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sentenza 27 marzo 2003, n. 89 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 2 aprile 2003, n. 13); Pres.Chieppa, Est. Marini; Del Corso e altri c. Min. pubblica istruzione; interv. Pres. cons. ministri.Ord. Trib. Pisa 7 agosto 2002 (G.U., 1 a s.s., n. 43 del 2002)Source: Il Foro Italiano, Vol. 126, No. 9 (SETTEMBRE 2003), pp. 2257/2258-2259/2260Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23198413 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
cessorio sui beni del demanio marittimo. E su questa base giun
ge ad affermare che il conferimento dovrebbe riferirsi non solo
alle «specifiche funzioni relative alle concessioni del demanio
marittimo, ma a tutte le funzioni amministrative ad esso riferen
tisi, anche per il demanio ad utilizzo non turistico-ricreativo».
Al contrario, anche a voler ritenere che il 2° comma dell'art.
105 d.leg. n. 112 del 1998 non abbia disposto relativamente al
solo settore dei «trasporti» disciplinato al capo VII (nel quale è
inserito il citato art. 105), il «conferimento» a regioni ed enti lo
cali delle funzioni relative al «rilascio di concessioni di beni del
demanio della navigazione interna, del demanio marittimo e di
zone del mare territoriale per finalità diverse da quelle di ap
provvigionamento di fonti di energia ...» certamente non equi vale a conferimento di «tutte le funzioni amministrative» rife
rentisi al demanio marittimo.
Tale conclusione, peraltro, è resa evidente dalla circostanza
che, avendo l'art. 42 d.leg. n. 96 del 1999 disposto che le fun
zioni di cui all'art. 105, 2° comma, lett. I), d.leg. n. 112 del
1998, «sono esercitate dai comuni», la regione Molise ha riser
vato a sé con la 1. reg. 29 settembre 1999 n. 34, esclusivamente
le funzioni amministrative che «attengono ad esigenze di carat
tere unitario a livello regionale in materia di turismo in ordine a
(...) demanio marittimo o per finalità turistico-ricreative» (art.
54). In altri termini, la nozione di demanio marittimo, un tempo
espressiva di funzioni facenti capo esclusivamente allo Stato, con lo sviluppo delle autonomie è divenuta espressiva di una
pluralità di funzioni, alcune delle quali rimaste allo Stato, altre
«delegate» ai comuni ed alle regioni, altre ancora «conferite»
alle regioni: ed un conflitto di attribuzioni non è concepibile se
esso non investe funzioni attribuite alla regione, ma queste siano
rivendicate dalla regione stessa invocando la titolarità del bene
cui ineriscono.
L'assetto normativo sopra ricostruito rivela che, attraverso
l'estensione delle funzioni regionali, il reale oggetto della con
troversia che si è voluto promuovere davanti a questa corte è
costituito dalla rivendica della titolarità del demanio marittimo
(estranea ai conflitti di cui all'art. 134 Cost.: cfr. la sentenza di
questa corte n. 343 del 1995, Foro it., Rep. 1995, voce Regione, n. 247); e ciò è confermato dalla richiesta della regione Molise
di dichiarare superato lo stesso concetto di demanio statale at
traverso una pronuncia di illegittimità costituzionale dell'art.
822, 1° comma, c.c. (ma sull'inammissibilità dell'utilizzazione
di un conflitto di attribuzione per contestare la legittimità della
disposizione legislativa «a monte» del provvedimento contro cui
si ricorre, si veda, fra le molte, la sentenza di questa corte n. 334
del 2000, id., 2000,1, 2736). Conclusivamente, il ricorso per conflitto di attribuzioni deve
essere dichiarato inammissibile.
Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara inammissi
bile il conflitto di attribuzioni proposto nei confronti dello Stato
dalla regione Molise con il ricorso indicato in epigrafe.
Il Foro Italiano — 2003.
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 27 marzo 2003, n. 89
(Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 2 aprile 2003, n. 13); Pres. Chieppa, Est. Marini; Del Corso e altri c. Min. pubblica istruzione; interv. Pres. cons, ministri. Ord. Trib. Pisa 7 ago sto 2002 (G.U., la s.s., n. 43 del 2002).
Impiegato dello Stato e pubblico in genere — Contratto di
lavoro a termine — Violazione di disposizioni imperative — Conversione in rapporto di lavoro a tempo indetermi
nato — Divieto — Questione infondata di costituzionalità (Cost., art. 3, 97; d.leg. 30 marzo 2001 n. 165, norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle ammini
strazioni pubbliche, art. 36).
E infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art.
