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sentenza 27 luglio 1995, n. 410 (Gazzetta ufficiale, 1aserie speciale, 23 agosto 1995, n. 35); Pres....

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sentenza 27 luglio 1995, n. 410 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 23 agosto 1995, n. 35); Pres. Baldassarre, Est. Vari; Ventrone c. Intendenza di finanza di Caserta; Beretta c. Intendenza di finanza di Firenze; interv. Pres. cons. ministri (Avv. dello Stato Bafile). Ord. Comm. trib. I grado Santa Maria Capua Vetere 21 aprile 1994 (G.U., 1 a s.s., n. 41 del 1994); Comm. trib. I grado Firenze 1° febbraio 1994 (G.U., ... Source: Il Foro Italiano, Vol. 118, No. 11 (NOVEMBRE 1995), pp. 3073/3074-3079/3080 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23190377 . Accessed: 28/06/2014 12:12 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 141.101.201.48 on Sat, 28 Jun 2014 12:12:51 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sentenza 27 luglio 1995, n. 410 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 23 agosto 1995, n. 35);Pres. Baldassarre, Est. Vari; Ventrone c. Intendenza di finanza di Caserta; Beretta c. Intendenzadi finanza di Firenze; interv. Pres. cons. ministri (Avv. dello Stato Bafile). Ord. Comm. trib. Igrado Santa Maria Capua Vetere 21 aprile 1994 (G.U., 1 a s.s., n. 41 del 1994); Comm. trib. Igrado Firenze 1° febbraio 1994 (G.U., ...Source: Il Foro Italiano, Vol. 118, No. 11 (NOVEMBRE 1995), pp. 3073/3074-3079/3080Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23190377 .

Accessed: 28/06/2014 12:12

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

bono adottare. Esso contiene, oltre a ricognizioni definitorie

da leggere in coerenza con i principi che già disciplinano l'asset

to delle competenze in materia di attività estera delle regioni, norme procedurali, che, per loro natura, non sono dirette a

modificare il fondamento ed il regime dei poteri disciplinati (sen tenza n. 242 del 1989, id., 1989, I, 2065).

Il provvedimento impugnato, nella sua sostanziale portata,

regolamenta tempi e modi di esercizio di competenze già spet tanti all'amministrazione statale in materia di attività estera. Di

fatti, allo Stato rimangono sempre riservati gli indirizzi di poli tica estera e la valutazione degli interessi del paese in questo

settore, tanto con riferimento alle attività promozionali in ma terie di competenza regionale, quanto per le attività di mero

rilievo internazionale delle regioni stesse. In conformità di tale

principio si è sempre affermata la necessità che lo Stato sia messo

in grado di apprezzare, attraverso gli strumenti dell'intesa o del

l'assenso, se le iniziative di competenza regionale che toccano

la sfera estera siano o meno in contrasto con gli indirizzi di

politica internazionale, rimessi alla competenza statale (da ulti

mo sentenze n. 212 del 1994 e n. 290 del 1993, id., 1995,1, 1396). All'esclusiva competenza, propria degli organi centrali dello

Stato, di determinare ed attuare gli indirizzi di politica estera, in senso lato, non si sottraggono le province dotate di speciale autonomia. Anche per esse le attività promozionali da svolgere all'estero sono consentite previa intesa con il governo (art. 4

d.p.r. 24 luglio 1977 n. 616) e le attività di mero rilievo interna

zionale richiedono la previa verifica della conformità agli indi

rizzi di politica internazionale, affinché resti escluso il pericolo di un pregiudizio per gli interessi del paese (sentenza n. 564

del 1988, cit.). Essendo le competenze e le valutazioni dello Stato, da un

lato, e delle regioni o delle province autonome, dall'altro, di

stinte ma cospiranti, il principio di leale cooperazione comporta

l'obbligo per queste ultime di comunicare al governo le iniziati

ve in programma, con tempestività e completezza di informa

zioni, in modo da consentire una valutazione adeguata della conformità delle stesse con gli indirizzi di politica estera dello

Stato e con gli interessi nazionali (sentenze n. 204 del 1993,

id., 1993, I, 3002; n. 472 del 1992, cit. e n. 179 del 1987, cit.). Al tal fine, in sede di disciplina del procedimento di propria

spettanza, rientra nella competenza dello Stato indicare gli or

gani ai quali i programmi delle attività ed ogni necessaria co municazione devono essere inviati dalle regioni, precisando il

contenuto delle relative informazioni ed i tempi del loro inol

tro, perché sia possibile l'effettivo esame delle attività previste; come pure rientra nella medesima competenza indicare i criteri

ai quali il ministro competente ispira il proprio apprezzamento, i termini nei quali deve comunicare l'eventuale, motivato dis

senso, stabilendo che la mancata pronuncia nei termini implichi l'intesa o l'assenso.

In questa prospettiva è egualmente riconducibile al principio di leale cooperazione anche la previsione di comunicazioni rela

tive agli incontri delle regioni con organi rappresentativi esteri.

