sentenza 28 maggio 1999, n. 202 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 2 giugno 1999, n. 22);Pres. Granata, Est. Ruperto; Palma c. Inps (Avv. De Angelis); interv. Pres. cons. ministri (Avv.dello Stato Stipo). Ord. Pret. Torino 3 marzo 1997 (G.U., 1 a s.s., n. 22 del 1997)Source: Il Foro Italiano, Vol. 122, No. 7/8 (luglio-agosto 1999), pp. 2159/2160-2161/2162Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23194969 .
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2159 PARTE PRIMA 2160
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 28 maggio 1999, n. 202
(Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 2 giugno 1999, n. 22); Pres. Granata, Est. Rupf.rto; Palma c. Inps (Avv. De An
gelis); interv. Pres. cons, ministri (Avv. dello Stato Stipo). Ord. Pret. Torino 3 marzo 1997 (G.U., la s.s., n. 22 del 1997).
Previdenza e assistenza sociale — Pensione — Lavoro a tempo
parziale — Anzianità contributiva — Computo in proporzio ne all'orario svolto — Questione infondata di costituzionalità
(Cost., art. 3, 38; d.l. 30 ottobre 1984 n. 726, misure urgenti a sostegno e ad incremento dei livelli occupazionali, art. 5; 1. 19 dicembre 1984 n. 863, conversione in legge, con modifi
cazioni, del d.l. 30 ottobre 1984 n. 726).
È infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art.
5, 11° comma, d.l. 30 ottobre 1984 n. 726, convertito nella
I. 19 dicembre 1984 n. 863, nella parte in cui non prevede
che, per gli assicurati i quali abbiano svolto periodi di lavoro
a tempo parziale, in qualunque epoca ed anche senza trasfor mazione di contratto, i periodi stessi non siano calcolati, ai
fini dell'anzianità contributiva, proporzionalmente all'orario
effettivamente svolto, in riferimento agli art. 3 e 38 Cost. (1)
Diritto. — 1. - Il Pretore di Torino dubita della legittimità costituzionale dell'art. 5, 11° comma, d.l. 30 ottobre 1984 n.
726, convertito nella 1. 19 dicembre 1984 n. 863 (misure urgenti a sostegno e ad incremento dei livelli occupazionali), «nella parte
(1) Per l'ampio orientamento della giurisprudenza (e della dottrina) a favore dell'applicabilità dell'art. 5, 11° comma, d.l. 726/84, converti to in 1. 863/84, anche ai rapporti di lavoro a tempo parziale non tra
sformati, «tanto da consentire il superamento dei prospettati dubbi di
legittimità costituzionale», v. Cass. 18 novembre 1997, n. 11482, Foro
it., Rep. 1997, voce Previdenza sociale, n. 870, in cui si afferma che il criterio di computo dell'anzianità contributiva ai fini della determina zione del trattamento di pensione, previsto per i periodi di lavoro a
tempo parziale dall'art. 5, 11° comma, d.l. 726/84, convertito in 1. 863/84 (criterio della maturazione di un'anzianità proporzionata all'o rario effettivamente svolto, che può comportare una più vantaggiosa misura della pensione) costituisce attuazione dell'intento del legislatore di incoraggiare il lavoro a tempo parziale e deve ritenersi applicabile — nonostante la formulazione letterale della disposizione — non solo nel caso di trasformazione del rapporto da tempo pieno a tempo par ziale, ma anche se il rapporto sia stato direttamente costituito a tempo parziale (contra, per l'applicazione del meccanismo di riparametrazione di cui all'art. 5, 11° comma, 1. 863/84 solo ove vi sia una trasformazio ne del rapporto di lavoro e non ove sia già sorto a tempo parziale, Trib. Trento 23 settembre 1991, id., Rep. 1992, voce cit., n. 308).
