sentenza 28 maggio 2001, n. 163 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 6 giugno 2001, n. 22);Pres. Ruperto, Est. Flick; Regione Veneto (Avv. Bertolissi, Manzi) c. Pres. cons. ministri (Avv.dello Stato Albenzio). Conflitto di attribuzioneSource: Il Foro Italiano, Vol. 124, No. 9 (SETTEMBRE 2001), pp. 2417/2418-2419/2420Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23196600 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
caso in cui tale valore si riveli poi superiore a quello dichiarato
dal contribuente. Con conseguente ed ovvio vantaggio anche per l'amministrazione, rappresentato dalla riscossione della mag
giore imposta. Nessuna disparità di trattamento sussiste, pertanto, tra i con
tribuenti che abbiano dichiarato un valore uguale o superiore a
quello successivamente stimato dall'Ute ed i contribuenti che
abbiano invece dichiarato un valore inferiore, essendo anche a
questi ultimi riconosciuta la possibilità di rendere la propria di
chiarazione non rettificabile da parte dell'ufficio finanziario.
La circostanza che il contribuente, il quale abbia dichiarato
un valore superiore a quello stimato dall'Ute, venga a pagare
un'imposta maggiore di quella astrattamente dovuta in base a
tale stima, senza possibilità di modificare la propria dichiara
zione dopo la scadenza del relativo termine, giusta il disposto dell'art. 31,3° comma, d.leg. n. 346 del 1990, non può d'altro
canto addursi a violazione del principio di eguaglianza, essendo
il pagamento della maggiore imposta conseguenza di un'auto
noma valutazione dello stesso contribuente riguardo al valore
del cespite. D'altra parte, il sistema delineato dalle norme im
pugnate pone al riparo il dichiarante — che manifesti la volontà
di avvalersi della disposizione di cui all'art. 34, 5° comma —
dal rischio di qualsivoglia sanzione nel caso in cui il valore da
lui indicato risulti anche sensibilmente inferiore a quello suc
cessivamente stimato dall'organo tecnico.
5.2. - Tanto meno sussiste violazione, nella specie, dei prin
cipi di capacità contributiva e di buon andamento della pubblica amministrazione, sotto il profilo del corretto esercizio del potere
impositivo. Se si muove dalla premessa che la valutazione automatica dei
beni immobili non introduce un sistema legale di determinazio
ne dei valori imponibili, deve ritenersi allora che resti fermo il
principio sancito dall'art. 14 d.leg. n. 346 del 1990, secondo cui, ai fini dell'imposta di successione, la base imponibile, relativa
mente ai beni immobili in piena proprietà, è determinata assu
mendo il valore venale in comune commercio alla data di aper tura della successione.
La previsione di liquidazione dell'imposta sulla base del va
lore venale dichiarato dallo stesso contribuente — pur se in
ipotesi superiore a quello successivamente stimato dall'Ute —
non può perciò ritenersi in contrasto né con l'art. 53 Cost, né
con l'art. 97 Cost., essendo del tutto coerente con la ratio del
l'imposta medesima.
È appena il caso di sottolineare che, qualora invece il rimet
tente ritenesse di conformarsi al diverso indirizzo giurispruden ziale secondo il quale il valore derivante dal calcolo automatico
rappresenta un valore convenzionale ai fini fiscali che sostitui
sce quello reale, dovrebbe allora coerentemente accogliere i ri
corsi dei contribuenti, indipendentemente dalla tempestività o
meno della dichiarazione modificativa e senza necessità alcuna
di una declaratoria di illegittimità costituzionale delle norme
denunciate.
