sentenza 28 febbraio 1996, n. 60 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 6 marzo 1996, n. 10);Pres. ed est. Ferri; Priebke; interv. Pres. cons. ministri. Ord. G.i.p. Trib. mil. Roma 7dicembre 1995 (G.U., 1 a s.s., n. 52 del 1995)Source: Il Foro Italiano, Vol. 120, No. 1 (GENNAIO 1997), pp. 67/68-71/72Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23191287 .
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PARTE PRIMA
oggetto una richiesta (successiva) di adeguamento dell'assegno
già stabilito in sede di affidamento (dal tribunale dei mino
renni). 4. - La questione relativa alla lamentata divaricazione di com
petenza oggetto del sindacato di legittimità costituzionale si cir
coscrive quindi alle controversie alimentari successive, concer
nenti l'adeguamento dell'assegno di mantenimento già stabilito
a carico del genitore non affidatario del figlio naturale mi
norenne.
E, in questi termini, la questione è destituita di fondamento.
L'attribuzione di controversie siffatte al tribunale ordinario
(e non al tribunale dei minorenni precedentemente adito) trova
infatti la sua intrinseca, e ragionevole, giustificazione nel fatto
che, con la richiesta di revisione del contributo avanzata dal
genitore che ha presso di sé il minore dei confronti dell'altro
non affidatario, si radica — come precisato dalla Corte di cas
sazione — una lite che non coinvolge più direttamente il mino
re, bensì «due soggetti maggiorenni» ed «ha come causa peten di la comune qualità di genitori e come petitum la determina
zione della misura del contributo che l'uno deve versare all'altro», sia pure per le esigenze di mantenimento del minore.
Né rileva, ai fini della prospettata violazione degli art. 3 e
30 Cost., la comparazione con la competenza unitaria prevista in materia per i figli legittimi, poiché diversa è la ratio — e
la situazione sottostante — delle due discipline così poste a raf
fronto.
Per i figli legittimi — il cui mantenimento fin quando esiste
la convivenza matrimoniale è regolato di comune accordo dai
genitori — l'intervento del giudice si rende infatti necessario
solo quando vengano a cessare (con la separazione) la convi
venza o (con il divorzio) il matrimonio dei genitori: per cui ap
punto è la stessa coincidenza del provvedere sul rapporto tra
coniugi e sull'affidamento e mantenimento dei figli che com
porta, in questo caso, l'identità del giudice.
Diversamente, con riguardo ai figli naturali — poiché i geni
tori, ove pur abbiano in precedenza convissuto, ben possono liberamente porre fine a tale convivenza — manca un processo necessariamente unitario che coinvolga il momento della sepa
razione, quello della sorte dei figli comuni e quello del regola mento dei rapporti patrimoniali sia tra loro che relativamente
al mantenimento della prole. E proprio il difetto della previsione legislativa di un processo
unitario comporta che ogni provvedimento eventualmente invo
cato debba essere richiesto al giudice competente: quale appun to è il tribunale ordinario con riguardo al procedimento conten
zioso «tra i genitori» per la revisione del contributo di manteni
mento in questione. Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara non fonda
ta la questione di legittimità costituzionale del combinato dispo sto degli art. 317 bis c.c. e 38 disp. att. c.c., sollevata, in riferi
mento agli art. 3 e 30 Cost., dal Tribunale dei minorenni di
Genova con l'ordinanza in epigrafe.
Il Foro Italiano — 1997.
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 28 febbraio 1996, n.
60 (Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 6 marzo 1996, n. 10); Pres. ed est. Ferri; Priebke; interv. Pres. cons, ministri. Ord.
G.i.p. Trib. mil. Roma 7 dicembre 1995 (G.U., la s.s., n.
52 del 1995).
Giudizio (rapporto tra ii giudizio civile o amministrativo e il
penale) e pregiudizialità penale — Processo penale militare — Costituzione di parte civile — Esclusione — Incostituzio
nalità (Cost., art. 3, 24; cod. pen. mil. pace, art. 270; 1. 11
marzo 1953 n. 87, norme sulla costituzione e sul fuzionamen
to della Corte costituzionale, art. 27).