La giurisprudenza (Cass. 2 febbraio 1995, n. 1191, id., Rep. 1995, voce Lavoro (rapporto), n. 577; 29 dicembre 1993, n. 12919, id., Rep. 1993, voce Previdenza sociale, n. 557; Trib. Firenze 8 novembre 1995, id., Rep. 1996, voce cit., n. 582) ha specificato che i criteri di computo dell'anzianità contributiva di cui all'art. 5, 11° comma, 1. 863/84, si
applicano ai rapporti di lavoro a tempo parziale anche nelle ipotesi in cui la trasformazione sia avvenuta anteriormente all'entrata in vigore della 1. 863/84. Per l'applicazione dei criteri di computo dell'anzianità contributiva in questione solo ai periodi di lavoro successivi all'entrata in vigore della 1. 863/84 (6 gennaio 1985), anche per i contratti di lavo ro a tempo parziale che siano rimasti sempre tali, Pret. Milano 27 otto bre 1992, id., Rep. 1993, voce cit., n. 578; Pret. Busto Arsizio 25 mag gio 1991, id., Rep. 1991, voce cit., n. 677 (in cui si specifica che la normativa di cui al citato art. 5, 11° comma, trova applicazione anche
per i contratti a tempo parziale costituiti e trasformati prima dell'entra ta in vigore della citata 1. 863/84).
Anche la dottrina «concorda» con l'interpretazione estensiva della Corte costituzionale, atteso che la soluzione «restrittiva» sarebbe trop po riduttiva e non coerente con la finalità della norma (art. 5, 11°
comma, 1. 863/84), che «ha inteso fornire criteri di omogeneizzazione del rapporto previdenziale allorché esso rispecchi rapporti di lavoro suc cedutisi nel tempo, l'uno diverso dall'altro»: Mele, Il «part-time», Mi
lano, 1990, 326; Amato, La disciplina legale del lavoro a tempo parzia le: l'art. 5 l. 19 dicembre 1984 n. 863, in Lavoro 80, 1985, 347; Mare sca, La nuova disciplina legale del lavoro a tempo parziale, in Riv. giur. lav., 1987, I, 31; Boer, Rapporto di lavoro a «part-time» e tratta mento di pensione, ibid., Ili, 33; Avio, Sul calcolo della pensione per il lavoratore a «part-time», in Riv. it. dir. lav., 1993, II, 563; L. Car bone, Tutela previdenziale e «part-time» alla luce della l. 863/84, in Dir. lav., 1985, I, 291; Id., Tutela del lavoratore «part-time», in Infor mazione prev., 1986, 795.
Per la trattenuta ai pensionati che lavorano nel caso di lavoro a tem po parziale, Corte cost. 8 giugno 1994, n. 221, Foro it., 1994, I, 2335.
Il Foro Italiano — 1999.
in cui non prevede che, per gli assicurati i quali abbiano svolto
periodi di lavoro a tempo parziale, in qualunque epoca ed an
che senza trasformazione di contratto, i periodi in questione non siano calcolati proporzionalmente all'orario effettivamente
svolto».
Secondo il rimettente, tale norma viola: a) l'art. 38, 2° com
ma, Cost, perché «prevede una copertura pensionistica non con
forme a quanto la stessa legge richiede di versare in costanza
di attività lavorativa»; b) l'art. 3 Cost., sotto il doppio profilo della «manifesta irrazionalità» (poiché la «disposizione può ri
dondare anche a carico dell'Inps, in caso di trasformazione di
rapporti di lavoro da part-time a full-time») e della disparità di trattamento perché «tratta in modo uguale situazioni disu
guali (lavoratori che hanno lavorato per un quantum diverso,
eseguendo inoltre versamenti contributivi diversificati)». 2. - La questione non è fondata.
2.1. - Il primo dei due distinti aspetti, in cui viene articolata
la censura d'illegittimità costituzionale, concerne l'ambito d'ap
plicabilità in senso orizzontale della denunciata norma. Secon
do il giudice a quo, infatti, questa parla di «trasformazione
del rapporto da full-time a part-time e non si vede come il dato
letterale possa essere superato» per estenderlo anche ai rapporti non «trasformati», cioè nati ed estinti come di lavoro a tempo
parziale. Il giudice a quo, fondando l'esegesi della disposizione sul so
lo elemento letterale, senza utilizzare gli altri strumenti erme
neutici consentiti dall'ordinamento, in particolare quello storico
e logico-sistematico, ha omesso di verificare la possibilità di una
diversa interpretazione in senso conforme alla Costituzione. Esa
me, quest'ultimo, tanto più doveroso in quanto, pur mancando
un vero e proprio diritto vivente sul punto, si riscontra tuttavia
un ampio orientamento della giurisprudenza e della dottrina a
favore dell'applicabilità della norma stessa anche ai rapporti di
lavoro a tempo parziale non trasformati, tanto da consentire
il superamento dei prospettati dubbi d'illegittimità costituziona
le, secondo le considerazioni qui di seguito esposte. 2.1.1. - Il d.l. n. 726 del 1984, quale convertito nella 1. n.
