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sentenza 27 novembre 1998, n. 383 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 2 dicembre 1998, n.48); Pres. Granata, Est. Zagrebelsky; Abramo ed altri (Avv. Luciani, Mauceri, Sorrentino,Marone, Guelfi, Ciavarella); interv. Pres. cons. ministri (Avv. dello Stato Sacchetto). Ord. TarLazio 1° dicembre e 29 ottobre 1997 (tre), Tar Abruzzo 3 dicembre 1997, Tar Liguria 18dicembre 1997 (tre) e 15 gennaio 1998, e Tar Marche 11 m ...Source: Il Foro Italiano, Vol. 122, No. 1 (GENNAIO 1999), pp. 31/32-37/38Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23193009 .
Accessed: 28/06/2014 15:26
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PARTE PRIMA
1998 n. 186 (disposizioni urgenti per l'erogazione gratuita di
medicinali antitumorali in corso di sperimentazione clinica, in
attuazione della sentenza della Corte costituzionale n. 185 del
26 maggio 1998), convertito, con modificazioni, nella 1. 30 lu
glio 1998 n. 257; che ad avviso del ricorrente i primi risultati della sperimenta
zione, su quattro dei dodici protocolli, non sono positivi, come
risulta dal comunicato pubblicato nella Gazzetta ufficiale 5 agosto
1998, n. 181, di modo che per le patologie oggetto dei quattro
studi non saranno più ammessi nuovi pazienti, mentre è con
sentita, in via eccezionale, la prosecuzione della somministra
zione dei farmaci componenti la multiterapia nei casi in cui la
malattia sia stabile e non vi siano segni di progressione; che il pretore, con l'ordinanza citata, ha disposto un accerta
mento medico-legale su una sfera di patologie indefinita e in
alternativa alla sperimentazione ufficiale in fase di espletamen
to, travalicando i limiti tipici della funzione giurisdizionale; che il fine perseguito dal pretore sarebbe quello di accertare,
in via generale, l'efficacia e i limiti di validità della «multitera
pia Di Bella»; che il provvedimento pretorile eccede l'interesse del singolo
ricorrente nel procedimento d'urgenza pendente ai sensi dell'art.
700 c.p.c., e comporta — secondo il ricorrente — un indebito
controllo dell'azione amministrativa del ministero della sanità
e delle altre autorità sanitarie;
che la Corte costituzionale, nella sentenza n. 185 del 1998,
Foro it., 1998, I, 1713, ha messo in luce l'importanza degli ac
certamenti espletati dagli organi tecnico-scientifici, affermando
un principio che vale per il giudice delle leggi e per qualsiasi altra autorità giurisdizionale, per cui sarebbero inammissibili va
lutazioni giudiziarie sostitutive di quelle assunte dagli organi tecnico-scientifici dell'amministrazione.
Considerato che in sede di controllo sull'ammissibilità del con
flitto di attribuzione fra poteri dello Stato, a norma dell'art.
37, 3° comma, 1. 11 marzo 1953 n. 87, compete a questa corte
un apprezzamento di ordine preliminare, in camera di consiglio e senza contraddittorio, circa l'esistenza di un conflitto la cui
risoluzione rientri nella sua competenza, che non pregiudica la
successiva decisione, anche in punto di ammissibilità; che sussistono i requisiti previsti dall'art. 37 della citata 1.
n. 87 del 1953 affinché possa dirsi ammissibile il conflitto costi
tuzionale di attribuzione; che sotto il profilo soggettivo sia il presidente del consiglio
dei ministri, a nome del governo, sia il Pretore di Lecce, nei
confronti del quale si assume insorto il conflitto, sono abilitati
a esercitare funzioni proprie, che spettano loro a norma della
Costituzione; che sotto il profilo oggettivo si denuncia l'interferenza di prov
vedimenti giurisdizionali nell'azione amministrativa del ministe
ro della sanità e delle autorità sanitarie, con indebita incidenza
nello svolgimento delle attribuzioni conferite al governo;
che, pertanto, il ricorso per conflitto di attribuzione fra pote ri dello Stato deve essere dichiarato ammissibile.
Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara ammissibi
le, a norma dell'art. 37 1. 11 marzo 1953 n. 87, il ricorso per conflitto di attribuzione fra poteri dello Stato proposto dal pre sidente del consiglio dei ministri nei confronti del Pretore di
Lecce, sezione distaccata di Maglie, con riguardo all'ordinanza
28-29 luglio 1998, emessa dallo stesso pretore.
Il Foro Italiano — 1999.
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 27 novembre 1998, n.
