Sentenza 27 marzo 1963; Pres. Donner P., Rel. Trabucchi, Avv. gen. Lagrange; Soc. Da Costa enSchaake N. V. (Avv. Stibbe, Kuile), Soc. Schuitenvoerderij en Expeditiekantoor N. V., Soc.Hoechst-Holland N. V. c. Amministrazione olandese delle imposteSource: Il Foro Italiano, Vol. 86, No. 7 (1963), pp. 1321/1322-1327/1328Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23152319 .
Accessed: 28/06/2014 18:33
Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at .http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp
.JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range ofcontent in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new formsof scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected].
.
Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to IlForo Italiano.
http://www.jstor.org
This content downloaded from 141.101.201.171 on Sat, 28 Jun 2014 18:33:06 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
1321 GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE 1322
CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNITÀ EUROPEE.
Sentenza 27 marzo 1963 ; Pres. Donner P., Rei. Trabucchi, Avv. gen. Lagrange ; Soc. Da Costa en Schaake N. V.
(Avv. Stibbe, Kuile), Soc. Schuitenvoerderij en Expe ditiekantoor N. V., Soc. Hoechst-Holland N. V. c. Amministrazione olandese delle imposte.
(Richiesta della Tariefcommissie)
Comunità europee — Interpretazione del Trattato della C.e.e. — Decisioni della Corte di giustizia —
Etlicacia (Trattato istitutivo della Comunità economica
europea, firmato a Roma il 25 marzo 1957, art. 177). Comunità europee — C.e.e. — Aumenti di dazi —
Tutela dei singoli avanti i giudiei nazionali (Trat tato istitutivo della C.e.e., art. 12).
Comunità europee — C.e.e. — Dazi d'importazione —
Aumento successivo al Trattato di Roma — Liceità — Limiti (Trattato istitutivo della C.e.e., art. 12).
Il giudice nazionale può deferire alla Oorte di giustizia delle
Comunità europee la questione di interpretazione delle
norme del Trattato, sorta in via pregiudiziale nella eausa
dinanzi a lui pendente, anche se tale questione sia iden
tica ad altra, sollevata in relazione ad analoga fattispecie e già in precedenza decisa dalla Oorte. (1)
A norma dell'art. 12 del Trattato istitutivo della Oomunità
economica europea, la violazione del divieto di aumento dei
dazi d'importazione può essere denunciata dai singoli cittadini degli Stati aderenti dinanzi ai giudici nazio
nali. (2) *"-* È illecito, ai sensi dell'art. 12 del Trattato istitutivo della
Oomunità economica europea, l'aumento del dazio doga nale applicato all'atto dell'entrata in vigore del Trattato, a nulla rilevando se l'aumento derivi da rielaborazione
delle tariffe, ovvero da diversa classificazione della
merce. (3)
(1-3) La sentenza 5 febbraio 1963, cui la Oorte si uniforma, è pubblicata retro, 449, con ampia nota di richiami, cui adde Lì erri, Sull'efficacia delle sentenze della Corte di giustizia delle
Comunità europee in materia di interpretazione giurisprudenziale autentica ai sensi dell'art. 177 del Trattato C.e.e. (nota alla sen
tenza della Corte ora riportata ed alla precedente 5 febbraio
1963), in Giust. civ., 1963, I, 1226 e Gobi, L'efficacia « ultra
partes » delle decisioni pregiudiziali nel diritto comunitario, in nota alla presente sentenza, in Giur. it., 1963, IV, 92 ; Trabucchi, Un nuovo diritto, in Riv. dir. civ., 1963, I, 259 ; Catalano, Ma
nuale di diritto delle Comunità europee, 1962, pag. 101 e segg.
* * *
Per un inquadramento della dibattuta questione relativa alla efficacia delle decisioni della Corte di giustizia, sembra op portuno riportare qui le conclusioni adottate dall'Avv. gen. Lagkange.
I. — Come sapete, le tre cause 28, 29 e 30/62 che devo
oggi trattare sono in tutto simili alla causa 26/62, decisa con
sentenza del 5 febbraio 1963. Come in quest'ultima, si tratta di risolvere, a norma dell'art. 177 del Trattato C.e.e., due que stioni relative all'interpretazione dell'art. 12 del Trattato sot
toposte alla Corte in via pregiudiziale dalla Tariefcommissie. Le questioni sono formulate negli stessi termini ; le osservazioni
scritte presentate sia dalle parti nella causa principale, sia dai
Governi e dalla Commissione sono le stesse ; infine, successiva
mente alla sentenza non è sopravvenuto alcun fatto nuovo, nè
è stato dedotto alcun nuovo argomento. La sola differenza sotto
l'aspetto processuale è che il rinvio è stato disposto dalla Ta
riefcommissie in date diverse : il 16 agosto 1962 nella causa
26/62 ; il 19 settembre 1962 nelle altre tre cause, che sono quelle attualmente in esame. Parrebbe quindi il caso di rispondere nello stesso senso e negli stessi termini della sentenza del 5
febbraio, giacché non vi è apparso alcun motivo di statuire in
modo diverso. Ciò però significherebbe che la sentenza 5 febbraio 1963
non costituisce giudicato per le attuali controversie, giacché in
caso contrario le domande della Tariefcommissie andrebbero
La Corte, ecc. — Sotto l'aspetto processuale, il procedi mento proposto dalla Tariefcommissie per ottenere che la
Corte si pronunci in via pregiudiziale a norma dell'art. 177 del Trattato C.e.e., non ha costituito oggetto di eccezioni, nè dà luogo a rilievi d'ufficio.