863 del 1984, ha il dichiarato obiettivo, desumibile dall'«argo mento» del titolo, di sostenere ed incrementare i livelli occupa zionali. A questo fine — secondo quanto emerge dai lavori pre
paratori, segnatamente dalla relazione al disegno di legge di con
versione — esso, attraverso la regolamentazione sostanziale e
previdenziale del lavoro a tempo parziale, intende soddisfare una duplice esigenza: quella personale di chi «ricerchi un'occu
pazione con orari più brevi della durata normale della presta zione» («anziani, invalidi, handicappati, studenti, genitori con
figli in tenera età») e quella generale di «restituire elasticità al
sistema produttivo». Alla stregua di tale ratio legislatoris, è plausibile l'implicito
assunto del giudice a quo che la norma denunciata, siccome
intesa a favorire il rapporto di lavoro a tempo parziale, com
porti un trattamento pensionistico complessivamente più favo revole del precedente. E, del resto, proprio in questa direzione si è sviluppata la prassi amministrativa dell'istituto previdenzia le, privilegiando, tra le varie opzioni interpretative (anche di
segno opposto), quella per cui la norma incide contemporanea mente e correlativamente su entrambi i parametri del trattamen to pensionistico: sul computo dell'anzianità assicurativa, con traendola in proporzione ai periodi di lavoro a tempo parziale, e sul calcolo della retribuzione media pensionabile, delimitando in base a tale «proporzionamento» il periodo di riferimento delle
retribuzioni cumulate, indicato dall'art. 3 1. 29 maggio 1982 n.
297, nelle ultime 260 settimane di contribuzione.
2.1.2. - Codesto implicito assunto costituisce, all'evidenza, la premessa da cui muove il rimettente per denunciare il conflit to tra l'intento dichiarato del legislatore di agevolare il ricorso al lavoro a tempo parziale in generale e la lettera dell'art. 5, 11° comma, d.l. n. 726 del 1984, che sembra limitare il menzio nato computo proporzionale dell'anzianità assicurativa ai casi di trasformazione del rapporto da tempo pieno a tempo parzia le e viceversa.
Ma, come sopra accennato, parte considerevole della giuris prudenza di merito e della dottrina nonché, successivamente al
l'ordinanza di rimessione, la stessa corte di legittimità, al fine di escludere tale apparente limitazione, hanno valorizzato la ra tio legis, desunta dall'intero testo e dall'origine storica della legge, individuandola nell'intento di agevolare anche sul piano previ
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
denziale il modulo lavorativo del tempo parziale. In questa pro
spettiva, è stato persuasivamente osservato che, una talmente
chiara finalità della normativa impone di leggere la denunciata
norma come riferita anche ma non solo al caso di trasformazio
ne del rapporto: nel senso che il legislatore, disciplinando una
peculiare fattispecie, suscettibile di creare dubbi per il permane re dell'unicità del rapporto lavorativo, ha nel contempo fissato
una regola valida per tutte le ipotesi di rapporto a tempo parziale. Il disegno del legislatore di «sostegno ed incremento dei livel
li occupazionali» attraverso il recupero di «flessibilità» del si
stema produttivo a seguito di una maggiore utilizzazione del
lavoro a tempo parziale, non può realizzarsi, infatti, se non
eliminando i più gravi effetti previdenziali negativi per l'assicu
rato, connessi a tale modulo lavorativo: lo stesso art. 5 prevede in proposito la frazionabilità oraria del minimale retributivo gior naliero imponibile ai fini previdenziali. Rispetto a tale ratio, sarebbe perciò palesemente irrazionale che uno dei principali
ostacoli, sotto l'aspetto della disciplina previdenziale, a stipula re contratti di lavoro a tempo parziale (cioè il mancato «pro
porzionamento» del periodo di riferimento retributivo all'ora
rio di lavoro effettivamente svolto) venisse eliminato dalla legge soltanto nei casi di trasformazione del rapporto da tempo pieno a tempo parziale o viceversa, permanendo invece nei casi —
non meno importanti, perché altrettanto idonei a favorire la
«flessibilità» dell'intero sistema e l'incremento dell'occupazione in generale — di rapporti di lavoro sin dall'inizio a tempo par ziale e destinati a rimanere tali.
