Sentenza 28 aprile 1961; Pres. Viviani P., Est. Lagrotta; Gatti Giudice (Avv. Candian, Perini,Cattaneo) c. Vallardi Gianfranco e Chiara (Avv. Rotondi, Tronca), Vallardi Clementina eRosanna (Avv. Allorio, Cordero), Opera pia Vallardi (Avv. Pesce)Source: Il Foro Italiano, Vol. 84, No. 9 (1961), pp. 1543/1544-1549/1550Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23175013 .
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1543 PARTE PRIMA 1544
amministrativi e privati, che non siano stati espressamente
delegati dall'imprenditore interessato a limitare o a disci
plinare la sua libertà di organizzazione e gestione impren ditrice.
Per questi motivi, ecc.
CORTE D'APPELLO DI MILANO.
Sentenza 28 aprile 1961 ; Pres. Viviani P., Est. Lagrotta ;
Gatti Giudice (Avv. Candian, Perini, Cattaneo) c.
Vallardi Gianfranco e Chiara (Avv. Rotondi, Tronca), Yallardi Clementina e Rosanna (Avv. Allorio, Cor
derò), Opera pia Yallardi (Avv. Pesce).
Azione popolare — Opera pia Poteri dell'attore
popolale — Condotta processuale dei rappresen tanti dell'ente — Irrilevanza (L. 17 luglio 1890 n.
6972, sulle istituzioni pubbliche di assistenza e benefi
cenza, art. 82). Successione — Azione tendente all'acquisto della
qualità di erede mediante pronunzia di decadenza
del convenuto dall'eredità — Prescrizione decen
nale (Cod. civ., art. 533, 648). Donazione — Intento di rispettare l'effettiva volontà
del testatore — Attribuzione gratuita senza reci
proche concessioni dei beneficiari — Donazione e
non transazione — Fattispecie (Cod. civ., art. 769,
1965). Istituzione pubblica di assistenza e beneficenza —
Opera pia — Attribuzione ad un consigliere di
amministrazione dell'uso a vita di un immobile — Nullità (L. 17 luglio 1890 n. 6972, art. 15 ; cod.
civ., art. 1471). Testamento — Disposizioni nulle — Sanatoria per
conferma od esecuzione volontaria Limite (Cod.
civ., art. 590). Sostituzione e fedeeommesso — Limitazione dell'usu
frutto successivo al primo chiamato Norma
applicabile anche all'uso e all'abitazione (Cod. civ., art. 698).
Usufrutto, uso e abitazione — Diritto di abitazione
costituito con riguardo alle necessità della fami
glia del beneficiario — Morte di costui — Estin
zione (Cod. civ., art. 979, 1026).
L'attore popolare, autorizzato dall'art. 82 legge 17 luglio 1890 n. 6972, a far valere, insieme con i rappresentanti
dell'opera pia o in luogo di essi, i diritti dell'ente, ha veste
di sostituto processuale, e come tale può proporre domande
e prendere conclusioni anche diverse da quelle dei rap
presentanti medesimi, intervenuti in giudizio. (1) Non costituisce petitio hereditatis, ed è pertanto soggetta all'or
ai) App. Torino 3 luglio 1952, Foro it., Rep. 1053, voce Istituzione pubblica di assistenza e beneficenza, n. 5, concorda sulla qualifica di sostituto processuale, deducendone la legitti mazione dell'attore popolare a proporre opposizione di terzo. In senso contrario, per l'attore popolare che supplisce all'inerzia dell'amministrazione comunale, Cass. 8 marzo 1958, n. 794, id., Rep. 1958, voce Azione popolare, nn. 1, 2, dove è anche detto esplicitamente che, se il comune, dopo proposta l'azione, interviene volontariamente ed assume una condotta attiva, formulando domande e deducendo mezzi istruttori, l'attore
popolare riveste in giudizio posizione analoga a quella dell'in terventore adesivo dipendente ; mentre, nello stesso caso, sostanzialmente conforme alla sentenza in epigrafe è App. Potenza 14 agosto 1947, id., 1948, X, 661, con nota di Fra gola, dove il problema dei rapporti fra la condotta processuale degli organi dell'ente sostituito e i poteri dell'attore popolare è trattato con ampi richiami. In argomento cfr. pure App. Lecce 7 aprile 1951, id., 1952, I, 1432, con osserv. di Mazza, ove altri richiami.
