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sentenza 28 luglio 1983, n. 247 (Gazzetta ufficiale 3 agosto 1983, n. 212); Pres. Elia, Rel....

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sentenza 28 luglio 1983, n. 247 (Gazzetta ufficiale 3 agosto 1983, n. 212); Pres. Elia, Rel. Paladin; Tucci. Ord. Trib. Ravenna 3 novembre 1981 (Gazz. uff. 14 aprile 1982, n. 102) Source: Il Foro Italiano, Vol. 107, No. 2 (FEBBRAIO 1984), pp. 379/380-383/384 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23175546 . Accessed: 28/06/2014 09:25 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 91.220.202.66 on Sat, 28 Jun 2014 09:25:12 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sentenza 28 luglio 1983, n. 247 (Gazzetta ufficiale 3 agosto 1983, n. 212); Pres. Elia, Rel.Paladin; Tucci. Ord. Trib. Ravenna 3 novembre 1981 (Gazz. uff. 14 aprile 1982, n. 102)Source: Il Foro Italiano, Vol. 107, No. 2 (FEBBRAIO 1984), pp. 379/380-383/384Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23175546 .

Accessed: 28/06/2014 09:25

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PARTE PRIMA

analisi impone che sia dato avviso alla parte onde consentirne la

presenza con l'eventuale assistenza di un consulente tecnico. Circoscritta in tal modo la questione di legittimità costituzio

nale dell'art. 15, 7° comma, 1. 10 maggio 1976 n. 319 iti riferimento all'art. 24, 2° comma, Cost., essa va dichiarata fondata e di conseguenza resta assorbita la censura di incostituzionalità mossa dal Pretore di Chieri in riferimento all'art. 3 Cost.

Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 15, 7° comma, 1. 10 maggio 1976 n. 319

(norme per la tutela delle acque dall'inquinamento) come sostitui to dall'art. 18 1. 24 dicembre 1979 n. 650, nella parte in cui non

prevede che il laboratorio provinciale di igiene e profilassi dia

avviso al titolare dello scarico affinché possa presenziare, even

tualmente con l'assistenza di un consulente tecnico, all'esecuzione delle analisi.

I

CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 28 luglio 1983, n. 247

(Gazzetta ufficiale 3 agosto 1983, n. 212); Pres. Elia, Rei.

Paladin; Tucci. Ord. Trib. Ravenna 3 novembre 1981 {Gazz. uff. 14 aprile 1982, n. 102).

Tributi in genere — Reati in materia di imposte sul reddito —

Accertamento divenuto definitivo per effetto della pronuncia di

commissione tributaria — Vincolatività per il giudice penale —

Questioni fondata e inammissibile di costituzionalità (Cost., art. 24, 27; d.p.r. 29 settembre 1973 n. 600, disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi, art. 42, 56, 61; d.p.r. 26 ottobre 1972 n. 636, revisione della disciplina del contenzioso tributario, art. 16, 19; d.l. 10 luglio 1982 n. 429

norme per la repressione della evasione in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, e per agevolare la definizione delle pendenze in materia tributaria, art. 13).

È illegittimo, per violazione dell'art. 24, 2° comma, Cost., l'art.

56, ult. comma, d.p.r. 29 settembre 1973 n. 600, nella parte in cui comporta che l'accertamento dell'imposta divenuto definiti vo in conseguenza della decisione di una commissione tributa ria vincoli il giudice penale, nella cognizione dei reati previsti in materia di imposte sui redditi, contestati a chi sia rimasto estraneo al giudizio tributario, perchè non posto in condizione di intervenirvi o di parteciparvi (nella motivazione si dà atto che l'art. 56, ult. comma, cit., è stato abrogato — ma con

effetto dal 1° gennaio 1983 — dall'art. 13 d.l. 429/82). (1) Sono inammissibili per difetto di rilevanza le questioni di legittimi

tà costituzionale degli art. 42 e 61 d.p.r. 29 settembre 1973 n.