Il decreto impugnato muove essenzialmente secondo questa linea e tende a disciplinare, per la parte statale, attività e proce

dure, iterando, nel resto, enunciazioni dirette agli organi dello

Stato per indicare i criteri cui attenersi nelle valutazioni di loro

competenza, che devono essere interpretati in coerenza con i

principi dell'assetto dei rapporti tra attribuzioni statali e regio nali in materia di attività estera, più volte ripetuti dalla giuris prudenza costituzionale (sentenze n. 187 del 1985, id., 1985,

I, 2842 e n. 179 del 1987, cit.), secondo cui le valutazioni dello

Stato rimangono ancorate all'apprezzamento della compatibili tà delle iniziative regionali con gli indirizzi politici generali in materia estera.

5. - Per quanto più specificamente attiene alla posizione delle

ricorrenti, il d.p.r. 31 marzo 1994, nel definire il proprio ambi

to di applicazione, comprende anche le province autonome di

Trento e di Bolzano, ma salvaguarda espressamente quanto di

versamente stabilito dallo statuto, dalle norme di attuazione e

dalle altre disposizioni che ad esse si riferiscono (art. 7, 1° com

ma). Rimangono anche espressamente intoccati la disciplina ed

i rapporti correlati a specifici accordi o intese internazionali,

come pure l'attuazione delle attività in essi prevista (art. 7, 2°

comma).

Queste enunciazioni non rappresentano una clausola di stile,

né si esauriscono in una previsione di chiusura o residuale. Co

li Foro Italiano — 1995.

stituiscono, anzi, l'espressione di un principio e la delimitazione oggettiva dell'ambito di applicazione dell'atto: entrambe intese

a salvaguardare pienamente la specificità dell'autonomia e la

prevalenza delle disposizioni che la garantiscono, nel contesto

dello statuto e delle altre norme proprie a tali enti.

L'art. 7, 1° e 2° comma, del decreto impugnato offre anche un criterio interpretativo delle altre disposizioni del medesimo

atto, che risultino applicabili alle province autonome. Queste

disposizioni devono essere lette in coerenza, e non in contrasto, con le norme delle diverse fonti che salvaguardano l'autonomia

speciale e la particolare collocazione delle ricorrenti.

Ne deriva, per quanto ad esempio specificamente riguarda l'attività di promozione all'estero nel campo turistico, che con

tinuano a trovare immediata applicazione le norme di attuazio

ne dello statuto speciale, invocate dalle ricorrenti. Anche la pre visione di una presenza di derivazione regionale nella rappre sentanza permanente d'Italia presso le Comunità europee, in

consonanza con la politica regionale comunitaria e con il ruolo delle regioni (si veda, in proposito, la risoluzione del parlamen to europeo del 17 novembre 1988), non vale a limitare od esclu

dere ogni altro rapporto con gli organismi comunitari, previsto dallo stesso atto impugnato o che altre fonti normative con

sentano.

Cosi ricostruiti la qualificazione dell'atto e l'ambito della sua

applicazione, non sussiste la lamentata lesione di competenze delle province autonome, le cui doglianze devono essere pertan to dichiarate infondate.

Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara che spetta allo Stato adottare disposizioni per lo svolgimento di attività

promozionali all'estero e di mero rilievo internazionale, di cui al d.p.r. 31 marzo 1994 (atto di indirizzo e coordinamento in

materia di attività all'estero delle regioni e delle province au

tonome).

CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 27 luglio 1995, n. 410

(Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 23 agosto 1995, n. 35); Pres. Baldassarre, Est. Vari; Ventrone c. Intendenza di fi

nanza di Caserta; Beretta c. Intendenza di finanza di Firenze; interv. Pres. cons, ministri (Avv. dello Stato Bafile). Ord.

Comm. trib. I grado Santa Maria Capua Vetere 21 aprile 1994

(G.U., la s.s., n. 41 del 1994); Comm. trib. I grado Firenze

1° febbraio 1994 (G.U., la s.s., n. 9 del 1995).

Redditi (imposte sui) — Redditi diversi — Plusvalenze da pro cedimenti espropriativi — Tassazione — Retroattività — Que stione manifestamente inammissibile di costituzionalità (Cost., art. 3, 53; 1. 30 dicembre 1991 n. 413, disposizioni per am

pliare le basi imponibili, per razionalizzare, facilitare e poten ziare l'attività di accertamento; disposizioni per la rivaluta

zione obbligatoria dei beni immobili delle imprese, nonché

per riformare il contenzioso e per la definizione agevolata dei rapporti tributari pendenti; delega al presidente della re

pubblica per la concessione di amnistia per reati tributari; istituzione dei centri di assistenza fiscale e del conto fiscale,

art. 11). Redditi (imposte sui) — Redditi diversi — Plusvalenze da pro

cedimenti espropriativi — Tassazione — Questioni infondate

di costituzionalità (Cost., art. 3, 42, 53; 1. 30 dicembre 1991

n. 413, art. 11).

È manifestamente inammissibile la questione di legittimità co

stituzionale dell'art. 11, 9° comma, l. 30 dicembre 1991 n.

413, nella parte in cui dispone la retroattività della imposizio ne delle plusvalenze percepite in conseguenza di cessioni, an

che volontarie, intervenute nel corso di procedimenti espro

priativi, in base ad atti o provvedimenti emessi successiva

mente al 31 dicembre 1988 e fino alla data di entrata in vigore

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3075 PARTE PRIMA 3076

della medesima I. 413/91, in riferimento agli art. 3 e 53

Cost. (1) Sono infondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art.