D'altronde, che il legislatore abbia avuto di mira la «flessibi
lità» e l'occupazione nel loro complesso, e non esclusivamente
nell'ambito aziendale, è confermato dall'espressa applicabilità della norma anche all'ipotesi di trasformazione del rapporto da
tempo parziale a tempo pieno. Donde l'inconsistenza della tesi
difensiva dell'Inps, secondo cui la norma denunciata riguarde rebbe solo le ipotesi di trasformazione del rapporto poiché mi
rerebbe esclusivamente all'incremento del livello di occupazione nelle singole aziende consentendo l'assunzione di altri lavorato
ri per completare l'orario reso disponibile dalla trasformazione
a tempo parziale del rapporto. 2.1.3. - L'estensibilità della disciplina previdenziale dei rap
porti di lavoro trasformati ai rapporti non trasformati è dun
que fondata su argomentazioni plausibili, e si accorda con la
strategia del legislatore mirante a favorire la diffusione del rap
porto di lavoro a tempo parziale, sia nel lavoro privato (v.,
da ultimo, la 1. 5 febbraio 1999 n. 25, con delega al governo
per l'attuazione della direttiva comunitaria del consiglio del 15
dicembre 1997 n. 97/81/Ce, relativa all'accordo quadro sul la
voro a tempo parziale), sia nel pubblico impiego (per il quale, tra l'altro, sono state fissate regole di «proporzionamento» ai
fini previdenziali: art. 7 e 8 1. 29 dicembre 1988 n. 554). Non si vede allora perché il giudice a quo abbia respinto aprio
risticamente tale tesi, venendo così meno al dovere di scegliere, fra le diverse possibili interpretazioni della norma da applicare,
quella risultante conforme ai principi costituzionali. Tanto più,
poi, che egli stesso osserva, nell'ordinanza di rimessione, come
la computabilità in misura proporzionale vada operata ancor
ché la trasformazione del rapporto a tempo parziale sia avvenu
ta prima dell'entrata in vigore della legge di conversione e, giu sta l'espressa previsione, soltanto per i periodi di lavoro succes
sivi: dati, questi, che insieme concorrono a rendere priva d'alcun
ragionevole motivo — secondo quanto anche la Corte di cassa
zione ha rilevato — l'asserita non applicabilità della denunciata
norma ai rapporti di lavoro a tempo parziale sorti ed estinti
come tali.
2.2. - Il secondo aspetto della questione concerne l'applicabi
lità in senso diacronico della denunciata norma. Ritiene, infatti,
il rimettente che questa violi entrambi i parametri come sopra
evocati, nel prevedere «la computabilità in misura proporziona
le soltanto per la parte di rapporto a tempo parziale (ancorché
stipulato prima dell'entrata in vigore della legge di conversione)
che ha avuto esecuzione successivamente al 6 gennaio 1985»,
giorno in cui è entrata in vigore la legge stessa.
Al riguardo è sufficiente rammentare e ribadire quanto più
volte già affermato da questa corte, che cioè rientra nella piena
discrezionalità legislativa fissare termini di decorrenza per de
terminati effetti giuridici, anche nella materia previdenziale, col
solo limite generale della ragionevolezza e non arbitrarietà (v.,
explurimis, sentenze n. 417 del 1996, Foro it., Rep. 1997, voce
Il Foro Italiano — 1999.