Ili dottrina, v., sulle facoltà processuali dell'attore popo lare, Lugo, Azione popolare (in generale), n. 7, voce dell'TJnci
clo-pedia del diritto, IV, 868,
dinario termine decennale di prescrizione, l'azione pro
posta non per ottenere il riconoscimento della propria pre esistente qualità di erede, ma per acquistare tale qualità, attraverso una sentenza costitutiva, che pronunci la deca
denza del convenuto dall'eredità. (2) È caratterizzato da una causa liberale, non già transattiva,
il contratto col quale un'opera pia, costituita per testamento,
attribuisca ai discendenti del fondatore, nell'intento di
rispettare l'effettiva volontà di costui, non adeguatamente
espressa, e senza alcuna concessione da parte dei benefi
ciari, l'uso di immobili appartenenti in vita al fonda tore. (3)
È nullo il contratto col quale un'opera pia attribuisce ad un
proprio consigliere di amministrazione l'uso a vita di un
immobile. (4) La conferma o l'esecuzione volontaria delle disposizioni testa
mentarie nulle, ammessa dall'art. 590 cod. civ., non è
operante quando con essa si raggiungerebbe un risultato
vietato dalla legge al testatore (nella specie : costituzione
di usufrutto successivo). (5) La norma che vieta la costituzione testamentaria di usufrutto
successivo, limitando il beneficio al primo chiamato, è
applicabile anche all'uso e all'abitazione. (6) Il diritto di abitazione, anche se costituito con espresso riguardo
alle necessità della famiglia del titolare, si estingue con
la morte di questi. (7)
La Corte, ecc. — (Omissis). Osserva la Corte che pre
(2) Più propriamente, era stata domandata la risoluzione
della disposizione testamentaria istitutiva di erede per inadem
pimento dell'onere ad essa apposto (art. 648). Sostanzialmente
nello stesso senso, per l'ipotesi affine della domanda di annul
lamento, all'accoglimento della quale conseguirebbe l'acquisto della qualità di erede, Cass. 5 marzo 1941, n. 626, Foro it., 1941,
I, 1218, con nota di Barbero (dove si critica il presupposto della decisione, perchè nella specie il testamento era affetto da
radicale nullità, non da semplice annullabilità, e l'azione ten
dente a far dichiarare la nullità è imprescrittibile) ; cfr. App. Milano 19 luglio 1939, id., Rep. 1939, voce Successione, n. 178.
Nel senso che non può proporsi azione di petizione di
eredità quando vi sono « eredi poziori », App. Bologna 30 gennaio 1941, id., Rep. 1941, voce cit., n. 183 ; Trib. Trani 17 febbraio
1934, id., Rep. 1934, voce cit., n. 264.
(3) Non risultano precedenti specifici. Per un caso sotto
alcuni aspetti analogo, cfr. Cass. 10 luglio 1957, n. 2743, Foro
it., 1958, I, 62, con nota di Jemolo, dove si adombra la figura di un negozio di accertamento (Interpretazione da parte degli eredi della volontà testamentaria). Tale sentenza è richiamata, ad altro proposito, nella motivazione della presente.
(4) Non risultano precedenti. (5) Conf., nella motivazione e nella massima ufficiale
(riprodotta in Foro it., Rep. 1957, voce Sostituzione e fedecom messo, n. 22), la già citata Cass. 10 luglio 1957, n. 2743 (l'art. 590 — si legge — « è operante in quelle ipotesi in cui con un suo atto di ultima volontà il testatore potrebbe realizzare quel risultato pratico che intende raggiungere, e non anche quando il fine da lui perseguito non potrebbe direttamente essere
raggiunto, perchè vietato dalla legge come illecito »). Diversa mente Cass. 6 ottobre 1955, n. 2870 (id., Rep. 1955, voce Succes
sione, n. 8), che distingue fra nullità per contrarietà all'ordine
pubblico o al buon costume, non sanabile, e nullità per contra rietà a « norme imperative proibitive », sanabile ; ed ammette, di
conseguenza, la sanatoria in un caso in cui l'intento perseguito dal testatore non avrebbe potuto essere da lui direttamente
raggiunto (testamento nullo « perchè determinato da motivo
illecito, in quanto pedissequa esecuzione di fatto successorio vietato »). Cfr. Jemolo, nota cit., col. 66 e seguenti.
Ammette la convalida della disposizione testamentaria costituente un usufrutto successivo Cass. 19 ottobre 1957, n. 3985, id., Rep. 1957, voce Sostituzione e fedecommesso, nn. 18 20. Quanto alla disposizione contenente una sostituzione vietata, in senso opposto tra loro, Trib. Bari 7 gennaio 1957, id., 1957, I, 483 ; App. Trento 1 dicembre 1956, ibid., 864.