La Commissione, comparsa in virtù dell'art. 20 dello
Statuto della Corte di giustizia della C.e.e., assume che la
domanda va respinta perchè priva di oggetto in quanto le
questioni sulle quali si chiede l'interpretazione della Corte
dichiarate, se noil irricevibili (posto che sono anteriori alla sen
tenza), almeno prive di oggetto, con sentenza di non luogo a
provvedere. Si tratta di una questione di principio non priva d'importanza per la futura applicazione dell'art. 177 e per i
rapporti tra la Corte di giustizia e i giudici nazionali che detto articolo fa sorgere.
Ritengo che questo problema vada risolto applicando nor malmente i principi relativi al giudicato ed al rinvio a titolo
pregiudiziale. Non credo di dovermi dilungare su questi principi, che sono comuni ai sei Stati membri, almeno nei loro lineamenti essenziali ; mi limiterò a ricordarli in breve.
1) Per quanto riguarda il giudicato, vige il principio che esso è relativo ed esiste soltanto qualora siano identiche le
parti, la causa e l'oggetto. (La Corte si è rigidamente attenuta a questi principi nelle sentenze Chasse e Meroni, del 14 dicembre
1962). Al di fuori del caso particolare dell'annullamento di atti
amministrativi, il quale ha effetto erga omnes (come pure, secondo
taluni, della « dichiarazione d'illegittimità » degli stessi), la
regola non patisce eccezioni, salvo espresse disposizioni in con trario. Un'eccezione, in Francia, è prevista ad esempio dall'art. 7 della legge 6 maggio 1919, modificata con legge 22 luglio 1927, il quale attribuisce al tribunale civile il potere di statuire nelle controversie relative alle appellations d'origine in materia vi
nicola, precisando che « le sentenze definitive costituiranno
giudicato nei confronti di tutti gli abitanti e proprietari della stessa regione » ; una sentenza può quindi stabilire le condi zioni della appellation e delimitare la regione alla quale essa si
applica, esattamente alla stessa stregua di un regolamento. B questa un'evidentissima deroga al principio della forza relativa del giudicato, principio tradizionalmente considerato in Francia come l'espressione giuridica della condanna pronunciata dalla Rivoluzione francese contro gli arréts de règlement dei Parlamenti dell'ancien régime. In Germania esiste l'eccezione relativa al l'efficacia delle sentenze pronunziate dal Bundesverfassungs gericht di Karlsruhe, le quali vanno osservate da tutti gli organi giurisdizionali e amministrativi del Bund e dei Lander ed hanno talora persino forza di legge. Nel Trattato di Roma non vi è alcuna disposizione speciale che deroghi al principio della forza solo relativa del giudicato nei casi in cui la Corte si pronunzia sull'interpretazione del Trattato, in via pregiudiziale o a qual siasi altro titolo.
2) Per quanto riguarda i principi che reggono il rinvio a titolo pregiudiziale, essi sono informati sostanzialmente al
rispetto, da parte di ciascuno dei due giudici, delle attribuzioni
dell'altro. Il giudice a quo deve uniformarsi alla sentenza di rinvio per quanto riguarda il punto di diritto sul quale essa ha
statuito : entro questi limiti, la sentenza di rinvio costituisce
giudicato. Per converso, esso rimane libero di valersi come meglio crede della sentenza di rinvio nel definire il giudizio principale ed eventualmente di non tenerne alcun conto, ad esempio qua lora si accorga che il rinvio non era necessario, essendogli dato di risolvere la controversia in base ad altri principi.
Quanto al giudice di rinvio, esso non ha che un potere, che d'altronde è anche un dovere, cioè quello di accertarsi di
essere competente : in caso affermativo esso è tenuto a pro nunziarsi, senza dover esaminare se il rinvio sia giustificato, se la questione pregiudiziale sia veramente necessaria per defi
nire il giudizio principale, ecc. Come dice Waline (Manuel de droit administratif, pag. 133), a proposito del rinvio dal
giudice ordinario a un tribunale amministrativo, « il tribunale
amministrativo non deve impartire ammaestramenti al giudice ordinario, nè può decidere che questo a torto si è considerato
incompetente ». Sono appunto questi i principi che la Corte ha applicato
nella sentenza 26/62, nella quale si legge :
« La Corte rileva che, nella presente controversia, ai fini
della competenza è necessario e sufficiente che la questione
pregiudiziale verta sull'interpretazione del Trattato, mentre
sfuggono al suo apprezzamento le considerazioni che hanno
potuto determinare la scelta delle questioni da parte del giu dice nazionale, e altresì la rilevanza che le questioni stesse
possono avere, a giudizio della Tariefcommissie, nella lite da
vanti ad essa pendente ».
