sentenza 27 luglio 1983; Pres. ed est. Fiorella; F.i.l.t.e.a.-C.g.i.l. (Avv. Renna, Colopi, F. Romano)c. Soc. Panfil Winnetou (Avv. De Carlo, Piccinno, Gius. Costantino)Source: Il Foro Italiano, Vol. 107, No. 12 (DICEMBRE 1984), pp. 3037/3038-3049/3050Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23178362 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
contratto stipulato tra le parti il 21 gennaio 1965 con cui la
S.a.t.a.p., quale concessionaria della costruzione ed esercizio della
autostrada Torino-Alessandria-Piacenza, commetteva all'Alpina (la
quale aveva già fornito il progetto esecutivo del tronco autostra
dale in oggetto) la progettazione in corso d'opera. Non sussiste pertanto la pretesa carenza di legittimazione
passiva della S.a.t.a.p., in quanto la normativa da costei richiama
ta non ha inteso disporre una modificazione soggettiva nell'ambi
to del rapporto scaturente dal citato contratto, ma ha semplice mente autorizzato l'A.n.a.s. al pagamento dei debiti delle società
concessionarie di tronchi autostradali, con effetto solutorio per
quest'ultima, le quali tuttavia continuavano a rispondere delle
obbligazioni assunte e senza costituire peraltro alcun diritto
soggettivo a favore dei creditori delle società menzionate nei
confronti della medesima A.n.a.s. (con conseguente carenza di
giurisdizione dell'a.g.o. sulle eventuali controversie sul punto). Per quanto riguarda, poi, la questione relativa alla nullità del
contratto di cui è causa, ai sensi dell'art. 2 1. 23 novembre 1939
n. 1815 e dell'art. 2231 c.c., si osserva che dall'esame delle citate
disposizioni si evince che, mentre la legge ammette l'esercizio di
attività professionali da parte di studi associati, invece pone un
esplicito divieto, sanzionato anche penalmente (art. 7 1. 1815/39), allo svolgimento della medesima da parte di altri soggetti, ed in
particolare di società.
La Corte costituzionale, chiamata a decidere sulla legittimità di
tali disposizioni, in relazione dell'art. 41 Cost., ha recentemente, con la sentenza 22 gennaio 1976 (Foro it., 1976, I, 265), dato
ragione del divieto, sotto il profilo della esigenza di tutela sia
delle varie categorie professionali, sia del corretto esercizio delle
stesse prestazioni intellettuali, in rapporto alla responsabilità per sonale spettante al professionista (nella società di capitali, invece, la responsabilità è contenuta nei limiti del capitale sociale,
mentre, d'altra parte, nessuna norma impone ai soci, oppure agli
amministratori, il possesso di particolari requisiti professionali) ed
ail'intuit us personae che è proprio di tali tipi di rapporti (mentre nella società di capitali le quote sono trasferibili, gli amministra
tori possono essere sostituiti, anche da liquidatori, amministratori,
ecc.).
Deve porsi il problema, a questo punto, di stabilire se tra le
società, la cui costituzione ed attività sono vietate, debbano
comprendersi anche le c.d. società di « engineering », o di proget tazione industriale, le quali, come è noto, costituiscono delle
strutture indispensabili per la realizzazione di grandiosi complessi abitativi od industriali, per cui non sarebbero sufficienti i normali
studi professionali, sia per le dimensioni organizzative connesse
alla esecuzione dell'opera, sia per le esigenze di carattere inter
disciplinare che la stessa realizzazione comporta. Il Tribunale di Milano ha già avuto modo, con le sentenze del
19 marzo 1979 nella causa S.t.e.g.s. s.p.a. - Foster Wheeler it.
(id., Rep. 1979, voce Società, n. 125, e voce Professioni intellet
tuali, n. 19) e del 17 gennaio 1980 nella causa Fintecnica -
Intersibari (ined.), basando la propria decisione appunto sulla
constatazione che le società di « engineering » sono ormai un
dato ineliminabile nella attuale realtà giuridico-economica, di
affermarne la liceità in particolari ipotesi, anche riguardo alle
numerose leggi che predispongono in loro favore agevolazioni varie.
La liceità del fenomeno in oggetto si concilia con il disposto di
cui all'art. 2 1. 1815/39 poiché questo considera, evidentemente,
l'ipotesi di prestazioni professionali esercitate in maniera associata
senza il rispetto delle formalità previste dall'art. 1, come si
desume dall'espresso riferimento alle attività di assistenza e
consulenza, ove invece l'attività svolta dalla società di « enginee
ring » è più articolata e complessa, anche se implica, in via
occasionale, l'espletamento di un'opera intellettuale.
Tale attività, infatti, consiste nella prestazione di un risultato,
con organizzazione dei mezzi e gestione a proprio rischio, per cui
il relativo rapporto non può definirsi come una prestazione di
opera intellettuale, che ha invece per oggetto una obbligazione di
mezzi, e che si adempie con lavoro prevalentemente proprio, ma
deve invece qualificarsi come appalto (art. 1668 c.c.).
Se nell'ambito del risultato da raggiungere deve essere svolta
anche un'attività di progettazione, o altra di quelle che la legge
riserva ai professionisti, quest'ultima perde la propria autonomia,
essendo assorbita nella complessa attività svolta dalla contraente
per la realizzazione del risultato e, pertanto, costituisce essa
stessa un elemento di quella organizzazione di mezzi necessaria
per la configurazione del medesimo appalto. In tale caso, eviden
temente, non solo non sussiste la nullità sancita dall'art. 2231
c.c., che riserva ai professionisti iscritti all'albo la stipulazione dei
contratti di opera intellettuale, appunto perché nel caso conside
rato muta la qualificazione giuridica del rapporto.
Poiché la configurabilità dell'appalto si verifichi, tuttavia è
necessario che l'attività intellettuale sia completamente secondaria
ed accessoria, non solo rispetto alla organizzazione di uomini e di
mezzi mossa dalla appaltatrice (dimensione quantitativa) ma an
che alla varietà e complessità delle opere eseguite (dimensione
qualitativa). Cosi, ad esempio, la realizzazione di un vasto com
plesso turistico può dar luogo senz'altro ad una tale fattispecie,
quando l'attività di progettazione e di direzione dei lavori sia
accompagnata dalla costruzione degli edifici e delle infrastrutture, da una ricerca sociologica riguardante la destinazione e tipologia del complesso, di un'attività di marketing avente per oggetto la
promozione dell'iniziativa e la vendita degli edifici, ecc. In tali
ipotesi, evidentemente, è lecito all'appaltatore fornire il progetto e
l'attività di direzione dei lavori o con propri lavoratori subordina
ti che abbiano la qualificazione professionale necessaria o con
professionisti esterni, appositamente incaricati.
Quando però l'attività complessivamente svolta non è altrettan
to varia e non permette alla prestazione intellettuale di perdere i
suoi connotati essenziali e di essere assorbita nel risultato perse
guito, allora conserva la propria autonomia e dà luogo ad un
vero e proprio rapporto di natura professionale che, come tale, è
soggetto ai divieti di cui alla normativa citata.
Premesso quanto sopra, appare evidente che, per verificare la
validità del contratto di cui è causa, occorre individuarne in
concreto il contenuto.
Come si è già riferito, le prestazioni di cui l'opposta domanda
il pagamento consistono nella progettazione in corso d'opera dall'autostrada Torino-Alessandria-Piacenza. Si tratta, come è evi
dente, di attività di contenuto squisitamente intellettuale, che
rientra in quelle tipiche riservate alla professione di ingegnere. Tale circostanza viene suffragata all'espresso riferimento fatto
dalle parti nel contratto 21 gennaio 1965, alla natura professiona le del rapporto (art. 4), nonché al « t.u. della tariffa degli onorari
per le prestazioni professionali degli ingegneri ed architetti », art. 15.
Tale circostanza di per sé esclude che le dimensioni organizza tive della convenuta siano tali da mutare la qualificazione giuridica del rapporto, per cui le relative istanze istruttorie vanno rigettate.
Il decreto ingiuntivo va pertanto revocato e le domande
riconvenzionali respinte. (Omissis)
I
TRIBUNALE DI LECCE; sentenza 27 luglio 1983; Pres. ed est.
Fiorella; F.LLt.e.a.-C.g.il (Aw. Renna, Colopi, F. Romano) c. Soc. Panfil Winnetou (Avv. De Carlo, Piccinno, Gius.
Costantino).
TRIBUNALE DI LECCE;
Lavoro (rapporto) — Reintegrazione nel posto di lavoro —
Esecuzione forzata — Ammissibilità — Limiti (Cod. civ., art.
2931; cod. proc. civ., art. 612; 1. 20 maggio 1970 n. 300, nor
me sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della li
bertà sindacale e dell'attività sindacale nei luoghi di lavoro
e norme sul collocamento).