(6) Conf. App. Bari 3 aprile 1936, Foro it., Rep. 1936, voce
Successione, n. 154 ; App. Bologna 13 gennaio 1933, id., Rep. 1933, voce cit., n. 130 ; Cass. Torino 4 marzo 1904, id., 1904, I, 686.
(7) Cfr. Cass. 18 agosto 1953, n. 2769, Foro it., Rep. 1953, voce Usufrutto, n. 8 ; App. Bologna 28 giugno 1937, id., Rep. 1937, voce Abitazione, nn. 1-3.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
giudiziale ad ogni altra è la questione concernente la natura
ed i limiti dell'azione popolare, cui è connessa l'eccezione, sollevata dagli eredi Vallardi, di irritualità del mutamento
delle conclusioni formulate dall'Opera pia e dal Prefetto.
Al riguardo è inconferente il rilievo che la presente
azione, in quanto promossa contro terzi in luogo dei rap
presentanti dell'istituzione, rientra nella previsione della
lett. a dell'art. 82 della legge 17 luglio 1890 n. 6972, non
della successiva lett, b, che prevede, limitandola a taluni
particolari oggetti, l'azione cosiddetta correttiva contro gli stessi rappresentanti. Da ciò non deriva affatto che nella
prima ipotesi l'intervento in giudizio di questi importi limitazione dei poteri dell'attore popolare, precludendogli di proporre domande da essi non fatte proprie. L'attore
popolare, autorizzato dalla citata disposizione a far valere,
insieme con i rappresentanti dell'istituzione o in loro luogo e vece, diritti di questa, ha la veste di sostituto processuale :
come tale, secondo l'espressione dell'art. 81 cod. proc. civ.,
agisce nel processo per far valere diritti altrui in nome pro
prio. I suoi poteri sono perciò del tutto autonomi e le sue
determinazioni non sono vincolate al comportamento proces suale dei legali rappresentanti dell'ente. D'altra parte, se
si considera da un lato che il giudizio deve svolgersi neces
sariamente, a norma dell'art. 83 della legge speciale, in
contraddittorio di questi, dall'altro che nel nostro ordina
mento processuale domina il principio dispositivo, l'azione
rimarrebbe svuotata di ogni pratico contenuto se il potere dell'attore popolare si esaurisse nella semplice facoltà di
instaurare il giudizio. Anche in questo può perdurare, come
in parte è avvenuto nel presente processo, l'inerzia del
rappresentante, nonostante il suo intervento, onde l'inten
dimento del legislatore, che ha rappresentato il mezzo
appunto per scongiurare le conseguenze dannose della
inerzia, sarebbe frustrato se per conseguire il suo risultato
l'azione popolare avesse bisogno del concorso di coloro, la
cui inattività ne costituisce il presupposto. La questione comunque non sorge per quanto concerne
l'uso degli immobili in disputa, giacché alle relative domande
dell'attore popolare si è associata l'Opera pia. È vero che
essa vi ha specificamente aderito soltanto in sede di preci
sazione delle conclusioni, ma nella comparsa di risposta alla seconda citazione, pur omettendo di assumere una
precisa posizione, si è rimessa alla giustizia del Tribunale,
onde nell'adesione successiva è da ravvisarsi non un muta
mento, ma una precisazione delle sue deduzioni, le quali
comunque, in quanto già formulate dall'attore popolare, avevano formato oggetto di dibattito tra le parti. È perciò in ogni caso da escludere l'asserita violazione dell'art. 184
cod. proc. civ., che, nel vietare il mutamento delle domande
nel corso del processo, si propone unicamente lo scopo di
assicurare il regolare svolgimento del contraddittorio.
La domanda principale, di devoluzione alla Casa di
riposo dell'eredità di Cecilio Vallardi, non è, per le ragioni
esposte, preclusa da motivi di ordine processuale. È peraltro fondata l'eccezione preliminare di prescri
zione sollevata dagli eredi Vallardi. Oppone in contrario
l'appellante in primo luogo l'imprescrittibilità dell'azione,
che definisce di petizione di eredità, in secondo luogo la
sospensione del termine di prescrizione, a norma del decreto
legisl. 3 gennaio 1944 e dei decreti successivi per il periodo dal 1° gennaio 1944 al 15 ottobre 1946, a norma dell'art.
2941, n. 7, cod. civ. per il periodo dal 1949 al 1955, durante
il quale nel Consiglio di amministrazione dell'Opera pia,
vi sarebbe stata prevalenza numerica di esponenti della
famiglia Vallardi e quindi conflitto di interessi.