Il Foro Italiano — Volume LXXXVI — Parte I-85.
This content downloaded from 141.101.201.171 on Sat, 28 Jun 2014 18:33:06 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
1323 PARTE PRIMA 1324
nel presente procedimento sono già state risolte con la
sentenza del 5 febbraio n. 26/62 che ha definito identiche
questioni sorte in analoga fattispecie. Tale tesi non appare fondata.
Si deve infatti anzitutto distinguere fra l'obbligo che
l'art. 177, 3° comma, impone al giudice nazionale di ultima
istanza e la facoltà che il 2° comma di detto articolo con
ferisce a qualsiasi giudice nazionale di deferire alla Corte
delle Comunità questioni d'interpretazione del Trattato ; se l'art. 177, ult. comma, impone, senza restrizioni, ai fori
II. — Applicando congiuntamente i due principi che ho testé ricordato, si giunge alla conclusione che la sentenza 5 febbraio 1963, pronunciata nella causa 26/62, non costituisce
giudicato nei confronti delle altre tre liti. Ho detto di proposito « delle altre tre liti », volendo con ciò indicare che, per ciascuna di esse, il giudizio nel suo complesso può essere considerato come un tutto unico, del quale fanno parte il rinvio disposto dal giu dice olandese e il procedimento davanti alla Corte cui esso ha dato origine. Il giudizio così inteso, ivi compresa la fase che si sta attualmente svolgendo qui a Lussemburgo, ha infatti un solo scopo : consentire, facendo salve le rispettive competenze, che siano giudicate delle liti regolarmente pendenti davanti ad un giudice nazionale, cioè nella specie le tre controversie fra importatori, da un lato, e l'Amministrazione olandese delle
imposte, dall'altro. Orbene, se la causa giuridica (causa petendi) è la stessa nelle quattro controversie, l'oggetto (petitum) è di
verso, come sono diverse le parti ; la vostra sentenza del 5 feb braio non costituisce quindi giudicato per le tre altre liti che hanno formato oggetto di distinte domande della Tariefcommissie, domande sulle quali non vi siete ancora pronunciati.
A favore della tesi opposta, si potrebbe senza dubbio trarre
argomento dalla circostanza che il sistema contemplato nell'art. 177 (obbligo di rinvio nel caso previsto dal 3° comma, rinvio diretto alla Corte da parte del giudice nazionale) ha un accen tuato carattere di ordine pubblico, lo scopo perseguito essendo evidentemente quello di garantire fin dove è possibile l'uniformità
nell'interpretazione del Trattato. Credo però che ci si debba
guardare dal confondere la ratio legis, che è senz'altro quella accennata, col sistema prescelto per attuarla. Questo sistema consiste nel far ricorso al rinvio a titolo pregiudiziale il quale è basato, come ho detto testé, sulla salvaguardia delle rispettive attribuzioni da parte di ciascuno dei due giudici. Si tratta perciò della collaborazione fra la Corte ed i giudici nazionali intesa ad
ottenere, attraverso la giurisprudenza, l'auspicata uniformità
d'interpretazione : attraverso la giurisprudenza, non già me diante dei regolamenti. Ciò è quanto dire che la Corte di giu stizia deve, come in qualsiasi altro campo, conservare piena libertà per quanto riguarda le sue future decisioni. Quale che sia l'importanza deila sentenza che essa dovrà pronunziare su
questo o quel punto, per quanto astratta possa essere o apparire, l'interpretazione di questa o quella disposizione del Trattato, l'aureo principio della forza relativa del giudicato va mantenuto salvo : un organo giurisdizionale come il nostro può imporsi grazie al prestigio morale delle sue decisioni, non già mercè l'efficacia giuridica dei giudicati. Naturalmente nessuno può pensare che, dopo aver posto un principio con la sentenza 26/62, alla prima occasione la Corte modifichi senza alcun motivo il
proprio punto di vista : cionondimeno, essa deve rimanere giu ridicamente libera di farlo. Il principio della forza relativa del giudicato è molto ragionevole ; esso pone continuamente il giudice di fronte alle proprie responsabilità, impedendogli di farsi scudo di una precedente sentenza nello stesso modo in cui ci si rifugia dietro una legge o un regolamento ; detto principio l'obbliga insomma a porre a raffronto, in ciascuna lite, la realtà e la norma giuridica, il che può indurlo a rendersi conto dei suoi eventuali errori di fronte a nuove circostanze, a nuovi argomenti o anche in seguito ad uno spontaneo esame di coscienza, ovvero, caso più frequente, a modificare lievemente il suo atteggiamento dando luogo così, sotto l'influenza dell'esperienza e del divenire delle teorie giuridiche e dei fenomeni economici, sociali ed altri, a quello che si chiama l'evolversi della giurisprudenza. Orbene, il principio della forza relativa del giudicato è lo stru mento che gli consente tutto ciò. È naturale che esso debba valersene con la massima prudenza se non vuole nuocere alla certezza del diritto ; tale strumento è tuttavia necessario e il giudice non può privarsene.