L'obbligo di reintegrare il lavoratore -nel posto di lavoro è
eseguibile coattivamente per la parte relativa alla riammissione
del lavoratore in azienda, alla obbligazione retributiva, al
ripristino della posizione assicurativa e a quegli obblighi fungi bili da individuare di volta in volta dal giudice che procede
all'esecuzione; non è invece eseguibile per la parte infungibile, che postula la cooperazione attiva del datore di lavoro. (1)
(1, 3, 5, 7) Il problema dell'eseguibilità in forma specifica dell'ordine di reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro continua ad essere
oggetto di soluzioni differenziate nello stesso ambito della giurispruden za di merito: mentre Pret. Alessano — che qui si riporta — sembra
adeguare sostanzialmente il proprio decisum agli orientamenti espressi sul punto dalla Corte di cassazione, Trib. Lecce, anch'essa riprodotta, può ricondursi a quell'indirizzo — già prospettato da Pret. Milano 21
aprile 1972, Foro it., 1972, I, 1141 — che, prendendo le mosse dalla riconosciuta possibilità di scomporre l'obbligo (complesso) di reintegra zione in più obblighi semplici e dalla affermata necessità di verificare il carattere fungibile/infungibile di essi in concreto, nel quadro delle
condizioni materiali e giuridiche che ne segnano l'adempimento, giunge a ritenere ammissibile la coercibilità di tale obbligo limitatamente a
quelle determinate misure tendenti a far riacquistare al lavoratore il
prestigio di cui godeva nell'ambiente di lavoro (riguardanti, in partico lare, la permanenza del lavoratore in azienda, l'esercizio dei diritti connessi all'organizzazione ed all'attività sindacale, la reiscrizione nei
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3039 PARTE PRIMA 3040
II
PRETURA DI ALESSANO; sentenza 10 dicembre 1983; Giud.
Almiento; Soc. Panfil Winnetou (Avv. De Carlo, Piccinno,
Gius. Costantino) c. F.i.l.t.eja.-C.g.iJ. (Avv. Renna, Colopi, E. Romano).
Sindacati — Decreto di repressione della condotta antisindacale —■ Esecuzione — Notifica del titolo e del precetto — Super fluità — Opposizione all'esecuzione — Ammissibilità (Cod.
proc. civ., art. 615; 1. 20 maggio 1970 n. 300, art. 28). Lavoro (rapporto) — Reintegrazione nel posto di lavoro —
Esecuzione forzata — Inammissibilità (Cod. civ., art. 2931; cod.
proc. civ., art. 612).
Per l'esecuzione del decreto ex art. 28 dello statuto dei lavoratori
non è necessaria la previa notificazione del titolo e del precet
to, ma ciò non impedisce al datore di lavoro di proporre le
opposizioni previste dagli art. 615 ss. c.p.c. (2) L'ordine di reintegrare il lavoratore (non licenziato) nel posto e
nelle mansioni in precedenza occupati non è suscettibile di
esecuzione forzata. i(3)
libri paga e matricola e nei libri assicurativi, l'utilizzazione dei servizi aziendali e la partecipazione alle iniziative sindacali).
Tale orientamento — fatto proprio anche da Pret. Como 2 aprile 1982 id., Rep. 1982, voce Lavoro (rapporto), n. 925; Pret. Lecce 28 dicembre 1981, id., 1982, I, 1018, in motivazione, cui adde Pret. Biella 7 febbraio 1980, id., Rep. 1980, voce Esecuzione forzata obblighi di fare, n. 11; Pret. Roma 3 giugno 1980, id., Rep. 1980, voce Provvedimenti di urgenza, n. 93; Pret. Domodossola 14 aprile 1979, id., Rep. 1979, voce Lavoro (rapporto), n. 1264; Pret. Milano 20 febbraio 1979, ibid., n. 1268; Pret. Ascoli Piceno 8 marzo 1976, id., 1976, I, 830 — rappresenta la conseguenza di un approccio definito « pragmatico, duttile, legato a valutazioni di opportunità » (Ghez zi-Romagnoli, Il rapporto di lavoro, Bologna, 1984, 423), che si avvale
di quanto la dottrina processual-civilistica ha via via elaborato in
materia di esecuzione in forma specifica degli obblighi di fare,
specialmente sotto il profilo della utilizzazione dei meccanismi esecutivi
diretti in funzione di mezzo di coazione indiretta (cfr. le puntualizza zioni di A. Proto Pisani, Aspetti processuali della reintegrazione nel
posto di lavoro, in Foro it., 1982, V, 117 ss. e di S. iMazzamuto, L'attuazione degli obblighi di fare, Napoli, 1978, 179, spec. 184).
In proposito, deve tuttavia segnalarsi che alla richiesta di una
lavoratrice, licenziata e riammessa ope iudicis in azienda, diretta ad
ottenere ulteriori provvedimenti che le consentissero di effettuare la
propria prestazione lavorativa, nonostante la contraria volontà del datore di lavoro, Pret. Roma 28 gennaio 1984, giud. Macioce, Lemmo c. Soc. Essedi, inedita a quanto consta, ha opposto il difetto di interesse attuale con la seguente motivazione: « che poi, in concreto, non le venga assegnato lavoro e che ella si trovi nella mortificante
quanto esasperante condizione di una ' reclusa di fatto ' è dato assai
grave e che — difettando nel giudice il potere di coartare l'assegnazio ne delle operazioni lavorative — attesta, semmai, l'intrinseca inutilità e
la oggettiva abnormità di un ordine di riammissione ' al posto ' di
lavoro non collegato ad esigenze (protette e coercibili) di presenza sindacale ma lasciato nell'assoluta indeterminatezza oggettiva ».
Differenziandosi dall'orientamento riferito, Pret. Milano 13 ottobre
1983, che pure si riporta, si colloca tra quelle decisioni — v., per
tutte, Pret. Roma 25 agosto 1979, Foro it., 1979, I, 2132, con nota di G. Silvestri e Pret. Padova 17 marzo 1980, id., 1980, I, 1779, con nota di richiami — secondo le quali non può ipotizzarsi aprioristicamente la natura assolutamente infungibile dell'attività con cui il datore di lavoro riaffida le mansioni lavorative al dipendente reintegrato, dovendo
piuttosto valutarsi, in ragione del livello di autosufficienza del prestato re nello svolgimento concreto della mansione, se ed in che misura il datore è suscettibile di essere surrogato da terzi in tale attività di collaborazione. A questa impostazione, cui ha ritenuto di adeguarsi anche Pret. Como 2 aprile 1982, cit., in un caso in cui datore di lavoro era una persona giuridica, sembra aderire da ultimo anche Pret. Roma 7 luglio 1983, giud. Foschini, Mancini c. R.a.i.-TV, a quanto consta inedita, che ha disposto a mezzo di ufficiale giudiziario la
reintegrazione nel posto e nelle mansioni di una presentatrice della
R.a.i., facendo carico al direttore del servizio cui la stessa era addetta
di consentirle di lavorare come prima del licenziamento. Della « fanta
siosa » motivazione di tale ultima sentenza ci si può limitare a
segnalare solo uno dei passaggi chiave, visto che la inconsueta (?)
lunghezza ne rende impossibile la pubblicazione: e sotto quest'ultimo profilo non resta che richiamare, anche qui, quanto ha già avuto modo di sottolineare C. M. Barone in margine ad altra prolissa decisione (v. Cass. 15 ottobre 1984, n. 5170, id., 1984, I, 2723). Dopo aver
premesso che sarebbe apodittico ritenere che « solo l'imprenditore sia in grado, per capacità ideative e tecniche e/o per la inalienabilità della sua funzione di direzione aziendale di porre in essere quella attività e
quella astensione di cui si compone il ' far lavorare ' », il giudice
romano prosegue affermando: « in una azienda o unità produttiva con
più di 15 dipendenti.. .è normale che — salvo prova del contrario —
sussistano regole generali di conduzione aziendale pacificamente appli cabili nei rapporti di lavoro per quanto attiene alla produzione, si che
Ill
PRETURA DI MILANO; ordinanza 13 ottobre 1983; Giud.
Robustella; Padovan e altri (Aw. Civitelli, Nespor, Vinci) c. Soc. Ditongomma.
Provvedimenti di urgenza — Esecuzione — Competenza (Cod.
proc. civ., art. 700). Lavoro (rapporto) — Reintegrazione nel posto di lavoro —
Esecuzione forzata — Ammissibilità — Limiti — Fattispecie (Cod. civ., art. 2931; cod. proc. civ., art. 612).
Competente a decidere sull'istanza di determinazione delle modali
tà di esecuzione in relazione ad un provvedimento ex art. 700
c.p.c. è lo stesso giudice che l'ha pronunciato. (4) Ai fini dell'esecuzione dell'ordine di reintegrare il lavoratore
licenziato nel posto di lavoro, è possibile, ai sensi dell'art. 612
c.p.c., determinare giudizialmente tutte le misure che non
prevedano una specifica e continuativa cooperazione del datore
di lavoro, non potendosi ipotizzare una injungibilità astratta ed
assoluta della collaborazione del datore soprattutto nell'ipotesi di lavoro di carattere manuale o comunque inquadrato in un
ciclo produttivo (nella specie, il pretore ha ordinato che, a cura
di ufficiale giudiziario, il lavoratore addetto al mescolatore e al caricamento degli ingredienti nei silos fosse riammesso nello stabilimento e ricevesse le mansioni svolte prima del
licenziamento). (5)
un terzo possa farle proprie senza con ciò imprimere né allo specifico rapporto né per esso aila intera organizzazione del lavoro un indirizzo che potenzialmente o attualmente contrasti con la direzione dell'attività
dell'impresa spettante al titolare della stessa ».
