si che

Ill

PRETURA DI MILANO; ordinanza 13 ottobre 1983; Giud.

Robustella; Padovan e altri (Aw. Civitelli, Nespor, Vinci) c. Soc. Ditongomma.

Provvedimenti di urgenza — Esecuzione — Competenza (Cod.

proc. civ., art. 700). Lavoro (rapporto) — Reintegrazione nel posto di lavoro —

Esecuzione forzata — Ammissibilità — Limiti — Fattispecie (Cod. civ., art. 2931; cod. proc. civ., art. 612).

Competente a decidere sull'istanza di determinazione delle modali

tà di esecuzione in relazione ad un provvedimento ex art. 700

c.p.c. è lo stesso giudice che l'ha pronunciato. (4) Ai fini dell'esecuzione dell'ordine di reintegrare il lavoratore

licenziato nel posto di lavoro, è possibile, ai sensi dell'art. 612

c.p.c., determinare giudizialmente tutte le misure che non

prevedano una specifica e continuativa cooperazione del datore

di lavoro, non potendosi ipotizzare una injungibilità astratta ed

assoluta della collaborazione del datore soprattutto nell'ipotesi di lavoro di carattere manuale o comunque inquadrato in un

ciclo produttivo (nella specie, il pretore ha ordinato che, a cura

di ufficiale giudiziario, il lavoratore addetto al mescolatore e al caricamento degli ingredienti nei silos fosse riammesso nello stabilimento e ricevesse le mansioni svolte prima del

licenziamento). (5)

un terzo possa farle proprie senza con ciò imprimere né allo specifico rapporto né per esso aila intera organizzazione del lavoro un indirizzo che potenzialmente o attualmente contrasti con la direzione dell'attività

dell'impresa spettante al titolare della stessa ».

Peraltro, ia Corte di cassazione ha più volte negato, ma sempre in via incidentale, che l'obbligo di reintegrazione, stante ia sua « naturale incoercibilità », possa essere attuato con i modi dell'esecuzione in forma speciiica (v. sent. 26 ottobre 1982, n. 5Ó07, id., Rep. 1983, voce Lavoro (rapporto), n. 2190 e 15 marzo 1982, n. 1669, id., 1982, I, 985, con nota di richiami ed osservazioni di A. Proto Pisani). Non

può, tuttavia, ignorarsi che ia sent. 20 gennaio 1978, n. 2b2 (id., 1978, 1, I486, con nota di richiami ed osservazioni di A. Proto Pisani), traendo argomenti dalia previsione contenuta nell'art. 18 1. n. 300/70 secondo cui dopo la sentenza cne accerta l'illegittimità del licenziamen to il datore di lavoro è tenuto a corrispondere le retribuzioni al

dipendente fino al giorno della sua effettiva reintegra, ha escluso i applicabilità degli art. 29il c.c. e bl2 c.p.c. aliobbligo di reintegrazio ne, ma ne ha riconosciuto ia struttura complessa, ammettendo che « il materiale reingresso dello stesso dipendente nei locali dell azienda ... a

venie natura di un semplice pati... [è] ... attuabile anche coattiva

mente ». Da ultimo, Cass. 19 novembre 1984, n. 5906, inedita, con

l'ennesimo obiter dictum, ha chiuso ogni spiraglio, affermando « che è

io stesso legislatore speciale a riconoscere l'impossibilità o quanto meno

l'inopportunità di giungere all'estrema conseguenza di reimmettere

forzosamente il lavoratore neh organizzazione attiva aziendale contro ia

volontà dei datore di lavoro, ma probabilmente anche contro lo stesso

interesse e desiderio del lavoratore, che potrebbe trovarsi esposto ai

disagi propri di una situazione ostacolata dal primo ». In dottrina, tra i più recenti contributi sul tema, v., anche, M. De

Luca, Tutela reale contro i licenziamenti: profili problematici e

prospettive di evoluzione, in Riv. it. dir. lav., 1983, 1, 65 ss. e F. Santoni (a cura di), La tutela del provvedimento di reintegrazione, Milano, 1983.

in relazione alla settima massima, nel senso che la questio ne relativa aila coercibilità degli obblighi di fare e di non fare non rientra nella competenza funzionale del giudice dell'esecuzione ex art. 612 c.p.c., che attiene soltanto alle modalità compiete del procedi mento esecutivo, v. App. Milano 9 febbraio 1954, toro it., 1954, 1, 357. Nel senso che in sede di esecuzione non può aprirsi la discussione

giudiziale sufi esistenza dell'obbligo già consacrato in sentenza, v. App. Genova 7 marzo 1953, id., Rep. 1953, voce Esecuzione forzata obblighi di fare, n. 6.

Nei senso che il giudice dell'esecuzione è tenuto ad interpretare la sentenza di condanna ad un obbligo di fare in modo da renderne

possibile la concreta attuazione, Cass. 18 settembre 1979, n. 4794, id., Rep. 1979, voce cit., n. 2. In senso contrario, con riferimento alla

possibilità del giudice deli esecuzione di decidere con sentenza sull'am missibilità e fondatezza dell'esecuzione stessa, Trib. Napoli 25 marzo

1977, id., Rep. 1978, voce cit., n. 6; (Pret. Mirabella Eclano 9 dicembre 1959, id., Rep. 1960, voce cit., n. 5.

in dottrina A. Musatti, Esecuzione del vincolo consortile, nota adesi va ad App. Milano 9 febbraio 1954, id., 1954, 1, 357.

(2, 4) Mentre Pret. Roma 12 marzo 1982, Foro it., Rep. 1983, voce

Sindacati, n. 138, ha ritenuto che l'esecuzione del decreto ex art. 28 1. n. 300/70 deve essere effettuata nei modi e nelle forme dell'esecuzione

ordinaria, Pret. Roma 31 agosto 1981, id., 1982, I, 586, con nota di

richiami, ha stabilito che per tale esecuzione non è necessaria la

notificazione del titolo e del precetto. Nello stesso senso, ma con rife rimento all'esecuzione di un'ordinanza di reintegra ex art. 700 c.p.c., v. Cass. 25 marzo 1981, n. 1737, id., 1981, I, 968.

Per la eseguibilità del provvedimento di urgenza con le modalità di

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

IV

PRETURA DI LEGNANO; sentenza 19 ottobre 1982; Giud.

Carboni; Soc. Pensotti (Avv. Olgiati, Tririfò) c. Panigada

(Aw. Rimoldi).

Esecuzione forzata in genere — Titolo esecutivo — Rilascio —

Poteri del giudice (Cod. proc. civ., art. 474, 612; disp. att. cod.

proc. civ., art. 153). Esecuzione forzata di obblighi di fare o di non fare — Poteri

del giudice (Cod. civ., art. 2931; cod. proc. civ., art. 612; 1.

20 maggio 1970 n. 300, art. 18).

