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Sentenza 28 aprile 1961; Pres. Viviani P., Est. Lagrotta; Gatti Giudice (Avv. Candian, Perini,...

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Sentenza 28 aprile 1961; Pres. Viviani P., Est. Lagrotta; Gatti Giudice (Avv. Candian, Perini, Cattaneo) c. Vallardi Gianfranco e Chiara (Avv. Rotondi, Tronca), Vallardi Clementina e Rosanna (Avv. Allorio, Cordero), Opera pia Vallardi (Avv. Pesce) Source: Il Foro Italiano, Vol. 84, No. 9 (1961), pp. 1543/1544-1549/1550 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23175013 . Accessed: 28/06/2014 10:13 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 46.243.173.176 on Sat, 28 Jun 2014 10:13:43 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Sentenza 28 aprile 1961; Pres. Viviani P., Est. Lagrotta; Gatti Giudice (Avv. Candian, Perini,Cattaneo) c. Vallardi Gianfranco e Chiara (Avv. Rotondi, Tronca), Vallardi Clementina eRosanna (Avv. Allorio, Cordero), Opera pia Vallardi (Avv. Pesce)Source: Il Foro Italiano, Vol. 84, No. 9 (1961), pp. 1543/1544-1549/1550Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23175013 .

Accessed: 28/06/2014 10:13

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1543 PARTE PRIMA 1544

amministrativi e privati, che non siano stati espressamente

delegati dall'imprenditore interessato a limitare o a disci

plinare la sua libertà di organizzazione e gestione impren ditrice.

Per questi motivi, ecc.

CORTE D'APPELLO DI MILANO.

Sentenza 28 aprile 1961 ; Pres. Viviani P., Est. Lagrotta ;

Gatti Giudice (Avv. Candian, Perini, Cattaneo) c.

Vallardi Gianfranco e Chiara (Avv. Rotondi, Tronca), Yallardi Clementina e Rosanna (Avv. Allorio, Cor

derò), Opera pia Yallardi (Avv. Pesce).

Azione popolare — Opera pia Poteri dell'attore

popolale — Condotta processuale dei rappresen tanti dell'ente — Irrilevanza (L. 17 luglio 1890 n.

6972, sulle istituzioni pubbliche di assistenza e benefi

cenza, art. 82). Successione — Azione tendente all'acquisto della

qualità di erede mediante pronunzia di decadenza

del convenuto dall'eredità — Prescrizione decen

nale (Cod. civ., art. 533, 648). Donazione — Intento di rispettare l'effettiva volontà

del testatore — Attribuzione gratuita senza reci

proche concessioni dei beneficiari — Donazione e

non transazione — Fattispecie (Cod. civ., art. 769,

1965). Istituzione pubblica di assistenza e beneficenza —

Opera pia — Attribuzione ad un consigliere di

amministrazione dell'uso a vita di un immobile — Nullità (L. 17 luglio 1890 n. 6972, art. 15 ; cod.

civ., art. 1471). Testamento — Disposizioni nulle — Sanatoria per

conferma od esecuzione volontaria Limite (Cod.

civ., art. 590). Sostituzione e fedeeommesso — Limitazione dell'usu

frutto successivo al primo chiamato Norma

applicabile anche all'uso e all'abitazione (Cod. civ., art. 698).

Usufrutto, uso e abitazione — Diritto di abitazione

costituito con riguardo alle necessità della fami

glia del beneficiario — Morte di costui — Estin

zione (Cod. civ., art. 979, 1026).

L'attore popolare, autorizzato dall'art. 82 legge 17 luglio 1890 n. 6972, a far valere, insieme con i rappresentanti

dell'opera pia o in luogo di essi, i diritti dell'ente, ha veste

di sostituto processuale, e come tale può proporre domande

e prendere conclusioni anche diverse da quelle dei rap

presentanti medesimi, intervenuti in giudizio. (1) Non costituisce petitio hereditatis, ed è pertanto soggetta all'or

ai) App. Torino 3 luglio 1952, Foro it., Rep. 1053, voce Istituzione pubblica di assistenza e beneficenza, n. 5, concorda sulla qualifica di sostituto processuale, deducendone la legitti mazione dell'attore popolare a proporre opposizione di terzo. In senso contrario, per l'attore popolare che supplisce all'inerzia dell'amministrazione comunale, Cass. 8 marzo 1958, n. 794, id., Rep. 1958, voce Azione popolare, nn. 1, 2, dove è anche detto esplicitamente che, se il comune, dopo proposta l'azione, interviene volontariamente ed assume una condotta attiva, formulando domande e deducendo mezzi istruttori, l'attore

popolare riveste in giudizio posizione analoga a quella dell'in terventore adesivo dipendente ; mentre, nello stesso caso, sostanzialmente conforme alla sentenza in epigrafe è App. Potenza 14 agosto 1947, id., 1948, X, 661, con nota di Fra gola, dove il problema dei rapporti fra la condotta processuale degli organi dell'ente sostituito e i poteri dell'attore popolare è trattato con ampi richiami. In argomento cfr. pure App. Lecce 7 aprile 1951, id., 1952, I, 1432, con osserv. di Mazza, ove altri richiami.

Ili dottrina, v., sulle facoltà processuali dell'attore popo lare, Lugo, Azione popolare (in generale), n. 7, voce dell'TJnci

clo-pedia del diritto, IV, 868,

dinario termine decennale di prescrizione, l'azione pro

posta non per ottenere il riconoscimento della propria pre esistente qualità di erede, ma per acquistare tale qualità, attraverso una sentenza costitutiva, che pronunci la deca

denza del convenuto dall'eredità. (2) È caratterizzato da una causa liberale, non già transattiva,

il contratto col quale un'opera pia, costituita per testamento,

attribuisca ai discendenti del fondatore, nell'intento di

rispettare l'effettiva volontà di costui, non adeguatamente

espressa, e senza alcuna concessione da parte dei benefi

ciari, l'uso di immobili appartenenti in vita al fonda tore. (3)

È nullo il contratto col quale un'opera pia attribuisce ad un

proprio consigliere di amministrazione l'uso a vita di un

immobile. (4) La conferma o l'esecuzione volontaria delle disposizioni testa

mentarie nulle, ammessa dall'art. 590 cod. civ., non è

operante quando con essa si raggiungerebbe un risultato

vietato dalla legge al testatore (nella specie : costituzione

di usufrutto successivo). (5) La norma che vieta la costituzione testamentaria di usufrutto

successivo, limitando il beneficio al primo chiamato, è

applicabile anche all'uso e all'abitazione. (6) Il diritto di abitazione, anche se costituito con espresso riguardo

alle necessità della famiglia del titolare, si estingue con

la morte di questi. (7)

La Corte, ecc. — (Omissis). Osserva la Corte che pre

(2) Più propriamente, era stata domandata la risoluzione

della disposizione testamentaria istitutiva di erede per inadem

pimento dell'onere ad essa apposto (art. 648). Sostanzialmente

nello stesso senso, per l'ipotesi affine della domanda di annul

lamento, all'accoglimento della quale conseguirebbe l'acquisto della qualità di erede, Cass. 5 marzo 1941, n. 626, Foro it., 1941,

I, 1218, con nota di Barbero (dove si critica il presupposto della decisione, perchè nella specie il testamento era affetto da

radicale nullità, non da semplice annullabilità, e l'azione ten

dente a far dichiarare la nullità è imprescrittibile) ; cfr. App. Milano 19 luglio 1939, id., Rep. 1939, voce Successione, n. 178.

Nel senso che non può proporsi azione di petizione di

eredità quando vi sono « eredi poziori », App. Bologna 30 gennaio 1941, id., Rep. 1941, voce cit., n. 183 ; Trib. Trani 17 febbraio

1934, id., Rep. 1934, voce cit., n. 264.

(3) Non risultano precedenti specifici. Per un caso sotto

alcuni aspetti analogo, cfr. Cass. 10 luglio 1957, n. 2743, Foro

it., 1958, I, 62, con nota di Jemolo, dove si adombra la figura di un negozio di accertamento (Interpretazione da parte degli eredi della volontà testamentaria). Tale sentenza è richiamata, ad altro proposito, nella motivazione della presente.

(4) Non risultano precedenti. (5) Conf., nella motivazione e nella massima ufficiale

(riprodotta in Foro it., Rep. 1957, voce Sostituzione e fedecom messo, n. 22), la già citata Cass. 10 luglio 1957, n. 2743 (l'art. 590 — si legge — « è operante in quelle ipotesi in cui con un suo atto di ultima volontà il testatore potrebbe realizzare quel risultato pratico che intende raggiungere, e non anche quando il fine da lui perseguito non potrebbe direttamente essere

raggiunto, perchè vietato dalla legge come illecito »). Diversa mente Cass. 6 ottobre 1955, n. 2870 (id., Rep. 1955, voce Succes

sione, n. 8), che distingue fra nullità per contrarietà all'ordine

pubblico o al buon costume, non sanabile, e nullità per contra rietà a « norme imperative proibitive », sanabile ; ed ammette, di

conseguenza, la sanatoria in un caso in cui l'intento perseguito dal testatore non avrebbe potuto essere da lui direttamente

raggiunto (testamento nullo « perchè determinato da motivo

illecito, in quanto pedissequa esecuzione di fatto successorio vietato »). Cfr. Jemolo, nota cit., col. 66 e seguenti.

Ammette la convalida della disposizione testamentaria costituente un usufrutto successivo Cass. 19 ottobre 1957, n. 3985, id., Rep. 1957, voce Sostituzione e fedecommesso, nn. 18 20. Quanto alla disposizione contenente una sostituzione vietata, in senso opposto tra loro, Trib. Bari 7 gennaio 1957, id., 1957, I, 483 ; App. Trento 1 dicembre 1956, ibid., 864.

(6) Conf. App. Bari 3 aprile 1936, Foro it., Rep. 1936, voce

Successione, n. 154 ; App. Bologna 13 gennaio 1933, id., Rep. 1933, voce cit., n. 130 ; Cass. Torino 4 marzo 1904, id., 1904, I, 686.

(7) Cfr. Cass. 18 agosto 1953, n. 2769, Foro it., Rep. 1953, voce Usufrutto, n. 8 ; App. Bologna 28 giugno 1937, id., Rep. 1937, voce Abitazione, nn. 1-3.

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

giudiziale ad ogni altra è la questione concernente la natura

ed i limiti dell'azione popolare, cui è connessa l'eccezione, sollevata dagli eredi Vallardi, di irritualità del mutamento

delle conclusioni formulate dall'Opera pia e dal Prefetto.

Al riguardo è inconferente il rilievo che la presente

azione, in quanto promossa contro terzi in luogo dei rap

presentanti dell'istituzione, rientra nella previsione della

lett. a dell'art. 82 della legge 17 luglio 1890 n. 6972, non

della successiva lett, b, che prevede, limitandola a taluni

particolari oggetti, l'azione cosiddetta correttiva contro gli stessi rappresentanti. Da ciò non deriva affatto che nella

prima ipotesi l'intervento in giudizio di questi importi limitazione dei poteri dell'attore popolare, precludendogli di proporre domande da essi non fatte proprie. L'attore

popolare, autorizzato dalla citata disposizione a far valere,

insieme con i rappresentanti dell'istituzione o in loro luogo e vece, diritti di questa, ha la veste di sostituto processuale :

come tale, secondo l'espressione dell'art. 81 cod. proc. civ.,

agisce nel processo per far valere diritti altrui in nome pro

prio. I suoi poteri sono perciò del tutto autonomi e le sue

determinazioni non sono vincolate al comportamento proces suale dei legali rappresentanti dell'ente. D'altra parte, se

si considera da un lato che il giudizio deve svolgersi neces

sariamente, a norma dell'art. 83 della legge speciale, in

contraddittorio di questi, dall'altro che nel nostro ordina

mento processuale domina il principio dispositivo, l'azione

rimarrebbe svuotata di ogni pratico contenuto se il potere dell'attore popolare si esaurisse nella semplice facoltà di

instaurare il giudizio. Anche in questo può perdurare, come

in parte è avvenuto nel presente processo, l'inerzia del

rappresentante, nonostante il suo intervento, onde l'inten

dimento del legislatore, che ha rappresentato il mezzo

appunto per scongiurare le conseguenze dannose della

inerzia, sarebbe frustrato se per conseguire il suo risultato

l'azione popolare avesse bisogno del concorso di coloro, la

cui inattività ne costituisce il presupposto. La questione comunque non sorge per quanto concerne

l'uso degli immobili in disputa, giacché alle relative domande

dell'attore popolare si è associata l'Opera pia. È vero che

essa vi ha specificamente aderito soltanto in sede di preci

sazione delle conclusioni, ma nella comparsa di risposta alla seconda citazione, pur omettendo di assumere una

precisa posizione, si è rimessa alla giustizia del Tribunale,

onde nell'adesione successiva è da ravvisarsi non un muta

mento, ma una precisazione delle sue deduzioni, le quali

comunque, in quanto già formulate dall'attore popolare, avevano formato oggetto di dibattito tra le parti. È perciò in ogni caso da escludere l'asserita violazione dell'art. 184

cod. proc. civ., che, nel vietare il mutamento delle domande

nel corso del processo, si propone unicamente lo scopo di

assicurare il regolare svolgimento del contraddittorio.

La domanda principale, di devoluzione alla Casa di

riposo dell'eredità di Cecilio Vallardi, non è, per le ragioni

esposte, preclusa da motivi di ordine processuale. È peraltro fondata l'eccezione preliminare di prescri

zione sollevata dagli eredi Vallardi. Oppone in contrario

l'appellante in primo luogo l'imprescrittibilità dell'azione,

che definisce di petizione di eredità, in secondo luogo la

sospensione del termine di prescrizione, a norma del decreto

legisl. 3 gennaio 1944 e dei decreti successivi per il periodo dal 1° gennaio 1944 al 15 ottobre 1946, a norma dell'art.