383 (Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 2 dicembre 1998,
n. 48); Pres. Granata, Est. Zagrebelsky; Abramo ed altri
(Aw. Luciani, Mauceri, Sorrentino, Marone, Guelfi, Cia
varella); interv. Pres. cons, ministri (Aw. dello Stato Sac
chetto). Ord. Tar Lazio 10 dicembre e 29 ottobre 1997 (tre), Tar Abruzzo 3 dicembre 1997, Tar Liguria 18 dicembre 1997
(tre) e 15 gennaio 1998, e Tar Marche 11 marzo 1998 (due)
(G.U., la s.s., nn. 7, 13, 18, 19, 20, 21, 23 e 24 del 1998).
Istruzione pubblica — Università — Numero chiuso — Intro
duzione con decreto ministeriale — Questione infondata di
costituzionalità nei sensi di cui in motivazione (Cost., art.
3, 33, 34, 97; 1. 19 novembre 1990 n. 341, riforma degli ordi
namenti didattici universitari, art. 9; 1. 15 maggio 1997 n.
127, misure urgenti per lo snellimento dell'attività ammini
strativa e dei procedimenti di decisione e di controllo, art.
17, comma 116).
È infondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di
legittimità costituzionale dell'art. 9, 4° comma, I. 19 novem
bre 1990 n. 341, come modificato dall'art. 17, comma 116,
l. 15 maggio 1997 n. 127, nella parte in cui avrebbe attribuito
alla sostanziale discrezionalità del ministro dell'università e
della ricerca scientifica e tecnologica il potere di determinare
la limitazione degli accessi (c.d. numero chiuso o program
mato) alle scuole di specializzazione ed ai corsi universitari, in riferimento agli art. 3, 33, 34 e 97 Cost, (la corte precisa in motivazione che le direttive comunitarie che concernono
il reciproco riconoscimento dei titoli di studio sulla base di
criteri uniformi di formazione, escludono il carattere arbitra
rio delle scelte del ministro e valgono a far ritenere rispettata la riserva relativa di legge di cui all'art. 33 Cost.). (1)
Diritto. — 1. - I Tar del Lazio, dell'Abruzzo, della Liguria e delle Marche, con undici ordinanze di analogo contenuto, sol
(1) La questione era stata incentrata, da parte dei giudici a quibus, sulla presunta violazione della riserva di legge, stabilita dall'art. 33 Cost., da parte dell'art. 17, comma 116, 1. 127/97 che avrebbe rimesso alla scelta discrezionale del ministro dell'università la determinazione del nu mero chiuso per le scuole di specializzazione e per i corsi universitari.
La risposta della Corte costituzionale si articola principalmente attra verso queste affermazioni: a) l'accesso (e gli eventuali limiti) ai corsi
universitari, e quindi la previsione del numerus clausus, è da ritenersi materia coperta da riserva di legge; b) tale riserva deve qualificarsi, quanto ad intensità, come «relativa», in considerazione, da un lato, del principio di autonomia universitaria e, dall'altro, della potestà nor mativa secondaria del governo; c) un potere ministeriale di introdurre limiti all'accesso ai corsi universitari, svincolato da adeguati criteri di esercizio stabiliti da fonte legislativa, sarebbe palesemente in contrasto con la Costituzione; d) le necessarie determinazioni legislative, limitati ve del potere del ministro, possono essere ricavate anche da norme co
munitarie, nella specie direttive, dalle quali derivino obblighi per lo Sta to incidenti sull'organizzazione degli studi universitari; e) le direttive comunitarie che concernono il reciproco riconoscimento dei titoli di studio sulla base di criteri uniformi di formazione, escludono il carattere arbi trario delle scelte del ministro e valgono a far ritenere rispettata la riser va relativa di legge di cui all'art. 33 Cost.; f) l'intera materia necessita
comunque, ad evitare incertezze per i potenziali iscritti, di un intervento ordinatore da parte del legislatore.
Pare il caso di sottolineare come la decisione della corte — pur attra verso un alquanto discutibile riconoscimento dell'idoneità delle direttive comunitarie ad integrare una riserva, anche se relativa, di legge — con duce ad una notevole riduzione della possibilità di previsione del nume rus clausus per i corsi universitari, limitandola a quelli che riguardano i titoli accademici di medico, medico-veterinario, odontoiatra e architetto.
Sulla legittimità dell'introduzione del numero programmato per l'ac cesso alle scuole di specializzazione ed ai corsi universitari, v. Tar Friuli Venezia Giulia 26 novembre 1996, n. 1193, Foro it., Rep. 1997, voce Istruzione pubblica, n. 567, commentata da Lamarque, in Giust. civ., 1997, I, 2947, secondo cui, nell'ambito della potestà normativa secon daria riconosciuta alle università, le stesse possono dettare prescrizioni inerenti l'organizzazione delle facoltà e dei corsi di laurea, nonché i
requisiti di ammissione ad essi, e quindi possono fissare anche il c.d. numero programmato, non ostando a tale fissazione il 1° e il 3° com ma dell'art. 34 Cost., il quale, nel prevedere che la scuola è aperta a tutti, e che i capaci e meritevoli hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi, non vietano, ma anzi presuppongono, l'introduzio
ne, nell'ordinamento scolastico, di mezzi obiettivi di selezione, atti ad identificare chi sia più capace; Tar Lombardia, sez. Ili, 28 settembre
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
levano questione di legittimità costituzionale dell'art. 9, 4° com
ma, 1. 19 novembre 1990 n. 341 (riforma degli ordinamenti di
dattici universitari), come modificato dall'art. 17, comma 116, 1. 15 maggio 1997 n. 127 (misure urgenti per lo snellimento del
l'attività amministrativa e dei procedimenti di decisione e di con
trollò). La disposizione impugnata, nell'originaria formulazione con
tenuta nell'art. 9, 4° comma, 1. n. 341 del 1990, stabiliva che
«il ministro dell'università e della ricerca scientifica e tecnologi ca definisce, su conforme parere del Cun, i criteri generali per la regolamentazione dell'accesso alle scuole di specializzazione ed ai corsi per i quali sia prevista una limitazione nelle iscrizio
ni». L'art. 17, comma 116, 1. n. 127 del 1997, disponendo sulla
formulazione testuale della disposizione anzidetta, ha stabilito
che «le parole 'per i quali sia prevista' sono sostituite dalle se
guenti: 'universitari, anche a quelli per i quali l'atto emanato
dal ministro preveda'». Pertanto, la disposizione risultante da
tale maniera di legiferare è la seguente: «Il ministro dell'univer
sità e della ricerca scientifica e tecnologica definisce, su confor
me parere del Cun, i criteri generali per la regolamentazione dell'accesso alle scuole di specializzazione ed ai corsi universita
ri, anche a quelli per i quali l'atto emanato dal ministro preve da una limitazione nelle iscrizioni».
Ritenendo che, in questo modo, attraverso la proposizione finale della disposizione, la legge abbia istituito un libero potere del ministro dell'università e della ricerca scientifica e tecnologi
ca, relativamente alla determinazione delle scuole e dei corsi
universitari ad accesso limitato, tutti i giudici rimettenti ne met
tono in dubbio la legittimità costituzionale con riferimento agli art. 33 e 34 — in particolare per quanto riguarda la riserva
di legge che si afferma valere nella materia in esame — e alcuni
anche in riferimento agli art. 3 e 97 Cost.
2. - Poiché le ordinanze di rimessione sollevano una questio ne di legittimità costituzionale concernente la stessa disposizio
1996, n. 1452 (Foro it., 1996, III, 513, con nota di richiami e osserva
zioni di Fracchia, cui adde, Tar Lombardia 5 settembre 1996, n. 1339, id., Rep. 1997, voce cit-, n. 570), il quale — dopo aver ritenuto che rientra nel potere organizzatorio delle università la limitazione delle iscri
zioni ai corsi di laurea o diplomi universitari e che la mancata o ritarda ta definizione dei criteri generali per la regolamentazione dell'accesso alle scuole di specializzazione ed ai corsi da parte del ministero dell'uni versità non può interdire l'esplicazione del potere di adozione del nu mero programmato — ha dichiarato l'illegittimità delle deliberazioni che adottano il numero programmato senza adeguata motivazione sulle
concrete ragioni poste a base della limitazione sugli accessi. In ordine all'accoglimento della domanda di sospensione cautelare
delle deliberazioni degli organi collegiali che fissano il «numero chiu
so», v. Cons. Stato, sez. VI, ord. 29 aprile 1997, n. 853, ibid., n. 564; 28 febbraio 1997, n. 286, Tar Lazio, sez. Ili, ord. 18 dicembre 1996, n. 1533, e Tar Emilia-Romagna, sez. I, ord. 5 dicembre 1996, n. 781,
id., 1997, IH, 193, con nota di richiami e osservazioni di Fracchia.
Da notare come il Consiglio di Stato, allo stesso modo che la corte nella sent. 383/98, già auspicava e riteneva indispensabile un intervento del legislatore che operasse il necessario bilanciamento tra gli interessi che si contrappongono nella materia.
Per l'affermazione secondo cui nessuna norma del diritto comunita rio impone agli Stati membri l'obbligo di limitare il numero degli stu
denti ammessi alle facoltà di medicina mediante l'istituzione del sistema
del numero chiuso, v. Corte giust. 12 giugno 1986, cause riunite 98, 162 e 258/85, id., 1987, IV, 397, con nota di richiami.
Sull'efficacia delle direttive comunitarie nel nostro ordinamento, v.
Cass. 11 novembre 1997, n. 11131, id., 1998, I, 57, con nota di richia
mi, la quale ha negato ai laureati in medicina, non specialisti in odon
toiatria, immatricolati al corso di laurea negli anni accademici tra il
1980-1981 e il 1984-1985, il diritto all'iscrizione nell'albo degli odon
toiatri, poiché la norma nazionale che lo consente confligge con le pre scrizioni delle direttive comunitarie emanate in materia di esercizio del
la professione di dentista; Cons. Stato, sez. IV, 28 agosto 1997, n. 927,
id., 1997, III, 569, con nota di richiami, secondo cui deve essere disap
plicato il d.leg. 8 agosto 1991 n. 257, contenente norme di recepimento delle direttive comunitarie in tema di formazione dei medici specialisti, nella parte in cui ha previsto un limite (l'applicazione della nuova disci
plina ai soli corsi iniziati nell'anno accademico 1991-1992) in contrasto
con la normativa comunitaria, la quale non lascia per questo aspetto
margini di discrezionalità.
La sentenza in epigrafe è commentata da Mezzacapo, Sui «filtri»
all'ingresso delle facoltà, resta ancora l'incognita dei Tar, in Guida al
diritto, 1998, fase. 48, 85. [R. Romboli]
Il Foro Italiano — 1999.
ne legislativa e per motivi in larga parte coincidenti, se ne può
disporre la riunione per la decisione con unica sentenza.
3. - Preliminarmente, deve essere esaminata l'eccezione di
inammissibilità, proposta in riferimento alla questione di costi
tuzionalità sollevata con una delle due ordinanze dell'I 1 marzo
1998 dal Tar delle Marche (r.o. n. 390 del 1998). Si sostiene dalla difesa della parte ricorrente che il giudizio
innanzi al tribunale — vertendo sulla legittimità di un provvedi mento di esclusione dal corso di laurea in odontoiatria preso in un procedimento amministrativo iniziato con una delibera
del senato accademico dell'università degli studi di Ancona, suc
cessivo all'entrata in vigore della disposizione attributiva al mi
nistro del potere di prevedere limitazioni alle iscrizioni, ma an
teriore all'esercizio di tale potere e quindi indipendente dalla
nuova disciplina legislativa — debba essere definito sulla base
della normativa anteriore all'entrata in vigore della norma im
pugnata. L'iniziativa del giudice rimettente sarebbe pertanto inammissibile per irrilevanza della questione proposta o, quan tomeno, si imporrebbe la restituzione degli atti al fine di una
nuova valutazione della questione alla stregua dello ius super veniens.
Senonché, l'ordinanza che solleva la questione di costituzio
nalità, avendo dato atto del rapporto temporale intercorrente
tra gli atti compiuti dagli organi dell'università, da un lato, e
la nuova disciplina legislativa e gli atti ministeriali conseguenti,
dall'altro, afferma che l'iniziale deliberazione del senato acca
demico «è stata superata» da tali atti, in quanto il contestato
limite di accesso al corso di laurea in questione non sarebbe
più riferibile all'autonoma decisione delle autorità accademiche
ma alle determinazioni del ministro dell'università e della ricer
ca scientifica e tecnologica, i cui provvedimenti limitativi trova
no fondamento nella norma di legge sottoposta al vaglio di co
stituzionalità.
Così argomentando, il giudice rimettente mostra dunque di
considerare applicabile nel suo giudizio la norma denunciata.
E, poiché le valutazioni relative alla disciplina che deve trovare
applicazione per la definizione del giudizio spettano al giudice che solleva la questione di costituzionalità, essendo dato a que sta corte un mero riscontro circa l'avvenuta effettuazione di
tali valutazioni e circa il loro carattere non manifestamente ar
bitrario o pretestuoso e poiché, nella specie, nulla di ciò è dato
verificare, la riferita eccezione di inammissibilità deve essere re
spinta. 4. - Nel merito, la questione non è fondata, la disposizione
in esame dovendosi intendere secondo le considerazioni che
seguono. 4.1. - L'accesso ai corsi universitari è materia di legge. 4.1.1. - Gli art. 33 e 34 Cost, pongono i principi fondamenta
li relativi all'istruzione con riferimento, il primo, all'organizza zione scolastica (della quale le università, per quanto attiene
all'attività di insegnamento, sono parte: sentenza n. 195 del 1972, Foro it., 1973, I, 6); con riferimento, il secondo, ai diritti di
accedervi e di usufruire delle prestazioni che essa è chiamata
a fornire. Organizzazione e diritti sono aspetti speculari della
stessa materia, l'una e gli altri implicandosi e condizionandosi
reciprocamente. Non c'è organizzazione che, direttamente o al
meno indirettamente, non sia finalizzata a diritti, così come non
c'è diritto a prestazione che non condizioni l'organizzazione.
Questa connessione richiede un'interpretazione complessiva dei
due articoli della Costituzione.
L'art. 33, dopo aver stabilito, al 1° comma, che «l'arte e
la scienza sono libere e libero ne è l'insegnamento» e, al 2°
comma, che «la repubblica detta le norme generali sull'istruzio
ne ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi», preve de per le istituzioni di alta cultura e, tra esse, per le università
«il diritto di darsi ordinamenti autonomi nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato» (art. 33, 6° comma). Secondo la Costituzio
ne, l'ordinamento della pubblica istruzione è dunque unitario
ma l'unità è assicurata, per il sistema scolastico in genere, da
«norme generali» dettate dalla repubblica; in specie, per il siste
ma universitario, in quanto costituito da «ordinamenti autono
mi», da «limiti stabiliti dalle leggi dello Stato». Gli «ordinamenti autonomi» delle università, cui la legge, se
condo l'art. 33 Cost., deve fare da cornice, non possono consi
derarsi soltanto sotto l'aspetto organizzativo interno, manife
stantesi in amministrazione e in normazione statutaria e regola mentare. Per l'anzidetto rapporto di necessaria reciproca im
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PARTE PRIMA
plicazione, l'organizzazione deve considerarsi anche sul suo lato
funzionale esterno, coinvolgente i diritti e incidente su di essi.
La necessità di leggi dello Stato, quali limiti dell'autonomia or
dinamentale universitaria, vale pertanto sia per l'aspetto orga
nizzativo, sia, a maggior ragione, per l'aspetto funzionale che
coinvolge i diritti di accesso alle prestazioni. In questo modo, all'ultimo comma dell'art. 33 viene a confe
rirsi una funzione, per così dire, di cerniera, attribuendosi alla
responsabilità del legislatore statale la predisposizione di limiti
legislativi all'autonomia universitaria relativi tanto all'organiz zazione in senso stretto, quanto al diritto di accedere all'istru
zione universitaria, nell'ambito del principio secondo il quale «la scuola è aperta a tutti» (art. 34, 1 ° comma) e per la garan zia del diritto riconosciuto ai «capaci e meritevoli, anche se pri vi di mezzi» «di raggiungere i gradi più alti degli studi» (art. 34, 3° comma).
La conclusione cui così si perviene attraverso la specifica in
terpretazione degli art. 33 e 34 Cost, è, del resto, confermata
e avvalorata dai «principi generali informatori dell'ordinamen
to democratico, secondo i quali ogni specie di limite imposto ai diritti dei cittadini abbisogna del consenso dell'organo che
trae da costoro la propria diretta investitura» e dall'esigenza che «la valutazione relativa alla convenienza dell'imposizione di uno o di altro limite sia effettuata avendo presente il quadro
complessivo degli interventi statali nell'economia inserendolo ar
monicamente in esso, e pertanto debba competere al parlamen
to, quale organo da cui emana l'indirizzo politico generale dello
Stato».
Queste proposizioni, enunciate con riguardo a diritti di ini
ziativa economica e contenute in una decisione di questa corte
(sentenza n. 4 del 1962, id., 1962, I, 408) risalente nel tempo ma la cui validità nel vigente assetto costituzionale non può non essere confermata, valgono ugualmente e, per certi aspetti, a maggior ragione nel caso ora in discussione, nel quale l'orga nizzazione dell'università, come servizio pubblico, da una par
te, coinvolge diritti costituzionali della persona umana come il
diritto alla propria formazione culturale (art. 2 Cost.) e quello alle proprie scelte professionali (art. 4 Cost.), a sua volta mezzo
essenziale di sviluppo della personalità (sentenza n. 61 del 1965,
id., 1965, I, 1325) e, dall'altra parte, implica decisioni pubbli che d'insieme, inerenti alla determinazione delle risorse necessa
rie per il funzionamento delle istituzioni scolastiche in genere e universitarie in specie, che influisce sulle prestazioni da esse
erogabili. La conclusione che ne deriva è che i criteri di accesso all'uni
versità, e dunque anche la previsione del numerus clausus, non
possono legittimamente risalire ad altre fonti, diverse da quella
legislativa. 4.1.2. - Ai fini della risoluzione della presente questione di
costituzionalità, non è sufficiente il riferimento a una «riserva»
di normazione primaria in materia di accesso all'istruzione uni versitaria. Occorre infatti precisarne la portata, prendendo in
considerazione la possibilità di una normazione non legislativa ulteriore, quale svolgimento e completamento di quella riserva ta al legislatore.
La «riserva di legge» assicura il monopolio del legislatore nella
determinazione delle scelte qualificanti nelle materie indicate dalla
Costituzione, sia escludendo la concorrenza di autorità norma tive «secondarie», sia imponendo all'autorità normativa «pri maria» di non sottrarsi al compito che solo a essa è affidato.
Tale valenza è generale e comune a tutte le «riserve». Dipen de invece dalle specifiche norme costituzionali che le prevedo no, secondo la loro interpretazione testuale, sistematica e stori
ca, il carattere di ciascuna riserva, carattere chiuso o aperto alla possibilità che la legge stessa demandi ad atti subordinati le valutazioni necessarie per la messa in atto concreta delle scel
te qualificanti la materia ch'essa stessa ha operato. Nella specie, la riserva di legge in tema di accesso ai corsi
universitari, come prevista dalla Costituzione, non è tale da esi
gere che l'intera disciplina della materia sia contenuta in legge. Viene in considerazione, innanzitutto, il rapporto tra la legge e l'autonomia universitaria prevista dall'ultimo comma dell'art. 33 Cost., rapporto nel quale le previsioni legislative valgono come «limiti», che non sarebbero più tali ove le disposizioni di legge fossero circostanziate al punto da ridurre le università, che la Costituzione vuole dotate di ordinamenti autonomi, al ruolo di meri ricettori passivi di decisioni assunte al centro.
Il Foro Italiano — 1999.
Inoltre, sotto l'aspetto dei rapporti tra potestà legislativa e
potestà normativa del governo, nulla nella Costituzione esclude
l'eventualità che un'attività normativa secondaria possa legitti mamente essere chiamata dalla legge stessa a integrarne e svol
gerne in concreto i contenuti sostanziali, quando — come nella
specie — si versi in aspetti della materia che richiedono deter
minazioni bensì unitarie, e quindi non rientranti nelle autonome
responsabilità dei singoli atenei, ma anche tali da dover essere
conformate a circostanze e possibilità materiali varie e variabili,
e quindi non facilmente regolabili in concreto secondo generali e stabili previsioni legislative.
In sintesi, la riserva di legge in questione è tale da comporta
re, da un lato, la necessità di non comprimere l'autonomia delle
università, per quanto riguarda gli aspetti della disciplina che
ineriscono a tale autonomia; dall'altro, la possibilità che la leg
ge, ove non disponga essa stessa direttamente ed esaustivamen
te, preveda l'intervento normativo dell'esecutivo, per la specifi cazione concreta della disciplina legislativa, quando la sua at
tuazione, richiedendo valutazioni d'insieme, non è attribuibile
all'autonomia delle università.
Rispetto alle linee costituzionali di questo quadro composito, le possibilità che si aprono alle scelte legislative di ordinamento, anche con riferimento all'accesso all'istruzione universitaria, sono
evidentemente molto ampie e diversificate, in relazione ai nu
merosi aspetti della disciplina, i quali possono comportare le
più varie soluzioni circa l'allocazione e la combinazione proce durale delle competenze decisionali, nei rapporti tra l'autono
mia delle università e la normazione nazionale, nonché tra le
determinazioni legislative e quelle ch'esse possono demandare
all'esecutivo, a loro volta influenzate dall'assetto che sia stato
dato dalla legge ai rapporti tra autorità universitarie nazionali
e autonomia degli atenei.
Se tali sono le esigenze di composizione del quadro ordina
mentale anzidetto — esigenze cui, con riferimento alla materia
in esame, non si può dire che, finora, il legislatore abbia orga nicamente prestato la sua opera — nel presente giudizio di co
stituzionalità, secondo la prospettazione della questione da par te dei giudici rimettenti, viene in considerazione direttamente
solo il problema dei rapporti tra le determinazioni del legislato re e quelle dell'amministrazione, sotto il profilo della riserva
di legge, relativamente all'individuazione dei corsi universitari
ad accesso limitato.
4.2. - La disposizione di legge sottoposta al controllo di costi
tuzionalità attribuisce al ministro dell'università e della ricerca
scientifica e tecnologica il potere di disciplinare con proprio at
to l'accesso alle scuole di specializzazione e ai corsi universitari, «anche a quelli per i quali l'atto stesso preveda una limitazione
nelle iscrizioni». Una formula, questa, che, certamente, vale ad
affermare l'esistenza di un potere ministeriale in materia, là do
ve la formula originaria del censurato art. 9, 4° comma (il qua le trattava di criteri generali, definiti dal ministro, «per la rego lamentazione dell'accesso alle scuole di specializzazione ed ai
corsi per i quali sia prevista una limitazione») aveva indotto,
per lo più, a ritenerlo escluso. Ma tale affermazione, nel nuovo art. 9, 4° comma, è fatta più sotto forma di riconoscimento della sua esistenza che non attraverso la sua previsione ex novo
per mezzo di una compiuta disciplina. Se il caso fosse questo secondo, se cioè dalla disposizione censurata dovesse necessa
riamente trarsi — come sarebbe se si dovesse seguire l'interpre tazione prospettata dai giudici rimettenti — la volontà del legi slatore di istituire un potere ministeriale, svincolato da adeguati criteri di esercizio, di determinare le scuole e i corsi universitari
a iscrizioni limitate, la violazione della riserva di legge prevista dalla Costituzione risulterebbe palese.
Poiché però non è così, è possibile dare alla disposizione cen
surata un'interpretazione adeguata alle esigenze della riserva di
legge esistente in materia: interpretazione secondo la quale il
potere che la legge riconosce al ministro può essere esercitato
solo se e nei limiti in cui da altre disposizioni legislative risulti no predeterminati criteri per l'individuazione in concreto delle scuole e dei corsi universitari rispetto ai quali valgono esigenze particolari di contenimento del sovraffollamento e si giustifichi
quindi la previsione — con l'atto ministeriale cui l'impugnato art. 9, 4° comma, si riferisce — delle limitazioni nelle iscrizioni.
In breve, la disposizione censurata riconosce un potere senza
precisarne le condizioni di esercizio. Perché essa possa ritenersi non incompatibile con la Costituzione sotto l'aspetto della ri
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
serva di legge, occorre interpretarla nel senso che il potere ch'essa
afferma essere conferito all'amministrazione non sia libero e,
perché esso non sia libero, occorre che la disposizione che lo
riconosce sia integrata da altre determinazioni che lo circoscri
vano. Tali determinazioni, infine, possono essere ricavate, e co
sì le esigenze della riserva di legge possono essere soddisfatte,
con riferimento all'ordinamento nel suo insieme e non devono
necessariamente essere contenute nella disposizione specifica isti
tutiva del potere dell'amministrazione ch'esse valgono a limita
re (così, ad esempio, sentenza n. 34 del 1986, id., 1986, I, 608). 4.3. - Affinché dunque il principio di riserva di legge nella
materia in esame possa dirsi rispettato, occorre che il denuncia
to art. 9, 4° comma, 1. n. 341 del 1990 sia inserito in un conte
sto di scelte normative sostanziali predeterminate, tali che il po tere dell'amministrazione sia circoscritto secondo limiti e indi
rizzi ascrivibili al legislatore.
Analoga funzione nella composizione di tale contesto, e quin
di di delimitazione della discrezionalità dell'amministrazione, deve
essere riconosciuta alle norme comunitarie dalle quali derivino
obblighi per lo Stato incidenti sull'organizzazione degli studi
universitari.
Ed è, principalmente e particolarmente, a queste norme che,
nella specie, in carenza di un quadro organicamente predisposto
dal legislatore nazionale per la disciplina del numero delle iscri
zioni ai corsi universitari, deve farsi riferimento.
Vengono in considerazione, a questo proposito, e hanno va
lore decisivo varie direttive (78/686/Cee del consiglio del 25 lu
glio 1978; 78/687/Cee del consiglio di pari data; 78/1026/Cee
del consiglio del 18 dicembre 1978; 78/1027/Cee del consiglio
di pari data; 85/384/Cee del consiglio del 10 giugno 1985;
89/594/Cee del consiglio del 30 ottobre 1989 e 93/16/Cee del
consiglio del 5 aprile 1993). Esse concernono il reciproco rico
noscimento, negli Stati membri, dei titoli di studio universitari
sulla base di criteri uniformi di formazione, l'esercizio del dirit
to di stabilimento dei professionisti negli Stati dell'Unione non
ché la libera prestazione dei servizi e riguardano, al momento,
i titoli accademici di medico, medico-veterinario, odontoiatra
e architetto.
Le ricordate direttive prescrivono, in vista dell'analogia dei
titoli universitari rilasciati nei diversi paesi e del loro reciproco
riconoscimento, standards di formazione minimi a garanzia che
i titoli medesimi attestino il possesso effettivo delle conoscenze
necessarie all'esercizio delle attività professionali corrisponden
ti. In tutti i casi cui le direttive si riferiscono, si prescrive che
gli studi teorici si accompagnino necessariamente a esperienze
pratiche, acquisite attraverso attività cliniche o, in genere, ope
rative svolte nel corso di periodi di formazione e di tirocinio
aventi luogo in strutture idonee e dotate delle strumentazioni
necessarie, sotto gli opportuni controlli. E ciò implica e presup
pone che tra la disponibilità di strutture e il numero di studenti
vi sia un rapporto di congruità, in relazione alle specifiche mo
dalità dell'apprendimento. Alla stregua dell'art. 189 del trattato Cee, le direttive vincola
no gli Stati membri cui sono rivolte per quanto riguarda il risul
tato da raggiungere, salva restando la competenza degli organi
nazionali in merito alla forma e ai mezzi. Esse richiedono dun
que attuazione, da parte del legislatore e dell'amministrazione,
secondo le regole costituzionali che ne configurano i poteri e
ne disciplinano i rapporti. Le direttive sopra menzionate hanno trovato attuazione nei
d.leg. 27 gennaio 1992 n. 129 e 2 maggio 1994 n. 353. Essi
dettano analitiche discipline relativamente al riconoscimento dei
titoli rilasciati dalle università e al diritto di stabilimento dei
professionisti e, quanto alla garanzia degli standards di forma
zione universitaria che condizionano il reciproco riconoscimen
to dei titoli accademici, richiamano gli obiettivi delle direttive,
cioè «la formazione prevista dalla normativa comunitaria» e «l'in
sieme delle esigenze minime di formazione» richieste dalla stes
sa normativa. Tali obiettivi, obbligatori per lo Stato in forza
dell'art. 189 del trattato Cee, valgono per dettato legislativo — indipendentemente dalla loro forza cogente diretta — nei
confronti dell'amministrazione, comportando che i poteri di cui
essa sia dotata, nella materia oggetto di direttive, sono da eser
citare secondo gli obblighi di risultato che la normativa comu
nitaria impone, non rilevando poi la circostanza che tali poteri
Il Foro Italiano — 1999.
siano definiti in occasione dell'attuazione delle direttive medesi
me o siano legislativamente previsti — come è nella specie —
altrimenti.
Quanto ai compiti del legislatore nelle riserve di legge che, come nel caso in esame, la Costituzione configura «aperte» a
svolgimenti da parte dell'amministrazione, l'esistenza di diretti
ve comunitarie esecutive comporta che l'obbligo di predisposi zione diretta della normativa sostanziale entro la quale deve ri
dursi la discrezionalità dell'amministrazione viene alleggerendo
si, per così dire, in conseguenza e proporzione alla consistenza
delle direttive medesime (salva sempre, ovviamente, la possibili tà per il legislatore di andare oltre, ma non contro, la normati
va comunitaria). 5. - Tanto premesso, una volta che l'impugnato art. 9, 4°
comma, 1. n. 341 del 1990 sia interpretato nel senso che esso
non conferisce all'amministrazione un potere svincolato dai li
miti sostanziali derivanti dall'ordinamento, risultano, negli stes
si limiti, destituiti di fondamento i dubbi di costituzionalità su di esso sollevati, sotto il profilo della violazione del principio di riserva di legge ricavabile dagli art. 33 e 34 Cost.
Infatti, nelle sopra citate direttive comunitarie si rinviene un
preciso obbligo di risultato, che gli Stati membri sono chiamati
ad adempiere predisponendo, per alcuni corsi universitari aven
ti particolari caratteristiche — tra cui quelli cui si riferiscono
i ricorsi presentati davanti ai giudici rimettenti — misure ade
guate a garantire le previste qualità, teoriche e pratiche, dell'ap
prendimento. In tali direttive, invero, non si tratta degli strumenti. Questi
sono infatti rimessi alle determinazioni nazionali e il legislatore
italiano, come per lo più i suoi omologhi degli altri paesi del
l'Unione, ha per l'appunto previsto la possibilità di introdurre
il numerus clausus per tali corsi. Ma una volta attribuito il giu sto rilievo ai doveri che sul nostro paese incombono per la par
tecipazione all'Unione europea, e una volta considerato come
essi incidano nel rapporto tra legislazione e amministrazione,
in tale possibilità non è più dato scorgere quel carattere arbitra
rio in base al quale i giudici rimettenti si sono indotti a solleva
re la presente questione di costituzionalità.
Parallelamente cadono i dubbi prospettati in relazione agli
art. 3 e 97 Cost., la cui pretesa violazione è motivata sulla pre
messa, dimostratasi inesatta, che il potere ministeriale sia eser
citabile, alla stregua della norma impugnata, con piena discre
zionalità.
6. - Sebbene possa dunque essere superato, in considerazione
degli obblighi comunitari e nei limiti in cui essi sussistono, lo
specifico dubbio di costituzionalità sollevato dai giudici rimet
tenti circa la legittimità costituzionale della previsione del pote
re ministeriale di limitare gli accessi universitari, occorre ag
giungere che l'intera materia necessita di un'organica sistema
zione legislativa, finora sempre mancata: una sistemazione chiara
che, da un lato, prevenga l'incertezza presso i potenziali iscritti
interessati e il contenzioso che ne può derivare e nella quale,
dall'altro, trovino posto tutti gli elementi che, secondo la Costi
tuzione, devono concorrere a formare l'ordinamento univer
sitario.
Per questi motivi, la Corte costituzionale, riuniti i giudizi,
dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la que
stione di legittimità costituzionale dell'art. 9, 4° comma, 1. 19
novembre 1990 n. 341 (riforma degli ordinamenti didattici uni
versitari), come modificato dall'art. 17, comma 116, 1. 15 mag
gio 1997 n. 127 (misure urgenti per lo snellimento dell'attività
amministrativa e dei procedimenti di decisione e di controllo),
sollevata, in riferimento agli art. 3, 33, 34 e 97 Cost., dai Tar
del Lazio, dell'Abruzzo, delle Marche e della Liguria, con le
ordinanze indicate in epigrafe.
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