Per questi motivi, la Corte costituzionale:
a) dichiara inammissibile la questione di legittimità costitu
zionale dell'art. 12, comma 3 bis, d.l. 14 marzo 1988 n. 70
(norme in materia tributaria nonché per la semplificazione delle
procedure di accatastamento degli immobili urbani), convertito, con modificazioni, in 1. 13 maggio 1988 n. 154, sollevata, in ri
ferimento agli art. 3, 53, 1° comma, e 97, 1° comma, Cost., dalla Commissione tributaria provinciale di Bari con l'ordinan
za in epigrafe; b) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzio
nale degli art. 31, 3° comma, e 34, 5° e 6° comma, d.leg. 31 ot
tobre 1990 n. 346 (approvazione del t.u. delle disposizioni con
cernenti l'imposta sulle successioni e donazioni), sollevata, in
riferimento agli art. 3, 53, 1° comma, e 97, 1° comma, Cost.,
dalla Commissione tributaria provinciale di Bari con la mede
sima ordinanza.
Il Foro Italiano — 2001.
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 28 maggio 2001, n. 163 (Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 6 giugno 2001, n.
22); Pres. Ruperto, Est. Flick; Regione Veneto (Avv. Ber
tolissi, Manzi) c. Pres. cons, ministri (Avv. dello Stato Al
benzio). Conflitto di attribuzione.
Regione in genere e regioni a statuto ordinario — Consiglie ri regionali — Immunità per voti dati e opinioni espresse — Atto di appello del pubblico ministero — Conflitto tra enti — Inammissibilità (Cost., art. 122).
E inammissibile, per palese carenza dei presupposti oggettivi, il
conflitto sollevato dalla regione Veneto nei confronti del
l'atto di appello proposto dal pubblico ministero presso il
Tribunale di Belluno avverso la sentenza del giudice per le
indagini preliminari presso lo stesso tribunale di assoluzione
dall'imputazione di calunnia di un consigliere regionale. (1)
Diritto. — 1. - La regione ricorrente pone a fondamento del
conflitto di attribuzione sollevato nei confronti dello Stato l'atto
d'appello, a suo tempo proposto dal p.m. presso il Tribunale di
Belluno, avverso la sentenza pronunciata il 26 marzo 1991, con
la quale il g.i.p. presso il medesimo tribunale aveva assolto per insussistenza del fatto, a norma degli art. 438 ss. e 529 ss. c.p.p., il consigliere regionale Ettore Beggiato dall'imputazione di ca
lunnia ascrittagli. A parere della regione, l'impugnazione pro
posta dal p.m. vulnererebbe la prerogativa sancita dall'art. 122, 4° comma, Cost, e, di riflesso, gli art. 121 e 123 della medesima
Carta, posti a presidio della disciplina dell'organizzazione e
delle funzioni dei supremi organi regionali. 2. - Il ricorso è inammissibile per palese carenza dei relativi
presupposti oggettivi. L'atto d'appello
— che la regione Veneto assume essere nella
specie invasivo e compromissorio della peculiare garanzia pre vista dall'art. 122, 4° comma. Cost., per l'esercizio della fun
zione di consigliere regionale — è privo di qualsiasi portata
«esterna» rispetto allo specifico alveo processuale in cui si
iscrive; esso esprime soltanto l'esercizio del diritto di reclamo
che l'ordinamento assicura, «nel» e «per» il processo, a tutte le
(1 ) La regione Veneto aveva impugnato, dopo nove anni (sic), l'atto
d'appello del p.m. avverso la sentenza di assoluzione pronunciata dal
g.i.p. nei riguardi di un consigliere regionale imputato di calunnia per fatti, a giudizio della regione, rientranti nella sfera coperta dall'immu nità di cui all'art. 122 Cost.
La Corte costituzionale rileva la palese carenza dei presupposti og gettivi del conflitto, osservando come l'atto d'appello sia privo di por tata «esterna» alla vicenda processuale ed ha, come termine di riferi
mento, non la posizione delle parti in quanto tali, ma la sentenza del
giudice contro cui si ricorre, per cui è solo la sentenza che appare eventualmente suscettibile di incidere sulla sfera di attribuzioni costitu zionali riconosciuta ai diversi enti o poteri dello Stato.