36, 2° comma, d.leg. 30 marzo 2001 n. 165, nella parte in cui
dispone che la violazione di disposizioni imperative concer
nenti l'assunzione o l'impiego di lavoratori non può com
portare la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeter
minato con le pubbliche amministrazioni, in riferimento agli art. 3 e 97 Cost. (1)
(1) I. - La Consulta reputa infondata la questione di legittimità co stituzionale dell'art. 36, 2° comma, d.leg. n. 165 del 2001, il quale, escludendo che alla violazione di norme imperative sull'assunzione o
sull'impiego dei lavoratori possa far seguito la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato con la pubblica amministrazione, se
gna uno dei divari più rilevanti tra il lavoro pubblico e quello privato. Il Tribunale di Pisa aveva dubitato della legittimità della norma:
a) sub art. 3 Cost., in quanto essa, nonostante l'intervenuta privatiz zazione e la conseguente applicazione al lavoro pubblico, tra le altre, della disciplina in tema di contratto di lavoro a termine, discriminereb be i dipendenti pubblici rispetto a quelli privati, precludendo ai primi la tutela rappresentata dalla c.d. conversione del rapporto;
b) sub art. 97 Cost., perché la stabilità del rapporto di lavoro rende rebbe più motivati e, quindi, più efficienti i dipendenti pubblici che at tualmente prestano la loro opera in condizioni di precariato.
La corte ha respinto i dubbi, osservando che:
a) sub art. 3 Cost., i rapporti di lavoro alle dipendenze delle ammini strazioni pubbliche non possono essere in tutto assimilati a quelli svolti alle dipendenze di datori di lavoro privati, giacché la fase d'instaura zione del rapporto è presidiata, per il solo lavoro pubblico, dal principio dell'accesso mediante concorso. Questo principio giustifica la diversa
scelta sanzionatoria adottata dal legislatore in caso di violazione delle norme sul reclutamento;
b) sub art. 97 Cost., è il concorso come metodo di selezione Io stru mento più idoneo a garantire l'imparzialità e l'efficienza dell'ammini strazione.
II. - Analoga questione è stata sollevata, in riferimento all'art. 3
Cost., da Trib. Torino, ord. 22 gennaio 2001, Foro it., Rep. 2001, voce
Impiegato dello Stato, n. 294; la Corte costituzionale, con ordinanza n.
251 del 14 giugno 2002 ne ha dichiarato la manifesta inammissibilità
per difetto di motivazione. III. - Sull'affermazione della regola costituzionale del concorso pub
blico aperto a tutti posta a presidio del reclutamento alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche, Corte cost. 16 maggio 2002, n. 194, id., 2003, I, 22, con nota di richiami; v. anche, in tema, Cons, giust. amm. sic., sez. consult., 24 febbraio 1998, n. 127/98, id., Rep. 1998, voce cit., nn. 301. 313, in relazione all'art. 3 1. reg. sic. 30 aprile 1991 n. 12, che ha fissato la regola dell'accesso per concorso.
IV. - In dottrina, in generale, sul concorso pubblico, M. Amendola, Concorso a pubblico impiego, voce de 11'Enciclopedia del diritto, Mila
no, 1961, Vili, 613; C. Ferrari, Il procedimento costitutivo del rap porto di pubblico impiego, Torino, 1960; I. Caccia villani, I concorsi nelle pubbliche amministrazioni, Roma, 1968; C. Pinelli, Commento all'art. 91, 3° comma, Cost. La regola del concorso, in P. Caretti-C. Pinelli-U. Pototschnig-G. Long-G. Borrè (a cura di), La pubblica amministrazione, in Commentario della Costituzione fondato da G. Branca e continuato da A. Pizzorusso, Bologna-Roma, 1994, 320 ss.; M. Rossi, Art. 35 - Reclutamento del personale, in AA.VV., L'impiego
pubblico. Commento al d.leg. 30 marzo 2001 n. 165, Milano, 2003, 634.
V. - Sul lavoro a tempo determinato alle dipendenze della pubblica amministrazione, inserito nel novero dei «lavori flessibili», A. Tampie
ri, Il contratto a termine nelle pubbliche amministrazioni, in Lavoro
giur., 1995, 903; G. Zilio Grandi, Brevi appunti in tema di successive
assunzioni a tempo determinato, conversione in rapporti a tempo in
determinato e tipicità dei provvedimenti di assunzione, in Lavoro nelle
p.a., 1998, 587; M. Delfino-V. Luciani, Rapporti «flessibili» di lavoro
pubblico e contrattazione collettiva - Sull'immediata applicabilità delle tipologie dell'art. 36 d.leg. 29/93, id., 1999, 171; L. Fiorillo, Il
reclutamento del personale pubblico: forme contrattuali stabili e fles
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2259 PARTE PRIMA 2260
Diritto. — 1. - Il Tribunale di Pisa dubita, in riferimento agli art. 3 e 97 Cost., della legittimità costituzionale dell'art. 36, 2°
comma, d.leg. 30 marzo 2001 n. 165 (norme generali sull'ordi
namento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pub
bliche), nella parte in cui esclude che la violazione di disposi zioni imperative riguardanti l'assunzione o l'impiego di lavo
ratori, da parte delle pubbliche amministrazioni, possa compor tare la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato
con le medesime pubbliche amministrazioni.