11, 5°, 6°, 7°, 8° e 9° comma, l. 30 dicembre 1991 n. 413, nella parte in cui dispone l'imposizione (anche con effetto

retroattivo) delle plusvalenze percepite in conseguenza di ces

sioni, anche volontarie, intervenute nel corso di procedimenti

espropriativi, in riferimento agli art. 3, 42, 3° comma, e 53

Cost. (2)

Diritto. — 1. - Le ordinanze in epigrafe, emesse dalle Com

missioni tributarie di primo grado di Santa Maria Capua Vetere e di Firenze, denunciano l'illegittimità costituzionale di varie

disposizioni contenute nell'art. 11, commi 5°, 6°, 7°, 8° e 9°, 1. 30 dicembre 1991 n. 413 (disposizioni per ampliare le basi

imponibili, per razionalizzare, facilitare e potenziare l'attività

di accertamento; disposizioni per la rivalutazione obbligatoria dei beni immobili delle imprese, nonché per riformare il conten

zioso e per la definizione agevolata dei rapporti tributari pen

denti; delega al presidente della repubblica per la concessione

di amnistia per reati tributari; istituzione dei centri di assistenza

fiscale e del conto fiscale).

(1) La corte afferma la manifesta inammissibilità della questione di

legittimità costituzionale dell'art. 11, 9° comma, 1. 413/91, nella parte in cui prevede la retroattività della tassazione delle plusvalenze da pro cedimenti espropriativi, sollevata in riferimento agli art. 3 e 53 Cost, da Comm. trib. I grado Santa Maria Capua Vetere 21 aprile 1994, Dir. e pratica trib., 1995, II, 142, considerato che la fattispecie all'esame della corte remittente riguardava somme percepite nel 1992 e, quindi, estranee al dettato dell'art. 11,9° comma, perché rientranti nella disci

plina del 7° comma dello stesso articolo.

(2) I. - L'odierna sentenza della corte affronta i seguenti problemi di legittimità costituzionale dell'art. 11, 5°, 6°, 7°, 8° e 9° comma, 1. 30 dicembre 1991 n. 413, in riferimento agli art. 3, 42 e 53 Cost.:

— inidoneità delle somme percepite ad essere sintomi di capacità con

tributiva; — retroattività della imposizione e «non attualità» della capacità con

tributiva; — disparità di trattamento; — lesione della «effettività» ed «adeguatezza» del ristoro rappresen

tato dall'indennizzo; — duplicazione d'imposta. Nell'esaminare le varie questioni, la corte dà precedenza, anche in

ragione della sua portata di principio, alla presunta lamentata inidonei tà delle indennità de quibus ad essere espressioni di capacità contributi va e, quindi, a costituire materia tassabile (sulla capacità contributiva, v. Corte cost. 11 marzo 1991, n. 103, Foro it., 1991, I, 1001). Ad

avviso della corte, la questione prospettata sembrerebbe partire dal pre supposto della esistenza nel sistema fiscale di una unica nozione di red dito che costituirebbe il riferimento necessario con cui confrontare, ai fini della loro legittimità, le diverse fattispecie di tassazione introdotte dal legislatore. A tal proposito, la corte rileva (richiamando anche la precedente sentenza 28 maggio 1987, n. 200, id., 1989, I, 302) che nella normativa attuale non esistono elementi significativi che facciano pro pendere per una nozione generale di reddito ai fini fiscali (reddito-entrata o reddito-prodotto). La verifica della legittimità della tassazione, prose gue la corte, deve quindi essere indirizzata verso l'esame della ragione volezza della norma nell'ambito del generale quadro normativo in cui essa va ad inserirsi. La corte poi conclude che sia la tassazione dell'in dennità, quale somma corrisposta a titolo di ristoro di un bene perduto, che quella degli interessi, possono essere ricomprese in categorie già note al sistema dell'imposizione tributaria e, pertanto, legittime.

In dottrina, in merito al concetto di reddito, v. E. De Mita, Alla

definizione di reddito servono criteri di coerenza, in II Sole 24 Ore del 6 ottobre 1995, 18, il quale, commentando la sentenza in epigrafe, rile va «che il legislatore non è libero di chiamare reddito tutto ciò che

gli pare e piace. La stessa corte fa riferimento al limite della ragionevo lezza. Ma questa deve essere un criterio che agisce diversamente a se conda dell'oggetto delle singole imposte. Il giudizio non può esser pura mente negativo, consistente cioè nell'escludere l'arbitrio e la irragione volezza della legge (come sembra intendere la corte, 14/95): occorre, secondo me, che sussistano positivi profili di ragionevolezza. Uno di tali profili è quello della coerenza, che attiene alla parità di trattamen to. È coerente una tassazione delle plusvalenze da esproprio in un siste ma che con la riforma aveva posto come criterio quello della speculativi tà? Sembrerebbe proprio di no». Dello stesso a., v. Certezza del diritto e perequazione nel testo unico delle imposte sui redditi, in Fisco, 1987, 2010, dove si legge: «si dice che la nozione teorica di reddito è contro versa. Ora a me pare che il legislatore non debba inseguire questa o quella

Il Foro Italiano — 1995.