Dopodiché, è forse concepibile la distinzione fra l'efficacia del giudicato nei confronti della Corte stessa, la quale sarebbe solo relativa, e l'efficacia rispetto ai giudici nazionali, che sa rebbe invece assoluta ? In altri termini, fin tanto che la Corte non avesse mutato atteggiamento, cosa che sarebbe sempre libera di fare, i giudici nazionali sarebbero tenuti a risolvere in armonia con
nazionali, quali la Tariefcommissie, le cui decisioni non
sono impugnabili secondo l'ordinamento interno, di defe
rire alla Corte qualsiasi questione d'interpretazione davanti
ad essi sollevata, l'autorità dell'interpretazione data dalla
Corte ai sensi dell'art. 177 può tuttavia far cadere la causa
di tale obbligo e così renderlo senza contenuto.
Ciò si verifica in ispecie qualora la questione sollevata
sia materialmente identica ad altra questione, sollevata
in relazione ad analoga fattispecie, che sia già stata decisa
in via pregiudiziale.
10 pronunzie della Corte tutte le future controversie che fossero chiamati a giudicare, come avviene, l'abbiamo visto, per le sen tenze della Corte di Karlsruhe. Non credo nemmeno questo. Ciò
significherebbe infatti attribuire alla Corte una vera giurisdizione di ordine costituzionale. Ora, se sotto certi aspetti questa Corte è per le Comunità una Corte costituzionale, i Trattati non le hanno tuttavia attribuito tutti i poteri spettanti ad un organo di tal fatta. Per di più, gli stessi Trattati possono essere consi derati quali vere e proprie costituzioni per ciascuna delle Co munità che essi hanno istituito solo per certi riguardi e con le dovute cautele. Non ci si deve lasciar fuorviare dalle simi litudini, e comunque, anche se il paragone reggesse nei confronti dell'ordinamento giuridico comunitario, esso perderebbe ogni valore nei riguardi dell'ordinamento giuridico interno di ciascun Stato membro, che sussiste accanto al primo : sotto quest'ultimo aspetto, è palese che i Trattati sono accordi internazionali le cui disposizioni, per effetto della ratifica, sono state recepite nell'ordinamento interno degli Stati membri. Le norme dei Trattati trovano quindi normalmente applicazione alla stregua di leggi, non già come norme costituzionali ; ciò vale a fortiori per i regolamenti emanati dagli esecutivi della Comunità, salvo restando il controllo di legittimità. Ne consegue che, in man canza di un'espressa disposizione in contrario, le attribuzioni
rispettive della Corte, adita in via pregiudiziale, e dei giudici nazionali vanno stabilita in base ai normali principi che, nel diritto interno, reggono la competenza esclusiva di un organo giurisdizionale accanto al quale ne sussistano altri dotati di normale competenza : salve sempre le espresse disposizioni in
contrario, ciò non significa di per sè che i secondi siano subor dinati al primo, nè giustifica in particolare alcuna deroga ai normali principi relativi all'efficacia del giudicato.
Aggiungo che la tesi che sto combattendo potrebbe dar
luogo a gravi inconvenienti. Essa finirebbe infatti per provocare infinite controversie sulla portata delle sentenze della Corte.
Questa o quella lite posteriore verte esattamente sulla stessa
questione d'interpretazione già risolta, ovvero implica nuovi elementi atti a giustificare una nuova domanda ? La Corte, anziché doversi pronunciare (sia negli stessi termini, sia even tualmente completando la sua precedente sentenza) su una
questione d'interpretazione del Trattato, il che è il suo compito normale, dovrebbe chiedersi in primo luogo se la questione sottopostale non sia già stata risolta in precedenza, il che si
gnificherebbe molto spesso interpretare la sentenza invece di
interpretare il Trattato. Ritroviamo qui l'inconveniente insito •nella rinuncia alla libertà d'azione attribuita al giudice dal prin cipio dell'efficacia solo relativa del giudicato : è preferibile ripetere più volte una sentenza di principio, salvo modificarne
leggermente il tenore per tener conto degli elementi o degli argomenti nuovi, anziché rifiutarsi di rispondere senza potersi poi esimere dallo spiegarne il perchè. Ancora una volta, è me
glio per il giudice interpretare la legge, che è il suo vero com pito, anziché interpretare le proprie sentenze.