Peraltro, ia Corte di cassazione ha più volte negato, ma sempre in via incidentale, che l'obbligo di reintegrazione, stante ia sua « naturale incoercibilità », possa essere attuato con i modi dell'esecuzione in forma speciiica (v. sent. 26 ottobre 1982, n. 5Ó07, id., Rep. 1983, voce Lavoro (rapporto), n. 2190 e 15 marzo 1982, n. 1669, id., 1982, I, 985, con nota di richiami ed osservazioni di A. Proto Pisani). Non
può, tuttavia, ignorarsi che ia sent. 20 gennaio 1978, n. 2b2 (id., 1978, 1, I486, con nota di richiami ed osservazioni di A. Proto Pisani), traendo argomenti dalia previsione contenuta nell'art. 18 1. n. 300/70 secondo cui dopo la sentenza cne accerta l'illegittimità del licenziamen to il datore di lavoro è tenuto a corrispondere le retribuzioni al
dipendente fino al giorno della sua effettiva reintegra, ha escluso i applicabilità degli art. 29il c.c. e bl2 c.p.c. aliobbligo di reintegrazio ne, ma ne ha riconosciuto ia struttura complessa, ammettendo che « il materiale reingresso dello stesso dipendente nei locali dell azienda ... a
venie natura di un semplice pati... [è] ... attuabile anche coattiva
mente ». Da ultimo, Cass. 19 novembre 1984, n. 5906, inedita, con
l'ennesimo obiter dictum, ha chiuso ogni spiraglio, affermando « che è
io stesso legislatore speciale a riconoscere l'impossibilità o quanto meno
l'inopportunità di giungere all'estrema conseguenza di reimmettere
forzosamente il lavoratore neh organizzazione attiva aziendale contro ia
volontà dei datore di lavoro, ma probabilmente anche contro lo stesso
interesse e desiderio del lavoratore, che potrebbe trovarsi esposto ai
disagi propri di una situazione ostacolata dal primo ». In dottrina, tra i più recenti contributi sul tema, v., anche, M. De
Luca, Tutela reale contro i licenziamenti: profili problematici e
prospettive di evoluzione, in Riv. it. dir. lav., 1983, 1, 65 ss. e F. Santoni (a cura di), La tutela del provvedimento di reintegrazione, Milano, 1983.
in relazione alla settima massima, nel senso che la questio ne relativa aila coercibilità degli obblighi di fare e di non fare non rientra nella competenza funzionale del giudice dell'esecuzione ex art. 612 c.p.c., che attiene soltanto alle modalità compiete del procedi mento esecutivo, v. App. Milano 9 febbraio 1954, toro it., 1954, 1, 357. Nel senso che in sede di esecuzione non può aprirsi la discussione
giudiziale sufi esistenza dell'obbligo già consacrato in sentenza, v. App. Genova 7 marzo 1953, id., Rep. 1953, voce Esecuzione forzata obblighi di fare, n. 6.
Nei senso che il giudice dell'esecuzione è tenuto ad interpretare la sentenza di condanna ad un obbligo di fare in modo da renderne
possibile la concreta attuazione, Cass. 18 settembre 1979, n. 4794, id., Rep. 1979, voce cit., n. 2. In senso contrario, con riferimento alla
possibilità del giudice deli esecuzione di decidere con sentenza sull'am missibilità e fondatezza dell'esecuzione stessa, Trib. Napoli 25 marzo
1977, id., Rep. 1978, voce cit., n. 6; (Pret. Mirabella Eclano 9 dicembre 1959, id., Rep. 1960, voce cit., n. 5.
in dottrina A. Musatti, Esecuzione del vincolo consortile, nota adesi va ad App. Milano 9 febbraio 1954, id., 1954, 1, 357.
(2, 4) Mentre Pret. Roma 12 marzo 1982, Foro it., Rep. 1983, voce
Sindacati, n. 138, ha ritenuto che l'esecuzione del decreto ex art. 28 1. n. 300/70 deve essere effettuata nei modi e nelle forme dell'esecuzione
ordinaria, Pret. Roma 31 agosto 1981, id., 1982, I, 586, con nota di
richiami, ha stabilito che per tale esecuzione non è necessaria la
notificazione del titolo e del precetto. Nello stesso senso, ma con rife rimento all'esecuzione di un'ordinanza di reintegra ex art. 700 c.p.c., v. Cass. 25 marzo 1981, n. 1737, id., 1981, I, 968.
Per la eseguibilità del provvedimento di urgenza con le modalità di
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
IV
PRETURA DI LEGNANO; sentenza 19 ottobre 1982; Giud.
Carboni; Soc. Pensotti (Avv. Olgiati, Tririfò) c. Panigada
(Aw. Rimoldi).
Esecuzione forzata in genere — Titolo esecutivo — Rilascio —
Poteri del giudice (Cod. proc. civ., art. 474, 612; disp. att. cod.
proc. civ., art. 153). Esecuzione forzata di obblighi di fare o di non fare — Poteri
del giudice (Cod. civ., art. 2931; cod. proc. civ., art. 612; 1.
20 maggio 1970 n. 300, art. 18).
L'organo competente a verificare se la sentenza è esecutiva è il
cancelliere, la cui valutazione circa l'esistenza del titolo esecu
tivo è sindacabile in sede di opposizione all'esecuzione. (6)
Spetta al giudice della cognizione accertare l'ammissibilità della
domanda di condanna ad un facere infungibile, sicché, una
volta che tale domanda sia stata accolta, il giudice dell'esecu
zione non può sindacare la coercibilità dell'obbligo, ma deve
attuarlo o tentare di attuarlo. (7)
I
Motivi della decisione. — Deve preliminarmente disattendersi
la richiesta della Panfil di sospensione del presente giudizio in
attesa della definizione del giudizio penale iniziato per violazione
dell'art. 650 c.p.: invero, non sussiste alcun rapporto di pregiudi zialità tra il processo penale e quello in decisione che imponga o
suggerisca la chiesta sospensione. Prima di esaminare l'appello, è necessario individuare le que
stioni che sono state decise con l'impugnata sentenza al fine di
rapportare alle stesse sia i motivi di gravame sia le richieste delle
parti. La sentenza del pretore ha deciso due diverse questioni oggetto
di due diversi giudizi che sono stati riuniti. Il primo dei giudizi è
quello iniziato con l'opposizione proposta dalla Panfil avverso il
precetto notificato dalla Fi.l.t.e.a. per l'esecuzione forzata dell'ordine
di reintegrazione nel posto di lavoro e nelle mansioni preceden
temente espletate di Silvestri Cosimo, rappresentante sindacale
aziendale licenziato per fini antisindacali. Il secondo giudizio è
quello iniziato dalla F.i.l.t.e.a. per richiedere la fissazione delle
modalità di esecuzione del decreto di reintegrazione. Il pretore,
avendo dichiarato, in accoglimento dell'opposizione, inammissibile
ed improcedibile l'esecuzione forzata in forma specifica dell'ordi
cui all'art. 612 c.p.c. e per la conseguente esperibilità dell'opposizione
all'esecuzione, v. Pret. Milano 15 gennaio 1958, id., Rep. 1968, voce
Provvedimenti di urgenza, n. 22, nonché Cass. 21 febbraio 1974, n.
512, id., 1974, I, 3412, in relazione però all'esecuzione di un
provvedimento possessorio. In dottrina, cfr. Vaccarella, Il procedimento di repressione della
condotta antisindacale, Milano, 1977, 185 ss.; D'Auria, Esecuzione dei
provvedimenti cautelari e reintegrazione nel posto di lavoro, in Riv.
giur. lav., 1979, II, 1066; E. Silvestri, Problemi e prospettive di
evoluzione nell'esecuzione degli obblighi di lare e di non fare, in Riv.
dir. proc., 1981, 40 ss. Nel senso della quarta massima e cioè che spetta al giudice che ha
emesso il provvedimento cautelare di urgenza per la reintegrazione del
lavoratore licenziato nel posto di lavoro dettare le misure occorrenti
per l'esecuzione del medesimo provvedimento, v. Cass. 16 settembre
1983, n. 5608, Foro it., Rep. 1983, voce cit., n. 97; Pret. Roma 29
giugno 1982, ibid., n. 91; Pret. Bologna 28 novembre 1981, ibid., n.
92, nonché con riferimento al decreto ex art. 28 1. n. 300/70 Pret. Roma 31 agosto 1981, cit.
Da ultimo Cass. 11 novembre 1982, n. 5947, id., Rep. 1982, voce
cit., n. 90, che distingue l'ipotesi in cui il beneficiario del provvedimen to abbia preferito ricorrere alla forma coatta diretta, per la quale giudice competente è quello che ha emesso il provvedimento o quello competente per il merito se risulta già instaurato il relativo giudizio, dall'ipotesi in cui il beneficiario si sia avvalso della normale procedura di esecuzione forzata, dovendosi in tal caso ritenere competente il
giudice di esecuzione secondo le regole ordinarie.
(6) Nel senso che il cancelliere debba accertarsi dell'esistenza oltre che della validità formale di un titolo che legittimi l'esecuzione, Cass. 5 agosto 1961, n. 1910, Foro it., Rep. 1961, voce Esecuzione forzata in
genere, n. 17. Nel senso che il cancelliere deve limitarsi ad una
indagine puramente formale sulla completezza del titolo i(nella specie una sentenza), di cui si chiede il rilascio in forma esecutiva, ma senza alcun esame circa il passaggio o meno in giudicato della medesima, Pret. Gissi 25 luglio 1954, id., Rep. 1955, voce cit., n. 30; Trib. Firenze 13 maggio 1955, ibid., voce Sentenza civile, n. 175; Cass. 1°
aprile 1958, n. 1132, id., 1958, I, 1214. In dottrina cfr. Giuliotti, Titolo esecutivo e formula esecutiva, id.,
1958, I, 1214; Mariani, Sul rilascio da parte del cancelliere, di copia in forma esecutiva, di sentenza non ancora eseguibile, id., 1959, I, 1353.
ne di reintegrazione del lavoratore licenziato, ha di conseguenza dichiarato assorbita la richiesta di fissazione delle modalità di
esecuzione del decreto del 31 luglio 1982.
L'appello della F.i.l.t.e.a., se pure rivolto, nelle richieste conclu
sive, alla determinazione delle modalità di esecuzione del decreto in parola, coinvolge l'intera sentenza anche per quella parte che
dichiara inammissibile l'esecuzione forzata in forma specifica dell'ordine di reintegrazione del lavoratore licenziato in quanto attiene ad un fare infungibile che presuppone la collaborazione del datore di lavoro il quale sarebbe libero di non adempiere subendo, tuttavia, la sanzione penale.
La decisione impugnata, che ripropone acriticamente la tradi zionale teoria delle incoercibilità delle obbligazioni infungibili, di
quelle, cioè, in cui la prestazione dovuta consiste in un'attività che solo il soggetto obbligato può realizzare, non può essere condivisa.
Invero, iil punto da cui occorre muovere per affrontare questa materia è il significato che nel nostro ordinamento assume la stabilità reale del rapporto di lavoro introdotta dallo statuto dei lavoratori.
Le sezioni unite della Cassazione, con la sentenza n. 1268 del 12 aprile 1976 {Foro it., 1976, il, 1136), nello stabilire che la
sospensione della prescrizione dei crediti di lavoro, in costanza di
rapporti dotati di stabilità reale, non opera, afferma che « deve ritenersi stabile ogni rapporto di lavoro che, indipendentemente dal carattere pubblico o privato del datore di lavoro, sia regolato da una disciplina la quale, sul piano sostanziale, subordina la
legittimità e la efficacia della risoluzione alla sussistenza di circo
stanze obiettive e predeterminate e, sul piano processuale, affidi al
giudice il sindacato su tali circostanze e la possibilità di rimuovere
gli effetti del licenziamento illegittimo ». Tale possibilità di rimuove re gli effetti del licenziamento illegittimo comporta necessariamente la previsione di strumenti processuali idonei ad assicurare la effet
tiva reintegrazione nel posto di lavoro del lavoratore licenziato al
fine di assicurare, in conformità al dettato costituzionale, la effettiva
tutela del diritto al lavoro, inteso come diritto di lavorare al
quale corrisponde la obbligazione del datore di far lavorare. Non
avrebbe senso, infatti, la previsione normativa dell'ordine di
reintegrazione provvisoriamente esecutivo se poi lo stesso ordine si riferisce ad obblighi la cui esecuzione specifica è impossibile sia per infungibilità della prestazione sia per mancanza di stru
menti processuali idonei. Per cui appare illogico ed in contrasto con precise disposizioni normative il sostenere, come fa il primo giudice, la generale incoercibilità dell'ordine di reintegrazione, che la stessa legge munisce di provvisoria esecutività. A sostegno della affermata incoercibilità, il pretore fa riferimento alla previ sione di mezzi di coazione indiretta, di natura economica per l'art. 18 dello statuto dei lavoratori e di natura penale per l'art. 28: tale previsione escludereabbe il ricorso alla coazione diretta
prevista dalle stesse norme, nel senso che il datore di lavoro avrebbe la possibilità di scegliere tra lo spontaneo adempimento ed il subire la sanzione, economica o penale secondo il caso. In
proposito si osserva che non ha alcun fondamento giuridico affermare l'alternatività e, quindi, escludere il cumulo di strumen ti di tutela esecutiva diretta e mezzi di coazione indiretta, se si
pensa che esiste nel nostro ordinamento un principio generale, al
quale fa riferimento l'art. 483 c.p.c., che consente addirittura il
cumulo di più azioni esecutive a tutela di uno stesso diritto. Né
risponde al vero l'affermazione che lo statuto dei lavoratori
poggia sul sistema della coercizione indiretta con la conseguenza che ogni comportamento che viola una norma viene sanzionato
economicamente o penalmente, sanzione che rappresenta l'equiva lente della reintegrazione.
Senza soffermarsi su quest'ultima affermazione che non tiene
alcun conto del fatto che nessuna sanzione può mai costituire
l'equivalente della reintegrazione ai fini della effettiva tutela del
diritto al lavoro cui si faceva sopra riferimento, si osserva che la
reintegra, come imposta dall'art. 18 dello statuto, costituisce
obbligo primario e non alternativo a quello retributivo: quest'ul timo, infatti, consegue in ogni caso all'ordine di reintegra tanto è
vero che il capoverso del predetto art. 18 recita: « il datore di
lavoro che non ottempera alla sentenza... è tenuto inoltre a
corrispondere al lavoratore le retribuzioni dovutegli ». Il cumulo
tra l'obbligo di reintegra e la sanzione pecuniaria per l'inottempe ranza è ancora più evidente nell'ultima parte dello stesso articolo
per i lavoratori di cui all'art. 22 successivo. Quanto all'art. 28, la
previsione della sanzione penale quale mezzo di coazione indiret
ta per ottenere la spontanea ottemperanza al decreto di cui al 1°
comma, non autorizza in alcun modo ad affermare la incoercibili
tà, con mezzi diretti, dello stesso decreto.
Quanto alla incoercibilità legata alla infungibilità degli obblighi
di fare oggetto della prestazione del datore di lavoro, si osserva
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3043 PARTE PRIMA 3044
che l'obbligo di reintegrare il lavoratore costituisce un comporta
mento complesso la cui finalità è quella di ripristinare la fisiolo
gia del rapporto di lavoro. In tale comportamento, la cui com
plessità è rapportata a quella che di volta in volta caratterizza il
singolo rapporto da ripristinare, occorre individuare in concreto
quali delle prestazioni del datore di lavoro, che concorrono a
formare l'obbligazione del reintegrare, siano fungibili e, quindi,
suscettibili di esecuzione in forma specifica, e quali, invece,
comportino necessariamente un fare strettamente personale del
l'obbligato e siano, quindi, incoercibili in conformità ad un
principio di tutela della libertà personale. La dottrina e la giurisprudenza di merito hanno individuato
nell'ambito dell'obbligo di reintegrazione una serie di prestazioni certamente fungibili in quanto o non costituiscono un fare,
consistendo soprattutto nel dovere di non frapporre ostacoli allo
svolgimento da parte del soggetto attivo di un'attività incidente
nella sfera possessoria del datore di lavoro, ovvero hanno come
contenuto un dare oppure un fare personale dell'obbligato che
può essere surrogato dall'azione, nella sfera possessoria predetta, dell'uffioio esecutivo. Certamente fungibile in ogni caso è la
riammissione del lavoratore nell'azienda, come lo è l'obbligazione retributiva o quella di ripristinare la posizione assicurativa o altre
ancora da individuare di volta in volta dal giudice che procede all'esecuzione.
Né vale affermare che tutte queste prestazioni non sono auto
nome ma soltanto strumentali rispetto a quella primaria che è
quella della cooperazione attiva del datore di lavoro all'esecuzio
ne della prestazione (lavorativa che è certamente incoercibile, non
potendosi obbligare coattivamente il datore di lavoro ad esercitare
il potere direttivo, a confermare, cioè, la prestazione lavorativa al
proprio interesse.
È vero, infatti, che in mancanza di tale cooperazione non si
ripristina la fisiologia del rapporto di lavoro; tuttavia, l'impossibi
lità di realizzare compiutamente la reintegrazione senza un com
portamento del datore finalizzato all'utilizzazione del dipendente
ed essenziale per la ripresa leale del rapporto, non può significare
la totale vanificazione della tutela della stabilità reale e la
negazione dell'interesse del lavoratore ad un adempimento anche
parziale di prestazioni che possono assumere una propria auto
noma rilevanza.
Nel caso in esame, a parte l'interesse diretto del lavoratore a
riottenere la retribuzione e le prestazioni assicurative, oltre alla
riaffermazione della sua dignità di lavoratore mediante la riam
missione nell'azienda e la possibilità di esercitarvi i diritti sinda
cali, vi è l'interesse diretto del sindacato, parte attiva in questo
giudizio, alla presenza e alla permanenza del proprio rappresen
tante nell'azienda oltre che alla rimozione, se pure parziale,
degli effetti della condotta antisindacale dell'imprenditore. Pertan
to, ha errato il pretore nel ritenere inammissibile ed improcedibi le l'esecuzione coattiva, ma, al contrario, rigettando l'opposizione
al precetto, avrebbe dovuto procedere alla determinazione delle
modalità dell'esecuzione individuando quelle prestazioni certamen
te coercibili, quali ad esempio l'accesso del lavoratore in azienda,
la predisposizione di documentazioni, la riapertura della posizione retributiva ed assicurativa. In questi limiti, quindi, deve essere
accolto l'appello, rigettando l'opposizione di precetto proposta ai
sensi dell'art. 615 c.p.c.
L'appello è invece inammissibile per quella parte in cui impu
gna la decisione del pretore laddove, sulla premessa della inam
missibilità ed improcedibilità dell'esecuzione forzata in forma
specifica dell'ordine di reintegrazione, dichiara assorbita e, quindi, sostanzialmente rigetta, la richiesta delle modalità di esecuzione
del decreto del 31 luglio 1982 formulata dalla F,i.l.t.e.a sulla base
delle norme del codice di rito che regolano la esecuzione dei
provvedimenti cautelari e di urgenza.
Invero, nessun dubbio che la procedura di cui agli art. 688 ss.
c.p.c. sia quella più efficace ed immediata in quanto l'attuazione
coattiva del decreto emesso in base all'art. 28 dello statuto,
immediatamente esecutivo, viene a soffrire ed a perdere incisività
dall'applicazione del complesso apparato normativo predisposto
dagli art. 612 ss. c.p.c. per l'esecuzione forzata degli obblighi di
fare. Né vi è dubbio che il pretore, di fronte alle due procedure iniziate dalla F.iJLt.e.a., il cui cumulo è peraltro ammissibile ex
art. 483 c.p.c., avrebbe dovuto preferire, aderendo anche ad una
precisa scelta del ricorrente, l'esecuzione del decreto nelle forme
previste per i provvedimenti cautelari e d'urgenza, fissando con
ordinanza le modalità di esecuzione di tutte quelle prestazioni
relative all'obbligo di reintegrazione delle quali verificasse la
coercibilità.
Tuttavia, quei provvedimenti, anche se, come nel caso in
esame, sono contenuti in una sentenza, non perdono la loro
natura di ordinanza e non sono impugnabili, né tanto meno, di
fronte al diniego del pretore di adottare quanto richiesto, può il
tribunale surrogarsi in quella attività che è di specifica competen za di quel giudice. (Omissis)
II
Motivi della decisione. — L'opposizione proposta dalla Panfil
Winnetou s.p.a. è fondata e merita accoglimento. Osserva preliminarmente il pretore che le eccezioni di incosti
tuzionalità dell'art. 28 dello statuto dei lavoratori, come modifica
to dalla 1. 8 novembre 1977 n. 847, sollevate dalla difesa della
Panfil Winnetou s.p.a., sul presupposto che il sindacato avrebbe il
potere monopolistico dell'azione processuale, mentre il datore di
lavoro avrebbe solo quello di resistere, senza la facoltà di
proporre domanda riconvenzionale, ad un'azione di accertamento
negativo e che il procedimento avrebbe intrinseca natura disegua le, accentuata peraltro dal fatto che l'efficacia esecutiva del
decreto non può essere revocata sino alla sentenza di merito, non
appaiono rilevanti ai fini della definizione del giudizio in questio ne, relativo alla possibilità o meno di esecuzione in forma
specifica di un ordine di reintegra di cinque lavoratrici nel posto di
lavoro in precedenza occupato. Con tutta evidenza infatti dette eccezioni si riferiscono alla fase
processuale che precede l'emanazione del decreto ai sensi dell'art.
28 1. n. 300/70, e non hanno attinenza con il giudizio di
esecuzione di un decreto ex art. 28 già emesso e dotato di
efficacia esecutiva, anche perché, per le considerazioni che saran
no successivamente svolte, neppure in questa fase può essere
menomato il diritto di difesa della parte intimata.
Solo incidentalmente va rilevato che, nel merito, ile dedotte
eccezioni non sembrano fondate in quanto il riconoscimento della
legittimazione processuale del sindacato, operata dal legislatore, ai
fini di reprimere eventuali abusi dei poteri gerarchici da parte del
datore di lavoro, è stata effettuata nella consapevolezza della
disparità di forze esistenti tra ili datore di lavoro ed il lavoratore e quindi con la finalità di evitare che il prestatore possa subire, in caso di ritardi di tutela, danni gravissimi nei propri diritti.
L'aver riconosciuto al sindacato, anche per la tutela degli interessi collettivi, una particolare legittimazione processuale, è
frutto di una scelta discrezionale operata dal legislatore e l'effica
cia privilegiata del decreto ex art. 28 bilancia i poteri di
licenziamento, di trasferimento, ecc. di cui gode il datore di
lavoro.
Non può pertanto parlarsi di menomazione del diritto di difesa
del datore di lavoro, chiamato in giudizio a seguito di un proprio
comportamento del quale si deduce la antisindacalità, anche
perché l'efficacia provvisoriamente esecutiva di un decreto non è
certo esclusiva del provvedimento emesso ai sensi dell'art. 28, ricorrendo anche in altri istituti contemplati dal codice di proce dura civile (provvedimenti ex art. 700, possessori, nunciatori, ordinanza non impugnabile di rilascio).
Ritornando all'esame del procedimento in questione, proprio ai
fini di evidenziare che, anche in questa fase, non è menomato il
diritto di difesa dell'intimato, vanno riportate, brevemente, le
affermazioni correnti in dottrina ed in giurisprudenza sulla parti colare natura del decreto ex art. 28 e della sua peculiare messa
in esecuzione.
Numerosi autori (Liebman, Calvosa, Dini) ed un consistente
filone della giurisprudenza di merito affermano infatti che non si
può distinguere, nell'ambito della tutela cautelare, un processo di
cognizione ed uno di esecuzione, ma che il processo cautelare è
caratterizzato da una struttura unitaria, e che funzione tipica di
detto processo è di assicurare la cautela, posto che unico ed
indivisibile è l'interesse ad agire. Detto indirizzo precisa altresì che, poiché la tutela cautelare si
compie solo con la sua piena attuazione, in questo processo l'intervento del giudice servirebbe solo a rendere possibile l'attua
zione della stessa misura cautelare.
Come corollario di questi presupposti, si afferma inoltre che
l'attuazione del decreto ex art. 28 non costituisce esecuzione in
senso tecnico, ma un prolungamento della fase cognitiva instaura
ta col decreto, che la stessa avviene in completa libertà di forme, e che pertanto l'attuazione dello stesso decreto non deve essere
preceduta dalla notifica del titolo esecutivo e del precetto alla
parte interessata e che di conseguenza questa fase non tollera né
la revoca né la sospensione della qualità esecutoria del decreto e
che alla stessa non sono assolutamente applicabili i rimedi della
opposizione all'esecuzione od agli atti esecutivi.
Nel procedimento in questione, la organizzazione sindacale
ricorrente, sulla base delle soluzioni formulate da autorevole
dottrina e da numerose affermazioni giurisprudenziali di merito,
ha individuato nel ricorso all'art. 691 c.p.c. lo strumento proces
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
suale idoneo per l'attuazione del decreto, anche sul presupposto che detto articolo, tenuto conto delle varie dispute esistenti in
dottrina sulla natura e sulla qualificazione del decreto ex art. 28, da taluno assimilato ai procedimenti di urgenza, da altri a quelli
nunciatori, da altri ancora a quelli possessori, costituisce denomi
natore comune per l'attuazione di tutti d tipi di procedimenti indicati.
Ciò posto, ritiene il pretore che le affermazioni sopra indicate
secondo cui l'istanza presentata al pretore ai sensi dell'art. 691
c.p.c. non costituisce esecuzione in senso tecnico del decreto ex
art. 28, ma solo un prolungamento della fase di cognizione, suscitano alcune perplessità, almeno nella parte in cui escludono
per la parte intimata la possibilità di proporre opposizione all'esecuzione.
Se infatti dette affermazioni hanno il pregio di attendere ad
una sollecita attuazione del decreto, dall'altra, escludendo la
possibilità di proporre opposizione da parte del datore di lavoro,
comprimono indebitamente ila posizione dell'obbligato, il quale,
pur soggetto all'attuazione di un decreto provvisto di efficacia
esecutiva, non può essere privato del diritto, tutt'altro che margi
nale, di opporsi all'esecuzione, deducendo, come nel caso di
specie, che l'obbligo in questione è infungibile e quindi non
suscettibile di esecuzione forzata.
A questo riguardo va osservato che può porsi la questione se,
proponendo ricorso ai sensi dell'art. 691 c.p.c. e chiedendo al
giudice la fissazione delle concrete modalità di esecuzione, il
sindacato ricorrente abbia, sia pure implicitamente, dato vita ad
un vero e proprio processo di esecuzione, anche perché quello stesso indirizzo dottrinario e giurisprudenziale sopra richiamato, ammette che il prolungamento della fase di cognizione non
appartiene, di regola, alla dinamica della attuazione-esecuzione
della misura cautelare.
in proposito, ai fini di inquadrare più compiutamente la fase di
attuazione della misura cautelare, può essere di qualche utilità
ricordare che l'indirizzo prevalente della Suprema corte ha preci sato che l'esecuzione dei provvedimenti di urgenza, con particola re riguardo agli obblighi di fare e di rilascio degli immobili, non deve necessariamente svolgersi nelle forme della esecuzione
forzata e può non essere preceduta dalla notificazione del titolo
esecutivo e del precetto (Cass. 25 maggio 1977, n. 2169, Foro it.,
1977, I, 1556; 26 novembre 1979, n. 6166, id., 1980, I, 329; 25
marzo 1981, n. 1737, id., 1981, I, 968). Il Supremo collegio ha cioè affermato che, se non è indispen
sabile la notificazione del titolo esecutivo e del precetto ed è
quindi possibile l'attuazione in forma semplificata, nulla comun
que vieta o esclude il ricorso a dette forme.