La norma — ad avviso del rimettente — sarebbe lesiva del
principio di eguaglianza in quanto, nonostante l'intervenuta pri vatizzazione del rapporto di lavoro dei dipendenti delle pubbli che amministrazioni e la dichiarata applicabilità al suddetto rap
porto della 1. 18 aprile 1962 n. 230 (disciplina del contratto di
lavoro a tempo determinato) e successive modificazioni, discri
minerebbe i dipendenti pubblici rispetto a quelli privati preclu dendo ai primi
— nel caso di violazione delle norme imperative sul lavoro a termine — la tutela rappresentata dalla c.d. conver
sione del rapporto, prevista dagli art. 1 e 2 citata 1. n. 230 del
1962, applicabile pro tempore alle fattispecie dedotte nel giudi zio a quo.
Sarebbe altresì violato il principio di buon andamento della
pubblica amministrazione, in quanto — secondo lo stesso ri
mettente — la stabilità del rapporto di lavoro renderebbe più motivati, e quindi più efficienti, i dipendenti pubblici che at tualmente prestano la loro opera in condizione di precariato.
2. - La questione non è fondata.
2.1. - Il rimettente muove dall'assunto che, a seguito della
c.d. privatizzazione, derivante dalla riforma del 1993, il rap
porto di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni
sia assimilato, sotto ogni aspetto, a quello svolto alle dipenden ze di datori di lavoro privati, desumendo da tale premessa l'ille
gittimità costituzionale della norma denunciata in quanto con
trastante con il principio di eguaglianza. Siffatto assunto, nei termini assoluti nei quali è formulato,
non può ritenersi corretto.
Va infatti considerato — limitando l'esame al solo profilo
genetico del rapporto, che nella specie viene in considerazione — che il principio fondamentale in materia d'instaurazione del
rapporto d'impiego alle dipendenze delle pubbliche amministra
zioni è quello, del tutto estraneo alla disciplina del lavoro pri
vato, dell'accesso mediante concorso, enunciato dall'art. 97, 3°
comma, Cost.
L'esistenza di tale principio, posto a presidio delle esigenze
d'imparzialità e buon andamento dell'amministrazione, di cui al
1° comma dello stesso art. 97 Cost., di per sé rende palese la
non omogeneità — sotto l'aspetto considerato — delle situazio
ni poste a confronto dal rimettente e giustifica la scelta del legis latore di ricollegare alla violazione di norme imperative riguar danti l'assunzione o l'impiego dei lavoratori da parte delle am
ministrazioni pubbliche conseguenze di carattere esclusiva
mente risarcitorio, in luogo della conversione (in rapporto) a
tempo indeterminato prevista per i lavoratori privati. È appena il caso di sottolineare, al riguardo, che, seppure lo
stesso art. 97, 3° comma, Cost., contempla la possibilità di de
rogare per legge a miglior tutela dell'interesse pubblico al prin
sibili, in F. Carinci-M. D'Antona (diretto da), Il lavoro alle dipenden ze delle amministrazioni pubbliche. Commentario, Milano, 2000, II, 1081; M.L. De Margheriti, Il lavoro a termine nel pubblico impiego, in Quaderni dir. lav. relazioni ind., 2000, fase. 23, 121; C. Labbadia, L'ordinamento del personale: nuove forme di lavoro flessibile, in Nuo va rass., 2001, 1066; R. Salomone, Contratto a termine e lavoro pub blico, in M. Biagi (a cura di), Il nuovo lavoro a termine, Milano, 2001, 270; B. Voltattorni, La riforma del contratto a termine nel pubblico impiego, in Lavoro nelle p.a., 2002, 365; L. de Angelis, Il contratto a termine con le pubbliche amministrazioni: aspetti peculiari, in Riv. critica dir. lav., 2002, 45; M. Rossi, Art. 36 - Forme contrattuali flessi bili di assunzione e di impiego del personale, in AA.VV., L'impiego pubblico. Commento al d.leg. 30 marzo 2001 n. 165, cit., 698.