Tuttavia, e sarebbe questa una posizione di ripiego, non si potrebbe, pur facendo salvo il principio dell'efficacia relativa del giudicato, estenderne in maggiore o minore misura l'àmbito
d'applicazione ? Ad esempio, non si potrebbe sostenere che 11 giudicato sussiste qualora la domanda di decisione pregiu diziale, non soltanto verta sulla stessa questione, ma provenga dallo stesso giudice ? A mio parere ciò sarebbe pericoloso. La
questione può infatti presentarsi sotto una luce diversa, possono essere dedotti nuovi argomenti, ecc. D'altro lato, cosa si deve intendere per « lo stesso giudice » ? Un organo giurisdizionale superiore può constare di varie sezioni dotate di diversa com petenza : pensiamo alla chambre civile ed alla chambre crimi nelle della Corte di cassazione francese, ai vari Senate delle Corti tedesche. Ancora, sarebbe concepibile tener conto del
tempo trascorso dalla pronunzia della Corte ? Questo criterio è certo troppo soggettivo ed arbitrario. In ultima analisi ri
tengo che, qualora si ammetta l'applicabilità del principio dell'efficacia relativa del giudicato, è opportuno attenervisi
strettamente, secondo i criteri semplici e ben noti che ne co stituiscono i corollari.
This content downloaded from 141.101.201.171 on Sat, 28 Jun 2014 18:33:06 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Quando nell'àmbito concreto di una controversia ver
tente avanti un giudice nazionale la Corte dà un'interpre tazione del Trattato, essa si limita a trarre dalla lettera
e dallo spirito di questo il significato delle norme comunitarie, mentre l'applicazione alla fattispecie delle norme così
interpretate rimane riservata al giudice nazionale ; tale
concezione corrisponde alla funzione assegnata alla Corte
dall'art. 177 che mira a garantire l'unità dell'interpreta zione del diritto comunitario nei sei Stati membri.
D'altronde se l'art. 177 non avesse tale portata, le di
lli. — In tal caso però, ed è l'ultima questione che mi
propongo di esaminare, la Corte non corre il rischio di trovarsi oberata di liti inutili in quanto vertenti su questioni già risolte ?
Questo problema ha due aspetti, l'uno di fatto e l'altro di diritto. In fatto, sono persuaso che i giudici nazionali si aster
ranno in via generale dal deferire alla Corte questioni veramente inutili. La tendenza naturale di un giudice è piuttosto quella di valersi in pieno dei suoi poteri, non già di rinunciare a favore di un altro ; le parti dal canto loro, nei limiti in cui possono influire sul procedimento, che è di ordine pubblico, non hanno in genere interesse ad appensatirlo senza motivo, a causa delle
spese e degli ulteriori indugi che ciò provoca. In particolare, è poco verosimile che, senza valide ragioni, la domanda venga
presentata alla Corte dallo stesso giudice che ha già disposto altro rinvio ed ottenuto una decisione pregiudiziale.
Cionondimeno — ed è questo l'aspetto giuridico del pro blema — l'art. 177, 3° comma, non finirà per costringere i giu dici nazionali in esso contemplati (quelli « avverso le cui de cisioni non possa proporsi un ricorso giurisdizionale di diritto interno ») a disporre il rinvio tutte le volte che una « questione »
d'interpretazione del Trattato sia « sollevata in un giudizio pendente davanti » ad uno di essi, giacché, sempre secondo lo
stesso articolo, detto giudice è in tal caso « tenuto a rivolgersi alla Corte di giustizia ? ». Quest'obbligo di adire la Corte sussiste
poi anche qualora la questione d'interpretazione di cui trattasi abbia già dato luogo ad una sentenza della Corte, ovvero co
stituisca oggetto di giurisprudenza costante ?
Signori, si tratta di una questione che non siete chiamati a risolvere, giacché rientra nella competenza dei giudici na
zionali. Voi potreste deciderla soltanto qualora vi fosse stato chiesto d'interpretare l'art. 177 stesso, il che non è.