2. - Poiché le questioni sollevate sono in parte analoghe e

in parte connesse, i giudizi possono essere riuniti per essere de

cisi con una unica sentenza.

3. - Va esaminata, anche in ragione della sua portata di prin

cipio, anzitutto la questione che entrambe le ordinanze solleva

no nel porre in dubbio l'idoneità delle somme conseguite a va rio titolo, in occasione dei procedimenti occupativi ed ablatori, a porsi quali situazioni espressive di capacità contributiva e quindi

quali indici rappresentativi di quella ricchezza che costituisce

il presupposto dell'imposizione fiscale.

Secondo l'ordinanza emessa dalla Commissione tributaria di

Santa Maria Capua Vetere le disposizioni censurate — nel sot

toporre a tassazione l'indennità di occupazione, gli interessi sul

le plusvalenze derivanti dalla percezione di indennità di espro

prio nonché le somme percepite a seguito di cessione volontaria

nel corso di procedimenti espropriativi e le somme comunque dovute per effetto di acquisizione coattiva conseguente ad occu

pazioni di urgenza divenuta illegittime — contrasterebbero con l'art. 53, in relazione all'art. 3 Cost., in quanto verrebbero a

colpire somme che rappresentano un semplice ristoro a fronte

categoria teorica, ma deve solo esplicitare a quale concetto proprio si è rifatto quando ha esemplificato, ha assimilato, ha esteso, ha aggiunto».

Con riguardo alla presunta «non attualità» della capacità contributi

va, la corte richiama, per la legittimità della retroattività della norma, le motivazioni delle proprie precedenti sentenze (20 luglio 1994, n. 315, Foro it., 1995, I, 28; 19 gennaio 1995, n. 14, ibid., 2330, con note di richiami) considerato che il giudice remittente non ha introdotto «nuovi

profili ed argomentazioni, tali da indurre a diverso avviso». In dottrina, v. G. Falsitta, L'illegittimità costituzionale delle norme

retroattive imprevedibili, la civiltà del diritto e il contribuente Nostra

damus, in Fisco, 1995, 8130, per il quale: «1) ogni nuova norma, quan do non abbia natura oggettivamente interpretativa, è sempre imprevedi bile; 2) qualsiasi nuova norma tributaria di diritto sostanziale, se non

interpretativa, è essa pure imprevedibile e se retroattiva è sempre inco

stituzionale; 3) la normativa di diritto tributario della 1. 413/91 avente retroattività triennale, era affatto imprevedibile. Essa, per ciò, andava annullata per incostituzionalità»; C. Berliri, Tassazione retroattiva delle

plusvalenze da espropriazione di aree fabbricabili: costituzionalità . . . ma non troppo dell'art. 11 l. n. 413 del 1991, in Giur. imp., 1995, 166, ad avviso del quale «sino all'entrata in vigore della 1. n. 413 del 1991 non era in alcun modo prevedibile, contrariamente a quanto asse rito dalla Corte costituzionale, che la cessione o a fortiori l'espropria zione di terreni posseduti da oltre un quinquennio e sui quali il proprie tario non aveva effettuato alcuna opera, potessero costituire presuppo sto di imposizione»; in generale, sulla retroattività della norma tributaria, A. Buscema, Norma tributaria retroattiva. I limiti costituzionali alla norma tributaria retroattiva, in Fisco, 1995, 803.

Le altre questioni sottoposte al vaglio della corte sono state tutte dichiarate infondate:

— la presunta disparità di trattamento, riferita al diverso periodo in cui si è realizzata l'espropriazione, è l'effetto della «successione delle

leggi nel tempo»; — la presunta disparità di trattamento fra il soggetto espropriato e

colui che ha alienato il bene volontariamente, già esaminata con la pre cedente sentenza n. 14 del 1995, cit., trova la sua giustificazione nell'as senza dell'altra imposta sul plusvalore immobiliare (imposta comunale sul valore degli immobili) in capo al dante causa;

— la lamentata incostituzionalità della norma de qua, perché la tas sazione di un indennizzo già fissato lederebbe i principi della «effettivi tà» ed «adeguatezza» della riparazione stabilita dall'art. 42 Cost., non sussiste perché «nessun rilievo può avere il fatto che, da un punto di vista meramente economico, l'imposizione possa comportare una de curtazione di quanto conseguito a titolo d'indennità di esproprio»;

— la presunta duplicazione d'imposizione che subirebbe il soggetto passivo che, avendo già pagato l'imposta personale sul reddito domini cale e sul reddito agrario, subirebbe un'ulteriore tassazione sull'inden nità di occupazione, non sussiste perché differenti sono i presupposti della tassazione del reddito fondiario rispetto a quelli della tassazione di tale indennità.