VI. - In generale, sulla flessibilità del lavoro nelle pubbliche ammini
strazioni, C. D'Orta, Introduzione ad un ragionamento sulla flessibi lità del lavoro nelle pubbliche amministrazioni, in Lavoro nelle p.a., 2000, 515; U. Poti, Lavoro pubblico e flessibilità, Soveria Mannelli, 2002.
VII. - Sul contratto di lavoro a termine, Cass. 11 dicembre 2002, n.
17674, Foro it., 2003, I, 443, relativa ad una fattispecie antecedente al
d.leg. 368/01.
Il Foro Italiano — 2003.
cipio del concorso, è tuttavia rimessa alla discrezionalità del le
gislatore, nei limiti della non manifesta irragionevolezza, l'indi
viduazione di siffatti casi eccezionali (sentenze n. 320 del 1997,
Foro it, 1998,1, 958; n. 205 del 1996, id., 1996,1, 2616), senza che alcun vincolo possa ravvisarsi in una pretesa esigenza di
uniformità di trattamento rispetto alla disciplina dell'impiego
privato, cui il principio del concorso è, come si è detto, del tutto
estraneo.
2.2. - Le considerazioni sin qui svolte rendono palese l'infon
datezza della questione anche con riferimento al parametro di
cui all'art. 97 Cost.
L'assunto del rimettente — secondo il quale la stabilizzazio
ne del rapporto di lavoro dei c.d. precari, attraverso la conver
sione dei rapporti a termine irregolari in rapporti a tempo inde
terminato, sarebbe rispondente al principio di buon andamento
della pubblica amministrazione — trova infatti smentita nella
stessa norma costituzionale, là dove questa, al 3° comma, indi
vidua appunto nel concorso lo strumento di selezione del perso nale in linea di principio più idoneo a garantire l'imparzialità e l'efficienza della pubblica amministrazione.
Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara non fondata
la questione di legittimità costituzionale dell'art. 36, 2° comma,
d.leg. 30 marzo 2001 n. 165 (norme generali sull'ordinamento
del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche),
sollevata, in riferimento agli art. 3 e 97 Cost., dal Tribunale di
Pisa con l'ordinanza in epigrafe.
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 3 luglio 2002, n. 308 (Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 10 luglio 2002, n. 27); Pres. Ruperto, Est. Vari; Min. finanze c. Soc. Aviofer (Avv.
Puoti); interv. Pres. cons, ministri (Avv. dello Stato Favara). Ord. Cass. 30 marzo 2001 (G.U., la s.s., n. 35 del 2001).
Redditi (imposte sui) — Credito di imposta — Computo —
Questione infondata di costituzionalità (Cost., art. 3, 76; d.p.r. 22 dicembre 1986 n. 917, approvazione del t.u. delle
imposte sui redditi, art. 14, 92).
È infondata la questione di legittimità costituzionale degli art.
14, 4° comma (nella sua formulazione originaria), e 92 d.p.r. 22 dicembre 1986 n. 917, nella parte in cui prevedevano che, ai fini della determinazione dell'imposta sui redditi, l'am
montare del credito di imposta sui dividendi fosse computato in aumento del reddito complessivo netto del socio, in riferi mento agli art. 3 e 76 Cost. (1)
(1) La versione originaria dell'art. 14, 4° comma, d.p.r. 22 dicembre 1986 n. 917 voleva che il credito di imposta sui dividendi fosse com
putato in aumento del «reddito complessivo netto» del percettore. La circostanza che il «reddito complessivo netto» fosse determinato previo
scomputo delle perdite di esercizi precedenti portava — nel caso in cui
queste ultime fossero risultate di ammontare superiore al reddito com
plessivo (lordo) del contribuente — ad assoggettare a tassazione il cre dito d'imposta, pur in mancanza di un vero e proprio reddito.
Al dichiarato fine di superare questo inconveniente, il legislatore (dapprima con d.l. 28 dicembre 1989 n. 414 e con d.l. 1° marzo 1990 n.
40, entrambi non convertiti in legge, e quindi con il d.l. 27 aprile 1990 n. 90, convertito nella 1. 26 giugno 1990 n. 165) ha disposto che — ai
soli fini dell'applicazione dell'imposta, cioè senza ulteriori conseguen ze a fini diversi da quelli fiscali — il credito d'imposta venisse com
putato in aumento del reddito complessivo, come peraltro previsto dalla
previgente normativa. Essendo questa modifica entrata in vigere con effetto dal periodo di
imposta 1989, si è dubitato in giurisprudenza intorno alla legittimità costituzionale della disciplina del credito di imposta vigente per il 1988
(i.e., per l'anno in cui trovava applicazione la disposizione originaria di cui all'art. 14 d.p.r. 917/86).
Con ord. 30 marzo 1999, n. 342, Foro it., Rep. 1999, voce Redditi
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