Dirò soltanto che questo problema che non è d'altronde il
solo cui dia luogo l'interpretazione dell'art. 177, sembra possa essere risolto senza grandi difficoltà dai giudici nazionali purché essi tengano presente uno dei principi che reggono la materia delle questioni pregiudiziali. Questo principio è molto semplice :
per dare l'avvio al procedimento d'interpretazione in via pre giudiziale, è evidentemente necessario che vi sia una questione e che essa verta sull'interpretazione delle norme di cui trattasi : in caso contrario, cioè se il testo è perfettamente chiaro, non si tratta più d'interpretazione, bensì di applicazione, il che rientra nella competenza del giudice, la cui funzione è appunto
quella di applicare la legge. Con un'espressione poco precisa e spesso fraintesa, taluni chiamano tutto ciò la teoria dell'acfe clair : a dire il vero, si tratta semplicemente della linea di con fine fra le due competenze. Naturalmente, come sempre in simili
circostanze, vi possono essere dei casi dubbi dei casi limite ; nel dubbio, evidentemente, il giudice dovrebbe disporre il
rinvio. Orbene, se davanti a un giudice nazionale viene sollevata
una questione d'interpretazione del Trattato, la quale però ha
dato luogo a giurisprudenza costante, si deve ammettere che, in realtà, non si tratta di una « questione » che giustifichi il
rinvio, bensì di un caso assimilabile al precedente : una dispo sizione di per sé poco chiara, ma il cui significato è sempre stato inteso nello stesso modo dal giudice competente in pro posito, può essere assimilata ad una disposizione che non ha
bisogno d'interpretazione. È questo un principio basato sul buon senso, atto a conciliare l'osservanza delle rispettive com
petenze con la necessità di non moltiplicare inutilmente i pro cedimenti di rinvio. Signori, il meccanismo del rinvio a titolo
pregiudiziale viene così inteso in Francia, Paese nel quale, come
sapete, detto sistema ha molta importanza in conseguenza della rigida applicazione del principio della separazione dei
poteri. Concetti analoghi si ritrovano d'altronde in talune materie
affini, sia nel diritto internazionale privato, sia nel diritto in ternazionale pubblico : mi riferisco qui al caso del giudice in
terno che applica il diritto straniero, come pure al caso del
giudice internazionale che applica il diritto interno. In entrambe le ipotesi vi è evidentemente una differenza fondamentale ri
spetto all'art. 177 del Trattato C.e.e., cioè il giudice non può
sposizioni di rito contenute nell'art. 20 dello Statuto della Corte di giustizia, le quali prevedono la partecipazione al
procedimento degli Stati membri e delle istituzioni comuni
tarie, e quelle dell'art. 165, 3° comma, clie impongono alla Corte di pronunciarsi in Adunanza plenaria non avrebbero
ragione d'essere. Infine, quest'aspetto dell'attività svolta dalla Corte, nell'àmbito dell'art. 177, trova conferma
nell'assenza di parti nel senso proprio del termine che carat terizza tale procedimento.
Ciò non toglie che l'art. 177 permette sempre ai giudici
disporre alcun rinvio, bensì deve applicare il diritto straniero o il diritto interno. L'analogia è cionondimeno interessante in quanto, in entrambi i casi, si è quasi unanimi nel ritenere che non spetti al giudice sostituirsi all'organo normalmente
competente ad interpretare il diritto, cioè al giudice del Paese dove tale diritto vige ; esso deve invece uniformarsi allo stato del diritto quale lo si desume, nel Paese di cui trattasi, dal modo in cui la norma è effettivamente applicata, avendo riguardo alla relativa giurisprudenza interna. È sempre lo stesso princi pio della distinzione fra interpretazione e applicazione del diritto : l'interpretazione che costituisce giurisprudenza costante del giudice competente dev'essere fatta proprio dal giudice straniero o dal giudice internazionale, il quale si trova in tal modo in grado di statuire come se si trattasse semplicemente di applicare il diritto.
Citerò, sul complesso della questione dell'applicazione del diritto straniero da parte del giudice nazionale, uno studio molto interessante del prof. Dòlle (Revue critique de droit international privé, 1955) e, come giurisprudenza, per la Francia, Cass. civ. 10 maggio 1960 (Fondation Potocki) (Journal du droit international, 1961, pag. 762) ; Cour d'Appel de Paris, 1° luglio 1959 (Revue critique de droit international privé, 1960, pag. 193) ; Tribunal civil de la Seine 29 settembre 1959 {loc. cit., 1960, pag. 591). Per quanto riguarda il secondo caso, quello dell'applicazione del diritto interno da parte di un giudice internazionale, citerò due sentenze della Corte permanente di giustizia internazionale, in data 12 luglio 1929, pubblicate nel Dalloz périodique et critique, 1930, 2a parte, pagg. 45 e segg. (Governo della Repubblica francese contro Governo del Regno dei Serbi, Croati e Sloveni e Governo della Repubblica francese contro Governo della Repubblica degli Stati Uniti del Brasile). Si deve tuttavia ricordare che in Italia esiste la teoria della « recezione della norma giuridica straniera » nell'ordinamento nazionale, la quale si risolve nell'attribuire al giudice italiano
più estesi poteri di controllo sull'applicazione del diritto stra niero ; ciò significa però soltanto che i giudici italiani dovrebbero avere minori scrupoli di quelli degli altri Paesi membri nell'aste nersi dal disporre inutili rinvii.
In definitiva, ritengo che, se i giudici nazionali degli Stati membri s'informeranno ai principi che ho testé ricordato, e vi sono ottime ragioni di sperarlo, giacché tali principi sono
generalmente ammessi sia nel diritto interno, sia nel diritto
internazionale, l'applicazione dell'art. 177 potrà dar luogo ad una fruttuosa collaborazione fra detti giudici e la Corte di
giustizia. È senz'altro prevedibile che la Corte dovrà talvolta pro
nunciarsi su questioni d'interpretazione del Trattato, o di re
golamenti comunitari, già in precedenza risolte ; per le ragioni che vi ho esposto, non credo però che questo rischio sia molto grave. In ogni caso, è infinitamente preferibile che qualche sentenza della Corte sia in tutto simile a sentenze precedenti piuttosto che qualche giudice nazionale si rifiuti di disporre il rinvio, basandosi su un'interpretazione forse discutibile di una pronunzia anteriore : sarebbe questa una fonte di con flitti per comporre i quali il Trattato non offre alcun mezzo.