600, 16 e 19 d.p.r. 26 ottobre 1972 n. 636, in riferimento agli art. 24, 2° comma, e 27 Cost. (2)

(1-4) Le tre decisioni (e ord. 1° febbraio 1983, n. 25, Giur. costit., 1983, I, 83, la quale ha dichiarato l'inammissibilità, per difetto di motivazione sulla rilevanza nel giudizio a quo, della questione di legittimità costituzionale degli art. 42 e 61 d.p.r. 600/73 nella parte in cui non prevedono né la notificazione dell'avviso di accertamento né la facoltà del ricorso avverso di esso a favore di soggetti diversi dal contribuente assoggettati ex art. 56 d.p.r. 600/73 a sanzioni penali, in riferimento all'art. 24 Cost.) ribadiscono e sviluppano i principi enunciati dalle due importanti sentenze della corte 12 maggio 1982, nn. 88 e 89, Foro it., 1982, I, 2737, con nota di richiami e nota di Spinzo, La pregiudizialità tributaria tra « volon tà » del legislatore, diritto penale giurisprudenziale e decisioni della Corte costituzionale.

In particolare l'ordinanza n. 234/82 ribadisce puramente e sempli cemente il principio enunciato da Corte cost. 89/82 con riferimento agli art. 50 e 58 d.p.r. 633/72.

La sentenza n. 247/83 estende invece i principi già affermati da Corte cost. 88/82 con riferimento alla vincolatività in sede penale degli accertamenti amministrativi avvenuti in sede tributaria; mentre, infatti, Corte cost. 88/82, con riferimento agli art. 21, ult. comma, e 60 1. 4/29, aveva con sentenza di accoglimento escluso l'efficacia vincolante nel giudizio penale dell'accertamento tributario verificatosi in sede amministrativa, lasciando impregiudicato il diverso problema dell'autorità spettante agli accertamenti divenuti definitivi per effetto di un provvedimento giurisdizionale (su cui v. i rilievi di M. Nobili, Prime osservazioni sul nuovo processo penale tributario, in Foro it., 1982, V, 253, 263), la sentenza n. 247/83, in epigrafe, si pronuncia espressamente su tale problema: e lo risolve nel senso che le decisioni dei giudici tributari non sono vincolanti per il giudice penale nella cognizione dei reati previsti in materia di imposte sui redditi ove l'imputato sia rimasto estraneo al giudizio tributario perché non posto in condizione di intervenirvi o parteciparvi. La sentenza è in linea con le precedenti decisioni — tutte richiamate in

II

CORTE COSTITUZIONALE; ordinanza 29 marzo 1983, n. 78

(Gazzetta ufficiale 6 aprile 1983, n. 94); Pres. Elia, Rei.

Paladin; Saragoni Valdis. Ord. Trib. Forlì 11 novembre 1980

(Gazz. uff. 11 marzo 1981, n. 80).

Tributi in genere — Reati in materia di imposte sul reddito —

Accertamento definitivo dell'imposta vincolante per il giudice penale — Questione inammissibile di costituzionalità (Cost., art.

24; d.p.r. 29 settembre 1973 n. 600, art. 56).

È inammissibile, per difetto di motivazione sulla rilevanza nel

giudizio a quo, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 56 d.p.r. 29 settembre 1973 n. 600 nella parte in cui non

garantisce all'imputato fallito la possibilità di esercitare il diritto di difesa nel procedimento in cui avviene la formazione di prove a suo carico utilizzabili e rilevanti nel corso del

procedimento penale, in riferimento all'art. 24 Cost. (3)

III

CORTE COSTITUZIONALE; ordinanza 22 dicembre 1982, n.

234 (Gazzetta ufficiale 29 dicembre 1982, n. 357); Pres. Elia, Rei. Reale; Piras e Pilo. Ord. Trib. Sassari 20 gennaio e 20

aprile 1982 (Gazz. uff. 1° e 29 settembre 1982, nn. 241 e 269).

Valore aggiunto (imposta sul) — Falsa fatturazione e annotazione

sui registri i.v.a. — Pregiudizialità dell'accertamento definitivo

dell'imposta all'azione penale — Questione di costituzionalità — Manifesta infondatezza (Cost., art. 3, 112; d.p.r. 26 ottobre

1972 n. 633, istituzione e disciplina dell'imposta sul valore ag

giunto, art. 50, 58; d.l. 10 luglio 1982 n. 429, art. 13).