II. - Sempre sull'art. 11, 5°, 6°, 7°, 8°, 9° e 10° comma, 1. 413/91, erano state proposte questioni di costituzionalità, in riferimento agli art. 3, 42 e 53 Cost., da Comm. trib. I grado Reggio Calabria 12 mag gio 1993, Foro it., Rep. 1993, voce Redditi (imposte sui), n. 348; Comm. trib. I grado Salerno 8 novembre 1993, Fisco, 1994, 11044; Comm. trib. I grado Milano 2 giugno 1994, Corriere trib., 1995, 62 (già segna late in nota a Corte cost. n. 14 del 1995 e n. 315 del 1994, cit.); Comm. trib. I grado Treviso 1° luglio 1994, Fisco, 1995, 1435, allo stato anco ra non decise dalla Corte costituzionale.

III. - In dottrina, in generale sulla disciplina de qua, v., oltre agli autori citati in nota a Corte cost. 14/95 e 315/94, L. Zaccaria, La tassazione delle indennità di esproprio, in Tributi, 1995 , 3.

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

dello spossessamento effettuato dalla pubblica amministrazione

su un bene privato.

Analogamente, la Commissione tributaria di primo grado di

Firenze dubita che le disposizioni stesse violino l'art. 53 in quanto l'indennizzo ricevuto a seguito di cessione bonaria del bene nel

corso e/o a causa di una procedura espropriativa non sarebbe

indice effettivo di capacità contributiva, entrando nel patrimo nio dell'espropriando un semplice ristoro per la privazione del

bene.

4. - Le questioni non sono fondate.

In proposito, la corte ritiene di prendere le mosse dalle argo mentazioni svolte nella prima delle ordinanze menzionate che

evoca, da un canto, il criterio direttivo contenuto nella legge

delega della riforma tributaria del 1971, della tassazione delle

sole plusvalenze conseguite per fini speculativi e rileva, dall'al

tro, la mancanza nelle somme qui in esame del carattere di «no

vella ricchezza».

Con detti rilievi, l'ordinanza stessa sembra implicitamente sup

porre che, dal sistema fiscale, sia desumibile una nozione di

reddito che, in quanto espressiva in sé del principio di capacità

contributiva, possa costituire una sorta di archetipo al quale raffrontare le varie ipotesi di tassazione che il legislatore viene

mano a mano introducendo, qualificandole come fattispecie di

imposizione sul reddito. A tale prospettazione che richiama un

risalente e mai sopito dibattito, del quale v'è talora traccia an

che nella giurisprudenza della corte (sentenza n. 200 del 1987,

Foro it., 1989, I, 302), circa la possibilità o meno di costruire

una nozione generale di reddito a fini fiscali, in corrispondenza delle due antitetiche prospettazioni del reddito-prodotto e del

reddito-entrata, può obiettarsi, anzitutto, che il criterio del fine

speculativo delle plusvalenze, ancorché recepito in un primo mo

mento nel d.p.r. n. 597 del 1973 (art. 76), è stato successiva

mente abbandonato con l'art. 81 d.p.r. n. 917 del 1986. In via

ancor più generale può, altresì, opporsi che l'esame della nor

mativa sulle imposte sui redditi non offre elementi significativi di una univoca opzione, da parte del legislatore, nell'uno ovve

ro nell'altro dei sensi sopra indicati. Il testo unico del 1986 —

seguendo un criterio che appare piuttosto quello descrittivo e

classificatorio delle fattispecie — dopo aver stabilito (art. 1 e

86) che presupposto dell'imposta è il possesso di redditi rien

tranti nelle categorie indicate nell'art. 6, specifica, in quest'ulti ma norma, le categorie stesse, non senza prevedere nella dispo sizione dell'art. 81, dedicata ai redditi diversi, la delimitazione

dei residuali casi d'imposizione tributaria. È lecito perciò affer

mare che, attualmente, ai fini della nozione giuridica di reddito

occorre far capo a ciò che viene, nei limiti della ragionevolezza,

qualificato per tale dal legislatore. Ciò significa, pertanto, che

per dichiarare passabile un provento occorre accertare in quale delle ipotesi normative tipiche esso rientra. Peraltro, poiché la

prospettazione delle ordinanze di rimessione può ben essere in

tesa come espressione di una esigenza di coerenza fra le nuove

ipotesi di tributo e quelle già disciplinate nel d.p.r. n. 917 del 1986 — verifica questa che parrebbe del resto suggerita dal fat

to stesso che il legislatore riconduce le varie somme conseguite in occasione dei procedimenti ablatori nelle categorie dell'art.

81 del testo unico — la corte osserva, quanto all'indennità cor

risposta per l'espropriazione del bene, che oggetto dell'imposi

zione fiscale è in questo caso non l'identità in sé, bensì la plu

svalenza vale a dire la differenza tra il corrispettivo percepito

e il prezzo di acquisto in un tempo anteriore (art. 82 del predet to testo unico) e cioè quel vantaggio economico che, con riferi

mento anche ad altre ipotesi di cessione è considerato reddito

tassabile dallo stesso art. 81. Né implausibile, nell'ambito del

generale quadro normativo sopra delineato, si appalesa anche

la tassazione della indennità di occupazione, in quanto ricondu

cibile ad una funzione di ristoro per il mancato godimento del

bene (arg., altresì, ex art. 6, 2° comma, d.p.r. n. 917 del 1986)

come pure quella degli interessi, anch'essi corrispondenti ad una

categoria economica già nota al sistema dell'imposizione tri

butaria.