2941, n. 7, cod. civ. per il periodo dal 1949 al 1955, durante

il quale nel Consiglio di amministrazione dell'Opera pia,

vi sarebbe stata prevalenza numerica di esponenti della

famiglia Vallardi e quindi conflitto di interessi.

Ma le obiezioni sono, a parere della Corte, prive di

fondamento. Poiché la petizione di eredità presuppone in

chi la esercita la qualità di erede, non può essere configu

rata come tale l'azione promossa, la quale, mirando a far

dichiarare la decadenza dei convenuti dall'eredità, è di

retta non all'accertamento della veste di erede dell'Opera

pia, ma ad una pronuncia, costitutiva, che gliene attribui

sca. L'azione è pertanto soggetta all'ordinaria prescrizione

decennale, che, risalendo le asserite violazioni al lontano

anno 1935, decorre, ai termini dell'art. 252 disp. attuaz.

cod. civ., dal 21 aprile 1942. Ammette l'attore popolare,

invero, che al riguardo sono deducibili le sole violazioni

agli obblighi riguardanti le opere di completamento e di

adattamento delle due sezioni della Casa di riposo, da ese

guirsi entro due anni dalla morte del testatore. Il termine

era perciò abbondantemente decorso alla data della do

manda, proposta con la seconda citazione notificata l'8

novembre 1956, anche tenuto conto della sospensione dispo sta per il periodo bellico. Non è manifestamente invocabile

l'altra causa di sospensione, giacché l'art. 2941, n. 7, cod.

civ. riguarda le azioni di responsabilità delle persone giuri diche contro i propri amministratori, mentre l'azione in

esame ha un oggetto del tutto diverso ed è stata promossa non contro il dott. Gianfranco Vallardi nella veste di am

ministratore dell'ente, ma contro di lui ed altri nella qualità di eredi del dott. Gianni Vallardi.

A parte ogni considerazione sul merito, la domanda va

pertanto respinta in accoglimento dell'eccezione preliminare. Passando all'esame delle domande subordinate, rileva la

Corte che il primo Giudice ha perspicuamente ed esaurien

temente dimostrato, ricostruendo la volontà del testatore

sulla base delle disposizioni dei vari testamenti e del tenore

della lettera 15 settembre 1932 richiamata dal testamento

22 dicembre 1932 come sua parte integrante, che egli in

tendeva assicurare il godimento degli immobili in disputa, non al solo erede diretto, ma a tutti i discendenti della

famiglia in quanto preposti alla direzione della Casa edi

trice. Le confutazioni dell'appellante principale e degli

appellanti incidentali non apportano nuovi argomenti di

rilievo. La Corte si limita perciò ad osservare che alla solu

zione del problema non offre elementi decisivi l'indagine, sulla quale tanto si soffermano le parti, diretta a stabilire

quale, tra gli scopi che si proponeva il testatore, sia da

considerare prevalente. Appare evidente che egli aveva

egualmente a cuore le sorti dell'Istituzione benefica desti

nata ad eternare la memoria dei genitori e quelle della Casa

editrice cui aveva dedicato l'attività dell'intera sua vita.

Il profondo attaccamento all'una ed all'altra traspare da

tutte le sue disposizioni e vano sarebbe ricercare su quale delle due si accentuasse la sua preferenza. Figura tipica dell'industriale illuminato, che, creando con il proprio lavoro la prosperità della sua azienda, vuol renderne par

tecipi i diseredati della fortuna, Cecilio Vallardi si preoc

cupava con pari sollecitudine del futuro dell'azienda, cui

intendeva fosse legata ancora a lungo la sua famiglia, e

dell'ente, della cui creazione era legittimamente orgoglioso, mirando palesemente ad armonizzarne scopi ed interessi.

È perciò che, disponendo a favore della Casa di riposo un

legato che comprendeva lo stesso immobile destinato allo

stabilimento tipografico, ha cura di riservarne l'uso al suo

erede « finché la Casa editrice sussisterà e continuerà ad

appartenere alla famiglia Vallardi ». Disposizione che sa

rebbe inadeguata allo scopo, se, fermandosi alla mera let

tera, si ritenesse limitato il diritto al solo primo chiamato.