Previdenza sociale, n. 905; n. 127 del 1992, id., Rep. 1992, voce
cit., n. 614; n. 440 del 1991, id., 1993, I, 3237; n. 171 del 1990, id., Rep. 1991, voce cit., n. 790). Limite certamente rispettato nella specie, non essendo ravvisabile (né, del resto, avendo il
rimettente offerto specifiche indicazioni in proposito) alcun ele
mento di arbitrio o di irrazionalità nella scelta del legislatore di fissare il giorno dell'entrata in vigore della norma di maggior favore, quale data di riferimento per i periodi di lavoro assog
gettabili al nuovo regime previdenziale. Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara non fonda
te le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 5, 11° com
ma, d.l. 30 ottobre 1984 n. 726, convertito nella 1. 19 dicembre
1984 n. 863 (misure urgenti a sostegno e ad incremento dei li
velli occupazionali) sollevate, in riferimento agli art. 3 e 38, 2° comma, Cost., dal Pretore di Torino, con l'ordinanza indi
cata in epigrafe.
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 28 maggio 1999, n. 201
0Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 2 giugno 1999, n. 22); Pres. Granata, Est. Ruperto; Tartari (Aw. Cabibbo) c. Inps
(Avv. De Angelis). Ord. Trib. Cremona 19 febbraio 1997
(G.U., la s.s., n. 21 del 1997).
Previdenza e assistenza sociale — Pensione di anzianità — Cu
mulo di periodi assicurativi presso diverse gestioni — Criteri
di computo — Questione infondata di costituzionalità (Cost., art. 3, 38; 1. 29 maggio 1982 n. 297, disciplina del trattamen
to di fine rapporto e norme in materia pensionistica, art. 3; 1. 2 agosto 1990 n. 233, riforma dei trattamenti pensionistici dei lavoratori autonomi, art. 16).
È infondata la questione di legittimità costituzionale del combi
nato disposto degli art. 16 l. 2 agosto 1990 n. 233, e 3, 8°
comma, l. 29 maggio 1982 n. 297, nella parte in cui non pre
vede, come invece ipotizzato dal giudice a quo, che in caso
di posizione assicurativa mista, con contribuzioni nel fondo della gestione dei lavoratori autonomi e nel fondo della ge stione dei lavoratori dipendenti, non possa essere liquidata una pensione inferiore a quella calcolata in base ai soli con
tributi obbligatori, di per sé sufficienti a far maturare il dirit to a pensione, per effetto del calcolo di contributi volontari
nella quota relativa alla gestione dei lavoratori dipendenti, in riferimento agli art. 3, 1° comma, e 38 Cost. (1)
(1) La corte rileva che la questione sollevata dal giudice rimettente
attiene alle modalità di calcolo della retribuzione pensionabile per l'as
sicurazione generale obbligatoria dei lavoratori dipendenti, ancorata al
l'ultimo quinquennio dall'art. 3, 8° comma, 1. 29 maggio 1982 n. 297,
già dichiarato incostituzionale sotto diversi profili: con sent. 10 novem
bre 1992, n. 428, Foro it., 1993, I, 2978, con nota di richiami, nella
parte in cui non consente al titolare di pensione di anzianità di ottenere,
dopo il raggiungimento dell'età pensionabile per vecchiaia, il ricalcolo
della pensione sulla base della sola contribuzione obbligatoria qualora esso determini un risultato più favorevole per l'assicurato; con sent.
30 giugno 1994, n. 264, id., 1995, I, 1126, con nota di richiami, e
Riv. giur. lav., 1994, II, 821, con nota di Boer, e Lavoro giur., 1994,
941, con nota di Lassandri, nella parte in cui non prevede che nel
caso di esercizio, durante l'ultimo quinquennio di contribuzione, di at
tività lavorativa meno retribuita da parte del lavoratore che abbia già
conseguito la prescritta anzianità contributiva, vengano esclusi dal com
puto i periodi di minore retribuzione non necessari ai fini del requisito dell'anzianità contributiva minima, in modo che la pensione liquidata non possa essere comunque inferiore a quella che sarebbe spettata qua lora non sussistessero detti periodi; con sent. 26 luglio 1995, n. 388, Foro it., 1995, I, 2648, con nota di richiami, nella parte in cui non
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