5. - Ambedue le ordinanze sollevano, poi, sempre in riferi

mento agli art. 53 e 3 Cost., questione di legittimità costituzio

nale sotto il profilo della non attualità della capacità contributi

va presupposta dal legislatore, anche in ragione della non pre

vedibilità dell'imposizione e del fatto che l'interessato potrebbe

non avere più la disponibilità della somma percepita. Peraltro,

mentre la Commissione tributaria di primo grado di Firenze

Il Foro Italiano — 1995.

riferisce espressamente la questione al 9° comma dell'art. 11

I. n. 413 del 1991, nessuna puntuale indicazione sulla disposi zione che si intende denunciare risulta dall'ordinanza della Com

missione tributaria di primo grado di Santa Maria Capua Vetere.

Eccepisce, d'altro canto, l'avvocatura dello Stato, sul presup

posto che la disposizione denunciata sia il menzionato 9° com

ma, che la questione sarebbe irrilevante in quanto, nella specie, le somme risultano percepite dai contribuenti nel 1992 e cioè

dopo l'entrata in vigore della legge. A dire il vero, l'ordinanza da ultimo menzionata, pur non

specificando la disposizione che intende censurare, ricomprende tra le disposizioni che, in via generale, denunzia anche detto

9° comma. Nonostante la non puntuale formulazione della que stione si può, quindi, ritenere che la censura avanzata dal giudi ce a quo sia da riferire a detta ultima disposizione; disposizione

che, altrimenti, il remittente non avrebbe avuto nessun motivo

di menzionare fra quelle sottoposte al vaglio della corte.

Ciò premesso, occorre considerare che, in effetti, la norma

conferisce retroattività all'imposizione fiscale, relativamente al

le somme che nel periodo che va dal 1° gennaio 1989 al 31

dicembre 1991, siano state percepite per effetto di provvedi menti o atti intervenuti nello stesso periodo. La fattispecie all'e

same della Commissione tributaria di primo grado di Santa Maria

Capua Vetere, riguardando somme percepite nel 1992, è da rite

nere estranea a quella disciplinata dal 9° comma. Di ciò dà

conferma, del resto, la medesima ordinanza di rimessione dalla

quale risulta che le modalità seguite, nel caso di specie, per la

tassazione, sono state quelle previste dal 7° comma dell'art. 11.

La questione sollevata sul 9° comma dell'art. 11 è pertanto ma

nifestamente inammissibile.

Per il resto, e quanto alla questione proposta dall'ordinanza

della Commissione tributaria di primo grado di Firenze su que

st'ultima disposizione, va osservato che essa ha già formato og

getto di esame da parte di questa corte che l'ha ritenuta non

fondata, in ragione della sussistenza di un elemento di prevedi bilità dell'imposta, non privo di significato quanto alla verifica

della permanenza della capacità contributiva, unitamente all'al

tro elemento, di non minor peso, del breve lasso di tempo entro

il quale il legislatore ha stabilito che tale retroattività è destina

ta ad operare (sentenza n. 315 del 1994, id., 1995, I, 28 e ordi

nanza n. 14 del 1995, ibid., 2329). La questione viene ora riproposta, senza che siano introdotti

nuovi profili ed argomentazioni, tali da indurre a diverso avviso.

6. - La Commissione tributaria di primo grado di Firenze

solleva, poi, sempre in ragione della retroattività conferita alla

tassazione, questione di legittimità del predetto 9° comma del

l'art. 11 sotto ulteriori profili e cioè per contrasto con l'art.

3 Cost.:

a) risultando deteriore il regime giuridico cui sono sottoposti

i cittadini che hanno percepito somme in conseguenza di atti

anche volontari o provvedimenti emessi nel periodo considerato

dalla disposizione denunciata, a causa di un non prevedibile

prelievo fiscale di importo non indifferente del quale non han

no potuto perciò tener conto nel determinarsi alla cessione, ri

spetto ai cittadini che siano stati interessati da procedure espro

priative prima della data del 31 dicembre 1988 o dopo l'entrata

in vigore della 1. n. 413 del 1991;

b) per il diverso importo concretamente percepito da parte

dei diversi espropriandi, a seconda del periodo in cui è venuto

a maturazione il relativo diritto;

c) per essere prevista un'imposizione retroattiva solo a carico

del soggetto che «si è visto espropriare suo malgrado iussu prin

cipisi un cespite e non del soggetto che detto cespite volontaria

mente aliena.

La norma sarebbe ancora in contrasto con:

l'art. 42, 3° comma, Cost, in quanto, riducendo con efficacia

retroattiva un indennizzo già fissato, non rispetterebbe i princi

pi della «effettività» e dell'«adeguatezza» della riparazione;

gli art. 3 e 53 Cost, in quanto il titolare del fondo occupato,

mantenendo la proprietà dello stesso durante l'occupazione e

per tale titolo continuando a pagare Irpef ed Ilor sui redditi

dominicali ed agrari, verrebbe, dopo l'entrata in vigore dell'art.

II, 6° comma, 1. n. 413 del 1991, colpito con efficacia retroatti

va da nuova imposizione per l'indennità di occupazione.

7. - Anche dette questioni non sono fondate.