Anche dal punto di vista letterale, del resto, non si spie

gherebbe, se riferita alla sola persona dell'erede diretto,

l'enfatica espressione usata, la quale dimostra chiaramente

come il pensiero del disponente andasse ben oltre la vita

del predetto. L'esattezza di tale interpretazione è confermata dalla

disposizione, contenuta nel testamento del 22 febbraio 1932,

con la quale si prevedono le stesse « facilitazioni » a favore

del figlio dell'erede, Gianfranco, ove questi fosse succeduto

al padre nella direzione dell'azienda. Può ammettersi con

l'appellante che il termine non è appropriato ; ma, poiché

il pronipote Gianfranco è qui preso in considerazione non

come erede ma come preposto all'azienda, esso non può

essere riferito a vantaggi, come la dilazione di pagamenti

imposti all'erede, che solo a questo potevano giovare : va

perciò necessariamente riferito al godimento dell'immobile

adibito a stabilimento, che, dato il carattere strettamente

personale dell'uso, senza la disposizione in esame il proni

pote non avrebbe potuto conseguire. La disposizione sta comunque soprattutto a denotare

che nel pensiero del testatore l'uso era legato non alla

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1547 PARTE PRIMA 1548

persona dell'erede immediato, ma a tutti i discendenti della

famiglia che fossero succeduti nella direzione della Casa

editrice.

Con l'interpretazione accolta sorge il problema della

validità della disposizione nei confronti dei successori del

l'erede. Il primo Giudice lo ha risolto negativamente, ma ha

rilevato che essi avevano validamente acquistato il diritto

al godimento degli immobili in virtù di altro distinto titolo, la convenzione 25 aprile 1945. Per ragioni di ordine logico va pertanto esaminata anzitutto la questione, vivamente

dibattuta tra le parti, della natura e validità di detta

convenzione.

A parere della Corte, è da escludersi che in essa possa ravvisarsi una transazione. In primo luogo, dal tenore

dell'accordo, nella cui lunga premessa i contraenti si sfor

zano di spiegare le ragioni che lo hanno determinato, non

traspare alcun intento transattivo : al contrario, nella ul

teriore premessa alla prima clausola della parte dispositiva si indica come esclusiva finalità di esso il rispetto dell'ef

fettiva volontà del testatore, lasciando intendere che, così

come espressa, questa non avrebbe potuto conseguire gli effetti che si proponeva. Come appare anche dalla corri

spondenza che precedette la stipulazione, il presidente del

l'Opera pia ing. Antonio Vallardi era assolutamente con

vinto che in base alle disposizioni testamentarie gli eredi

Vallardi non potevano vantare, dal punto di vista giuridico, alcuna pretesa, in quanto, anche accogliendo l'interpreta zione da essi sostenuta, l'uso degli immobili doveva inten

dersi cessato, per il disposto dell'art. 698 cod. civ., con la

morte del loro autore : solo in omaggio alla presunta volontà

del testatore egli aderiva perciò alle loro richieste.

In secondo luogo, mancano le reciproche concessioni,

giacché in corrispettivo del rilevante vantaggio che gli eredi si assicuravano col godimento a vita dei beni, nessun

vantaggio veniva attribuito alla Casa di riposo. Tale non

può certamente considerarsi il riconoscimento del diritto di proprietà di quest'ultima, che non era mai stato, nè

poteva essere, in discussione ; mentre a scongiurare il pre sunto pericolo di un'usucapione, ammessane la possibilità, dato che i Vallardi non possedevano animo domini, sarebbe stato sufficiente anche un atto unilaterale dell'avente di ritto. Nè il vantaggio può farsi consistere nella limitazione del godimento ai soli eredi diretti del dott. Gianni Val lardi. A parte la considerazione che neppure su questo punto potevano sorgere dubbi, i quali furono prospettati soltanto molto tempo dopo, in occasione dell'attuale con

troversia, è da rilevare che su questa pretesa limitazione non viene affatto posto l'accento nella convenzione, nella

quale (lett. 6 della clausola n. 1) si riconosce semplicemente il godimento gratuito a detti eredi, senza precisare che debba cessare con la loro vita, lasciando così impregiudicata la questione per gli ulteriori successori. Tanto più occor reva un chiarimento in proposito, se si considera che nelle

premesse si dà atto che l'intenzione del de cuius era quella di favorire tutti i discendenti. Non può infine considerarsi concessione a favore dell'Opera pia l'obbligo assuntosi dai Vallardi di provvedere alle spese di manutenzione, anche straordinaria. Neppure quest'obbligo era controverso, risul tando imposto nelle disposizioni testamentarie, tanto che la clausola (n. 6) della convenzione non fa che confermare e prorogare le disposizioni medesime.

Esclusa la transazione e dovendo escludersi, per le stesse ragioni, un corrispettivo della cessione del godimento degli immobili, non può ravvisarsi nella convenzione che un atto di liberalità. Anche ammesso, invero, che, come ha rilevato il primo Giudice, l'obbligo della manutenzione abbia la sua fonte nella convenzione e non più nelle dispo sizioni testamentarie, è certo che con la convenzione veniva esteso agli eredi, senza alcun corrispettivo, un diritto di

uguale contenuto di quello attribuito al loro dante causa dal testatore. In ogni ipotesi, un siffatto obbligo non'può giammai farsi assurgere a corrispettivo di un godimento a

vita, per cui la causa del negozio, nonostante l'onere im

posto, che non è incompatibile con la figura della donazione, sarebbe ugualmente da ricercare nell'intento di liberalità. Ne deriva la radicale nullità del negozio, sia per difetto

di forma, per essere stato stipulato con scrittura privata, sia per l'assoluto ed evidente contrasto con gli scopi isti tuzionali dell'ente donante.

In ogni caso, e comunque definito, il negozio sarebbe da ritenere nullo a norma dell'art. 15 legge 17 luglio 1890. Nel caso di specie trova applicazione non il 1° comma del

l'articolo, che riguarda la partecipazione degli ammini stratori a deliberazioni o provvedimenti dell'ente concer nenti interessi propri o di prossimi congiunti, ma il 2°

comma, che vieta agli stessi di stipulare con l'ente rappre sentato « contratti di compravendita, locazione, esazione ed appalto ». L'enumerazione è indubbiamente esemplifi cativa, non essendovi ragione di escludere analoghe figure contrattuali che importino trasferimento di beni o di di ritti di godimento. Il negozio in esame, col quale l'Opera pia trasferiva agli eredi Yallardi, tra i quali era il compo nente del proprio consiglio di amministrazione dott. Gian

franco, l'uso a vita degli immobili, è pertanto da ritenersi, indipendentemente dalla partecipazione dello stesso alla delibera consiliare di approvazione, radicalmente nullo a termini dell'art. 1418 cod. civ., in quanto contrario a detta norma imperativa.

La nullità comunque è comminata espressamente dal 2° comma dell'art. 1471 cod. civ., in relazione al n. 1 del comma precedente. La norma, dettata per la vendita, è applicabile, considerata la sua ratio, ad ogni negozio dispositivo, e d'altra parte nell'ampio concetto di vendita è incluso, secondo la nozione che ne dà l'art. 1470, anche il trasferimento di diritti : vi rientrerebbe perciò il negozio de quo, se si ammettesse l'esistenza del corrispettivo.

Ma, indipendentemente da una sua applicazione diretta od analogica, la norma, sancendo la nullità o l'annullabi lità dell'acquisto a seconda che il divieto violato riguardi interessi pubblici e privati, offre sicura conferma che sono da considerare imperative le disposizioni, come quelle del citato art. 15, che stabiliscono incompatibilità a tutela di un pubblico interesse.

Infine, la convenzione non può valere neppure come

negozio di conferma di disposizioni testamentarie invalide. La conferma prevista dall'art. 590 cod. civ. può rimuovere un vizio della disposizione che il testatore avrebbe potuto eliminare, ma non può ovviamente consentire di raggiungere un risultato che lo stesso testatore non avrebbe potuto direttamente conseguire, in quanto in contrasto con la norma di ordine pubblico che vieta l'usufrutto successivo. In tal senso è l'insegnamento della Suprema corte (Sez. un. 10 luglio 1957, n. 2743, Foro it., 1958, I, 62).

Occorre in conseguenza esaminare la portata delle dispo sizioni in discussione. Non sembra dubbio alla Corte che con esse il testatore abbia inteso costituire a favore del l'erede un diritto reale, che, per essere il godimento limi tato alla persona del beneficiario, va definito come uso per quel che concerne il godimento dell'edificio adibito a sta bilimento, come abitazione per quanto attiene al godimento, dei locali destinati ad alloggio della famiglia. Il contenuto obiettivo del diritto corrisponde a quello dei menzionati diritti reali ; e dal punto di vista subiettivo non è pensa bile che il prestatore, avendo tanto a cuore le sorti della azienda, si limitasse ad imporre alla legataria una semplice obbligazione, la quale sarebbe stata inadeguata allo scopo propostosi di assicurare ai suoi discendenti la disponibilità dell'edificio sede dell'azienda medesima. Artificiosa appare perciò la costruzione, tentata dal patrocinio degli eredi Vallardi, di un rapporto obbligatorio perpetuo. Il nostro ordinamento del resto non ammette rapporti obbligatori di durata illimitata, specie quando, come nel caso in esame, essi importino la pratica disintegrazione del diritto di pro prietà, spogliando indefinitivamente il proprietario del go dimento della cosa. In ogni caso, ad una presunta conces sione, di carattere obbligatorio, di uso gratuito sarebbe applicabile la disciplina del comodato, il quale dovrebbe considerarsi ugualmente estinto, ai termini dell'art. 1811, con la morte del comodatario.

L'addurre poi che si tratterebbe di un onere imposto al legato a favore della famiglia Vallardi o delle maestranze di Appiano Gentile, significa spostare il problema, non

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Giurisprudenza costituzionale e civile

risolverlo. Se contenuto dell'onere è un uso successivo, esso

non cessa di essere vietato sol perchè considerato sotto tale

profilo. Se ne ha un'indiretta conferma nella disposizione dell'art. 699 cod. civ., che ammette la validità di oneri, anche perpetui, soltanto per l'oggetto e nei limiti in essa

indicati.

Conseguentemente, le disposizioni testamentarie in esame,

in quanto costituiscono diritti reali d'uso o d'abitazione

successivi, producono effetto, a norma dell'art. 698, sol

tanto a favore del primo chiamato dott. Gianni Yallardi.

La norma è dettata per l'usufrutto, ma in virtù del richiamo

dell'art. 1026 si applica, non essendovi ragioni di incompa

tibilità, anche ai predetti diritti. Anche in relazione a questi ricorre la ratio della disposizione, intesa ad impedire la

creazione di vincoli perpetui alla proprietà. Nè ha fondamento la tesi dell'uso congiuntivo, posto

che il testatoré non ha contemporaneamente attribuito il

diritto a più soggetti, ma, secondo l'interpretazione accolta,

all'erede e, in sua sostituzione, ai suoi successori. Il che

vale anche per il dott. Gianfranco Vallardi : la disposi zione che lo riguarda non lo chiama a godere, congiunta mente col padre Gianni ed alla morte del testatore, del

l'uso dell'immobile sede dello stabilimento, ma mira sol

tanto a consentirgliene il godimento per il caso che ne

assumesse la direzione durante la vita del padre. In quanto

erede, invece, la sua posizione non differisce da quella degli altri.

È appena il caso di rilevare che anche per il diritto di

abitazione la durata massima è segnata dalla vita del

titolare (art. 979 cod. civ., richiamato dall'art. 1026), anche

se, quanto al suo esercizio, la legge prende in considerazione

i bisogni dei familiari. La durata finirebbe con l'essere

illimitata, se dovesse commisurarsi anche alla vita di que st'ultimi.

Alla morte del dott. Gianni Vallardi si sono pertanto estinti i diritti d'uso e di abitazione imposti sugli enti

legati, onde va dichiarato illegittimo, a far tempo dell'8

maggio 1942, l'uno da parte degli eredi, i quali sono te

nuti a restituirli all'Opera pia legataria ed a risarcirlo il

danno conseguente all'abusiva occupazione. Tali obblighi

riguardano tutti gli eredi e non il solo dott. Gianfranco.

Il fatto che nella divisione tra essi intervenuti nel 1944 lo

stabilimento tipografico sia stato assegnato a quest'ultimo

riguarda i rapporti interni tra i coeredi, mentre nei confronti

della casa di riposo essi, avendo continuato nel possesso dei

beni che avrebbero dovuto consegnare all'avente diritto,

sono tutti ugualmente responsabili. Va perciò respinta

l'eccezione di difetto di legittimazione passiva sollevata al

riguardo dalle Clementina e Rosanna Vallardi. (Omissis).

Per questi motivi, ecc.

CORTE D'APPELLO DI ROMA.

Sentenza 15 aprile 1961 ; Pres. Tavoi.aro P.P., Est. Gior

dano, P. M. Palermo (conci, diff.) ; C. (Avv. L. De

Luca) c. P. (Avv. Bertolino) e T. (Avv. Dante,

Pitta).

Matrimonio — Sentenza straniera «li primo grado

di annullamento di matrimonio resa esecutiva in

Italia — Successiva sentenza straniera di riforma

— Dichiarazione d'efficacia in Italia — Interesse

giuridico ad agire — Fattispecie (Cod. civ., art. 117 ;

cod. proc. civ., art. 797). Delibazione — Esecutorietà delle sentenze — Conven

zione italo-austriaca del 6 aprile 1922 — Attuale

inefficacia (R. d. 13 dicembre 1923 n. 3181, Conven

zione fra l'Italia e la Repubblica austriaca 6 aprile 1922

per la esecutorietà delle sentenze in materia civile e

commerciale). Delibazione — Condizioni — Notificazione della

citazione avanti il giudice straniero — Fattispecie

(Cod. proc. civ., art. 797). Matrimonio — Matrimonio concordatario — Dicliia

razione di nullità della trascrizione civile — Sen

tenza straniera — Ineilicaeia in Italia — Limiti

(Cod. proc. civ., art. 797 ; 1. 27 maggio 1929 n. 847,

disposizioni per l'applicazione del Concordato nella

parte relativa al matrimonio, art. 14).