In ordine all'immunità per voti dati e opinioni espresse sancita dal l'art. 122 Cost, per i consiglieri regionali e sulla nozione di nesso fun zionale necessario per ricomprendere una determinata fattispecie nella
previsione costituzionale, v. Corte cost. 23 marzo 2001, n. 76, Foro it., 2001, I, 1438, con nota di richiami e osservazioni di Romboli (cui si rinvia anche per riferimenti all'analoga immunità stabilita dall'art. 68 Cost, per i parlamentari), la quale ha ritenuto spettare allo Stato, e per esso al g.i.p. presso il Tribunale di Monza, emettere il decreto che di
spone il giudizio nei confronti di un consigliere regionale a causa delle
opinioni espresse in un articolo pubblicato sulla stampa, in quanto aventi le stesse una valenza esclusivamente «politica» ed essendo del tutto avulse dalle funzioni consiliari e da qualsiasi atto tipico svolto nel relativo esercizio, neppure indirettamente evocato.
Per l'affermazione secondo cui il potere di appello del p.m. non può riportarsi all'obbligo di esercitare l'azione penale, come se di tale ob
bligo esso fosse una proiezione necessaria ed ineludibile, dovendo egli
interrogare la propria coscienza in relazione al contenuto del provvedi mento impugnabile e determinarsi secondo gli interessi generali della
giustizia, v. Corte cost. 28 giugno 1995, n. 280, id., Rep. 1995, voce
Appello penale, n. 21. L'art. 122 Cost, è stato modificato dall'art. 2 1. cost. 22 novembre
1999 n. 1, che ha però lasciato identico il 4° comma («i consiglieri re
gionali non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espres se e dei voti dati nell'esercizio delle loro funzioni»), mentre nel pro
getto di modifica della seconda parte della Costituzione approvato dalla
commissione bicamerale e depositato nel novembre del 1997, con il
chiaro intento di ampliare la sfera di immunità, si parlava in proposito di «opinioni espresse e dei voti dati nell'esercizio o a causa delle loro
funzioni» (art. 60, 8° comma).
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PARTE PRIMA 2420
parti, pubbliche o private che siano. L'impugnazione, infatti,
qualunque sia il soggetto legittimato a proporla, ha come termi
ne oggettivo di riferimento, non la posizione delle parti in
quanto tali, ma unicamente la statuizione giurisdizionale avver
so la quale si reclama. Sicché, è la statuizione in sé — e non
certo l'atto di gravame — ad essere se mai potenzialmente su
scettibile di assumere quella rilevanza esterna al processo, ido
nea a perturbare la sfera delle attribuzioni costituzionalmente ri
servate ad enti o poteri dello Stato.
D'altra parte, neppure è senza significato la circostanza che
questa corte — mentre ha ritenuto il p.m. legittimato a sollevare
conflitto di attribuzione quale «potere», allorché venga in di
scorso l'indipendenza nell'espletamento delle proprie attribu
zioni finalizzate all'obbligatorio esercizio dell'azione penale
(da ultimo, ordinanza n. 521 del 2000, Foro it., 2001, I, 755) —
ha escluso che «il potere del p.m. di proporre appello avverso la
sentenza di primo grado» possa ritenersi «riconducibile all'ob
bligo di esercitare l'azione penale» (sentenza n. 280 del 1995,
id., Rep. 1995, voce Appello penale, n. 21). Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara inammissi
bile il conflitto sollevato dalla regione Veneto con il ricorso in
dicato in epigrafe.
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 17 maggio 2001, n. 135 (Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 23 maggio 2001, n.
20); Pres. Santosuosso, Est. Contri; Pres. cons, ministri
(Avv. dello Stato Fiengo) c. Regione Liguria (Avv. Benghi).
Corte costituzionale — Giudizio sulle leggi in via principale — Legge «non nuova» — Rinvio da parte del governo —
Riapprovazione del consiglio regionale — Impugnazione
statale — Ammissibilità (Cost., art. 127).