Fermo quanto già detto in punto di prevedibilità dell'impo

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3079 PARTE PRIMA 3080

sta, si rileva, circa la lamentata disparità di trattamento, a se

conda dell'epoca in cui si è avuta l'espropriazione, che trattasi

di effetti connaturati alla successione delle leggi nel tempo, che

non per questo concretano violazione dell'art. 3 Cost, (sentenze nn. 618 del 1987, id., 1989,1, 297 e 38 del 1984, id., 1984,1, 916).

In ordine poi al diverso trattamento fiscale riservato al sog

getto espropriato rispetto a colui che aliena volontariamente il

bene, si rammenta che anche detta questione ha già formato

oggetto di esame da parte della corte (sentenza n. 14 del 1995,

cit.), che ha rinvenuto la spiegazione di tale diverso trattamento

nella circostanza che, alla data dell'entrata in vigore della 1.

n. 413 del 1991, le pluslavalenze derivanti da cessione negoziale

privatistica erano (come, del resto, sono tuttora sia pure nei

limiti di cui all'art. 17 d.leg. 30 dicembre 1992 n. 504) soggette

all'imposta sull'incremento di valore degli immobili, mentre quelle realizzate a seguito di procedimenti espropriativi erano e sono

escluse da tale imposizione (art. 2, ultimo comma, d.p.r. 26

ottobre 1972 n. 643). La retroattività della norma trova, quin di, la sua giustificazione nella assenza dell'altra imposta sul plu svalore immobiliare in capo al dante causa, come è testimonia

to dallo stesso tenore della norma impugnata: infatti il 9° com

ma dell'art. 11, dispone si retroattivamente, in ordine alle somme

percepite in conseguenza di atti anche volontari o provvedimen ti emessi successivamente al 31 dicembre 1988, ma soltanto «se l'incremento di valore non è stato assoggettato all'imposta co

munale sull'incremento di valore degli immobili».

Non diversa sorte merita la questione relativa alla dedotta

violazione dell'art. 42, per la incidenza negativa che la tassazio

ne retroattiva spiegherebbe sull'entità dell'indennizzo consegui to a seguito dell'espropriazione. Stabilita la legittimità dell'im

posizione retroattiva della plusvalenza in quanto reddito, nes

sun rilievo, dal punto di vista dell'indennizzo garantito dall'art.

42 Cost., può avere il fatto che, da un punto di vista meramen

te economico, l'imposizione stessa possa comportare una decur

tazione di quanto conseguito a titolo di indennità di esproprio. 8. - Neppure fondata è, infine, la questione della duplicazio

ne di imposta alla quale verrebbe assoggettato il titolare del

fondo il quale avendo già pagato l'imposta personale sul reddi

to dominicale e sul reddito agrario, si vedrebbe di nuovo fiscal

mente colpito, dopo l'entrata in vigore dell'art. 11,6° comma, con effetto retroattivo sull'indennità di occupazione.

L'ipotesi prospettata di una duplicazione di imposta non sus

siste, in quanto differenti sono i presupposti della tassazione

del reddito fondiario di cui agli art. 23 ss. d.p.r. n. 917 del

1986 rispetto a quelli della tassazione dell'indennità di occupa zione che la stessa 1. n. 413 del 1991 riconduce ai redditi diversi

di cui all'art. 81.

A ben vedere, la questione che, in realtà, si può porre è quel la dei limiti in cui, a fronte dell'avvenuta occupazione in sé, sia dato ugualmente imputare al proprietario il reddito fondia

rio medesimo. Ma non è problema che interessi il presente

giudizio. Per questi motivi, la Corte costituzionale, riuniti i giudizi:

dichiara manifestamente inammissibile la questione di legittimi tà costituzionale dell'art. 11, 9° comma, 1. 30 dicembre 1991

n. 413 (disposizioni per ampliare le basi imponibili, per razio

nalizzare, facilitare e potenziare l'attività di accertamento; di

sposizioni per la rivalutazione obbligatoria dei beni immobili

delle imprese, nonché per riformare il contenzioso e per la defi

nizione agevolata dei rapporti tributari pendenti; delega al pre sidente della repubblica per la concessione di amnistia per reati

tributari; istituzione dei centri di assistenza fiscale e del conto

fiscale), sollevata, in riferimento agli art. 3 e 53 Cost., dalla

Commissione tributaria di primo grado di Santa Maria Capua Vetere con l'ordinanza di epigrafe; dichiara non fondate le altre

questioni di legittimità costituzionale dell'art. 11, commi 5°, 6°, 7°, 8° e 9°, della predetta legge, sollevate, in riferimento agli art. 3 e 53 Cost., dalla Commissione tributaria di primo grado di Santa Maria Capua Vetere e, in riferimento agli art. 3, 42, 3° comma, e 53 Cost., dalla Commissione tributaria di primo

grado di Firenze, con le ordinanze in epigrafe.

Il Foro Italiano — 1995.

CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 26 luglio 1995, n. 389 (Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 16 agosto 1995, n. 34); Pres. Baldassarre, Est. Cheli; Regione Sardegna (Avv. Pa

nunzio) c. Pres. cons, ministri (Avv. dello Stato Fiorilli).

Conflitto di attribuzioni.