È manifestamente infondata la questione di legittimità costituzio

nale dell'art. 50, 4° comma, in relazione all'art. 58, ult. comma,

d.p.r. 26 ottobre 1972 n. 633 in quanto la questione è stata già dichiarata fondata dalla sentenza 12 maggio 1982, n. 89 della

stessa corte (e, come si rileva in motivazione, le disposizioni rimesse alla corte erano state abrogate dal d.l. 429/82 con

decorrenza però dal 1° gennaio 1983). (4)

motivazione — con cui la corte aveva dichiarato l'illegittimità costituzionale: 1) dell'art. 28 c.p.p. nella parte in cui disponeva che

nel giudizio civile o amministrativo l'accertamento dei fatti materiali che furono oggetto di un giudizio penale fosse vincolante anche nei

confronti di coloro che erano rimasti ad esso estranei perché non

posti in condizioni di intervenirvi {Corte cost. 22 marzo 1971, n. 55,

id., 1971, I, 824); 2) dell'art. 27 c.p.p., nella parte in cui disponeva che nel giudizio civile o amministrativo la pronuncia del giudice

penale avesse autorità di cosa giudicata, quanto alla sussistenza del

fatto, alla sua illiceità e alla responsabilità del condannato o di colui al quale sia stato concesso il perdono giudiziale, anche nei confronti del responsabile civile rimasto estraneo al giudizio penale perché non

posto in condizioni di parteciparvi (Corte cost. 27 giugno 1973, n.

99, id., 1973, I, 2009); 3) degli art. 10 e 11 d.p.r. 30 giugno 1965 n.

1124, nella parte in cui precludevano l'esercizio in sede civile del diritto di regresso delH.n.a.i.l. nei confronti del datore di lavoro

qualora il processo penale a carico di costui e del dipendente del cui fatto egli debba rispondere si sia concluso con sentenza di assoluzio

ne, malgrado l'istituto non fosse stato posto in grado di parteciparvi (Corte cost. 19 giugno 1981, n. 102, id., 1981, T, 2639, con nota di richiami).

La questione di illegittimità costituzionale accolta da Corte cost. 247/83 era stata dichiarata inammissibile per difetto di motivazione sulla rilevanza dalla ordinanza n. 78/83 (che pure si riporta a testimonianza del difettoso funzionamento della segreteria di palazzo della Consulta) oltre che dall'ord. 25/83, cit.

Successivamente alla pubblicazione delle sentenze nn. 88 e 89 del 1982, ma prima della deliberazione delle decisioni in epigrafe, è

sopravvenuto il d.l. 10 luglio 1982 n. 429, conv. in 1. 7 agosto 1982 n. 516, il quale ha espressamente abrogato, per quanto concerne le questioni esaminate dalle decisioni in epigrafe, gli art. 50 e 58, ult. comma, d.p.r. 633/72, e 56, ult. comma, d.p.r. 600/73, sancendo inoltre esplicitamente che « l'azione penale ha corso anche in pen denza dell'accertamento d'imposta, a far data dal 1° gennaio 1983 » (sui problemi interpretativi, anche di legittimità costituzionale, susci tati da quest'ultima disposizione, v. Nobili, op. cit., 268 ss.).

Da ultimo, per ulteriori indicazioni, cfr. M. Nobili, La normativa processuale penale tributaria dopo le riforme del 1982, in Giur. comm., 1983, 639, in cui sono ampiamente rivedute le cit. osserva zioni « a prima lettura » pubblicate in Foro it., in base ai provvedi menti normativi approvati nel periodo successivo: d.l. n. 688/82 (in Le leggi, 1982, 1702), conv. in 1. 873/82 (ibid., 1988; testo coordinato ibid., 1989); d.l. n. 916/82 (ibid., 2098; entrato in vigore il 15 dicembre), conv. in 1. 27/83 (id., 1983, 167; testo coordinato ibid., 183; entrata in vigore il 15 febbraio); d.p.r. n. 43/83 (ibid., 244; entrato in vigore il 22 febbraio).

Si segnalano taluni contributi dottrinari intervenuti nel frattempo: relazioni presentate al convegno (AREL) su « Prospettive e problemi

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

I

Diritto. — 1. - Questa corte, con la sentenza n. 88 del 1982

{Foro it., 1982, I, 2737), ha dichiarato l'illegittimità costituzionale

degli art. 60 e 21, 3° comma, 1. 7 gennaio 1929 n. 4, «nella parte in cui prevedono che l'accertamento dell'imposta e della relativa

sovrimposta, divenuto definitivo in via amministrativa, faccia

stato nei procedimenti penali per la cognizione dei reati preveduti dalle leggi tributarie in materia di imposte dirette ». Ma tale

decisione non consente di considerare già risolto, neppure in

modo implicito, il caso che ora è in questione, nel senso che le

norme denunziate non si prestino più a determinare le conse

guenze ipotizzate e censurate dal giudice a quo {secondo la

motivazione dell'ordinanza n. 25 di quest'anno). Effettivamente, la corte ha avuto cura di precisare più volte,

non solo nel dispositivo ma nella motivazione della citata senten

za, che la pronuncia aveva esclusivo riguardo agli atti ammini

strativi dotati di efficacia vincolante per il giudice penale, impre

giudicato restando il diverso problema dell'autorità spettante agli accertamenti divenuti definitivi per effetto di un provvedimento

giurisdizionale. Ora, nel giudizio pendente dinanzi al Tribunale di

Ravenna, il giudice penale risulta vincolato dalla decisione di una

commissione tributaria; sicché la presente questione non può essere confusa con quella esaminata dalla sentenza n. 88 del

1982, ma richiede di venire affrontata nel merito.

2. - A tal fine, l'indagine va concentrata sull'art. 56, ult. com

ma, d.p.r. 29 settembre 1973 n. 600 (« disposizioni comuni in

materia di accertamento delle imposte sui redditi »), nella parte in cui si stabilisce che « l'azione penale per i reati di cui ai

comma precedenti non può essere iniziata o preseguita prima che

l'accertamento dell'imposta sia divenuto definitivo ». è questa, infatti, fra le molte norme impugnate dal Tribunale di Ravenna, la sola che abbia tuttora una diretta rilevanza nel giudizio a quo — pur dopo l'abrogazione disposta, ma con effetto dal 1° gennaio 1983, mediante l'art. 13 d.l. n. 429 del 1982, convertito nella 1. n.

516 del medesimo anno — in quanto interpretata ed applicata nel

senso che l'accertamento divenuto definitivo per effetto della

pronuncia di una commissione tributaria abbia autorità di cosa

giudicata e dunque faccia stato nel conseguente giudizio penale. Ed è su tale norma che in sostanza si appuntano le censure

dell'ordinanza di rimessione, là dove essa coinvolge anche casi in

cui l'imputato sia rimasto estraneo, perchè impossibilitato a

parteciparvi, al giudizio tributario in seguito al quale l'imposta dovuta sia stata definitivamente accertata: come appunto si è

verificato nella specie, dal momento che l'art. 43 1. fall., privando il fallito della legittimazione processuale nelle controversie relati

ve a rapporti di diritto patrimoniale, determina per esso l'impos sibilità giuridica di agire e difendersi dinanzi alle commissioni

tributarie, pur quando vengano in considerazione illeciti penali inerenti all'evasione delle imposte sui redditi.

Cosi circoscritta, la questione è fondata. Ad esigere l'annulla

mento della norma denunciata, valgono ragioni analoghe a quelle che hanno già indotto la corte a temperare — per mezzo di varie

decisioni — il rigore della cosiddetta unità della giurisdizione o

del necessario coordinamento fra giurisdizioni diverse: nel cui

nome si rendevano vincolanti vari tipi di accertamenti giurisdi

zionali, nei confronti di terzi che pur s'erano trovati nell'impos sibilità di intervenire o di assumere veste di parte nei relativi

giudizi. Effettivamente, con la sentenza n. 55 del 1971 (id., 1971.

I, 824), la corte ha ritenuto che sotto questo aspetto l'art. 28

c.p.p. (sull'autorità del giudicato penale in altri giudizi civili o

amministrativi) fosse incompatibile con la garanzia costituzionale

del diritto di difesa. Nel medesimo senso ed entro analoghi limiti, la sentenza n. 99 del 1973 (id., 1973, I, 2009) ha poi dichiarato

costituzionalmente illegittimo l'art. 27 c.p.p. (sull'autorità del giu dicato penale nel giudizio di danno). Più di recente, la sentenza

n. 102 del 1981 (id., 1981, I, 2639) ha nuovamente affermato « che la subordinazione, anche per i terzi rimasti estranei, dell'e

sercizio dei diritti civilistici all'accertamento che ne sia risultato

in sede penale, viene a violare non soltanto il diritto di difesa

ma anche il diritto di azione, inibendo la possibilità di dare la

della nuova legislazione tributaria » (Brescia, 6-8 dicembre 1982) e al

convegno (IPSOA) dal titolo « 1° gennaio 1983: manette agli evasori »

(Milano, 28-29 gennaio 1983); commenti al d.l. 429/82 di C. F. Gros so Giarda, in Legislazione penale, 1983, 19; nonché A. Di Amato, Ma

nette agli evasori, Roma, 1982; G. Giuliani, Violazioni e sanzioni

delle leggi tributarie, Milano, 1983, II; G. Tabet, La pregiudiziale tributaria tra razionalizzazione ed abrogazione, in Giur. costit., 1982,

I, 1805 s.; A. Traversi, I nuovi reati tributari, Milano, 1982 e

alcuni « rapidi » interventi pubblicati, nel periodo, da « Il Sole - 24

ore » e dal « Corriere tributario ». Una sintesi (coordinata da P. M.

Corso e A. Lanzi), a commento della nuova legislazione, in Corriere

tributario, 1983, fascicolo 13°, allegato.

prova dei fatti posti a fondamento del proprio diritto »; e quindi

ha annullato una serie di norme del d.p.r. n. 1124 del 1965, in

tema di diritto di regresso dell'I.n.a.i.l. e di giudizio civile di

danno a carico del datore di lavoro.

Dato il principio del libero convincimento del giudice penale,

conclusioni del genere si impongono a fortiori quando si tratti di

decisioni di altri tipi di giudici, destinate a far comunque stato in

procedimenti come quello pendente dinanzi al Tribunale di Ra

venna. Deve, pertanto, considerarsi in contrasto con 'l'art. 24,

cpv., Cost, la previsione per cui l'accertamento dell'imposta,

divenuto definitivo in conseguenza della decisione di una commis

sione tributaria, vincola agli stessi effetti penali chi sia rimasto

estraneo a quel giudizio, perché non posto in condizione di

intervenirvi o di parteciparvi. E resta dunque assorbita l'ulteriore

censura, proposta dal giudice a quo in riferimento all'art. 27

Cost.

3. - Quanto, invece, alle impugnative degli art. 42 e 61 d.p.r. n.

600 del 1973, 16 e 19 d.p.r. n. 636 del 1972, esse vanno

dichiarate inammissibili per difetto di rilevanza.

L'art. 42 del decreto n. 600 concerne gli avvisi mediante i quali

l'amministrazione finanziaria porta a conoscenza dei contribuenti

gli accertamenti in rettifica e gli accertamenti di ufficio; l'art. 61

del decreto medesimo regola i ricorsi « contro gli atti di accerta

mento e di irrogazione delle sanzioni secondo le disposizioni

relative al contenzioso tributario di cui al d.p.r. 26 ottobre 1972

n. 636 »; gli art. 16 e 19 del decreto n. 636 disciplinano, a loro

volta, il termine per ricorrere, la fissazione dell'udienza e le

memorie difensive, nei procedimenti dinanzi alle commissioni

tributarie di primo grado. Nessuna di queste norme potrebbe

essere dunque applicabile in sede penale, neppure in seguito alle

richieste pronunce di accoglimento. Per questi motivi, la Corte costituzionale 1) dichiara l'illegitti

mità costituzionale dell'art. 56, ult. comma, d.p.r. 29 settembre

1973 n. 600, nella .parte in cui comporta che l'accertamento

dell'imposta divenuto difinitivo in conseguenza della decisione di

una commissione tributaria vincoli il giudice penale, nella cogni

zione dei reati previsti in materia di imposte sui redditi, contesta

ti a chi sia rimasto estraneo al giudizio tributario, perché non

posto in condizioni di intervenirvi o di parteciparvi; 2) dichiara

inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli art. 42

e 61 d.p.r. 29 settembre 1973 n. 600, 16 e 19 d.p.r. 26 ottobre

1972 n. 636, in riferimento agli art. 24, 2° comma, e 27 Cost.,

sollevate dal Tribunale di Ravenna con l'ordinanza indicata in

epigrafe.

II

Ritenuto che il Tribunale di Forlì, con ordinanza datata 11

novembre 1980, ha sollevato questione di legittimità costituziona

le dell'art. 56 d.p.r. 29 settembre 1973 n. 600 (« disposizioni

comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi ») in

riferimento all'art. 24 Cost.: lamentando che all'imputato fallito

non sarebbe garantita « la possibilità di esercitare ... il diritto di

difesa in una fase del procedimento in cui avviene la formazione

di prove a suo carico, utilizzabili e rilevanti nel corso del

procedimento penale »; e che nel giudizio nessuno si è costituito, né ha spiegato

intervento il presidente del consiglio dei ministri.

Considerato che il giudice a quo non motiva sulla rilevanza

della proposta impugnativa, non indica di quali violazioni l'impu

tato fosse chiamato a rispondere e nemmeno specifica in qual

parte la complessa disciplina dettata dall'art. 56 d.p.r. 29 settem

bre 1973 n. 600, possa ritenersi lesiva dell'art. 24 Cost.

Visti gli art. 26, 2° comma, 1. 11 marzo 1953 n. 87 e 9 delle

norme integrative per i giudizi davanti alla corte.

Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara la manifesta

inammissibilità della questione di legittimità costituzionale del

l'art. 56 d.p.r. 29 settembre 1973 n. 600, in riferimento all'art. 24

Cost., sollevata dal Tribunale di Forlì con l'ordinanza indicata in

epigrafe.

Ili

Ritenuto che, con le due ordinanze di cui in epigrafe, il

Tribunale di Sassari solleva questione incidentale di legittimità costituzionale dell'art. 50, 4° comma, in relazione all'art. 58, ult.

comma, djp.r. 26 ottobre 1972 n. 633, nella parte in cui, in forza

del combinato disposto delle norme suddette, occorrerebbe la

previa definizione del procedimento tributario onde procedere

penalmente anche in relazione al reato configurato nel 4° comma

del citato art. 50, per contrasto con gli art. 3 e 112 Cost.;

considerato che le questioni proposte sono identiche, sicché i

relativi giudizi possono essere riuniti e definiti con unica ordi

nanza;

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PARTE PRIMA

che l'art. 13 d.l. 10 luglio 1982, convertito nella 1. 7 agosto 1982

n. 516, che ha abrogato l'art. 50 e l'ult. comma dell'art. 58 d.p.r. n. 633 del 1972, avrà effetto solo a far tempo dal 1° gennaio 1983.

Considerato che la corte ha già esaminato l'unica questione

riproposta nelle due ricordate ordinanze, riconoscendone la fonda

tezza con la sentenza n. 89 del 1982 (Foro it., 1982, I, 2737). Visti gli art. 26, 2" comma, 1. 11 marzo 1953 n. 87 e 9, 2°

comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte

costituzionale.

Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara la manifesta

infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art.

50, 4° comma, in relazione all'art. 58, ult. comma, d.p.r. 26

ottobre 1972 n. 633, sollevata dal Tribunale di Sassari con le

ordinanze di cui in epigrafe, siccome già riconosciuta fondata con

la sentenza n. 89 del 1982.

CORTE DI CASSAZIONE; Sezioni unite civili; sentenza 16

febbraio 1984, n. 1148; Pres. Mazzacane, Est. Panzarani, P. M.

Corasaniti {conci, conf.); Azienda municipalizzata acquedotto di Napoli (Aw. Gleijeses) c. Albarano (Avv. Parlato). Con

ferma Trib. Napoli 22 gennaio 1979.

CORTE DI CASSAZIONE;

Lavoro e previdenza (controversie in materia di) — Crediti di

lavoro — Pagamento in sede stragiudiziale — Mancato rico

noscimento della rivalutazione monetaria — Domanda in se

parato giudizio — Ammissibilità (Cod. proc. civ., art. 429).

Il lavoratore che abbia conseguito in via stragiudiziale la corre

sponsione di somme di denaro per crediti di lavoro può chiedere ed ottenere in giudizio la condanna del datore di

lavoro al pagamento del maggior danno da svalutazione mone

taria su quelle somme. (1)

<1) Le sezioni unite compongono il contrasto delineatosi nell'ambi to della sezione lavoro a proposito dell'autonoma azionabilità del maggior danno da svalutazione monetaria ex art. 429, 3° comma, c.p.c. (per la soluzione affermativa: Cass. 3 ottobre 1979, n. 5057, Foro it., Rep. 1979, voce Lavoro e previdenza (controversie), n. 250; 10 maggio 1980, n. 3090, id., 1980, I, 1606, con osservazioni critiche di C. iM. Barone, riportata pure con nota favorevole di A. Di Maio, in Giur. it., 1980, I, 1, 1133; 2 settembre 1980, n. 5067, Foro it., Rep. 1980, voce cit., n. 221; per la tesi opposta: Cass. 3 ottobre 1980, n. 6305, id., 1981, 1, 29, con osservazioni di C. M. Barone; 10 aprile 1981, n. 2103, id., Rep. 1981, voce cit., n. 260, e in Giust. civ., 1981, I, 1239, con nota di Pera; 13 aprile 1981, n. 2202, Foro it., 1981, I, 1926, con nota di richiami; 13 aprile 1981, n. 2207, id., Rep. 1981, voce cit., n. 261; 21 maggio 1982, n. 3128, 11 dicembre 1982, n. 6786, id., Rep. 1982, voce cit., nn. 291, 290 e 19 gennaio 1983, n. 500, id., Mass., 103), ritenendo che l'indirizzo oggi abbando nato « il quale configura la rivalutazione come un diritto non già autonomo ma avente la sua fonte esclusiva nel processo, si avvale soltanto di un argomento d'interpretazione letterale della norma e si basa su una conseguente prospettazione, per cosi dire, panprocessua listica di quello strumento di difesa del credito di lavoro che è la rivalutazione monetaria, tesi che si rivela non conforme alla natura e alla specifica finalità dell'istituto ».

Ma, pur riservando ad altra sede ogni considerazione sulla validità dell'orientamento propugnato dalle sezioni unite, è fin d'ora opportu no precisare che la giustificazione della tendenza da queste ultime disattesa (inaugurata da Cass. n. 6305 del 1980, dovuta allo stesso estensore della precedente divergente sent. n. 3090 del 1980) non coin cideva e non coincide con quella prospettata dalla riportata sen tenza, rilevandosi, fra l'altro, nella motivazione della citata Cass. n. 6305 del 1980, ripresa in molte delle pronunzie successive, che « ipo tizzare razionabilità della pretesa alla rivalutazione in autonomo giudizio separatamente da quella alla soddisfazione del credito di la voro, conduce fra l'altro a negare l'indissolubile nesso che lega la prima alla seconda: risultato attingibile solo attraverso un'operazione interpretativa che indebitamente privilegia l'aspetto

' sostanziale ' del

l'art. 429, 3° comma, con cui, invece, il legislatore del 1973 ha inteso far opera di normazione processuale e sostanziale ad un tempo, con ferendo significato e consistenza positiva alla emersione per via giu diziale dell'interesse del lavoratore a non subire danno « per la dimi nuzione di valore del suo credito ».

È poi del pari opportuno rilevare che le enunciazioni di Cass. 8 febbraio 1975, n. 495, id., 1975, I, 279, non contenente peraltro la equiparazione dei crediti di lavoro a quelli di valore, sono ancora attuali, se è vero che anche di recente le sezioni unite, chiamate a pronunciarsi, dopo Corte cost. 21 luglio 1981, n. 139, id., 1981, I, 2348, con osservazioni di G. Pezzano, sull'applicabilità dell'art. 429, 3° comma, nelle procedure concorsuali, riprendono con la sent. 15 marzo 1982, n. 1670, id., 1982, I, 975, con nota redazionale di G. Pezzano, la direttiva di fondo della menzionata pronuncia del 1975, confermando che la norma de qua « risolve il problema della risarcibilità del danno da svalutazione monetaria nel senso di attri

Motivi della decisione. — Con il primo motivo la ricorrente, denunziando violazione di legge in base agli art. 360 e 429 c.p.c., deduce che il tribunale avrebbe dovuto accogliere il proprio

appello in relazione all'avvenuta condanna al pagamento del

maggior danno da svalutazione monetaria che poteva essere

pronunciata con riferimento solo all'importo residuo dell'indennità

di fine rapporto e non alle somme già corrisposte. Il motivo è infondato.

I) La questione della separata azionabilità oppur no da parte del lavoratore della pretesa di ottenere dal datore di lavoro — in

relazione a quanto disposto dall'art. 429, 3° comma, c.p.c. sub art.

I 1. 11 agosto 1973 n. 533 — la rivalutazione del proprio credito, che sia stato già in precedenza soddisfatto nel suo importo

originario, ha formato oggetto di contrastanti decisioni nell'ambito

della sezione lavoro della corte ed è tale situazione che ha

pertanto determinato l'assegnazione del presente ricorso a queste sezioni unite.

Le sentenze che si sono espresse nel senso della deducibilità in

autonomo giudizio della richiesta di rivalutazione monetaria (cfr., in ispecie, quelle 24 aprile 1979, n. 2368, Foro it'., Rep. 1979, voce Lavoro e previdenza (controversie), nn. 284, 308; 3 ottobre

1979, n. 5057, ibid., n. 250; 10 maggio 1980, n. 3090, id., 1980, I,

1606, e 2 settembre 1980, n. 5067, id., Rep. 1980, voce cit., n.