Gli eredi testamentari di chi ha contratto matrimonio con

donna, il cui precedente matrimonio fu annullato da giu dice straniero con 'pronuncia di primo grado resa esecutiva

in Italia, hanno interesse giuridico e, pertanto, sono legit timati a chiedere la dichiarazione d'efficacia in Italia della

sentenza, con la quale il giudice straniero di secondo

grado ha riformato la pronuncia di annullamento del

precedente matrimonio della donna. (1) Tra le Convenzioni italo-austriache, rimesse in vigore mediante

lo scambio di note effettuato in Roma il 22 novembre 1950,

non è compresa la Convenzione del 6 aprile 1922 per l'esecutorietà delle sentenze, che pertanto è inefficace. (2)

Non può essere delibata la sentenza straniera, definitiva di

giudizio, il cui atto introduttivo non debba, ai sensi della

legge straniera, essere e non sia stato in effetti notificato

(nella specie, trattavasi di sentenza di secondo grado, che,

in accoglimento di ricorso del procuratore di Stato non

notificato alle parti private, aveva riformato la pronuncia di primo grado di annullamento di matrimonio). (3)

Non può essere delibata la sentenza straniera di annulla

mento della trascrizione civile di matrimonio concordatario

per incapacità naturale. (4)

La Corte, ecc. — (Omissis). Occorre esaminare se sus

sistano le condizioni dell'azione di delibazione. Si deve

anzitutto stabilire se gli attori, terzi estranei al processo

estero, siano legittimati a far valere la sentenza straniera

riguardante un rapporto di diritto sostanziale fra altri

soggetti. In linea di principio, la legittimazione all'azione

di delibazione spetta a chiunque sia stato parte nel pro

cesso estero. In base a tale principio dovrebbe escludersi

(1-4) 11 consigliere Alessandro Giordano, estensore della

sentenza riportata, è immaturamente mancato ai vivi nello

scorso agosto. La nostra Rivista, che in non lontani tempi lo ebbe pen

soso collaboratore, si associa reverente al compianto di coloro

che ne ricordano l'ansia inesausta di giustizia e l'adamantina

rettitudine. * * *

I. -— Nel senso che legittimati a chiedere la delibazione

della sentenza di annullamento del primo matrimonio siano il

figlio, che ne è nato, e il P. m., v. Trib. Firenze 23 maggio 1957, Foro it., Rep. 1958, voce Matrimonio, n. 110 (detta sentenza è

stata riformata, limitatamente alla legittimazione del P.m., da App. Firenze 7 giugno 1958, ibid., nn. 108, 109) ; nel senso

che il P. m. possa chiedere la dichiarazione d'efficacia di sentenza

straniera che abbia dichiarato nullo per bigamia il matrimonio

di un cittadino italiano con una straniera, v. App. Napoli 22

marzo 1958, ibid., n. 106 ; nel senso che il coniuge, contro il quale è stata pronunciata all'e&.tero sent nza di divorzio, sia neces

sario contraddittore nel giudizio di delibazione e possa proporre ricorso per cassazione contro la sentenza che lo ha definito, v.

Casa. 5 agosto 1950, n. 2383, id., 1951, I, 918, con nota di ri

chiami, cui adde Malintoppi, in Giur. Cass. civ., 1951, II, 292.

Da ultimo, v., per qualche riferimento, App. Cagliari 17

maggio 1961, retro, 682, con nota di richiami.

In dottrina cons. Morelli, Diritto processuale civile inter

nazionale'', Padova, 1954, nn. 127, 143.

II. — Nel senso, contrario a quello seguito dalla Corte di

Roma, dell'attuale vigenza della Convenzione, App. Torino 14

giugno 1950, Foro it., 1951, I, 486, con nota critica di Udina.

III. — Nel senso che non possa essere delibata la sentenza :

a) se nell'atto introduttivo del giudizio straniero sia stato as

segnato un termine inferiore a quello indicato nell'art. 163 bis,

App. Venezia 19 settembre 1956, id., Rep. 1957, voce Deliba

zione, n. 14 ; 6) il termine non sia congruo, App. Firenze 7 giugno 1958 ; App. Torino 13 dicembre 1957, id., Rep. 1958, voce cit.,

nn. 12, 13. In dottrina cons. Morelli, op. cit., n. 137.

IV. — Giurisprudenza costante : v., da ultimo, App. Brescia

17 aprile 1957, Foro it., 1958, I, 839, con nota di richiami.

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