Del resto la stessa Cassazione, in precedenza, occupandosi della
fase di attuazione dei provvedimenti cautelari, aveva espressamen te affermato che, ove la parte interessata all'attuazione di detti
provvedimenti (restitutori, possessori, assicurativi della futura ese
cuzione forzata, della futura decisione di merito) avesse liberamen
te scelto le forme del processo ordinario di esecuzione o avesse
posto in essere gli atti preliminari di detto processo (notificazione del titolo esecutivo e del precetto) il procedimento esecutivo si
presentava in tutta la sua autonomia, con l'effetto di rendere
possibile, ove si contestasse il diritto della parte istante di
procedere alla esecuzione forzata, o la regolarità formale dei
singoli atti del procedimento esecutivo, la proposizione delle
opposizioni previste dagli art. 615 ss. c.p.c. La stessa corte aveva
inoltre affermato che, in presenza di un processo esecutivo in
senso tecnico, il rimedio dell'opposizione, sia esso della esecuzio
ne o agli atti esecutivi, discendeva dai principi generali, ai sensi
degli art. 615 ss. c.p.c., non esistendo alcuna norma che escludes
se tali rimedi per l'esecuzione forzata dei procedimenti cautelari,
in genere, possessori, restitutori, d'urgenza e di realizzazione degli
obblighi di fare (Cass. 2 agosto 1-968, n. 2769, id., Rep. 1968,
voce Esecuzione obblighi di fare, n. 13; 7 dicembre 1972, n. 3552,
id., Rep. 1972, voce cit., n. 11; 21 febbraio 1974, n. 512,
id., 1974, I, 3412).
Tenendo quindi per fermo che l'attuazione del decreto ex art.
28 può avvenire in forma semplificata o in libertà di forme, come
affermano numerose sentenze di merito, con la conseguenza che
non è indispensabile la previa notificazione del titolo esecutivo e
del precetto, non sembra però possa intaccarsi il diritto della
parte intimata di proporre, dal canto suo, opposizione all'esecu
zione, anche in libertà di forme, in quanto, diversamente opinan
do, potrebbero prendere corpo i dubbi di incostituzionalità della
fase di attuazione del decreto ex art. 28 adombrati dalla società
intimata, anche perché sarebbe evidentemente artificioso, oltre che
menomativo del diritto di difesa, far dipendere la possibilità dell'intimato di proporre opposizione all'esecuzione a secondo che
la parte in cui favore sia stato emesso un provvedimento esecuti
II Foro Italiano — 1984 — Parte I-196.
vo abbia iniziato, come pure è avvenuto nella pratica, una vera e
propria esecuzione forzata, preceduta dalla notificazione del titolo
esecutivo e del precetto, ovvero abbia inteso attuare lo stesso in
libertà di forme.
Venendo ora al punto centrale e decisivo del giudizio, va
pertanto affrontata la delicata e controversa questione se sia concretamente ammissibile l'esecuzione forzata in forma specifica dell'ordine di reintegra delle cinque operaie trasferite alla mano via n. 9, nel posto di lavoro precedentemente occupato, trattan dosi di un facere fungibile od infungibile.
A questo riguardo senz'altro non possono, a giudizio del
pretore, condividersi quelle affermazioni giurisprudenziali secondo cui la incoercibilità dell'ordine deriverebbe direttamente ed im mediatamente dalla previsione di una sanzione penale in caso di
inottemperanza, destinata ad agire come mezzo di coercizione indiretta nei confronti delll'imprenditore che avrebbe la possibilità di scelta tra l'adempimento spontaneo del decreto ed il subire la sanzione penale.
L'obbligo della reintegra costituisce infatti un obbligo primario imposto direttamente al datore di lavoro, anche se sanzionato
penalmente per il caso di inottemperanza, oltre che civilmente, mentre, dal punto di vista del lavoratore da reintegrare, è evidente per quest'ultimo, nessuna sanzione, sia essa di natura civile o penale, potrebbe costituire l'equivalente della reintegra, in
quanto effettivamente, al di là degli aspetti meramente patrimo niali, un comportamento antisindacale può costituire per il presta; tore, un pregiudizio grave anche nella sfera dei diritti personalis simi.
Che non si possa parlare di scelta da parte dell'imprenditore è anche confermato, oltre che dall'inciso «... è tenuto inoltre a
corrispondere...» contenuto dal disposto dell'art. 28, anche dal rilievo che il cumulo degli strumenti di tutela esecutiva è fenomeno senz'altro noto al nostro ordinamento, che consente ad. es. la somma di più azioni esecutive a tutela di uno stesso credito o prevede espressamente, nel caso di inottemperanza ad un ordine ad es. di facere fungibile, oltre il ricorso all'art. 612
c.p.c. per la fissazione delle modalità di esecuzione, nell'eventuali tà della elusione della misura cautelare, anche la possibilità di comminare una grave sanzione penale ai sensi dell'art. 388 c.p.
Va pertanto esaminato se, in concreto, di per sé, l'obbligo di
reintegra nelle mansioni in precedenza espletate dalle cinque operaie costituisca un facere fungibile o meno.
Come è noto, l'indirizzo della Suprema corte al riguardo, ribadito anche a sezioni unite, anche se incidentalmente, è nel senso che, nel singolare sistema delineato dalla disposizione per superare la naturale incoercibilità della reintegra, che non
può quindi essere attuata ai sensi degli art. 612 ss. c.p.c., l'obbligo del pagamento delle retribuzioni adempie, da un lato, alla funzione di restituire effettività al rapporto di lavoro, quanto meno limitatamente alla prestazione retributiva... e dall'altro co stituisce una sanzione compulsiva, con finalità di esecuzione
indiretta, allo scopo di costringere il datore di lavoro a reimmettere effettivamente il dipendente nel posto di lavoro, facere infungibile al quale esclusivamente tende il comando giudiziale (Cass., sez. un., 15 marzo 1982, n. 1669, id., 1082, I, 985 ; 20 gennaio 1978, n.
262, id., 1978, I, 1468; 12 aprile 1976, n. 1268, id., 1976, I, 915). In dottrina e nella giurisprudenza di merito vi sono, come è
noto, affermazioni contrastanti sulla questione, ed alcuni autori, oltre che talune decisioni giurisprudenziali, nella ricerca della soluzione tecnica ottimale per assicurare stabilità reale al posto di
lavoro, con particolare riferimento all'ipotesi specifica del lavo ratore licenziato da riassumere, hanno scomposto l'obbligo di riassunzione nei suoi vari aspetti, in un insieme articolato di
obbligazioni o sottoprestazioni, tra di loro non omogenee.
Si è cosi affermato che alcune delle sottoprestazioni dell'obbligo di riassunzione consisterebbero solo in un pati e sarebbero quindi suscettibili di esecuzione forzata, come il rientro del lavoratore all'interno dell'azienda, a mezzo dell'ufficiale giudiziario, ed even tualmente con l'assistenza della forza pubblica, nonché come il
ripristino della posizione assicurativa e retributiva del lavoratore, che potrebbero avvenire con la nomina di un commissario ad
acta.
Detto indirizzo fa rilevare che, da un lato, il fenomeno
dell'adempimento parziale e spontaneo è previsto e regolato dall'art. 1181 c.c., e, dall'altro, che l'esecuzione forzata, sia pure parziale, sarebbe di grossa utilità pratica per il lavoratore, il
quale, per il solo fatto di essere riammesso all'interno dell'azien
da, potrebbe concretamente godere di una serie di diritti non esercitagli fuori dal posto di lavoro, nel mentre si potrebbe, in tal modo, anche far venir meno la causa reale della mancata
reintegra (cosi Proto Pisani, ed in giurisprudenza Trib. Lecce 2
giugno 1983).
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3047 PARTE PRIMA 3048
Va in proposito osservato che, come sostenuto dalla difesa
della società intimata, può dubitarsi dell'ammissibilità della scom
posizione di un determinato obbligo, ai fini di sostenere la
possibilità dell'esecuzione coattiva di talune sottoprestazioni, in
quanto è evidente che, operando in tal modo, tutti gli obblighi, anche quelli pacificamente infungibili, diventerebbero parzialmen te fungibili e coercibili.
In ogni caso è evidente che nucleo centrale e decisivo del
problema è quello di stabilire se la reintegrazione delle cinque
operaie nel posto e nelle mansioni in precedenza occupati possa avvenire coattivamente e quindi prescindendo del tutto dalla
cooperazione attiva e diretta del datore di lavoro.
Ritiene il pretore che al problema, per ragioni eminentemente
naturali, debba darsi una risposta negativa, essendosi in presenza di un facere personalissimo, rimesso alla cooperazione ed alla
volontà dell'obbligato. Infatti anche l'indirizzo che scompone l'obbligo della riassun
zione nei suo vari aspetti, riconosce che esiste, nell'ambito di
detto obbligo, un nucleo intangibile, che non può essere eseguito coattivamente senza la cooperazione del datore di lavoro, non
potendosi ad. es. obbligare quest'ultimo ad esercitare coattivamen
te il proprio potere direttivo, ovvero ad utilizzare il dipendente in un modo piuttosto che in un altro.