Regione in genere e regioni a statuto ordinario — Liguria
—
Fauna selvatica — Cacciabilità di specie sottratte alla cac
cia — Incostituzionalità (Cost., art. 117; 1. 11 febbraio 1992
n. 157, norme per la protezione della fauna selvatica omeo
terma e per il prelievo venatorio, art. 19; 1. reg. Liguria 1° lu
glio 1994 n. 29, norme regionali per la protezione della fauna
selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio, art. 36).
E ammissibile il ricorso, da parte del governo, nei confronti di
una delibera legislativa regionale con cui viene riapprovata a
maggioranza assoluta una precedente delibera legislativa, la
quale non poteva ritenersi «legge nuova», ai sensi del proce dimento di cui all'art. 127 Cost. (1)
(1) Nella specie, la regione lamentava che il governo aveva proce duto a rinviare al consiglio regionale una delibera legislativa che non
poteva qualificarsi come nuova, dal momento che le modifiche appor tate alla prima delibera riguardavano solo la disposizione censurata con il primo rinvio ed erano introdotte proprio allo scopo di superare i rilie vi governativi. La Corte costituzionale, pur riconoscendo l'esattezza dei rilievi regionali, osserva che la regione avrebbe dovuto sollevare conflitto di attribuzione nei confronti del rinvio governativo, in quanto lesivo della propria competenza, mentre, avendo questa riapprovato a
maggioranza assoluta la delibera legislativa, ha così riaperto l'iter pro cedimentale previsto dall'art. 127 Cost.
Costante nella giurisprudenza costituzionale l'affermazione secondo cui, ai fini dell'art. 127 Cost., deve considerarsi come «non nuova»
qualsiasi legge regionale rinviata che in sede di riesame sia stata modi ficata dal consiglio regionale esclusivamente nelle disposizioni conse
guenzialmente interessate dal rinvio ovvero in parti dell'atto legislativo medesimo prive di significato normativo (preambolo, formula promul gativa, ecc.); mentre, sempreché si resti nell'ambito di un medesimo
procedimento legislativo, una legge regionale rinviata va considerata
Il Foro Italiano — 2001.
È incostituzionale la delibera legislativa riapprovata, a seguito di rinvio governativo, dal consiglio regionale della Liguria il
26 gennaio 1999, nella parte in cui, attraverso l'inserimento
del comma 2 bis nel testo dell'art. 36 l. reg. Liguria 1° luglio 1994 n. 29, stabilisce che, qualora l'esigenza di tutela delle
produzioni zoo-agro-forestali ed ittiche richieda l'adozione
di iniziative volte a prevenire gravi danni alle colture, al be
stiame domestico, ai boschi, alla pesca ed alle acque, la
giunta regionale procede con propria deliberazione, assunta
d'intesa con le province interessate, consentendo, tramite il
richiamo all'art. 34, 2° comma, stessa l. reg., la caccia a
specie selvatiche non previste negli elenchi delle specie cac
ciabili. (2)
Diritto. — 1. - Con ricorso del presidente del consiglio dei
ministri, il governo ha sollevato in via principale, in riferimento
all'art. 19 1. 11 febbraio 1992 n. 157 (norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio),
questione di legittimità costituzionale della delibera legislativa recante «Ulteriori modificazioni alla 1. reg. 1° luglio 1994 n. 29
(norme regionali per la protezione della fauna selvatica omeo
terma e per il prelievo venatorio)», riapprovata a maggioranza assoluta dal consiglio regionale della Liguria nella seduta del 26
gennaio 1999, nell'identico testo rinviato dal governo con atto
del 15 gennaio 1999. Nel ricorso, si deduce tra l'altro la viola
zione, da parte della regione, della riserva di competenza statale
in materia di regolamentazione delle specie cacciabili, profilo non esplicitato nell'atto di rinvio.