221) hanno, sia pur con enunciazioni in parte differenziate, rilevato in particolare: il carattere sostanziale della surrichiamata

disposizione dell'art. 429, 3° comma, c.p.c.; la necessità di tener

conto dell'ipotesi di un adempimento stragiudiziale del datore di

lavoro avente ad oggetto il solo credito originario e non anche la

rivalutazione; la non assimilabilità della pretesa di rivalutazione

monetaria a quella prevista dall'art. 96 c.p.c. concernente il

risarcimento del danno per lite temeraria determinabile esclusi

vamente dal giudice del relativo processo; la natura dell'obbligo del datore di lavoro di pagare il maggior danno conseguente alla

svalutazione monetaria ricollegabile al solo fatto obiettivo del

ritardo, con assoluta irrilevanza di ogni questione in ordine

all'esistenza oppur no in lui degli estremi di un comportamento

colpevole; la possibilità di richiamare in tale materia i principi

giuridici in tema di adempimento parziale (art.,-1181, 1193 c.c.). Le decisioni che, all'opposto, hanno negato la distinta azionabi

lità della pretesa di rivalutazione monetaria (ofr. quelle 3 ottobre

1978, n. 4388, id., Rep. 1978, voce cit., n. 207; 10 marzo 1979, n.

1523, id., Rep. 1979, voce cit., n. 287; 10 aprile 1981, n. 2103, id.,

Rep. 1981, voce cit., n. 260; 13 aprile 1981, n. 2202, id., 1981, I,

1926; 21 maggio 1982, n. 3128, id., Rep. 1982, voce cit., n. 29.1 ; II dicembre 1982, n. 6786, ibid., n. 290, e 19 gennaio 1983, n.

500, id., Mass., 103) hanno invece considerato che la formulazio

ne della suddetta disposizione è strutturata in modo tale da

configurare la rivalutazione come un diritto, non già autonomo, ma avente la sua fonte esclusiva nel processo promosso per la

soddisfazione del credito originario, per cui solo in tale processo la relativa pretesa potrebbe trovare ingresso.

Ritiene il collegio come le ragioni che sostengono il primo

gruppo di decisioni della sezione lavoro siano assai più convin centi rispetto alla tesi fatta propria dal secondo indirizzo il quale, al postutto, si avvale soltanto di un argomento d'interpretazione letterale della norma e si basa su una conseguente prospettazione, per cosi dire, « panprocessualistica » di quello strumento di difesa del credito di lavoro che è la rivalutazione monetaria, tesi che si

buire a questa una efficienza causale di danno presunto, attraverso un criterio legale di liquidazione che consente di superare la distinzione concettuale tra obbligazione primaria e obbligazione ri sarcitoria, mediante attrazione della maturazione e della svalutazione del credito in unica fattispecie ».

Conviene, infine, notare che nel par. VI della parte motiva, le se zioni unite ribadiscono che il giudicato formatosi sulla sentenza di con danna al pagamento di somme di denaro per crediti di lavoro senza determinazione del maggior danno da svalutazione monetaria impedisce al lavoratore di chiederne la corresponsione in separato giudizio.

Si tratta, però, di principio enunciato dalla sezione lavoro sul presupposto dichiarato della mancanza di autonomia del diritto al maggior danno da svalutazione rispetto al credito di lavoro (perspi cuamente sul punto, per tutte, Cass. 15 maggio 1980, n. 3221, id., 1980, I, 1605) (presupposto) condiviso in dottrina (da ultimo, A. 'Proto Pisani, Lavoro (controversie individuali in materia di), voce del Novissimo digesto, appendice, Torino, 1983, IV, 666 ss.; cons., pure, Magrini, Crediti di lavoro, in Dir. lav., 1981, 103 ss., che definisce la rivalutazione accessorio del credito di lavoro), ma non dalle sezioni unite impegnate nell'accreditare la tesi dell'autonomia della rivalutazione monetaria quale componente originaria della re tribuzione del lavoratore a « carattere dinamico-funzionale », come l'indennità di contingenza, in ogni caso riconducibile « alla causa giuridica del contratto di lavoro », e costituente elemento imprescin dibile « di un'unica obbligazione ».

C. m. Barone

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