Proprio perché nei caso di specie preesistono quegli aspetti che
l'indirizzo sopra riportato considera come coercibili (presenza delle lavoratrici in fabbrica, percepimento della retribuzione,
godimento della posizione assicurativa) l'utilizzazione delle ope raie in un altro reparto, e quindi la prestazione dell'attività
lavorativa in un ambito diverso da quello attuale, concretano
senz'altro un facere infungibile, che non può essere posto in
esecuzione senza la spontanea cooperazione attiva del datore di
lavoro, senza la collaborazione della volontà di questi. È certamente vero, come sostenuto della difesa del sindacato
ricorrente, che la s.p.a. Panfil Winnetou è un complesso industria
le di grosse dimensioni, con un rilevante numero di dipendenti,
operante una produzione in serie, a mezzo di una organizzazione ordinata in reparti, caratterizzata da cicli produttivi uniformi,
all'interno delia quale le operaie ed anche quelle in questione, esercitano mansioni ripetitive, relativamente semplici e simili a
quelle espletate dalle colleghe di lavoro addette agli altri reparti,
per cui sarebbe agevole, dal punto di vista della struttura
produttiva, il loro riutilizzo in altro reparto.
'Il dato rilevante della questione non è però quello della
semplicità o complessità delle mansioni espletate dalle cinque
operaie in questione o il loro materiale accompagnamento, a mezzo
dell'ufficiale giudiziario, presso i reparti di provenienza, ma se la
concreta riutilizzazione delle cinque operaie nel posto e nelle
mansioni in precedenza occupati, con il conseguente spostamento delle altre operaie che attualmente sono utilizzate nei posti di
lavoro in cui dovrebbero essere reintegrate le operaie, unico
facere che concreterebbe l'attuazione dell'ordine del vice pretore,
possa essere attuato senza la collaborazione, senza il concorso
della volontà del datore di lavoro. Come è già osservato, per ragioni naturali, non essendo possibi
le coartare la volontà del datore di lavoro, al quesito va data
risposta negativa.
L'opposizione spiegata dalla società intimata va pertanto accol
ta e va di conseguenza dichiarata la inammissibilità dell'esecuzio
ne forzata in forma specifica dell'ordine di reintegra, nel posto e
nelle mansioni in precedenza occupati, delle operaie Trane Maria
Teresa, Ferraro Teresa, Accogli Immacolata, De Sabato Antoniet
ta, Giacquinto Anna disposto dal vice pretore di Alessano con
decreto ex art 28. (Omissis)
III
1) Competenza. — Sulla base di una ormai consolidata giuri
sprudenza sia dei tribunali di merito (cfr. Pret. Bologna 28
novembre 1981, Foro it., Rep. 1983, voce Provvedimenti d'urgenza, n. 92) che della Corte di legittimità (cfr. Cass. 25 maggio 1977, n.
2169, id., 1977, I, 1356) ' non può dubitarsi che competente a
decidere sull'istanza di determinazione delle modalità di esecuzio
ne in relazione ad un provvedimento reso ex art. 700 ss. sia lo
stesso giudicante che ha emesso il provvedimento o che procede all'istruzione del giudizio di merito.
Invero, al riguardo si può osservare che giustificano tale
assunto: a) da un lato l'esigenza di assicurare tempi particolar mente brevi data la natura cautelare del provvedimento; b)
dall'altro la considerazione che, nella specie, non si verte pro
priamente in tema di esecuzione forzata di obblighi di fare
conseguenti ad una sentenza di condanna secondo la disciplina
dettata dagli art. 16, ult. comma, e 612 c.px., ma piuttosto nel
problema di assicurare l'effettività del provvedimento cautelare
reso ex art. 700. Infine, dal punto di vista della sistematica
generale, giova ricordare (ed accogliere) quella opinione, espressa autorevolmente anche in dottrina, secondo la quale il processo
cautelare, a differenza di quello di cognizione, ha un carattere
unitario, per cui non è dato distinguere in esso una fase della
cognizione ed una della esecuzione, in quanto l'attuazione del
provvedimento cautelare è parte del procedimento stesso.
2) Merito. — A) Salve le osservazioni che di qui a poco si
faranno per il ricorrente Padovan, occorre rilevare che l'esecuzio
ne data dalla convenuta Ditongomma s.r.l. al provvedimento di
reintegrazione ex art. 700 reso da questo pretore in data 18 luglio
1983, solo apparentemente può essere qualificata come tale, del
momento che la stessa si è limitata, in buona sostanza, alla sola
corresponsione della retribuzione dovuta ai ricorrenti.
(In questo modo la resistente ha fatto fronte, evidentemente, solo ad una parte degli obblighi che su di lei gravavano a seguito dell'ordinanza cautelare di reintegrazione nel posto di lavoro, in
quanto la stessa ordinanza è stata espressamente finalizzata ad
assicurare, in via interinale, ai ricorrenti non solo i mezzi
economici di sostentamento, ma anche quel patrimonio di espe rienze ed « opportunità » (cfr. Pret. Bolona cit.) che possono essere acquisiti solo dell'effettivo esercizio del lavoro.
In particolare ci si riferisce all'acquisizione di elementi di
professionalità, alla evoluzione di una coscienza come singolo e
come membro di una società civile (finalità ben presenti e
favorite nella Carta costituzionale), alla partecipazione, in definiti
va, alla vita del gruppo come momento di integrazione, tesa ad
evitare una certamente dannosa emarginazione dal punto di vista
dell'esercizio dei diritti soggettivi e di quelli sindacali.
Se, quindi, l'ottemperamento della convenuta è stato giuridica mente un non difetto a quanto le era stato imposto dalla autorità
giurisdizionale, bisogna ora verificare se i provvedimenti (di de
terminazione delle modalità di esecuzione dell'ordinanza citata) richiesti siano ammissibili e, eventualmente, entro quali limiti.
Invero, ritiene questo giudicante che a prescindere dalla possi bile rilevanza sia in sede civile che penale della mancata (o
parziale) ottemperanza della convenuta, si debba riconoscere nel
giudice adito (secondo la competenza prima specificata) un potere di intervento teso, per quanto possibile, a rendere effettivamente
operativo il provvedimento adottato in sede di cautela.
Invero, non si tratta, nella specie, così come ha osservato la
difesa della convenuta, di una specie di (inammissibile) integra zione di un provvedimento giudiziale che è già perfetto e
completo; né si interviene in materia sottratta a qualsiasi potere di coercizione cosi come ha ritenuto una consistente parte della
giurisprudenza, soprattutto di legittimità i(v., da ultimo, Cass., sez.
un. 15 marzo 1982, n. 1669, id., H982, I, 985).
Innanzitutto la fonte di questo potere nel giudicante la si può ritenere facendo l'applicazione analogica dell'art. 612 c.p.c.
Come già detto, non si tratta di ipotesi identiche tra esecuzione
di sentenza di condanna ed esecuzione di provvedimento ex art.
700 c.p.c. (e ciò si riverbera in particolare nella differente compe tenza e nel diverso modus procedendi) cionondimeno è possibile dedurre una ragionevole identità di ratio nell'ipotesi in cui il
datore di lavoro debitore della prestazione dovuta non ottemperi all'obbligo e sia perciò necessaria la determinazione concreta delle misure per dare attuazione effettiva al provvedimento giudi ziale.
Ciò premesso, come non può ritenersi che i provvedimenti ex art. 612 c.p.c., in riferimento alle sentenze di condanna, siano una
integrazione delle stesse ma piuttosto la determinazione in con creto delle modalità per attuarla, allo stesso modo l'istanza dei
ricorrenti in questa sede specifica deve essere considerata ila
richiesta della individuazione delle modalità di attrazione dell'or
dinanza ex 700 c.p.c. allo scopo di consentire al giudice di
dettare le opportune disposizioni agli organi preposti dalla legge.
Riguardo, poi, all'annoso problema della coercibilità dell'obbli
go di reintegrare il lavoratore nel suo posto di lavoro, deve ritenersi che esso vada risolto nel senso che è possibile, ex art.
61i2 c.p.c., determinare giudizialmente tutte le misure che non
prevedono una specifica e continuativa cooperazione del debitore datore di lavoro, non potendosi ipotizzare una infungibilità astrat ta ed assoluta della collaborazione del datore, soprattutto nelle
ipotesi di lavoro di carattere manuale o comunque inquadrato in un ciclo produttivo.
Invero, ritiene questo giudicante che deve essere considerata
sempre ipotizzabile la reimmissione forzata del lavoratore nell'am biente di lavoro (v. in proposito Pret. Como 2 aprile 1982, id.,
Rep. 1982, voce Lavoro (rapporto), n. 925). Con tutte le conse
guenze immediatamente connesse (per es. fruizione dei diritti
sindacali, delle mense aziendali, ecc.) trattandosi di un generico
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
pati che il datore-debitore è tenuto- a sopportare in relazione
all'ordinanza di reintegrazione ex art. 700 c.p.c. (e naturalmente
in base alla sentenza resa applicando l'art. 18 1. 300/70) (in senso conforme v. Trib. Milano 24 marzo 1076, id., Rep. 1976, voce cit., n. 457).
La reimmissione concreta nel posto di lavoro, intesa come eserci
zio effettivo dell'attività lavorativa, dipenderà, invece, dalla misura,
maggiore o minore, in cui potrà essere sostituita l'attività di
collaborazione del datore e che naturalmente sarà proporzionale al livello di autosufficienza del prestatore nello svolgimento con
creto delle mansioni.
Si tratta dunque di una indagine di fatto che non può
ipotizzare risposte aprioristiche, come invece sembra operare la
pur numerosa giurisprudenza che vede nella fattispecie sempre e
comunque un facere infungibile.
Opinare diversamente significa inoltre, ad avviso di questo
giudicante, non solo svuotare di significato la storica portata dell'art. 18 1. 300/70 (che prevede la stabilità « reale » del posto di lavoro intesa non soltanto come ricostituzione del rapporto di
lavoro, v. Pret. Milano 28 gennaio 1975, id., 1975, I, 737), ed in
via interinale dell'art. 700 c.px. che ad esso si riconnette, ma
obliterare ili comando dell'autorità giudiziaria attraverso la costru
zione di artificiose piramidi logico-giuridiche (ad es. la presta zione lavorativa è solo un dovere del lavoratore) che svuotano di
significato ii dettato costituzionale (art. 4 e 41, 2° comma) e che
meglio approfonditi sotto varie ottiche visuali probabilmente
porterebbero a legittimare veri profili di illegittimità (per es. in
relazione agli art. 2087 c,c., art. 13 1. 300/70 trattandosi del
massimo mutamento possibile di mansioni, ecc.).
B) Ciò premesso in via generale, bisogna osservare che la
posizione dei tre ricorrenti appare per alcuni versi diversificata.
Infatti, dalle sommarie informazioni fin qui assunte, è emerso
che mentre Villardite e Gallelli svolgevano, prima del licenzia
mento, mansioni determinate o, quanto meno, sufficientemente
determinabili, e sulle quali il giudice può intervenire incinsiva
mente, invece la posizione del Padovan appare più complessa, ed
anche contraddittoria rispetto ai limitati fini della presente sede.
Infatti, è risultato che Padovan: dall'ottobre 1982 non svolge al
cun compito, né si è individuata una sua precisa collocazione fisica
in azienda; risulta essere delegato sindacale; nel giudizio di cogni zione non ha impugnato la sua « strana » posizione lavorativa, ma
si è limitato a farla presente allo scopo di potenziare le sue ragioni tese a far valere l'illegittimità del licenziamento; riguardo, poi, alla situazione di fatto che si è realizzata dopo l'ordinan
za ex art. 700 c.p.c. più volte citata, è emerso che allo
stesso Padovan risultano limitate le prerogative sindacali solo in
relazione alla circostanza che la sua « emarginazione », e cioè il
poter sostare solo nella portineria dell'azienda, non gli permetta di rendersi immediatamente edotto dei problemi che riguardano l'ambiente di lavoro dei suoi colleghi, intesa questa espressione in
senso ampio (salubrità del posto di lavoro, ritmi di lavoro,
ecc.). Osserva questo giudicante che è innegabile che tutto questo
abbia un suo indubbio peso specifico; tuttavia la mancanza
obiettiva di punti di riferimento ai quali fare capo nel momento
della determinazione delle incombenze da affidare al lavoratore, rende impossibile la individuazione di ordini precisi da porre in
essere nei confronti di chi è preposto a far osservare le statuizio ni del giudice. È chiaro, d'altra parte, che è problema che deve essere affrontato in altra sede quello di verificare la posizione del
lavoratore Padovan sotto il profilo delle mansioni.
Tutte queste circostanze non ricorrono, come si è detto, per gli altri due ricorrenti e, pertanto, la loro istanza può essere accolta.
IV
Motivi della decisione. — 1. - La società opponente all'esecu
zione promossa dal Panigada adduce due distinti ordini di
ragioni: 1) la sentenza di primo grado non avrebbe dovuto essere
munita dal cancelliere di formula esecutiva perché tale non era
stata dichiarata dal giudice che l'aveva pronunciata in primo
grado; 2) la condanna alla reintegrazione nel posto di lavoro è
insuscettibile di esecuzione forzata, trattandosi di condanna all'a
dempimento di un obbligo di fare infungibile. 2. - 'Il primo motivo di opposizione è destituito di ogni
fondamento. La sentenza con cui fu ordinata la reintegrazione nel
posto di lavoro del Panigada contiene anche la condanna della
società Andrea Pensotti al pagamento di somme di denaro a
favore del lavoratore licenziato, per crediti derivanti dal rapporto di lavoro, e pertanto è provvisoriamente esecutiva ai sensi dell'art.
431 c.p.c., come la stessa opponente riconosce; arbitraria è la
ulteriore asserzione dell'opponente, secondo cui, anche quando
l'esecutività provvisoria della sentenza è prevista dalla legge, l'unico organo competente a « verificare, accertare è dichiarare che nel caso concreto esistono le condizioni per il richiamo, ai fini dell'esecuzione » delle norme che prevedono l'esecutività sarebbe il giudice. L'organo al quale compete di verificare se una sentenza è esecutiva (o perché passata in giudicato, o perché resa in grado d'appello, o perché resa in unico grado, o perché dichiarata provvisoriamente esecutiva, o perché intrmsecamente
esecutiva), è di cancelliere (art. 475 c.p.c. e 153 disp. att. c.p.c.), la cui valutazione circa l'esistenza di un titolo esecutivo è sindacabile in sede di opposizione alla esecuzione. Nella specie, appunto, bene e legalmente il cancelliere appose la formula esecutiva anche in assenza di clausola di provvisoria esecuzione, dal momento che si trattava di sentenza provvisoriamente esecu tiva per volontà di legge; è del tutto evidente, infatti, che la clausola di provvisoria esecutività prevista dall'art. 280 c.p.c. è istituto riferibile soltanto alla sentenza la cui provvisoria esecuti vità non sia già preveduta dalla legge.
3. - Anche il secondo motivo di opposizione non è fondato. In
verità, la dibattuta questione sulla eseguibilità o meno per le vie forzate delle sentenze che condannano il datore di lavoro a riassumere di lavoratore licenziato appare fondata su un punto di vista che non si ritiene di condividere: che in sede di esecuzione si possa sindacare se l'obbligo di fare portato dalla sentenza di condanna sia coercibile o non coercibile. La questione della coercibilità di una sentenza che comporti condanna ad un facere attiene alla ammissibilità della relativa domanda e va esaminata dal giudice di merito che della domanda venga investito, il quale certamente rigetterà come inammissibile la domanda di chi chieda che taluno sia condannato all'adempimento di prestazioni incoer cibili. Ma, quando il giudice abbia condannato taluno a fare
alcunché, non compete poi certo agli organi dell'esecuzione di
negare l'attuazione pratica della sentenza; al giudice dell'esecu zione compete di attuare (o di tentare di attuare) le sentenze
qualsiasi cosa esse prescrivano. La riferita considerazione vale, a
maggior ragione, quando la legge stessa prescrive che si emanino sentenze di condanna a determinati adempimenti, quale è il caso dell'art. 18 dello statuto dei lavoratori. Se la legge vuole che il datore di lavoro sia condannato a riassumere il lavoratore, se il
giudice del lavoro emette tale sentenza di condanna, non si vede come possa sostenersi che il giudice dell'esecuzione non sia chiamato a dare attuazione pratica al provvedimento di condanna e che, conseguentemente, il lavoratore non vanti un titolo per l'esecuzione della condanna. Tutt'altra considerazione, di ordine
meramente fattuale, è che l'esecuzione possa non sortire i suoi
effetti pratici; sembra peraltro, come giustamente rileva il conve
nuto, che le difficoltà di eseguire un ordine di reintegrazione nel
posto di lavoro vengano notevolmente esagerate; la necessità della incoercibile collaborazione del datore 'di lavoro attiene piuttosto alla ripresa continuativa dell rapporto di lavoro che non alla riassunzione del lavoratore, il più delle volte attuabile con il
semplice accompagnamento del lavoratore ned locali dell'impresa, o nell'ufficio precedentemente occupato. Del resto, consta che i
giudici dell'esecuzione diano attuazione alle sentenze che condan nano alla riassunzione, e non constano invece precedenti editi di
giudici dell'esecuzione che si siano rifiutati di dare esecuzione a
quelle sentenze. Né è privo di significato il fatto che l'orienta mento della Suprema corte circa l'incoercibilità dell'ordine di reintegra si sia formato nell'esame di problemi indirettamente
collegati con l'esecuzione coattiva dell'ordine di reintegra; non esiste, o almeno non consta, una pronuncia della Suprema corte resa in procedimento di opposizione ad esecuzione dell'ordine di
reintegra, che sancisca il principio che l'ordine di reintegra sia un'appendice decorativa delle sentenze ohe annullano i licen ziamenti.
Va affermato pertanto che il Panigada, in forza della sentenza del Pretore di Legnano giudice del lavoro, debitamente spedita in forma esecutiva, ha pieno diritto di procedere all'esecuzione forzata della condanna della società Pensotti alla sua riassunzio ne. L'opposizione va quindi rigettata. (Omissis)
PRETURA DI SALO'; ordinanza 29 settembre 1984; Giud.
Fuzio; Soc. Meliconi (Aw. Ghidini, Carattoni) c. Ditta In tercomex (Avv. Pellegrino, Bertelli).
PRETURA DI SALO';
Provvedimenti di urgenza — Brevetti per invenzioni industria li — Ammissibilità — Condizioni (Cod. proc. civ., art.
700; r.d. 29 giugno 1939 n. 1127, testo delle disposizioni legislative in materia di brevetti per invenzioni industriali, art.
83, 83 bis).
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