2. - In via preliminare, occorre esaminare l'eccezione, solle
vata dalla resistente, d'inammissibilità dell'impugnativa del go verno in quanto successiva ad un atto di rinvio illegittimamente reiterato, per il quale «mancava radicalmente il presupposto».
L'impugnata delibera legislativa è la terza di una sequenza di
tre delibere di contenuto omogeneo, in materia di controllo fau
nistico, recanti modificazioni alla 1. reg. 1° luglio 1994 n. 29: la
prima, del 3 novembre 1998, è stata rinviata dal governo con
atto comunicato alla regione il 5 dicembre 1998; la seconda, adottata a maggioranza assoluta il 22 dicembre 1998, che ha
modificato il testo approvato il 3 novembre nella parte oggetto dei rilievi formulati dal governo, ed in relazione a tali rilievi, ha
provocato, anziché l'impugnazione da parte del governo, un
nuovo rinvio, in data 15 gennaio 1999; la terza delibera legisla tiva, impugnata nel presente giudizio costituzionale, è stata
come «nuova», ai sensi dell'art. 127 Cost., soltanto nell'ipotesi (inver sa) in cui il legislatore in sede di riesame abbia apportato modificazioni dirette a inserirsi in parti estranee rispetto a quelle censurate o, comun
que, dirette ad incidere su disposizioni non interessate dalle osservazio ni contenute nel rinvio governativo. In tal senso, v. Corte cost. 19 giu gno 1995, n. 260, Foro it., 1995,1, 3039, con nota di richiami; 27 luglio 1994, n. 359, e 13 luglio 1994. n. 287, ibid., 481, con nota di richiami.
(2) In ordine al potere regionale di controllo faunistico riconosciuto dall'art. 19 1. 157/92, v. Corte cost. 24 giugno 1993, n. 289, Foro it.,
Rep. 1993, voce Caccia, n. 10, secondo cui il ministro dell'ambiente, nell'esercizio dei suoi compiti di conservazione e valorizzazione del
patrimonio naturale nazionale previsti dall'art. 1, 2° comma, 1. 8 luglio 1986 n. 349, può intervenire a difesa della fauna selvatica, adottando, in situazioni eccezionali, lo strumento dell'ordinanza contingibile ed
urgente prevista dall'art. 8 1. 3 marzo 1987 n. 59, incidendo così anche sulle competenze regionali nella materia venatoria contemplata dalla 1.
157/92, sempre che sussistano le condizioni di una situazione di grave pericolo di danno ambientale e dell'impossibilità di provvedere in altro modo. Di conseguenza la corte ha dichiarato illegittima l'ordinanza del ministro dell'ambiente 5 gennaio 1993 con il quale era stato disposto il divieto dell'attività venatoria su tutto il territorio nazionale per un pe riodo di otto giorni, senza tenere conto che le eccezionali condizioni
climatiche, poste a fondamento del provvedimento, non si erano verifi cate su tutto il territorio nazionale e senza considerare che al riguardo avrebbero potuto provvedere le regioni ai sensi dell'art. 19 1. 157/92, salvo il potere sostitutivo statale in caso di mancato intervento regio nale.
In ordine ai limiti per la competenza regionale, relativamente alla determinazione delle specie cacciabili ed all'approvazione del calenda rio venatorio, v. Corte cost. 15 febbraio 2000, n. 53, id., 2000, I, 1046, con nota di richiami; 12 gennaio 2000, n. 4, e 30 dicembre 1999, n.
468, ibid., 1754 e 1765, con note di richiami; 14 maggio 1999, nn. 169 e 168, id., 1999, I, 2450, con nota di richiami e osservazioni di Rombo li.
Sul ruolo dell'Istituto nazionale per la fauna selvatica, cui fa riferi mento la corte in motivazione, v. Corte cost. 12 gennaio 2000, n. 4, cit.
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