Sardegna — Pesca — Attuazione di regolamento comunitario — Intesa preventiva con la regione — Mancanza — Spettan za allo Stato — Esclusione (L. cost. 26 febbraio 1948 n. 7, statuto speciale per la regione Sardegna, art. 3, 6; d.p.r. 19

maggio 1950 n. 327, norme di attuazione dello statuto specia le per la Sardegna, art. 6, 7; d.p.r. 24 novembre 1965 n. 1627, norme di attuazione dello statuto speciale per la Sardegna in materia di pesca e saline, sul demanio marittimo e nel ma

re territoriale, art. 1; d.p.r. 22 agosto 1972 n. 669, norme

di attuazione dello statuto speciale per la Sardegna riguar dante il trasferimento alla regione di uffici e servizi del mini

stero dell'agricoltura e delle foreste, art. 1).

Poiché non spetta allo Stato e, per esso, al ministero delle risor

se agricole, alimentari e forestali predisporre ed attuare, con

riferimento al territorio della regione Sardegna, senza la pre ventiva intesa con la stessa, i programmi operativi e le altre

forme di intervento previste dai regolamenti comunitari in re

lazione allo strumento finanziario di orientamento della pe

sca, deve annullarsi il terzo capoverso della deliberazione del

Cipe del 13 aprile 1994, recante «proposta italiana relativa

al documento unico di programmazione 1994-99, elaborato

ai sensi del regolamento Cee n. 2080/93 (strumento finanzia rio di orientamento della pesca»). (1)

Diritto. — 1. - Il conflitto in esame, sollevato dalla regione Sardegna, trae origine dalla deliberazione del comitato intermi

(1) La corte, confermata incidentalmente la propria giurisprudenza secondo cui nei conflitti di attribuzione fra Stato e regione non si appli ca l'istituto dell'acquiescenza data l'indisponibilità delle posizioni fatte valere dalle parti (cosi, di recente, Corte cost. 19 maggio 1994, n. 191, Foro it., 1995, I, 1132), enuncia l'affermazione riassunta in massima sulla considerazione che le riconosciute esigenze di gestione unitaria del

comparto della pesca, se giustificano l'individuazione nel ministero per le risorse agricole dell'autorità nazionale competente per la predisposi zione e l'attuazione dei programmi operativi e delle altre forme di inter vento previste dai regolamenti comunitari, non possono comunque eli minare la presenza regionale dai processi di elaborazione ed attuazione di tali programmi ove questi vengano ad incidere nella sfera delle attri buzioni regionali. E nella specie, atteso il carattere primario della com

petenza spettante in materia di pesca alla regione Sardegna, l'esigenza di garantirne la partecipazione può essere soddisfatta solo attraverso il ricorso ad un'intesa inter partes, (essendo questa lo) strumento più idoneo a realizzare, in applicazione del generale principio di leale colla borazione che informa i rapporti tra Stato e regioni, una forma di coo

perazione adeguata e rispettosa delle prerogative e delle competenze re gionali (in senso conforme, Corte cost. 27 luglio 1992, n. 366, id., Rep. 1992, voce Parchi nazionali, nn. 12-35, e Dir. e giur., 1993, 260, con nota di Cocorullo).

In ordine al principio di leale collaborazione fra Stato e regione, da ritenersi ormai di rango costituzionale pur se non espressamente enun ciato nel testo della Costituzione, v., ex multis, Corte cost. 29 aprile 1993, n. 204 e 29 marzo 1993, n 124, Foro it., 1993, I, 3002; in dottri

na, di recente, Sessa, Principio della leale cooperazione tra Stato e re

gione anche nel settore delle attività regionali da svolgere all'estero, in Riv. amm., 1993, 1125.

Sul concetto di intesa fra Stato e regione (su cui Cocorullo, cit.), v. Corte cost. 9 marzo 1992, n. 97, Foro it., Rep. 1992, voce Ammini strazione dello Stato, n. 76; 16 luglio 1991, n. 351, id., Rep. 1991, voce Regione, n. 140; 19 aprile 1990, n. 220, id., 1990, I, 2126, con richiami ed osservazioni di R. Romboli.

Sui rapporti fra Stato e regione nell'attuazione della normativa co munitaria in materia regionale, v. i richiami e le osservazioni di A.

Barone, in nota a Corte cost. 10 giugno 1993, n. 278, id., 1994, I, 2659; cui adde, Grasso, Attuazione regionale di direttive Cee ed ap prezzamento delle esigenze unitarie (di nuovo) al vaglio della Corte co stituzionale (in margine alle sentenze n. 382 e n. 458 del 1993), in Giur.

costit., 1994, 1282. Con riferimento specifico al problema della ammissibilità della impu

gnativa promossa in via principale dal governo avverso una legge regio nale non ancora entrata in vigore per presunto contrasto con la norma tiva comunitaria, cons. A. Barone, La Corte costituzionale ritorna sui

rapporti fra diritto comunitario e diritto interno, in Foro it., 1995,1, 2050. Da ultimo, sui rapporti fra ordinamento interno e comunitario, cfr.

i richiami di F. Corbo in nota a Pret. Vicenza, ord. 21 aprile 1995, ibid., II, 536.

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