L'organo competente a verificare se la sentenza è esecutiva è il

cancelliere, la cui valutazione circa l'esistenza del titolo esecu

tivo è sindacabile in sede di opposizione all'esecuzione. (6)

Spetta al giudice della cognizione accertare l'ammissibilità della

domanda di condanna ad un facere infungibile, sicché, una

volta che tale domanda sia stata accolta, il giudice dell'esecu

zione non può sindacare la coercibilità dell'obbligo, ma deve

attuarlo o tentare di attuarlo. (7)

I

Motivi della decisione. — Deve preliminarmente disattendersi

la richiesta della Panfil di sospensione del presente giudizio in

attesa della definizione del giudizio penale iniziato per violazione

dell'art. 650 c.p.: invero, non sussiste alcun rapporto di pregiudi zialità tra il processo penale e quello in decisione che imponga o

suggerisca la chiesta sospensione. Prima di esaminare l'appello, è necessario individuare le que

stioni che sono state decise con l'impugnata sentenza al fine di

rapportare alle stesse sia i motivi di gravame sia le richieste delle

parti. La sentenza del pretore ha deciso due diverse questioni oggetto

di due diversi giudizi che sono stati riuniti. Il primo dei giudizi è

quello iniziato con l'opposizione proposta dalla Panfil avverso il

precetto notificato dalla Fi.l.t.e.a. per l'esecuzione forzata dell'ordine

di reintegrazione nel posto di lavoro e nelle mansioni preceden

temente espletate di Silvestri Cosimo, rappresentante sindacale

aziendale licenziato per fini antisindacali. Il secondo giudizio è

quello iniziato dalla F.i.l.t.e.a. per richiedere la fissazione delle

modalità di esecuzione del decreto di reintegrazione. Il pretore,

avendo dichiarato, in accoglimento dell'opposizione, inammissibile

ed improcedibile l'esecuzione forzata in forma specifica dell'ordi

cui all'art. 612 c.p.c. e per la conseguente esperibilità dell'opposizione

all'esecuzione, v. Pret. Milano 15 gennaio 1958, id., Rep. 1968, voce

Provvedimenti di urgenza, n. 22, nonché Cass. 21 febbraio 1974, n.

512, id., 1974, I, 3412, in relazione però all'esecuzione di un

provvedimento possessorio. In dottrina, cfr. Vaccarella, Il procedimento di repressione della

condotta antisindacale, Milano, 1977, 185 ss.; D'Auria, Esecuzione dei

provvedimenti cautelari e reintegrazione nel posto di lavoro, in Riv.

giur. lav., 1979, II, 1066; E. Silvestri, Problemi e prospettive di

evoluzione nell'esecuzione degli obblighi di lare e di non fare, in Riv.

dir. proc., 1981, 40 ss. Nel senso della quarta massima e cioè che spetta al giudice che ha

emesso il provvedimento cautelare di urgenza per la reintegrazione del

lavoratore licenziato nel posto di lavoro dettare le misure occorrenti

per l'esecuzione del medesimo provvedimento, v. Cass. 16 settembre

1983, n. 5608, Foro it., Rep. 1983, voce cit., n. 97; Pret. Roma 29

giugno 1982, ibid., n. 91; Pret. Bologna 28 novembre 1981, ibid., n.

92, nonché con riferimento al decreto ex art. 28 1. n. 300/70 Pret. Roma 31 agosto 1981, cit.

Da ultimo Cass. 11 novembre 1982, n. 5947, id., Rep. 1982, voce

cit., n. 90, che distingue l'ipotesi in cui il beneficiario del provvedimen to abbia preferito ricorrere alla forma coatta diretta, per la quale giudice competente è quello che ha emesso il provvedimento o quello competente per il merito se risulta già instaurato il relativo giudizio, dall'ipotesi in cui il beneficiario si sia avvalso della normale procedura di esecuzione forzata, dovendosi in tal caso ritenere competente il

giudice di esecuzione secondo le regole ordinarie.

(6) Nel senso che il cancelliere debba accertarsi dell'esistenza oltre che della validità formale di un titolo che legittimi l'esecuzione, Cass. 5 agosto 1961, n. 1910, Foro it., Rep. 1961, voce Esecuzione forzata in

genere, n. 17. Nel senso che il cancelliere deve limitarsi ad una

indagine puramente formale sulla completezza del titolo i(nella specie una sentenza), di cui si chiede il rilascio in forma esecutiva, ma senza alcun esame circa il passaggio o meno in giudicato della medesima, Pret. Gissi 25 luglio 1954, id., Rep. 1955, voce cit., n. 30; Trib. Firenze 13 maggio 1955, ibid., voce Sentenza civile, n. 175; Cass. 1°

aprile 1958, n. 1132, id., 1958, I, 1214. In dottrina cfr. Giuliotti, Titolo esecutivo e formula esecutiva, id.,

1958, I, 1214; Mariani, Sul rilascio da parte del cancelliere, di copia in forma esecutiva, di sentenza non ancora eseguibile, id., 1959, I, 1353.

ne di reintegrazione del lavoratore licenziato, ha di conseguenza dichiarato assorbita la richiesta di fissazione delle modalità di

esecuzione del decreto del 31 luglio 1982.

L'appello della F.i.l.t.e.a., se pure rivolto, nelle richieste conclu

sive, alla determinazione delle modalità di esecuzione del decreto in parola, coinvolge l'intera sentenza anche per quella parte che

dichiara inammissibile l'esecuzione forzata in forma specifica dell'ordine di reintegrazione del lavoratore licenziato in quanto attiene ad un fare infungibile che presuppone la collaborazione del datore di lavoro il quale sarebbe libero di non adempiere subendo, tuttavia, la sanzione penale.

La decisione impugnata, che ripropone acriticamente la tradi zionale teoria delle incoercibilità delle obbligazioni infungibili, di

quelle, cioè, in cui la prestazione dovuta consiste in un'attività che solo il soggetto obbligato può realizzare, non può essere condivisa.

Invero, iil punto da cui occorre muovere per affrontare questa materia è il significato che nel nostro ordinamento assume la stabilità reale del rapporto di lavoro introdotta dallo statuto dei lavoratori.

Le sezioni unite della Cassazione, con la sentenza n. 1268 del 12 aprile 1976 {Foro it., 1976, il, 1136), nello stabilire che la

sospensione della prescrizione dei crediti di lavoro, in costanza di

rapporti dotati di stabilità reale, non opera, afferma che « deve ritenersi stabile ogni rapporto di lavoro che, indipendentemente dal carattere pubblico o privato del datore di lavoro, sia regolato da una disciplina la quale, sul piano sostanziale, subordina la

legittimità e la efficacia della risoluzione alla sussistenza di circo

stanze obiettive e predeterminate e, sul piano processuale, affidi al

giudice il sindacato su tali circostanze e la possibilità di rimuovere

gli effetti del licenziamento illegittimo ». Tale possibilità di rimuove re gli effetti del licenziamento illegittimo comporta necessariamente la previsione di strumenti processuali idonei ad assicurare la effet

tiva reintegrazione nel posto di lavoro del lavoratore licenziato al

fine di assicurare, in conformità al dettato costituzionale, la effettiva

tutela del diritto al lavoro, inteso come diritto di lavorare al

quale corrisponde la obbligazione del datore di far lavorare. Non

avrebbe senso, infatti, la previsione normativa dell'ordine di

reintegrazione provvisoriamente esecutivo se poi lo stesso ordine si riferisce ad obblighi la cui esecuzione specifica è impossibile sia per infungibilità della prestazione sia per mancanza di stru

menti processuali idonei. Per cui appare illogico ed in contrasto con precise disposizioni normative il sostenere, come fa il primo giudice, la generale incoercibilità dell'ordine di reintegrazione, che la stessa legge munisce di provvisoria esecutività. A sostegno della affermata incoercibilità, il pretore fa riferimento alla previ sione di mezzi di coazione indiretta, di natura economica per l'art. 18 dello statuto dei lavoratori e di natura penale per l'art. 28: tale previsione escludereabbe il ricorso alla coazione diretta

prevista dalle stesse norme, nel senso che il datore di lavoro avrebbe la possibilità di scegliere tra lo spontaneo adempimento ed il subire la sanzione, economica o penale secondo il caso. In

proposito si osserva che non ha alcun fondamento giuridico affermare l'alternatività e, quindi, escludere il cumulo di strumen ti di tutela esecutiva diretta e mezzi di coazione indiretta, se si

pensa che esiste nel nostro ordinamento un principio generale, al

quale fa riferimento l'art. 483 c.p.c., che consente addirittura il

cumulo di più azioni esecutive a tutela di uno stesso diritto. Né

risponde al vero l'affermazione che lo statuto dei lavoratori

poggia sul sistema della coercizione indiretta con la conseguenza che ogni comportamento che viola una norma viene sanzionato

economicamente o penalmente, sanzione che rappresenta l'equiva lente della reintegrazione.

Senza soffermarsi su quest'ultima affermazione che non tiene

alcun conto del fatto che nessuna sanzione può mai costituire

l'equivalente della reintegrazione ai fini della effettiva tutela del

diritto al lavoro cui si faceva sopra riferimento, si osserva che la

reintegra, come imposta dall'art. 18 dello statuto, costituisce

obbligo primario e non alternativo a quello retributivo: quest'ul timo, infatti, consegue in ogni caso all'ordine di reintegra tanto è

vero che il capoverso del predetto art. 18 recita: « il datore di

lavoro che non ottempera alla sentenza... è tenuto inoltre a

corrispondere al lavoratore le retribuzioni dovutegli ». Il cumulo

tra l'obbligo di reintegra e la sanzione pecuniaria per l'inottempe ranza è ancora più evidente nell'ultima parte dello stesso articolo

per i lavoratori di cui all'art. 22 successivo. Quanto all'art. 28, la

previsione della sanzione penale quale mezzo di coazione indiret

ta per ottenere la spontanea ottemperanza al decreto di cui al 1°

comma, non autorizza in alcun modo ad affermare la incoercibili

tà, con mezzi diretti, dello stesso decreto.

Quanto alla incoercibilità legata alla infungibilità degli obblighi

di fare oggetto della prestazione del datore di lavoro, si osserva

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3043 PARTE PRIMA 3044

che l'obbligo di reintegrare il lavoratore costituisce un comporta

mento complesso la cui finalità è quella di ripristinare la fisiolo

gia del rapporto di lavoro. In tale comportamento, la cui com

plessità è rapportata a quella che di volta in volta caratterizza il

singolo rapporto da ripristinare, occorre individuare in concreto

quali delle prestazioni del datore di lavoro, che concorrono a

formare l'obbligazione del reintegrare, siano fungibili e, quindi,

suscettibili di esecuzione in forma specifica, e quali, invece,

comportino necessariamente un fare strettamente personale del

l'obbligato e siano, quindi, incoercibili in conformità ad un

principio di tutela della libertà personale. La dottrina e la giurisprudenza di merito hanno individuato

nell'ambito dell'obbligo di reintegrazione una serie di prestazioni certamente fungibili in quanto o non costituiscono un fare,

consistendo soprattutto nel dovere di non frapporre ostacoli allo

svolgimento da parte del soggetto attivo di un'attività incidente

nella sfera possessoria del datore di lavoro, ovvero hanno come

contenuto un dare oppure un fare personale dell'obbligato che

può essere surrogato dall'azione, nella sfera possessoria predetta, dell'uffioio esecutivo. Certamente fungibile in ogni caso è la

riammissione del lavoratore nell'azienda, come lo è l'obbligazione retributiva o quella di ripristinare la posizione assicurativa o altre

ancora da individuare di volta in volta dal giudice che procede all'esecuzione.

Né vale affermare che tutte queste prestazioni non sono auto

nome ma soltanto strumentali rispetto a quella primaria che è

quella della cooperazione attiva del datore di lavoro all'esecuzio

ne della prestazione (lavorativa che è certamente incoercibile, non

potendosi obbligare coattivamente il datore di lavoro ad esercitare

il potere direttivo, a confermare, cioè, la prestazione lavorativa al

proprio interesse.

È vero, infatti, che in mancanza di tale cooperazione non si

ripristina la fisiologia del rapporto di lavoro; tuttavia, l'impossibi

lità di realizzare compiutamente la reintegrazione senza un com

portamento del datore finalizzato all'utilizzazione del dipendente

ed essenziale per la ripresa leale del rapporto, non può significare

la totale vanificazione della tutela della stabilità reale e la

negazione dell'interesse del lavoratore ad un adempimento anche

parziale di prestazioni che possono assumere una propria auto

noma rilevanza.

Nel caso in esame, a parte l'interesse diretto del lavoratore a

riottenere la retribuzione e le prestazioni assicurative, oltre alla

riaffermazione della sua dignità di lavoratore mediante la riam

missione nell'azienda e la possibilità di esercitarvi i diritti sinda

cali, vi è l'interesse diretto del sindacato, parte attiva in questo

giudizio, alla presenza e alla permanenza del proprio rappresen

tante nell'azienda oltre che alla rimozione, se pure parziale,

degli effetti della condotta antisindacale dell'imprenditore. Pertan

to, ha errato il pretore nel ritenere inammissibile ed improcedibi le l'esecuzione coattiva, ma, al contrario, rigettando l'opposizione

al precetto, avrebbe dovuto procedere alla determinazione delle

modalità dell'esecuzione individuando quelle prestazioni certamen

te coercibili, quali ad esempio l'accesso del lavoratore in azienda,

la predisposizione di documentazioni, la riapertura della posizione retributiva ed assicurativa. In questi limiti, quindi, deve essere

accolto l'appello, rigettando l'opposizione di precetto proposta ai

sensi dell'art. 615 c.p.c.

L'appello è invece inammissibile per quella parte in cui impu

gna la decisione del pretore laddove, sulla premessa della inam

missibilità ed improcedibilità dell'esecuzione forzata in forma

specifica dell'ordine di reintegrazione, dichiara assorbita e, quindi, sostanzialmente rigetta, la richiesta delle modalità di esecuzione

del decreto del 31 luglio 1982 formulata dalla F,i.l.t.e.a sulla base

delle norme del codice di rito che regolano la esecuzione dei

provvedimenti cautelari e di urgenza.

Invero, nessun dubbio che la procedura di cui agli art. 688 ss.

c.p.c. sia quella più efficace ed immediata in quanto l'attuazione

coattiva del decreto emesso in base all'art. 28 dello statuto,

immediatamente esecutivo, viene a soffrire ed a perdere incisività

dall'applicazione del complesso apparato normativo predisposto

dagli art. 612 ss. c.p.c. per l'esecuzione forzata degli obblighi di

fare. Né vi è dubbio che il pretore, di fronte alle due procedure iniziate dalla F.iJLt.e.a., il cui cumulo è peraltro ammissibile ex

art. 483 c.p.c., avrebbe dovuto preferire, aderendo anche ad una

precisa scelta del ricorrente, l'esecuzione del decreto nelle forme

previste per i provvedimenti cautelari e d'urgenza, fissando con

ordinanza le modalità di esecuzione di tutte quelle prestazioni

relative all'obbligo di reintegrazione delle quali verificasse la

coercibilità.

Tuttavia, quei provvedimenti, anche se, come nel caso in

esame, sono contenuti in una sentenza, non perdono la loro

natura di ordinanza e non sono impugnabili, né tanto meno, di

fronte al diniego del pretore di adottare quanto richiesto, può il

tribunale surrogarsi in quella attività che è di specifica competen za di quel giudice. (Omissis)

II

Motivi della decisione. — L'opposizione proposta dalla Panfil

Winnetou s.p.a. è fondata e merita accoglimento. Osserva preliminarmente il pretore che le eccezioni di incosti

tuzionalità dell'art. 28 dello statuto dei lavoratori, come modifica

to dalla 1. 8 novembre 1977 n. 847, sollevate dalla difesa della

Panfil Winnetou s.p.a., sul presupposto che il sindacato avrebbe il

potere monopolistico dell'azione processuale, mentre il datore di

lavoro avrebbe solo quello di resistere, senza la facoltà di

proporre domanda riconvenzionale, ad un'azione di accertamento

negativo e che il procedimento avrebbe intrinseca natura disegua le, accentuata peraltro dal fatto che l'efficacia esecutiva del

decreto non può essere revocata sino alla sentenza di merito, non

appaiono rilevanti ai fini della definizione del giudizio in questio ne, relativo alla possibilità o meno di esecuzione in forma

specifica di un ordine di reintegra di cinque lavoratrici nel posto di

lavoro in precedenza occupato. Con tutta evidenza infatti dette eccezioni si riferiscono alla fase

processuale che precede l'emanazione del decreto ai sensi dell'art.

28 1. n. 300/70, e non hanno attinenza con il giudizio di

esecuzione di un decreto ex art. 28 già emesso e dotato di

efficacia esecutiva, anche perché, per le considerazioni che saran

no successivamente svolte, neppure in questa fase può essere

menomato il diritto di difesa della parte intimata.

Solo incidentalmente va rilevato che, nel merito, ile dedotte

eccezioni non sembrano fondate in quanto il riconoscimento della

legittimazione processuale del sindacato, operata dal legislatore, ai

fini di reprimere eventuali abusi dei poteri gerarchici da parte del

datore di lavoro, è stata effettuata nella consapevolezza della

disparità di forze esistenti tra ili datore di lavoro ed il lavoratore e quindi con la finalità di evitare che il prestatore possa subire, in caso di ritardi di tutela, danni gravissimi nei propri diritti.

L'aver riconosciuto al sindacato, anche per la tutela degli interessi collettivi, una particolare legittimazione processuale, è

frutto di una scelta discrezionale operata dal legislatore e l'effica

cia privilegiata del decreto ex art. 28 bilancia i poteri di

licenziamento, di trasferimento, ecc. di cui gode il datore di

lavoro.

Non può pertanto parlarsi di menomazione del diritto di difesa

del datore di lavoro, chiamato in giudizio a seguito di un proprio

comportamento del quale si deduce la antisindacalità, anche

perché l'efficacia provvisoriamente esecutiva di un decreto non è

certo esclusiva del provvedimento emesso ai sensi dell'art. 28, ricorrendo anche in altri istituti contemplati dal codice di proce dura civile (provvedimenti ex art. 700, possessori, nunciatori, ordinanza non impugnabile di rilascio).

Ritornando all'esame del procedimento in questione, proprio ai

fini di evidenziare che, anche in questa fase, non è menomato il

diritto di difesa dell'intimato, vanno riportate, brevemente, le

affermazioni correnti in dottrina ed in giurisprudenza sulla parti colare natura del decreto ex art. 28 e della sua peculiare messa

in esecuzione.

Numerosi autori (Liebman, Calvosa, Dini) ed un consistente

filone della giurisprudenza di merito affermano infatti che non si

può distinguere, nell'ambito della tutela cautelare, un processo di

cognizione ed uno di esecuzione, ma che il processo cautelare è

caratterizzato da una struttura unitaria, e che funzione tipica di

detto processo è di assicurare la cautela, posto che unico ed

indivisibile è l'interesse ad agire. Detto indirizzo precisa altresì che, poiché la tutela cautelare si

compie solo con la sua piena attuazione, in questo processo l'intervento del giudice servirebbe solo a rendere possibile l'attua

zione della stessa misura cautelare.

Come corollario di questi presupposti, si afferma inoltre che

l'attuazione del decreto ex art. 28 non costituisce esecuzione in

senso tecnico, ma un prolungamento della fase cognitiva instaura

ta col decreto, che la stessa avviene in completa libertà di forme, e che pertanto l'attuazione dello stesso decreto non deve essere

preceduta dalla notifica del titolo esecutivo e del precetto alla

parte interessata e che di conseguenza questa fase non tollera né

la revoca né la sospensione della qualità esecutoria del decreto e

che alla stessa non sono assolutamente applicabili i rimedi della

opposizione all'esecuzione od agli atti esecutivi.

Nel procedimento in questione, la organizzazione sindacale

ricorrente, sulla base delle soluzioni formulate da autorevole

dottrina e da numerose affermazioni giurisprudenziali di merito,

ha individuato nel ricorso all'art. 691 c.p.c. lo strumento proces

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

suale idoneo per l'attuazione del decreto, anche sul presupposto che detto articolo, tenuto conto delle varie dispute esistenti in

dottrina sulla natura e sulla qualificazione del decreto ex art. 28, da taluno assimilato ai procedimenti di urgenza, da altri a quelli

nunciatori, da altri ancora a quelli possessori, costituisce denomi

natore comune per l'attuazione di tutti d tipi di procedimenti indicati.

Ciò posto, ritiene il pretore che le affermazioni sopra indicate

secondo cui l'istanza presentata al pretore ai sensi dell'art. 691

c.p.c. non costituisce esecuzione in senso tecnico del decreto ex

art. 28, ma solo un prolungamento della fase di cognizione, suscitano alcune perplessità, almeno nella parte in cui escludono

per la parte intimata la possibilità di proporre opposizione all'esecuzione.

Se infatti dette affermazioni hanno il pregio di attendere ad

una sollecita attuazione del decreto, dall'altra, escludendo la

possibilità di proporre opposizione da parte del datore di lavoro,

comprimono indebitamente ila posizione dell'obbligato, il quale,

pur soggetto all'attuazione di un decreto provvisto di efficacia

esecutiva, non può essere privato del diritto, tutt'altro che margi

nale, di opporsi all'esecuzione, deducendo, come nel caso di

specie, che l'obbligo in questione è infungibile e quindi non

suscettibile di esecuzione forzata.

A questo riguardo va osservato che può porsi la questione se,

proponendo ricorso ai sensi dell'art. 691 c.p.c. e chiedendo al

giudice la fissazione delle concrete modalità di esecuzione, il

sindacato ricorrente abbia, sia pure implicitamente, dato vita ad

un vero e proprio processo di esecuzione, anche perché quello stesso indirizzo dottrinario e giurisprudenziale sopra richiamato, ammette che il prolungamento della fase di cognizione non

appartiene, di regola, alla dinamica della attuazione-esecuzione

della misura cautelare.

in proposito, ai fini di inquadrare più compiutamente la fase di

attuazione della misura cautelare, può essere di qualche utilità

ricordare che l'indirizzo prevalente della Suprema corte ha preci sato che l'esecuzione dei provvedimenti di urgenza, con particola re riguardo agli obblighi di fare e di rilascio degli immobili, non deve necessariamente svolgersi nelle forme della esecuzione

forzata e può non essere preceduta dalla notificazione del titolo

esecutivo e del precetto (Cass. 25 maggio 1977, n. 2169, Foro it.,

1977, I, 1556; 26 novembre 1979, n. 6166, id., 1980, I, 329; 25

marzo 1981, n. 1737, id., 1981, I, 968). Il Supremo collegio ha cioè affermato che, se non è indispen

sabile la notificazione del titolo esecutivo e del precetto ed è

quindi possibile l'attuazione in forma semplificata, nulla comun

que vieta o esclude il ricorso a dette forme.

Del resto la stessa Cassazione, in precedenza, occupandosi della

fase di attuazione dei provvedimenti cautelari, aveva espressamen te affermato che, ove la parte interessata all'attuazione di detti

provvedimenti (restitutori, possessori, assicurativi della futura ese

cuzione forzata, della futura decisione di merito) avesse liberamen

te scelto le forme del processo ordinario di esecuzione o avesse

posto in essere gli atti preliminari di detto processo (notificazione del titolo esecutivo e del precetto) il procedimento esecutivo si

presentava in tutta la sua autonomia, con l'effetto di rendere

possibile, ove si contestasse il diritto della parte istante di

procedere alla esecuzione forzata, o la regolarità formale dei

singoli atti del procedimento esecutivo, la proposizione delle

opposizioni previste dagli art. 615 ss. c.p.c. La stessa corte aveva

inoltre affermato che, in presenza di un processo esecutivo in

senso tecnico, il rimedio dell'opposizione, sia esso della esecuzio

ne o agli atti esecutivi, discendeva dai principi generali, ai sensi

degli art. 615 ss. c.p.c., non esistendo alcuna norma che escludes

se tali rimedi per l'esecuzione forzata dei procedimenti cautelari,

in genere, possessori, restitutori, d'urgenza e di realizzazione degli

obblighi di fare (Cass. 2 agosto 1-968, n. 2769, id., Rep. 1968,

voce Esecuzione obblighi di fare, n. 13; 7 dicembre 1972, n. 3552,

id., Rep. 1972, voce cit., n. 11; 21 febbraio 1974, n. 512,

id., 1974, I, 3412).

Tenendo quindi per fermo che l'attuazione del decreto ex art.

28 può avvenire in forma semplificata o in libertà di forme, come

affermano numerose sentenze di merito, con la conseguenza che

non è indispensabile la previa notificazione del titolo esecutivo e

del precetto, non sembra però possa intaccarsi il diritto della

parte intimata di proporre, dal canto suo, opposizione all'esecu

zione, anche in libertà di forme, in quanto, diversamente opinan

do, potrebbero prendere corpo i dubbi di incostituzionalità della

fase di attuazione del decreto ex art. 28 adombrati dalla società

intimata, anche perché sarebbe evidentemente artificioso, oltre che

menomativo del diritto di difesa, far dipendere la possibilità dell'intimato di proporre opposizione all'esecuzione a secondo che

la parte in cui favore sia stato emesso un provvedimento esecuti

II Foro Italiano — 1984 — Parte I-196.

vo abbia iniziato, come pure è avvenuto nella pratica, una vera e

propria esecuzione forzata, preceduta dalla notificazione del titolo

esecutivo e del precetto, ovvero abbia inteso attuare lo stesso in

libertà di forme.

Venendo ora al punto centrale e decisivo del giudizio, va

pertanto affrontata la delicata e controversa questione se sia concretamente ammissibile l'esecuzione forzata in forma specifica dell'ordine di reintegra delle cinque operaie trasferite alla mano via n. 9, nel posto di lavoro precedentemente occupato, trattan dosi di un facere fungibile od infungibile.

A questo riguardo senz'altro non possono, a giudizio del

pretore, condividersi quelle affermazioni giurisprudenziali secondo cui la incoercibilità dell'ordine deriverebbe direttamente ed im mediatamente dalla previsione di una sanzione penale in caso di

inottemperanza, destinata ad agire come mezzo di coercizione indiretta nei confronti delll'imprenditore che avrebbe la possibilità di scelta tra l'adempimento spontaneo del decreto ed il subire la sanzione penale.

L'obbligo della reintegra costituisce infatti un obbligo primario imposto direttamente al datore di lavoro, anche se sanzionato

penalmente per il caso di inottemperanza, oltre che civilmente, mentre, dal punto di vista del lavoratore da reintegrare, è evidente per quest'ultimo, nessuna sanzione, sia essa di natura civile o penale, potrebbe costituire l'equivalente della reintegra, in

quanto effettivamente, al di là degli aspetti meramente patrimo niali, un comportamento antisindacale può costituire per il presta; tore, un pregiudizio grave anche nella sfera dei diritti personalis simi.

Che non si possa parlare di scelta da parte dell'imprenditore è anche confermato, oltre che dall'inciso «... è tenuto inoltre a

corrispondere...» contenuto dal disposto dell'art. 28, anche dal rilievo che il cumulo degli strumenti di tutela esecutiva è fenomeno senz'altro noto al nostro ordinamento, che consente ad. es. la somma di più azioni esecutive a tutela di uno stesso credito o prevede espressamente, nel caso di inottemperanza ad un ordine ad es. di facere fungibile, oltre il ricorso all'art. 612

c.p.c. per la fissazione delle modalità di esecuzione, nell'eventuali tà della elusione della misura cautelare, anche la possibilità di comminare una grave sanzione penale ai sensi dell'art. 388 c.p.

Va pertanto esaminato se, in concreto, di per sé, l'obbligo di

reintegra nelle mansioni in precedenza espletate dalle cinque operaie costituisca un facere fungibile o meno.

Come è noto, l'indirizzo della Suprema corte al riguardo, ribadito anche a sezioni unite, anche se incidentalmente, è nel senso che, nel singolare sistema delineato dalla disposizione per superare la naturale incoercibilità della reintegra, che non

può quindi essere attuata ai sensi degli art. 612 ss. c.p.c., l'obbligo del pagamento delle retribuzioni adempie, da un lato, alla funzione di restituire effettività al rapporto di lavoro, quanto meno limitatamente alla prestazione retributiva... e dall'altro co stituisce una sanzione compulsiva, con finalità di esecuzione

indiretta, allo scopo di costringere il datore di lavoro a reimmettere effettivamente il dipendente nel posto di lavoro, facere infungibile al quale esclusivamente tende il comando giudiziale (Cass., sez. un., 15 marzo 1982, n. 1669, id., 1082, I, 985 ; 20 gennaio 1978, n.

262, id., 1978, I, 1468; 12 aprile 1976, n. 1268, id., 1976, I, 915). In dottrina e nella giurisprudenza di merito vi sono, come è

noto, affermazioni contrastanti sulla questione, ed alcuni autori, oltre che talune decisioni giurisprudenziali, nella ricerca della soluzione tecnica ottimale per assicurare stabilità reale al posto di

lavoro, con particolare riferimento all'ipotesi specifica del lavo ratore licenziato da riassumere, hanno scomposto l'obbligo di riassunzione nei suoi vari aspetti, in un insieme articolato di

obbligazioni o sottoprestazioni, tra di loro non omogenee.

Si è cosi affermato che alcune delle sottoprestazioni dell'obbligo di riassunzione consisterebbero solo in un pati e sarebbero quindi suscettibili di esecuzione forzata, come il rientro del lavoratore all'interno dell'azienda, a mezzo dell'ufficiale giudiziario, ed even tualmente con l'assistenza della forza pubblica, nonché come il

ripristino della posizione assicurativa e retributiva del lavoratore, che potrebbero avvenire con la nomina di un commissario ad

acta.

Detto indirizzo fa rilevare che, da un lato, il fenomeno

dell'adempimento parziale e spontaneo è previsto e regolato dall'art. 1181 c.c., e, dall'altro, che l'esecuzione forzata, sia pure parziale, sarebbe di grossa utilità pratica per il lavoratore, il

quale, per il solo fatto di essere riammesso all'interno dell'azien

da, potrebbe concretamente godere di una serie di diritti non esercitagli fuori dal posto di lavoro, nel mentre si potrebbe, in tal modo, anche far venir meno la causa reale della mancata

reintegra (cosi Proto Pisani, ed in giurisprudenza Trib. Lecce 2

giugno 1983).

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Page 7: sentenza 27 luglio 1983; Pres. ed est. Fiorella; F.i.l.t.e.a.-C.g.i.l. (Avv. Renna, Colopi, F. Romano) c. Soc. Panfil Winnetou (Avv. De Carlo, Piccinno, Gius. Costantino)

3047 PARTE PRIMA 3048

Va in proposito osservato che, come sostenuto dalla difesa

della società intimata, può dubitarsi dell'ammissibilità della scom

posizione di un determinato obbligo, ai fini di sostenere la

possibilità dell'esecuzione coattiva di talune sottoprestazioni, in

quanto è evidente che, operando in tal modo, tutti gli obblighi, anche quelli pacificamente infungibili, diventerebbero parzialmen te fungibili e coercibili.

In ogni caso è evidente che nucleo centrale e decisivo del

problema è quello di stabilire se la reintegrazione delle cinque

operaie nel posto e nelle mansioni in precedenza occupati possa avvenire coattivamente e quindi prescindendo del tutto dalla

cooperazione attiva e diretta del datore di lavoro.

Ritiene il pretore che al problema, per ragioni eminentemente

naturali, debba darsi una risposta negativa, essendosi in presenza di un facere personalissimo, rimesso alla cooperazione ed alla

volontà dell'obbligato. Infatti anche l'indirizzo che scompone l'obbligo della riassun

zione nei suo vari aspetti, riconosce che esiste, nell'ambito di

detto obbligo, un nucleo intangibile, che non può essere eseguito coattivamente senza la cooperazione del datore di lavoro, non

potendosi ad. es. obbligare quest'ultimo ad esercitare coattivamen

te il proprio potere direttivo, ovvero ad utilizzare il dipendente in un modo piuttosto che in un altro.

Proprio perché nei caso di specie preesistono quegli aspetti che

l'indirizzo sopra riportato considera come coercibili (presenza delle lavoratrici in fabbrica, percepimento della retribuzione,

godimento della posizione assicurativa) l'utilizzazione delle ope raie in un altro reparto, e quindi la prestazione dell'attività

lavorativa in un ambito diverso da quello attuale, concretano

senz'altro un facere infungibile, che non può essere posto in

esecuzione senza la spontanea cooperazione attiva del datore di

lavoro, senza la collaborazione della volontà di questi. È certamente vero, come sostenuto della difesa del sindacato

ricorrente, che la s.p.a. Panfil Winnetou è un complesso industria

le di grosse dimensioni, con un rilevante numero di dipendenti,

operante una produzione in serie, a mezzo di una organizzazione ordinata in reparti, caratterizzata da cicli produttivi uniformi,

all'interno delia quale le operaie ed anche quelle in questione, esercitano mansioni ripetitive, relativamente semplici e simili a

quelle espletate dalle colleghe di lavoro addette agli altri reparti,

per cui sarebbe agevole, dal punto di vista della struttura

produttiva, il loro riutilizzo in altro reparto.

'Il dato rilevante della questione non è però quello della

semplicità o complessità delle mansioni espletate dalle cinque

operaie in questione o il loro materiale accompagnamento, a mezzo

dell'ufficiale giudiziario, presso i reparti di provenienza, ma se la

concreta riutilizzazione delle cinque operaie nel posto e nelle

mansioni in precedenza occupati, con il conseguente spostamento delle altre operaie che attualmente sono utilizzate nei posti di

lavoro in cui dovrebbero essere reintegrate le operaie, unico

facere che concreterebbe l'attuazione dell'ordine del vice pretore,

possa essere attuato senza la collaborazione, senza il concorso

della volontà del datore di lavoro. Come è già osservato, per ragioni naturali, non essendo possibi

le coartare la volontà del datore di lavoro, al quesito va data

risposta negativa.

L'opposizione spiegata dalla società intimata va pertanto accol

ta e va di conseguenza dichiarata la inammissibilità dell'esecuzio

ne forzata in forma specifica dell'ordine di reintegra, nel posto e

nelle mansioni in precedenza occupati, delle operaie Trane Maria

Teresa, Ferraro Teresa, Accogli Immacolata, De Sabato Antoniet

ta, Giacquinto Anna disposto dal vice pretore di Alessano con

decreto ex art 28. (Omissis)

III

1) Competenza. — Sulla base di una ormai consolidata giuri

sprudenza sia dei tribunali di merito (cfr. Pret. Bologna 28

novembre 1981, Foro it., Rep. 1983, voce Provvedimenti d'urgenza, n. 92) che della Corte di legittimità (cfr. Cass. 25 maggio 1977, n.

2169, id., 1977, I, 1356) ' non può dubitarsi che competente a

decidere sull'istanza di determinazione delle modalità di esecuzio

ne in relazione ad un provvedimento reso ex art. 700 ss. sia lo

stesso giudicante che ha emesso il provvedimento o che procede all'istruzione del giudizio di merito.

Invero, al riguardo si può osservare che giustificano tale

assunto: a) da un lato l'esigenza di assicurare tempi particolar mente brevi data la natura cautelare del provvedimento; b)

dall'altro la considerazione che, nella specie, non si verte pro

priamente in tema di esecuzione forzata di obblighi di fare

conseguenti ad una sentenza di condanna secondo la disciplina

dettata dagli art. 16, ult. comma, e 612 c.px., ma piuttosto nel

problema di assicurare l'effettività del provvedimento cautelare

reso ex art. 700. Infine, dal punto di vista della sistematica

generale, giova ricordare (ed accogliere) quella opinione, espressa autorevolmente anche in dottrina, secondo la quale il processo

cautelare, a differenza di quello di cognizione, ha un carattere

unitario, per cui non è dato distinguere in esso una fase della

cognizione ed una della esecuzione, in quanto l'attuazione del

provvedimento cautelare è parte del procedimento stesso.

2) Merito. — A) Salve le osservazioni che di qui a poco si

faranno per il ricorrente Padovan, occorre rilevare che l'esecuzio

ne data dalla convenuta Ditongomma s.r.l. al provvedimento di

reintegrazione ex art. 700 reso da questo pretore in data 18 luglio

1983, solo apparentemente può essere qualificata come tale, del

momento che la stessa si è limitata, in buona sostanza, alla sola

corresponsione della retribuzione dovuta ai ricorrenti.

(In questo modo la resistente ha fatto fronte, evidentemente, solo ad una parte degli obblighi che su di lei gravavano a seguito dell'ordinanza cautelare di reintegrazione nel posto di lavoro, in

quanto la stessa ordinanza è stata espressamente finalizzata ad

assicurare, in via interinale, ai ricorrenti non solo i mezzi

economici di sostentamento, ma anche quel patrimonio di espe rienze ed « opportunità » (cfr. Pret. Bolona cit.) che possono essere acquisiti solo dell'effettivo esercizio del lavoro.

In particolare ci si riferisce all'acquisizione di elementi di

professionalità, alla evoluzione di una coscienza come singolo e

come membro di una società civile (finalità ben presenti e

favorite nella Carta costituzionale), alla partecipazione, in definiti

va, alla vita del gruppo come momento di integrazione, tesa ad

evitare una certamente dannosa emarginazione dal punto di vista

dell'esercizio dei diritti soggettivi e di quelli sindacali.

Se, quindi, l'ottemperamento della convenuta è stato giuridica mente un non difetto a quanto le era stato imposto dalla autorità

giurisdizionale, bisogna ora verificare se i provvedimenti (di de

terminazione delle modalità di esecuzione dell'ordinanza citata) richiesti siano ammissibili e, eventualmente, entro quali limiti.

Invero, ritiene questo giudicante che a prescindere dalla possi bile rilevanza sia in sede civile che penale della mancata (o

parziale) ottemperanza della convenuta, si debba riconoscere nel

giudice adito (secondo la competenza prima specificata) un potere di intervento teso, per quanto possibile, a rendere effettivamente

operativo il provvedimento adottato in sede di cautela.

Invero, non si tratta, nella specie, così come ha osservato la

difesa della convenuta, di una specie di (inammissibile) integra zione di un provvedimento giudiziale che è già perfetto e

completo; né si interviene in materia sottratta a qualsiasi potere di coercizione cosi come ha ritenuto una consistente parte della

giurisprudenza, soprattutto di legittimità i(v., da ultimo, Cass., sez.

un. 15 marzo 1982, n. 1669, id., H982, I, 985).

Innanzitutto la fonte di questo potere nel giudicante la si può ritenere facendo l'applicazione analogica dell'art. 612 c.p.c.

Come già detto, non si tratta di ipotesi identiche tra esecuzione

di sentenza di condanna ed esecuzione di provvedimento ex art.

700 c.p.c. (e ciò si riverbera in particolare nella differente compe tenza e nel diverso modus procedendi) cionondimeno è possibile dedurre una ragionevole identità di ratio nell'ipotesi in cui il

datore di lavoro debitore della prestazione dovuta non ottemperi all'obbligo e sia perciò necessaria la determinazione concreta delle misure per dare attuazione effettiva al provvedimento giudi ziale.

Ciò premesso, come non può ritenersi che i provvedimenti ex art. 612 c.p.c., in riferimento alle sentenze di condanna, siano una

integrazione delle stesse ma piuttosto la determinazione in con creto delle modalità per attuarla, allo stesso modo l'istanza dei

ricorrenti in questa sede specifica deve essere considerata ila

richiesta della individuazione delle modalità di attrazione dell'or

dinanza ex 700 c.p.c. allo scopo di consentire al giudice di

dettare le opportune disposizioni agli organi preposti dalla legge.

Riguardo, poi, all'annoso problema della coercibilità dell'obbli

go di reintegrare il lavoratore nel suo posto di lavoro, deve ritenersi che esso vada risolto nel senso che è possibile, ex art.

61i2 c.p.c., determinare giudizialmente tutte le misure che non

prevedono una specifica e continuativa cooperazione del debitore datore di lavoro, non potendosi ipotizzare una infungibilità astrat ta ed assoluta della collaborazione del datore, soprattutto nelle

ipotesi di lavoro di carattere manuale o comunque inquadrato in un ciclo produttivo.

Invero, ritiene questo giudicante che deve essere considerata

sempre ipotizzabile la reimmissione forzata del lavoratore nell'am biente di lavoro (v. in proposito Pret. Como 2 aprile 1982, id.,

Rep. 1982, voce Lavoro (rapporto), n. 925). Con tutte le conse

guenze immediatamente connesse (per es. fruizione dei diritti

sindacali, delle mense aziendali, ecc.) trattandosi di un generico

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

pati che il datore-debitore è tenuto- a sopportare in relazione

all'ordinanza di reintegrazione ex art. 700 c.p.c. (e naturalmente

in base alla sentenza resa applicando l'art. 18 1. 300/70) (in senso conforme v. Trib. Milano 24 marzo 1076, id., Rep. 1976, voce cit., n. 457).

La reimmissione concreta nel posto di lavoro, intesa come eserci

zio effettivo dell'attività lavorativa, dipenderà, invece, dalla misura,

maggiore o minore, in cui potrà essere sostituita l'attività di

collaborazione del datore e che naturalmente sarà proporzionale al livello di autosufficienza del prestatore nello svolgimento con

creto delle mansioni.

Si tratta dunque di una indagine di fatto che non può

ipotizzare risposte aprioristiche, come invece sembra operare la

pur numerosa giurisprudenza che vede nella fattispecie sempre e

comunque un facere infungibile.

Opinare diversamente significa inoltre, ad avviso di questo

giudicante, non solo svuotare di significato la storica portata dell'art. 18 1. 300/70 (che prevede la stabilità « reale » del posto di lavoro intesa non soltanto come ricostituzione del rapporto di

lavoro, v. Pret. Milano 28 gennaio 1975, id., 1975, I, 737), ed in

via interinale dell'art. 700 c.px. che ad esso si riconnette, ma

obliterare ili comando dell'autorità giudiziaria attraverso la costru

zione di artificiose piramidi logico-giuridiche (ad es. la presta zione lavorativa è solo un dovere del lavoratore) che svuotano di

significato ii dettato costituzionale (art. 4 e 41, 2° comma) e che

meglio approfonditi sotto varie ottiche visuali probabilmente

porterebbero a legittimare veri profili di illegittimità (per es. in

relazione agli art. 2087 c,c., art. 13 1. 300/70 trattandosi del

massimo mutamento possibile di mansioni, ecc.).

B) Ciò premesso in via generale, bisogna osservare che la

posizione dei tre ricorrenti appare per alcuni versi diversificata.

Infatti, dalle sommarie informazioni fin qui assunte, è emerso

che mentre Villardite e Gallelli svolgevano, prima del licenzia

mento, mansioni determinate o, quanto meno, sufficientemente

determinabili, e sulle quali il giudice può intervenire incinsiva

mente, invece la posizione del Padovan appare più complessa, ed

anche contraddittoria rispetto ai limitati fini della presente sede.

Infatti, è risultato che Padovan: dall'ottobre 1982 non svolge al

cun compito, né si è individuata una sua precisa collocazione fisica

in azienda; risulta essere delegato sindacale; nel giudizio di cogni zione non ha impugnato la sua « strana » posizione lavorativa, ma

si è limitato a farla presente allo scopo di potenziare le sue ragioni tese a far valere l'illegittimità del licenziamento; riguardo, poi, alla situazione di fatto che si è realizzata dopo l'ordinan

za ex art. 700 c.p.c. più volte citata, è emerso che allo

stesso Padovan risultano limitate le prerogative sindacali solo in

relazione alla circostanza che la sua « emarginazione », e cioè il

poter sostare solo nella portineria dell'azienda, non gli permetta di rendersi immediatamente edotto dei problemi che riguardano l'ambiente di lavoro dei suoi colleghi, intesa questa espressione in

senso ampio (salubrità del posto di lavoro, ritmi di lavoro,

ecc.). Osserva questo giudicante che è innegabile che tutto questo

abbia un suo indubbio peso specifico; tuttavia la mancanza

obiettiva di punti di riferimento ai quali fare capo nel momento

della determinazione delle incombenze da affidare al lavoratore, rende impossibile la individuazione di ordini precisi da porre in

essere nei confronti di chi è preposto a far osservare le statuizio ni del giudice. È chiaro, d'altra parte, che è problema che deve essere affrontato in altra sede quello di verificare la posizione del

lavoratore Padovan sotto il profilo delle mansioni.

Tutte queste circostanze non ricorrono, come si è detto, per gli altri due ricorrenti e, pertanto, la loro istanza può essere accolta.

IV

Motivi della decisione. — 1. - La società opponente all'esecu

zione promossa dal Panigada adduce due distinti ordini di

ragioni: 1) la sentenza di primo grado non avrebbe dovuto essere

munita dal cancelliere di formula esecutiva perché tale non era

stata dichiarata dal giudice che l'aveva pronunciata in primo

grado; 2) la condanna alla reintegrazione nel posto di lavoro è

insuscettibile di esecuzione forzata, trattandosi di condanna all'a

dempimento di un obbligo di fare infungibile. 2. - 'Il primo motivo di opposizione è destituito di ogni

fondamento. La sentenza con cui fu ordinata la reintegrazione nel

posto di lavoro del Panigada contiene anche la condanna della

società Andrea Pensotti al pagamento di somme di denaro a

favore del lavoratore licenziato, per crediti derivanti dal rapporto di lavoro, e pertanto è provvisoriamente esecutiva ai sensi dell'art.

431 c.p.c., come la stessa opponente riconosce; arbitraria è la

ulteriore asserzione dell'opponente, secondo cui, anche quando

l'esecutività provvisoria della sentenza è prevista dalla legge, l'unico organo competente a « verificare, accertare è dichiarare che nel caso concreto esistono le condizioni per il richiamo, ai fini dell'esecuzione » delle norme che prevedono l'esecutività sarebbe il giudice. L'organo al quale compete di verificare se una sentenza è esecutiva (o perché passata in giudicato, o perché resa in grado d'appello, o perché resa in unico grado, o perché dichiarata provvisoriamente esecutiva, o perché intrmsecamente

esecutiva), è di cancelliere (art. 475 c.p.c. e 153 disp. att. c.p.c.), la cui valutazione circa l'esistenza di un titolo esecutivo è sindacabile in sede di opposizione alla esecuzione. Nella specie, appunto, bene e legalmente il cancelliere appose la formula esecutiva anche in assenza di clausola di provvisoria esecuzione, dal momento che si trattava di sentenza provvisoriamente esecu tiva per volontà di legge; è del tutto evidente, infatti, che la clausola di provvisoria esecutività prevista dall'art. 280 c.p.c. è istituto riferibile soltanto alla sentenza la cui provvisoria esecuti vità non sia già preveduta dalla legge.

3. - Anche il secondo motivo di opposizione non è fondato. In

verità, la dibattuta questione sulla eseguibilità o meno per le vie forzate delle sentenze che condannano il datore di lavoro a riassumere di lavoratore licenziato appare fondata su un punto di vista che non si ritiene di condividere: che in sede di esecuzione si possa sindacare se l'obbligo di fare portato dalla sentenza di condanna sia coercibile o non coercibile. La questione della coercibilità di una sentenza che comporti condanna ad un facere attiene alla ammissibilità della relativa domanda e va esaminata dal giudice di merito che della domanda venga investito, il quale certamente rigetterà come inammissibile la domanda di chi chieda che taluno sia condannato all'adempimento di prestazioni incoer cibili. Ma, quando il giudice abbia condannato taluno a fare

alcunché, non compete poi certo agli organi dell'esecuzione di

negare l'attuazione pratica della sentenza; al giudice dell'esecu zione compete di attuare (o di tentare di attuare) le sentenze

qualsiasi cosa esse prescrivano. La riferita considerazione vale, a

maggior ragione, quando la legge stessa prescrive che si emanino sentenze di condanna a determinati adempimenti, quale è il caso dell'art. 18 dello statuto dei lavoratori. Se la legge vuole che il datore di lavoro sia condannato a riassumere il lavoratore, se il

giudice del lavoro emette tale sentenza di condanna, non si vede come possa sostenersi che il giudice dell'esecuzione non sia chiamato a dare attuazione pratica al provvedimento di condanna e che, conseguentemente, il lavoratore non vanti un titolo per l'esecuzione della condanna. Tutt'altra considerazione, di ordine

meramente fattuale, è che l'esecuzione possa non sortire i suoi

effetti pratici; sembra peraltro, come giustamente rileva il conve

nuto, che le difficoltà di eseguire un ordine di reintegrazione nel

posto di lavoro vengano notevolmente esagerate; la necessità della incoercibile collaborazione del datore 'di lavoro attiene piuttosto alla ripresa continuativa dell rapporto di lavoro che non alla riassunzione del lavoratore, il più delle volte attuabile con il

semplice accompagnamento del lavoratore ned locali dell'impresa, o nell'ufficio precedentemente occupato. Del resto, consta che i

giudici dell'esecuzione diano attuazione alle sentenze che condan nano alla riassunzione, e non constano invece precedenti editi di

giudici dell'esecuzione che si siano rifiutati di dare esecuzione a

quelle sentenze. Né è privo di significato il fatto che l'orienta mento della Suprema corte circa l'incoercibilità dell'ordine di reintegra si sia formato nell'esame di problemi indirettamente

collegati con l'esecuzione coattiva dell'ordine di reintegra; non esiste, o almeno non consta, una pronuncia della Suprema corte resa in procedimento di opposizione ad esecuzione dell'ordine di

reintegra, che sancisca il principio che l'ordine di reintegra sia un'appendice decorativa delle sentenze ohe annullano i licen ziamenti.

Va affermato pertanto che il Panigada, in forza della sentenza del Pretore di Legnano giudice del lavoro, debitamente spedita in forma esecutiva, ha pieno diritto di procedere all'esecuzione forzata della condanna della società Pensotti alla sua riassunzio ne. L'opposizione va quindi rigettata. (Omissis)

PRETURA DI SALO'; ordinanza 29 settembre 1984; Giud.

Fuzio; Soc. Meliconi (Aw. Ghidini, Carattoni) c. Ditta In tercomex (Avv. Pellegrino, Bertelli).

PRETURA DI SALO';

Provvedimenti di urgenza — Brevetti per invenzioni industria li — Ammissibilità — Condizioni (Cod. proc. civ., art.

700; r.d. 29 giugno 1939 n. 1127, testo delle disposizioni legislative in materia di brevetti per invenzioni industriali, art.

83, 83 bis).

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