Concludo proponendo che la Corte, statuendo sulle do
mande sottopostele in via pregiudiziale dalla Tariefcommissie, con ordinanze del 19 settembre 1962, dichiari :
1) L'art. 12 del Trattato istitutivo della Comunità eco nomica europea ha valore precettivo ed attribuisce ai singoli dei diritti che i giudici nazionali sono tenuti a tutelare.
2) Per stabilire se un dazio doganale, o una tassa di ef fetto equivalente, sia stato aumentato in ispregio al divieto sancito dall'art. 12 del Trattato, si deve aver riguardo al dazio, o alla tassa, effettivamente applicato dallo Stato membro di cui trattasi all'atto dell'entrata in vigore del Trattato.
L'aumento può essere stato causato tanto da una riela borazione della tariffa cui consegua la classificazione della merce sotto una voce colpita da un dazio più elevato, quanto dalla maggiorazione del dazio doganale.
3) Spetta alla Tariefcommissie provvedere sulle spese dei presenti giudizi.
This content downloaded from 141.101.201.171 on Sat, 28 Jun 2014 18:33:06 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
1327 PARTE PRIMA 1328
nazionali, ove lo ritengano opportuno, di deferire nuova mente alla Corte delle questioni di interpretazione ; ciò
emerge dall'art. 20 dello Statuto della Corte di giustizia ai termini del quale il procedimento previsto per la defini zione delle questioni pregiudiziali si svolge di diritto non
appena una questione del genere venga deferita da un giu dice nazionale.
La Corte è pertanto tenuta a pronunciarsi sulle presenti domande.
Nel merito, l'interpretazione dell'art. 12 del Trattato
C.e.e. nei presenti casi richiesta, è stata data già con la
sentenza della Corte del 5 febbraio 1963, n. 26/62 ; la Corte ha infatti dichiarato che :
1) L'art. 12 del Trattato istitutivo della Comunità economica europea ha valore precettivo ed attribuisce ai
singoli dei diritti che i giudici nazionali sono tenuti a tu telare.
2) Per stabilire se un dazio doganale, o una tassa di effetto equivalente, sia stato aumentato in ispregio al
divieto sancito dall'art. 12 del Trattato, si deve aver ri
guardo al dazio, o alla tassa, effettivamente applicato dallo Stato membro di cui trattasi all'atto dell'entrata in vigore del Trattato.
L'aumento può essere stato causato tanto da una riela borazione della tariffa cui consegua la classificazione della merce sotto una voce colpita da un dazio più elevato, quanto dalla maggiorazione del dazio doganale.
Essendo le questioni d'interpretazione qui sollevate identiche a quelle già definite e non avendo la Corte ravvi sato alcun nuovo elemento, per rispondere alla Tariefcom missie va fatto rinvio alla precedente sentenza. (Omissis)
Per questi motivi, statuendo sulle domande sottopostele in via pregiudiziale dalla Tariefcommissie con le ordinanze del 19 settembre 1962, dichiara : 1) Non vi è luogo di dare una nuova interpretazione dell'art. 12 del Trattato C.e.e. ; 2) Spetta alla Tariefcommissie provvedere sulle spese del
presente giudizio.
CORTE COSTITUZIONALE.
Sentenza 9 luglio 1963, n. 120 (Gazzetta ufficiale 13 luglio 1963, n. 187) ; Pres. Ambrosini P., Rel. Manca ; imp. Dani, Marcialis, Mazzarella, Mazzi, Speroni (Avv. Arnaboldi, Jemolo, Martinelli) ; interv. Pres. Cons, ministri (Avv. dello Stato Coronas).
Lavoro (rapporto) — Mano d'opera — Divicto di in
terposizione —- Appalti di detcrminati opere 0
scrvizi — Lejjittimitik della normativa (Costitu zione della Repubblica, art. 25, 39 ; legge 23 ottobre 1960 n. 1369, divieto di intermediazione nelle presta zioni di lavoro e disciplina dell'impiego di mano d'opera negli appalti di opere e di servizi, art. 3).
jB infondata la qaestione di costituzionalitä deU'art. 3 legge 23 ottobre 1960 n. 1369, recante norme sul divieto di in termediazione e interposizione nelle prestazioni di lavoro, in riferimento agli art. 25, 2° comma, e 39, 4° comma, della Oostituzione. (1)
(1) Una delle ordinanze di rimessione del Pretore di Genova õ massimata in Foro it., 1962, II, 350. Retro, a col. 1269, nella amplissima nota redazionale a Trib. Venezia 30 novembre 1962 e Pret. Mirandola 6 luglio 1962, sono riportati i precedenti sulla interpretazione della legge n. 1369 del 1960. Si aggiunga, per la manifesta infondatezza della questione di costituzionalitä, Pret. Firenze 22 maggio 1962, Foro it., Rep. 1962, voce Lavoro (rapp.), n. 252.