Ma le obiezioni sono, a parere della Corte, prive di
fondamento. Poiché la petizione di eredità presuppone in
chi la esercita la qualità di erede, non può essere configu
rata come tale l'azione promossa, la quale, mirando a far
dichiarare la decadenza dei convenuti dall'eredità, è di
retta non all'accertamento della veste di erede dell'Opera
pia, ma ad una pronuncia, costitutiva, che gliene attribui
sca. L'azione è pertanto soggetta all'ordinaria prescrizione
decennale, che, risalendo le asserite violazioni al lontano
anno 1935, decorre, ai termini dell'art. 252 disp. attuaz.
cod. civ., dal 21 aprile 1942. Ammette l'attore popolare,
invero, che al riguardo sono deducibili le sole violazioni
agli obblighi riguardanti le opere di completamento e di
adattamento delle due sezioni della Casa di riposo, da ese
guirsi entro due anni dalla morte del testatore. Il termine
era perciò abbondantemente decorso alla data della do
manda, proposta con la seconda citazione notificata l'8
novembre 1956, anche tenuto conto della sospensione dispo sta per il periodo bellico. Non è manifestamente invocabile
l'altra causa di sospensione, giacché l'art. 2941, n. 7, cod.
civ. riguarda le azioni di responsabilità delle persone giuri diche contro i propri amministratori, mentre l'azione in
esame ha un oggetto del tutto diverso ed è stata promossa non contro il dott. Gianfranco Vallardi nella veste di am
ministratore dell'ente, ma contro di lui ed altri nella qualità di eredi del dott. Gianni Vallardi.
A parte ogni considerazione sul merito, la domanda va
pertanto respinta in accoglimento dell'eccezione preliminare. Passando all'esame delle domande subordinate, rileva la
Corte che il primo Giudice ha perspicuamente ed esaurien
temente dimostrato, ricostruendo la volontà del testatore
sulla base delle disposizioni dei vari testamenti e del tenore
della lettera 15 settembre 1932 richiamata dal testamento
22 dicembre 1932 come sua parte integrante, che egli in
tendeva assicurare il godimento degli immobili in disputa, non al solo erede diretto, ma a tutti i discendenti della
famiglia in quanto preposti alla direzione della Casa edi
trice. Le confutazioni dell'appellante principale e degli
appellanti incidentali non apportano nuovi argomenti di
rilievo. La Corte si limita perciò ad osservare che alla solu
zione del problema non offre elementi decisivi l'indagine, sulla quale tanto si soffermano le parti, diretta a stabilire
quale, tra gli scopi che si proponeva il testatore, sia da
considerare prevalente. Appare evidente che egli aveva
egualmente a cuore le sorti dell'Istituzione benefica desti
nata ad eternare la memoria dei genitori e quelle della Casa
editrice cui aveva dedicato l'attività dell'intera sua vita.
Il profondo attaccamento all'una ed all'altra traspare da
tutte le sue disposizioni e vano sarebbe ricercare su quale delle due si accentuasse la sua preferenza. Figura tipica dell'industriale illuminato, che, creando con il proprio lavoro la prosperità della sua azienda, vuol renderne par
tecipi i diseredati della fortuna, Cecilio Vallardi si preoc
cupava con pari sollecitudine del futuro dell'azienda, cui
intendeva fosse legata ancora a lungo la sua famiglia, e
dell'ente, della cui creazione era legittimamente orgoglioso, mirando palesemente ad armonizzarne scopi ed interessi.
È perciò che, disponendo a favore della Casa di riposo un
legato che comprendeva lo stesso immobile destinato allo
stabilimento tipografico, ha cura di riservarne l'uso al suo
erede « finché la Casa editrice sussisterà e continuerà ad
appartenere alla famiglia Vallardi ». Disposizione che sa
rebbe inadeguata allo scopo, se, fermandosi alla mera let
tera, si ritenesse limitato il diritto al solo primo chiamato.
Anche dal punto di vista letterale, del resto, non si spie
gherebbe, se riferita alla sola persona dell'erede diretto,
l'enfatica espressione usata, la quale dimostra chiaramente
come il pensiero del disponente andasse ben oltre la vita
del predetto. L'esattezza di tale interpretazione è confermata dalla
disposizione, contenuta nel testamento del 22 febbraio 1932,
con la quale si prevedono le stesse « facilitazioni » a favore
del figlio dell'erede, Gianfranco, ove questi fosse succeduto
al padre nella direzione dell'azienda. Può ammettersi con
l'appellante che il termine non è appropriato ; ma, poiché
il pronipote Gianfranco è qui preso in considerazione non
come erede ma come preposto all'azienda, esso non può
essere riferito a vantaggi, come la dilazione di pagamenti
imposti all'erede, che solo a questo potevano giovare : va
perciò necessariamente riferito al godimento dell'immobile
adibito a stabilimento, che, dato il carattere strettamente
personale dell'uso, senza la disposizione in esame il proni
pote non avrebbe potuto conseguire. La disposizione sta comunque soprattutto a denotare
che nel pensiero del testatore l'uso era legato non alla
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1547 PARTE PRIMA 1548
persona dell'erede immediato, ma a tutti i discendenti della
famiglia che fossero succeduti nella direzione della Casa
editrice.
Con l'interpretazione accolta sorge il problema della
validità della disposizione nei confronti dei successori del
l'erede. Il primo Giudice lo ha risolto negativamente, ma ha
rilevato che essi avevano validamente acquistato il diritto
al godimento degli immobili in virtù di altro distinto titolo, la convenzione 25 aprile 1945. Per ragioni di ordine logico va pertanto esaminata anzitutto la questione, vivamente
dibattuta tra le parti, della natura e validità di detta
convenzione.
A parere della Corte, è da escludersi che in essa possa ravvisarsi una transazione. In primo luogo, dal tenore
dell'accordo, nella cui lunga premessa i contraenti si sfor
zano di spiegare le ragioni che lo hanno determinato, non
traspare alcun intento transattivo : al contrario, nella ul
teriore premessa alla prima clausola della parte dispositiva si indica come esclusiva finalità di esso il rispetto dell'ef
fettiva volontà del testatore, lasciando intendere che, così
come espressa, questa non avrebbe potuto conseguire gli effetti che si proponeva. Come appare anche dalla corri
spondenza che precedette la stipulazione, il presidente del
l'Opera pia ing. Antonio Vallardi era assolutamente con
vinto che in base alle disposizioni testamentarie gli eredi
Vallardi non potevano vantare, dal punto di vista giuridico, alcuna pretesa, in quanto, anche accogliendo l'interpreta zione da essi sostenuta, l'uso degli immobili doveva inten
dersi cessato, per il disposto dell'art. 698 cod. civ., con la
morte del loro autore : solo in omaggio alla presunta volontà
del testatore egli aderiva perciò alle loro richieste.
In secondo luogo, mancano le reciproche concessioni,
giacché in corrispettivo del rilevante vantaggio che gli eredi si assicuravano col godimento a vita dei beni, nessun
vantaggio veniva attribuito alla Casa di riposo. Tale non
può certamente considerarsi il riconoscimento del diritto di proprietà di quest'ultima, che non era mai stato, nè
poteva essere, in discussione ; mentre a scongiurare il pre sunto pericolo di un'usucapione, ammessane la possibilità, dato che i Vallardi non possedevano animo domini, sarebbe stato sufficiente anche un atto unilaterale dell'avente di ritto. Nè il vantaggio può farsi consistere nella limitazione del godimento ai soli eredi diretti del dott. Gianni Val lardi. A parte la considerazione che neppure su questo punto potevano sorgere dubbi, i quali furono prospettati soltanto molto tempo dopo, in occasione dell'attuale con
troversia, è da rilevare che su questa pretesa limitazione non viene affatto posto l'accento nella convenzione, nella
quale (lett. 6 della clausola n. 1) si riconosce semplicemente il godimento gratuito a detti eredi, senza precisare che debba cessare con la loro vita, lasciando così impregiudicata la questione per gli ulteriori successori. Tanto più occor reva un chiarimento in proposito, se si considera che nelle
premesse si dà atto che l'intenzione del de cuius era quella di favorire tutti i discendenti. Non può infine considerarsi concessione a favore dell'Opera pia l'obbligo assuntosi dai Vallardi di provvedere alle spese di manutenzione, anche straordinaria. Neppure quest'obbligo era controverso, risul tando imposto nelle disposizioni testamentarie, tanto che la clausola (n. 6) della convenzione non fa che confermare e prorogare le disposizioni medesime.
Esclusa la transazione e dovendo escludersi, per le stesse ragioni, un corrispettivo della cessione del godimento degli immobili, non può ravvisarsi nella convenzione che un atto di liberalità. Anche ammesso, invero, che, come ha rilevato il primo Giudice, l'obbligo della manutenzione abbia la sua fonte nella convenzione e non più nelle dispo sizioni testamentarie, è certo che con la convenzione veniva esteso agli eredi, senza alcun corrispettivo, un diritto di
uguale contenuto di quello attribuito al loro dante causa dal testatore. In ogni ipotesi, un siffatto obbligo non'può giammai farsi assurgere a corrispettivo di un godimento a
vita, per cui la causa del negozio, nonostante l'onere im
posto, che non è incompatibile con la figura della donazione, sarebbe ugualmente da ricercare nell'intento di liberalità. Ne deriva la radicale nullità del negozio, sia per difetto
di forma, per essere stato stipulato con scrittura privata, sia per l'assoluto ed evidente contrasto con gli scopi isti tuzionali dell'ente donante.
In ogni caso, e comunque definito, il negozio sarebbe da ritenere nullo a norma dell'art. 15 legge 17 luglio 1890. Nel caso di specie trova applicazione non il 1° comma del
l'articolo, che riguarda la partecipazione degli ammini stratori a deliberazioni o provvedimenti dell'ente concer nenti interessi propri o di prossimi congiunti, ma il 2°
comma, che vieta agli stessi di stipulare con l'ente rappre sentato « contratti di compravendita, locazione, esazione ed appalto ». L'enumerazione è indubbiamente esemplifi cativa, non essendovi ragione di escludere analoghe figure contrattuali che importino trasferimento di beni o di di ritti di godimento. Il negozio in esame, col quale l'Opera pia trasferiva agli eredi Yallardi, tra i quali era il compo nente del proprio consiglio di amministrazione dott. Gian
franco, l'uso a vita degli immobili, è pertanto da ritenersi, indipendentemente dalla partecipazione dello stesso alla delibera consiliare di approvazione, radicalmente nullo a termini dell'art. 1418 cod. civ., in quanto contrario a detta norma imperativa.
La nullità comunque è comminata espressamente dal 2° comma dell'art. 1471 cod. civ., in relazione al n. 1 del comma precedente. La norma, dettata per la vendita, è applicabile, considerata la sua ratio, ad ogni negozio dispositivo, e d'altra parte nell'ampio concetto di vendita è incluso, secondo la nozione che ne dà l'art. 1470, anche il trasferimento di diritti : vi rientrerebbe perciò il negozio de quo, se si ammettesse l'esistenza del corrispettivo.
Ma, indipendentemente da una sua applicazione diretta od analogica, la norma, sancendo la nullità o l'annullabi lità dell'acquisto a seconda che il divieto violato riguardi interessi pubblici e privati, offre sicura conferma che sono da considerare imperative le disposizioni, come quelle del citato art. 15, che stabiliscono incompatibilità a tutela di un pubblico interesse.
Infine, la convenzione non può valere neppure come
negozio di conferma di disposizioni testamentarie invalide. La conferma prevista dall'art. 590 cod. civ. può rimuovere un vizio della disposizione che il testatore avrebbe potuto eliminare, ma non può ovviamente consentire di raggiungere un risultato che lo stesso testatore non avrebbe potuto direttamente conseguire, in quanto in contrasto con la norma di ordine pubblico che vieta l'usufrutto successivo. In tal senso è l'insegnamento della Suprema corte (Sez. un. 10 luglio 1957, n. 2743, Foro it., 1958, I, 62).
Occorre in conseguenza esaminare la portata delle dispo sizioni in discussione. Non sembra dubbio alla Corte che con esse il testatore abbia inteso costituire a favore del l'erede un diritto reale, che, per essere il godimento limi tato alla persona del beneficiario, va definito come uso per quel che concerne il godimento dell'edificio adibito a sta bilimento, come abitazione per quanto attiene al godimento, dei locali destinati ad alloggio della famiglia. Il contenuto obiettivo del diritto corrisponde a quello dei menzionati diritti reali ; e dal punto di vista subiettivo non è pensa bile che il prestatore, avendo tanto a cuore le sorti della azienda, si limitasse ad imporre alla legataria una semplice obbligazione, la quale sarebbe stata inadeguata allo scopo propostosi di assicurare ai suoi discendenti la disponibilità dell'edificio sede dell'azienda medesima. Artificiosa appare perciò la costruzione, tentata dal patrocinio degli eredi Vallardi, di un rapporto obbligatorio perpetuo. Il nostro ordinamento del resto non ammette rapporti obbligatori di durata illimitata, specie quando, come nel caso in esame, essi importino la pratica disintegrazione del diritto di pro prietà, spogliando indefinitivamente il proprietario del go dimento della cosa. In ogni caso, ad una presunta conces sione, di carattere obbligatorio, di uso gratuito sarebbe applicabile la disciplina del comodato, il quale dovrebbe considerarsi ugualmente estinto, ai termini dell'art. 1811, con la morte del comodatario.
L'addurre poi che si tratterebbe di un onere imposto al legato a favore della famiglia Vallardi o delle maestranze di Appiano Gentile, significa spostare il problema, non
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Giurisprudenza costituzionale e civile
risolverlo. Se contenuto dell'onere è un uso successivo, esso
non cessa di essere vietato sol perchè considerato sotto tale
profilo. Se ne ha un'indiretta conferma nella disposizione dell'art. 699 cod. civ., che ammette la validità di oneri, anche perpetui, soltanto per l'oggetto e nei limiti in essa
indicati.
Conseguentemente, le disposizioni testamentarie in esame,
in quanto costituiscono diritti reali d'uso o d'abitazione
successivi, producono effetto, a norma dell'art. 698, sol
tanto a favore del primo chiamato dott. Gianni Yallardi.
La norma è dettata per l'usufrutto, ma in virtù del richiamo
dell'art. 1026 si applica, non essendovi ragioni di incompa
tibilità, anche ai predetti diritti. Anche in relazione a questi ricorre la ratio della disposizione, intesa ad impedire la
creazione di vincoli perpetui alla proprietà. Nè ha fondamento la tesi dell'uso congiuntivo, posto
che il testatoré non ha contemporaneamente attribuito il
diritto a più soggetti, ma, secondo l'interpretazione accolta,
all'erede e, in sua sostituzione, ai suoi successori. Il che
vale anche per il dott. Gianfranco Vallardi : la disposi zione che lo riguarda non lo chiama a godere, congiunta mente col padre Gianni ed alla morte del testatore, del
l'uso dell'immobile sede dello stabilimento, ma mira sol
tanto a consentirgliene il godimento per il caso che ne
assumesse la direzione durante la vita del padre. In quanto
erede, invece, la sua posizione non differisce da quella degli altri.
È appena il caso di rilevare che anche per il diritto di
abitazione la durata massima è segnata dalla vita del
titolare (art. 979 cod. civ., richiamato dall'art. 1026), anche
se, quanto al suo esercizio, la legge prende in considerazione
i bisogni dei familiari. La durata finirebbe con l'essere
illimitata, se dovesse commisurarsi anche alla vita di que st'ultimi.
Alla morte del dott. Gianni Vallardi si sono pertanto estinti i diritti d'uso e di abitazione imposti sugli enti
legati, onde va dichiarato illegittimo, a far tempo dell'8
maggio 1942, l'uno da parte degli eredi, i quali sono te
nuti a restituirli all'Opera pia legataria ed a risarcirlo il
danno conseguente all'abusiva occupazione. Tali obblighi
riguardano tutti gli eredi e non il solo dott. Gianfranco.
Il fatto che nella divisione tra essi intervenuti nel 1944 lo
stabilimento tipografico sia stato assegnato a quest'ultimo
riguarda i rapporti interni tra i coeredi, mentre nei confronti
della casa di riposo essi, avendo continuato nel possesso dei
beni che avrebbero dovuto consegnare all'avente diritto,
sono tutti ugualmente responsabili. Va perciò respinta
l'eccezione di difetto di legittimazione passiva sollevata al
riguardo dalle Clementina e Rosanna Vallardi. (Omissis).
Per questi motivi, ecc.
CORTE D'APPELLO DI ROMA.
Sentenza 15 aprile 1961 ; Pres. Tavoi.aro P.P., Est. Gior
dano, P. M. Palermo (conci, diff.) ; C. (Avv. L. De
Luca) c. P. (Avv. Bertolino) e T. (Avv. Dante,
Pitta).
Matrimonio — Sentenza straniera «li primo grado
di annullamento di matrimonio resa esecutiva in
Italia — Successiva sentenza straniera di riforma
— Dichiarazione d'efficacia in Italia — Interesse
giuridico ad agire — Fattispecie (Cod. civ., art. 117 ;
cod. proc. civ., art. 797). Delibazione — Esecutorietà delle sentenze — Conven
zione italo-austriaca del 6 aprile 1922 — Attuale
inefficacia (R. d. 13 dicembre 1923 n. 3181, Conven
zione fra l'Italia e la Repubblica austriaca 6 aprile 1922
per la esecutorietà delle sentenze in materia civile e
commerciale). Delibazione — Condizioni — Notificazione della
citazione avanti il giudice straniero — Fattispecie
(Cod. proc. civ., art. 797). Matrimonio — Matrimonio concordatario — Dicliia
razione di nullità della trascrizione civile — Sen
tenza straniera — Ineilicaeia in Italia — Limiti
(Cod. proc. civ., art. 797 ; 1. 27 maggio 1929 n. 847,
disposizioni per l'applicazione del Concordato nella
parte relativa al matrimonio, art. 14).
Gli eredi testamentari di chi ha contratto matrimonio con
donna, il cui precedente matrimonio fu annullato da giu dice straniero con 'pronuncia di primo grado resa esecutiva
in Italia, hanno interesse giuridico e, pertanto, sono legit timati a chiedere la dichiarazione d'efficacia in Italia della
sentenza, con la quale il giudice straniero di secondo
grado ha riformato la pronuncia di annullamento del
precedente matrimonio della donna. (1) Tra le Convenzioni italo-austriache, rimesse in vigore mediante
lo scambio di note effettuato in Roma il 22 novembre 1950,
non è compresa la Convenzione del 6 aprile 1922 per l'esecutorietà delle sentenze, che pertanto è inefficace. (2)
Non può essere delibata la sentenza straniera, definitiva di
giudizio, il cui atto introduttivo non debba, ai sensi della
legge straniera, essere e non sia stato in effetti notificato
(nella specie, trattavasi di sentenza di secondo grado, che,
in accoglimento di ricorso del procuratore di Stato non
notificato alle parti private, aveva riformato la pronuncia di primo grado di annullamento di matrimonio). (3)
Non può essere delibata la sentenza straniera di annulla
mento della trascrizione civile di matrimonio concordatario
per incapacità naturale. (4)
La Corte, ecc. — (Omissis). Occorre esaminare se sus
sistano le condizioni dell'azione di delibazione. Si deve
anzitutto stabilire se gli attori, terzi estranei al processo
estero, siano legittimati a far valere la sentenza straniera
riguardante un rapporto di diritto sostanziale fra altri
soggetti. In linea di principio, la legittimazione all'azione
di delibazione spetta a chiunque sia stato parte nel pro
cesso estero. In base a tale principio dovrebbe escludersi
(1-4) 11 consigliere Alessandro Giordano, estensore della
sentenza riportata, è immaturamente mancato ai vivi nello
scorso agosto. La nostra Rivista, che in non lontani tempi lo ebbe pen
soso collaboratore, si associa reverente al compianto di coloro
che ne ricordano l'ansia inesausta di giustizia e l'adamantina
rettitudine. * * *
I. -— Nel senso che legittimati a chiedere la delibazione
della sentenza di annullamento del primo matrimonio siano il
figlio, che ne è nato, e il P. m., v. Trib. Firenze 23 maggio 1957, Foro it., Rep. 1958, voce Matrimonio, n. 110 (detta sentenza è
stata riformata, limitatamente alla legittimazione del P.m., da App. Firenze 7 giugno 1958, ibid., nn. 108, 109) ; nel senso
che il P. m. possa chiedere la dichiarazione d'efficacia di sentenza
straniera che abbia dichiarato nullo per bigamia il matrimonio
di un cittadino italiano con una straniera, v. App. Napoli 22
marzo 1958, ibid., n. 106 ; nel senso che il coniuge, contro il quale è stata pronunciata all'e&.tero sent nza di divorzio, sia neces
sario contraddittore nel giudizio di delibazione e possa proporre ricorso per cassazione contro la sentenza che lo ha definito, v.
Casa. 5 agosto 1950, n. 2383, id., 1951, I, 918, con nota di ri
chiami, cui adde Malintoppi, in Giur. Cass. civ., 1951, II, 292.
Da ultimo, v., per qualche riferimento, App. Cagliari 17
maggio 1961, retro, 682, con nota di richiami.
In dottrina cons. Morelli, Diritto processuale civile inter
nazionale'', Padova, 1954, nn. 127, 143.
II. — Nel senso, contrario a quello seguito dalla Corte di
Roma, dell'attuale vigenza della Convenzione, App. Torino 14
giugno 1950, Foro it., 1951, I, 486, con nota critica di Udina.
III. — Nel senso che non possa essere delibata la sentenza :
a) se nell'atto introduttivo del giudizio straniero sia stato as
segnato un termine inferiore a quello indicato nell'art. 163 bis,
App. Venezia 19 settembre 1956, id., Rep. 1957, voce Deliba
zione, n. 14 ; 6) il termine non sia congruo, App. Firenze 7 giugno 1958 ; App. Torino 13 dicembre 1957, id., Rep. 1958, voce cit.,
nn. 12, 13. In dottrina cons. Morelli, op. cit., n. 137.
IV. — Giurisprudenza costante : v., da ultimo, App. Brescia
17 aprile 1957, Foro it., 1958, I, 839, con nota di richiami.
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