È incostituzionale l'art. 270, 1° comma, c.p. mil. pace, che esclu
de la costituzione di parte civile nel processo penale militare. (1) È incostituzionale, in applicazione dell'art. 271. 11 marzo 1953
n. 87, l'art. 270, 2° comma, c.p. mil. pace, che dispone la
sospensione obbligatoria del giudizio civile fino all'esito di
quello penale militare. (2)
Diritto. — 1. - Il giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale militare di Roma ha sollevato questione di legitti mità costituzionale dell'art. 270, 1° comma, c.p. mil. pace in
riferimento agli art. 3 e 24 Cost.
Ad avviso del remittente la norma impugnata, secondo cui
«nei procedimenti di competenza del giudice militare, l'azione
civile per le restituzioni e per il risarcimento del danno non può essere proposta davanti ai tribunali militari», si pone in contrasto:
— con l'art. 3 Cost., in quanto il trattamento deteriore della
persona danneggiata dal reato nel processo penale militare, a
fronte dell'inesistenza di un analogo divieto nel processo penale
ordinario, risulta, nell'attuale contesto normativo, non fondato
sull'esigenza di tutela di specifici e preminenti interessi, e quin di privo di razionale giustificazione;
— con l'art. 24 Cost., poiché la denunciata preclusione è su
scettibile di comprimere illegittimamente il diritto del danneg
giato di agire in giudizio per la tutela delle proprie ragioni.
(1-2) La dichiarata illegittimità costituzionale dell'art. 270 c.p.mil.pa ce si colloca nel quadro si un ampio dibattito, non privo di toni accesi, circa i rapporti tra la disciplina del rito militare di pace (contenuta nel libro III del codice del 1941) e il 'nuovo' codice di procedura penale: all'indirizzo per cui gli art. 1 c.p.p. e 207 norme coord, c.p.p. avrebbe ro abrogato ogni norma non compatibile con il 'nuovo' codice, ivi com
prese quelle di cui al libro III del codice penale militare di pace (cfr. Cass. 22 marzo 1991, Pagliarini, Foro it., Rep. 1992, voce Libertà per sonale dell'imputato, n. 14, e Cass, pen., 1992, 1007, con nota adesiva di Molinam, Brevi note sui rapporti tra le norme di coordinamento del nuovo codice di procedura penale ed i procedimenti militari; non
ché, in dottrina, Brunelli-Mazzi, Diritto penale militare, Milano, 1994, 573 ss.; Di Molfetta, Nuovo codice di procedura penale e processo penale militare: prime riflessioni, in Camere penali, 1990, fase. 1, 15) si oppone la tesi secondo la quale l'art. 207 norme coord, sarebbe ini doneo a dispiegare i suoi effetti sul codice militare, e pertanto i rappor ti tra i due codici rimarrebbero regolati dal c.d. principio di comple mentarità di cui all'art. 261 c.p. mil. pace (cfr. Cass 2 giugno 1994, Marangi, Foro it., Rep. 1995, voce Tribunale militare, n. 11, e in dot trina Marzaduri, in Commento al nuovo codice di procedura penale coordinato da Chiavario, La normativa complementare, II, Norme di coordinamento e transitorie, Torino, 1992, sub art. 207, 16 ss.; Riccio, Premesse metodologiche e linee di indirizzo per l'applicazione e la ri
forma della legge processuale penale militare, in Rass. giust. mil., 1991, 616 ss.; Rivello, Il processo penale militare nell'impatto con il codice del 1988, in Giust. pen., 1990, III, 616 ss.). La perdurante vigenza del l'inammissibilità dell'azione civile riparatoria nel processo penale mili tare ex art. 270 c.p. mil. pace è stata ribadita da Cass., sez. un., 14 dicembre 1994, Trombetta, Foro it., Rep. 1995, voce Parte civile, n. 15 (in toto conforme a Cass., sez. un., 14 dicembre 1994, Michelon, ibid., n. 16; sulla decisione, cfr., in dottrina, anche per ulteriori rinvìi, Mazzi, Processo penale militare e «principi fondamentali» della proce dura penale: un intervento «destabilizzante» delle sezioni unite, in Cass.
pen., 1995, 1809 ss., e Rivello, No alla costituzione di parte civile nel processo penale militare, in Dir. pen. e proc., 1995, 834 ss.); l'o dierna pronuncia (a commento della quale, cfr. Rivello, Dichiarato
illegittimo dalla Corte costituzionale l'art. 270 c.p.mil.pace, che impe diva la costituzione di parte civile nel processo penale militare, in Cass.
pen., 1996, 1745 ss.) ha, tuttavia, formulato un giudizio di irragionevo lezza della norma, sottolineando ancora una volta come il principio di specialità del rito militare non vada inteso quale schermo idoneo a giustificare qualsiasi deviazione dal modello comune, ma debba ar monizzarsi con imprescindibili canoni di coerenza e razionalità del sistema.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
2. - Questa corte, dunque, è chiamata a decidere se, ai sensi
degli art. 3 e 24 Cost., possa ritenersi legittima l'attuale diversi
tà di disciplina tra processo penale militare e processo penale ordinario in ordine alla possibilità di esercitare l'azione civile
per le restituzioni ed il risarcimento del danno.
La persona danneggiata dal reato, infatti, ove il presunto re
sponsabile sia sottoposto a processo militare, non può in alcun
modo esercitare l'azione civile prima che quel processo sia defi
nito, né in sede penale — stante il divieto in esame — né in
sede civile, a causa della sospensione obbligatoria del giudizio civile fino all'esito del giudizio penale, disposta dal 2° comma
del medesimo art. 270.
Il termine di raffronto costituito dalla disciplina di diritto
comune esprime, invece, un principio del tutto opposto, in base
al quale il danneggiato dal reato può usufruire subito della scel
ta tra entrambe le vie, ciascuna delle quali consente l'esercizio
immediato del diritto di agire in giudizio per la tutela dei propri interessi.
È in questi termini, pertanto, che la questione va sostanzial
mente esaminata: e cioè in quanto investe il divieto di costitu
zione di parte civile nel processo penale militare, sotto il duplice
significato che tale divieto, nel sistema complessivamente deli
neato dal codice penale militare di pace, assume in raffronto
alle corrispondenti norme di diritto comune; da un lato, quindi, come regola di esclusione del diritto di agire immediatamente
in giudizio, dall'altro, come divieto di partecipare attivamente
all'accertamento dei fatti in sede penale (se non con i più limi
tati poteri riconosciuti alla persona offesa), con conseguente im
possibilità di avvalersi dei mezzi di prova propri di tale proce dimento.
Nella delineata differenza di disciplina i parametri costituzio
nali invocati assumono entrambi rilievo, e vanno, quindi, esa
minati congiuntamente. 3. - La questione è fondata.
Invero, la medesima questione di legittimità costituzionale del
l'art. 270 c.p. mil. pace è già stata sottoposta, in passato, all'e
same di questa corte (v. sent. n. 106 del 1977, Foro it., 1977,
I, 1603, e, in particolare, n. 78 del 1989, id., 1989, I, 1356) la quale, ritenendo che la legittimità della singola norma che
ammette od esclude l'esperibilità dell'azione civile nel giudizio
penale fosse da valutare «anche e soprattutto in relazione al
generale quadro dei rapporti tra le giurisdizioni delineato dal
legislatore ordinario» (cfr. cit. sent. n. 78 del 1989), era allora
pervenuta a decisioni di non fondatezza.
Sulla base del medesimo criterio, in riferimento al mutamen
to del quadro normativo a seguito dell'entrata in vigore del nuovo
codice di procedura penale, ed alla luce dei principi successiva
mente affermati dalla giurisprudenza di questa corte in tema
di armonizzazione fra diritto penale militare e diritto comune, si deve ora giungere a conclusioni diverse.
4. - Occorre innanzitutto riaffermare il principio in forza del
quale, con l'entrata in vigore della Costituzione repubblicana, viene superata radicalmente la logica istituzionalistica dell'ordi
namento militare, ricondotto nell'ambito del generale ordina
mento dello Stato, rispettoso e garante dei diritti sostanziali e
processuali di tutti i cittadini, militari oppure no, di guisa che
il diritto penale militare di pace, «non solo non può più ritener
si «avulso» dal sistema generale garantistico dello Stato, ma
non va più esaltato come posto a tutela di beni e valori di tale
particolare importanza da superare, nella gerarchia dei valori
garantiti, tutti gli altri» (v. sent. n. 278 del 1987, id., 1988,
I, 748). Da un lato, quindi, non può essere impedito, per principio,
alla giurisdizione ordinaria di assumere la cognizione di reati
militari allorché esistano preminenti ragioni d'interesse genera
le, dall'altro occorre di volta in volta stabilire se particolari esi
genze, beni o valori possano essere considerati preminenti, o
sottordinati, rispetto ad esigenze, beni o valori tutelati attraver
so la speciale giurisdizione dei tribunali militari di pace (sul punto, v. sent. n. 278 del 1987 e n. 78 del 1989).
In applicazione di tale principio, questa corte è intervenuta
più volte per armonizzare con i valori costituzionali, in relazio
ne al tertium comparationis costituito dalle disposizioni del di
ritto penale sostanziale e processuale comune, il processo pena le militare e le stesse sanzioni stabilite per alcune fattispecie di
reato (cfr. sent. n. 298 del 1995, id., 1996, I, 444; nonché n.
49 del 1995, ibid., 473; n. 429 del 1992, id., 1993, I, 1774;
Il Foro Italiano — 1997.
n. 469 del 1990, id., Rep. 1990, voce Contumacia penale, n.
5; n. 274 del 1990, ibid., voce Esecuzione penale, nn. 8-11; n.
503 del 1989, id., 1990, I, 14; n. 49 del 1989, id., 1989, I, 603). Ora, ai fini che qui interessano, occorre considerare che, se
da un lato la garanzia di poter agire in giudizio per la tutela
dei propri diritti ed interessi legittimi, sancita dall'art. 24 Cost., non eleva a regola costituzionale quella del simultaneus proces sus, dall'altro, l'intervento della parte civile nel processo penale trova giustificazione, oltre che nella necessità di tutelare un le
gittimo interesse della persona danneggiata dal reato, nell'unici
tà del fatto storico valutabile sotto il duplice profilo dell'illicei
tà penale e dell'illiceità civile (v. sent. n. 532 del 1995, id., 1995,
I, 1378), si deve rilevare, inoltre, che la salvaguardia della posi zione del danneggiato costituisce uno specifico obiettivo del nuo
vo codice di procedura penale, previsto dal legislatore nella leg
ge di delega 16 febbraio 1987 n. 81 (cfr. art. 2, direttive da
n. 20 a n. 28). Pertanto, la disposizione di cui al 1° comma dell'art. 270
c.p. mil. pace (la quale, giova ripetere, pone un divieto deroga torio del principio generale di diritto comune) potrebbe essere
ritenuta legittima solo ove si riconoscesse una ragionevole giu stificazione nella natura propria del procedimento militare, ov
vero nella tutela di interessi considerati preminenti (così come, ad esempio, avviene in ordine alla esclusione della parte civile
nel processo penale minorile, che ha una sua significativa moti
vazione nel tutelare «la personalità del minore dalle tensioni
che può sviluppare la presenza dell'accusa privata»: v. relazione
al progetto preliminare delle disposizioni sul processo penale
minorile). 5. - Come si è già detto, nel contesto delineato dal nuovo
codice di procedura penale (diversamente da quanto avveniva
nel codice previgente, cui è riferita la cit. sent. n. 78 del 1989), ed in coerenza con la recente giurisprudenza di questa corte, tale disparità di trattamento non può oggi ritenersi sorretta da
ragionevole ed adeguata giustificazione. Sono venute meno, infatti, le ragioni che sostenevano la tesi
(posta a base della cit. sent. n. 78 del 1989) secondo cui la
giurisdizione militare, istituita esclusivamente per la tutela della
disciplina e del servizio militare, non avrebbe né motivo né ca
pacità per l'apprezzamento di questioni di carattere patrimonia le, in quanto i tribunali militari si configurerebbero come «giu dici prevalentemente di fatto».
Sul punto questa corte ha già avuto occasione di affermare
che l'evoluzione complessiva dell'ordinamento giudiziario mili
tare di pace è diretta a perseguire l'equiparazione della magi strature militare a quella ordinaria; pertanto, essendo la condi
zione dei magistrati militari oggi del tutto assimilata, per stato
giuridico, garanzie di indipendenza ed articolazione di carriera, a quella dei magistrati ordinari (v. sent. n. 71 del 1995, id.,
1995, I, 1738), non è più possibile porre in dubbio l'idoneità del giudice militare — il quale nella sua attuale composizione
collegiale è formato da una maggioranza di magistrati di carrie
ra — a conoscere degli interessi civili nascenti da reato.
6. - In assenza, quindi, di speciali o preminenti ragioni che
giustifichino la disciplina in esame, l'attuale differenziazione, nel processo militare, delle modalità di esercizio del diritto di
azione e del diritto di difesa non può che ritenersi lesiva degli art. 3 e 24 Cost.
La citata decisione n. 78 del 1989 aveva affermato: «nessuna
limitazione, se non temporale, del diritto d'azione subisce il dan
neggiato da reato militare».
Ma, se detta «limitazione temporale» era coerente al sistema
sotto la vigenza del vecchio codice di procedura penale, il quale anche prevedeva, all'art. 24, la sospensione dell'azione civile
fino al definitivo accertamento dei fatti in sede penale, non è
più possibile ritenerla legittima ora che il termine di raffronto
è costituito dall'attuale codice di procedura penale, il cui art.
75, 2° comma, consente l'esercizio immediato dell'azione civile
nella sede propria, senza alcuna sospensione sino all'esito del
giudizio penale. Fin dalla sent. n. 55 del 1971 (id., 1971, I, 824), questa corte
ha riconosciuto come componente essenziale del diritto di dife
sa la disponibilità della prova dei fatti ritenuti idonei a far risul tare la fondatezza delle proprie ragioni.
In coerenza con tale principio, il legislatore ha mantenuto,
anche nel nuovo processo penale, la possibilità di esercitare l'a
zione civile in sede penale; rimettendo in tal modo allo stesso
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PARTE PRIMA
danneggiato la scelta sull'opportunità di avvalersi degli strumenti
di indagine e dei mezzi di acquisizione delle prove propri di
questo processo, ovvero di utilizzare, in sede civile, le presun zioni probatorie stabilite dalla legge in determinate materie. Non
solo, ma in conseguenza della radicale innovazione consistente
nello svolgimento autonomo dei due giudizi, prospettato come
regola (e quindi, nella eiiminazione della pregiudizialità neces
saria del procedimento penale rispetto a quello civile di danno), il legislatore ha ora reso possibile l'esercizio dell'azione civile,
immediatamente, sia nel giudizio penale che in quello civile.
7. - In conclusione, in raffronto a tali principi, che nel pro cesso penale ordinario consentono la più ampia tutela della per sona danneggiata dal reato, l'esclusione della parte civile dal
processo penale militare impedisce, senza alcun ragionevole mo
tivo, l'esercizio del diritto di agire in giudizio, non solo in quanto divieto di partecipare attivamente all'accertamento dei fatti in
sede penale, ma anche come impossibilità di iniziare immediata
mente l'azione per le restituzioni ed il risarcimento del danno.
Va, pertanto, dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art.
270, 1° comma, c.p. mil. pace. 8. - Ai sensi dell'art. 27 1. 11 marzo 1953 n. 87, poiché parte
della medesima regula iuris ora dichiarata illegittima è contenu
ta anche nel 2° comma del medesimo art. 270, il quale — di
sponendo la sospensione obbligatoria del giudizio civile fino al
l'esito di quello penale militare — impedisce anch'esso l'imme
diato esercizio dell'azione civile, e realizza la medesima
ingiustificata disparità di trattamento in raffronto alla corrispon dente disciplina vigente nel processo penale ordinario (v. cit.
art. 75, 2° comma), la dichiarazione d'illegittimità costituziona
le va estesa al 2° comma dello stesso art. 270.
9. - È appena il caso di sottolineare, infine, che, in virtù
del rinvio esplicitamente operato dall'art. 261 c.p. mil. pace alle
disposizioni del codice di procedura penale, la dichiarazione d'il
legittimità costituzionale della norma impugnata comporta l'au
tomatica applicazione nel processo penale militare delle corri
spondenti norme di diritto comune sulla partecipazione della
parte civile, e sui suoi diritti, nel giudizo penale, nonché sui
rapporti tra azione civile e azione penale. Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara l'illegitti
mità costituzionale dell'art. 270, 1° comma, c.p. mil. pace; di
chiara, ai sensi dell'art. 27 1. 11 marzo 1953, n. 87, l'illegittimi tà costituzionale dell'art. 270, 2° comma, c.p. mil. pace.
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 7 novembre 1994, n. 378 (Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 16 novembre 1994, n. 47); Pres. Casavola, Est. Santosuosso; Soc. Cleaning c.
Inps (Avv. Lironcurti); interv. Pres. cons, ministri (Avv. dello Stato Russo). Orci. Pret. Latina 12 febbraio 1993 (G.U., la s.s., n. 27 del 1993).
Previdenza e assistenza sociale — Nuovo sistema di classifica zione dei datori di lavoro — Disciplina transitoria — Man
canza di un termine ragionevole — Scelte discrezionali del
legislatore — Questione inammissibile di costituzionalità (Cost., art. 3, 41; 1. 9 marzo 1989 n. 88, ristrutturazione dell'Istituto
nazionale della previdenza sociale e dell'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, art. 49).
È inammissibile, investendo scelte discrezionali riservate al legis latore, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 49, 3° comma, I. 9 marzo 1989 n. 88, nella parte in cui, dopo aver indicato i criteri di classificazione dei datori di lavoro a tutti i fini previdenziali ed assistenziali, fa salvi gli inqua dramenti già in atto nei settori dell'industria, del commercio e dell'agricoltura al momento dell'entrata in vigore della leg ge stessa, in riferimento agli art. 3 e 41 Cost. (1)
(1) La sentenza si può leggere in Foro it., 1994, I, 3292, con nota di richiami di L. Carbone e R. Romboli; se ne riproduce la massima
Il Foro Italiano — 1997.
per pubblicare il contributo di Michele De Luca sul regime transitorio della classificazione previdenziale dei datori di lavoro (in ordine al qua le, cfr., da ultimo, Cass. 13 giugno 1996, n. 5419, e 20 maggio 1996, n. 4637, id., 1996, I, 2755, con nota di richiami).
* * *
Classificazione previdenziale dei datori di lavoro (regime transitorio): stato dell'arte dopo la manovra finanziaria per gli anni 1997-99.
1. - Il provvedimento collegato alla manovra finanziaria per gli anni 1997-1999 (1. 23 dicembre 1996 n. 662) — recante «Misure di razionaliz zazione della finanza pubblica» — si occupa (art. 1, comma 234, non
ché, in termini testuali identici, art. 2, comma 215), tra l'altro, del regi me transitorio in tema di «classificazione dei datori di lavoro a fini
previdenziali ed assistenziali» (art. 49, 3° comma, secondo periodo, 1. 9 marzo 1989 n. 88).
Ne stabilisce, infatti, la «cessazione dell'efficacia» — riferendola al l'intero regime transitorio (nel primo periodo) e, contestualmente, esclu dendone una parte di tale regime (nel terzo periodo) — con decorrenza dalla stessa data (1° gennaio 1997) di entrata in vigore del provvedi mento collegato (ai sensi dell'art. 3, comma 217, del provvedimento medesimo).
Invero la disposizione, che ci occupa (art. 1, comma 234, e 2, comma
215, 1. 662/96, cit.), non era prevista nell'originario disegno di legge governativo (A.C. 2372).
Né risulta introdotta, in via emendativa, all'esito della prima lettura da parte della camera dei deputati e dell'esame congiunto, in sede refe
rente, da parte delle commissioni bilancio e finanze del senato della
repubblica (A.S. 1704). È stato lo stesso governo, infatti, ad introdurre quella disposizione
nei maxiemendamenti, sui quali ha posto (ed ottenuto) la fiducia del senato (e, poi, l'approvazione definitiva da parte della camera).
Tuttavia, non risponde (come per altre disposizioni dello stesso colle
gato) alla sopravvenuta esigenza di ovviare al divieto di reiterazione dei decreti-legge decaduti, che è stato sostanzialmente imposto dalla Corte costituzionale (sent. n. 360 del 24 ottobre 1996, Foro it., 1996, I, 3269, con nota di R. Romboli, La reiterazione dei decreti legge decaduti: una dichiarazione di incostituzionalità con deroga per tutti i decreti in corso
(tranne uno)). La disposizione del collegato, di cui si discute, non reca infatti alcuna
norma di decreto-legge già decaduto. La disposizione stessa, tuttavia, ha un precedente. Questo però è previsto (non già in un decreto-legge decaduto, appun
to, ma) in un disegno di legge di iniziativa parlamentare, peraltro in avanzato stato di trattazione dinanzi alla commissione lavoro del sena to (A.S. 314 e, nella legislatura precedente, A.S. 1149, id., 1994, I, 3294).
La disposizione del collegato, tuttavia, si discosta da quel precedente. Ne risultano esiti deteriori sia sul piano della legittimità costituziona
le della disposizione medesima che su quello della tecnica legislativa e della fattibilità.
La situazione risulta, se possibile, ulteriormente deteriorata a seguito delle modifiche che, a tale disposizione, sono state apportate (dall'art. 27, 2° comma, d.l. 31 dicembre 1996 n. 669, che non risulta investito da correzioni successive).
2. - In principio, è la sentenza della Corte costituzionale (n. 378 del 7 novembre 1994, Foro it., 1994, I, 3292, con nota di richiami).
La Corte costituzionale muove, bensì, dal principio di diritto che le sezioni unite civili della Corte di cassazione (sent. 18 maggio 1994, n.
4837, ibid., 1682, con nota di richiami) — componendo il contrasto di giurisprudenza insorto nell'ambito della sezione lavoro della stessa corte — hanno enunciato nei termini testuali seguenti: «la disciplina transitoria (di cui all'art. 49, 3° comma, secondo periodo, 1. n. 88 del
1989) va interpretata nel senso che "restano validi" tutti gli inquadra menti dei datori di lavoro nei settori industria, commercio ed agricoltu ra disposti in conformità alla normativa ed ai criteri previgenti, prima del 28 marzo 1989 (data di entrata in vigore della 1. 88/89), qualunque ne sia la fonte ed ancorché il provvedimento (di inquadramento), relati vo al periodo anteriore alla predetta data, sia intervenuto successi vamente».
Pur muovendo da tale principio di diritto (considerato, appunto, di ritto vivente), la Corte costituzionale, tuttavia, perviene alla conclusio ne che la prevista ultrattività degli inquadramenti in atto (al 28 marzo
1989) non potrebbe essere procrastinata illimitatamente, senza che ne derivino conseguenze sul piano della illegittimità costituzionale.
Il regime transitorio, infatti, risulta pienamente giustificato, ad avvi so della corte, in quanto «l'applicazione, contestuale ed indiscriminata, del nuovo sistema classificatorio nei confronti di tutte le imprese —
anche di quelle con posizioni previdenziali da tempo acquisite — avreb be potuto avere (. . .) un notevole impatto giuridico, economico ed or ganizzativo per i datori di lavoro, per i dipendenti e per gli istituti pre videnziali nonché per l'eventuale aumento del contenzioso».
È mancata, tuttavia, la contestuale previsione di un «termine ragio nevole per il superamento del regime transitorio», ad avviso della stessa
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