Le sentenze della Gorte costituzionale, richiamate nella motivazione di quella che si annota sono pubblicate : 27 maggio 1961, n. 27, in questa rivista, 1961, I, 887 ; 19 dicembre 1962, nn. 106 e 107, retro, 178 e 179, nonche col. 648 con jnota di Pera ; v., inoltre, 22 giugno 1963, n. 106, infra, 1336, con nota di richiami.
La Corte, ecc. — La questione di legittimitä costitu
zionale deH'art. 3 legge 23 ottobre 1960 n. 1369 & stata
proposta in riferimento agli art. 25, 2° comma, e 39, 4°
comma, della Costituzione.
Per quanto riguarda il preteso contrasto con l'art. 25
Cost., ritiene la Corte che l'impugnato art. 3 non attribuisce
al giudice un potere di ampliare per analogia il precetto
penalmente sanzionato. Non 6 infatti esatto che nella for
mulazione di tale articolo si abbia una eterogeneitä, di indi
cazioni esemplificative, per cui mancbi un preciso criterio
di identificazione delle attivitä, similari a quelle espressa mente menzionate.
Grli elementi, invece, che, secondo l'art. 3, individuano
la fattispecie e segnano i limiti di applicazione della norma
sono dati, non dalla natura dell'attivitsk, tecnica o ammini
strativa, dell'azienda appaltatrice, ma dall'esistenza di un
rapporto di appalto e dal fatto che 1'attivitä dell'impresa
appaltatrice si svolge nell'interno dell'azienda dell'impresa
appaltante o in connessione col servizio pubblico da questa esercitato : rientra cioe nel ciclo di produzione e di svolgi mento del servizio pubblico. Stabilire quando, in concreto, ciõ si verifichi, anche al di fuori delle enunciazioni indicative
contenute nel 2° comma dell'art. 3, 6 opera, come in altri
casi questa Corte ha avuto occasione di precisare (sent, n. 27 del 1961, Foro it., 1961, I, 887), di interpretazione e
non di applicazione analogica. La questione di legittimita costituzionale, prospettata
in riferimento all'art. 25 Cost., deve pertanto ritenersi
infondata.
Ugualmente infondata essa si presenta in riferimento all'art. 39, 4° comma, della Costituzione.
Ya in proposito considerato che l'art. 3 legge 23 ottobre 1960 n. 1369 si inquadra in quel sistema di garanzie che la
stessa legge ha voluto instaurare, per impedire l'elusione delle norme protettive del lavoro attraverso l'intermedia
zione (il cosiddetto marchandage du travail, colpito anche
dalle legislazioni straniere). A tale scopo la legge ha, in primo luogo, vietato l'ap
palto e il subappalto che abbia per oggetto « mere presta zioni di lavoro » (art. 1); in secondo luogo, per il caso di
appalto di opere o servizi « da eseguirsi nell'interno delle aziende con organizzazione e gestione propria dell'appalta tore », ha stabilito che l'imprenditore appaltante & tenuto, in solido con l'appaltatore, ad assicurare inderogabilmente ai dipendenti da quest'ultimo un trattamento minimo re tributivo e un trattamento normativo non inferiori a quelli spettanti ai propri dipendenti. La stessa disciplina si applica, secondo la norma, agli appalti concessi da imprese che eser citano un pubblico servizio, per le attivitä che sono strumen talmente collegate con l'esercizio di questo, o che addirit tura consistono nell'esplicazione, in parte, dello stesso ser vizio (installazione e lettura di contatori ed esazione di
canoni; manutenzione di reti di distribuzione e di trasporto ; allacciamenti; costruzione di colonne montanti; impianti di apparecchi; reti a bassa tensione).
Si 6 voluto in tal modo assicurare 1'uniformitä, di un trattamento minimo ai lavoratori dipendenti dall'impresa appaltante e dalla impresa appaltatrice, in quei casi in cui l'attivita di quest'ultima si svolge nelPinterno della prima, o ha una funzione collegata con 1'attivitä, dell'azienda ap paltante, nel processo produttivo di un medesimo pubblico servizio : situazione, questa, che giustifica la parificazione dei trattamenti minimi, per evitare le frodi alle norme pro tettive del lavoro, a cui, com'ö noto e come h posto in luce nei lavori preparatori della legge in esame, si presta il si stema dell'appalto di servizi interni o collegati.
La descritta disciplina legislativa non contrasta, a giu dizio della Corte, con l'art. 39 della Costituzione.
La questione di legittimita costituzionale, originaria mente prospettata sotto il riflesso della violazione di una riserva normativa istituita da tale articolo, non ha fonda mento. La Corte ha gižt avuto occasione di dichiarare che tale riserva, nel nostra ordinamento, non sussiste (sent, n. 106 del 1962 (Foro it., 1963, I, 178) e del resto le stesse
parti, nel corso del giudizio, hanno abbandonato questa tesi. Ma una violazione del 4° comma dell'art. 39 Cost, non sus
This content downloaded from 141.101.201.171 on Sat, 28 Jun 2014 18:33:06 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions