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sentenza 28 novembre 2002, n. 493 (Gazzetta ufficiale, 1aserie speciale, 4 dicembre 2002, n. 48);...

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sentenza 28 novembre 2002, n. 493 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 4 dicembre 2002, n. 48); Pres. Ruperto, Est. Vaccarella; Mazzella c. Fall. soc. Duomar e altra. Ord. App. Napoli 12 dicembre 1997 (G.U., 1 a s.s., n. 19 del 2002) Source: Il Foro Italiano, Vol. 126, No. 1 (GENNAIO 2003), pp. 9/10-13/14 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23198096 . Accessed: 25/06/2014 03:11 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 91.229.229.49 on Wed, 25 Jun 2014 03:11:58 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Page 1: sentenza 28 novembre 2002, n. 493 (Gazzetta ufficiale, 1aserie speciale, 4 dicembre 2002, n. 48); Pres. Ruperto, Est. Vaccarella; Mazzella c. Fall. soc. Duomar e altra. Ord. App. Napoli

sentenza 28 novembre 2002, n. 493 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 4 dicembre 2002, n.48); Pres. Ruperto, Est. Vaccarella; Mazzella c. Fall. soc. Duomar e altra. Ord. App. Napoli 12dicembre 1997 (G.U., 1 a s.s., n. 19 del 2002)Source: Il Foro Italiano, Vol. 126, No. 1 (GENNAIO 2003), pp. 9/10-13/14Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23198096 .

Accessed: 25/06/2014 03:11

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

quelle ulteriori). Così pure la lett. I) dell'art. 105, 2° comma,

d.leg. n. 112 del 1998 offre un sia pur esile elemento testuale

nel senso indicato dalla difesa statale là dove esclude l'operati vità del conferimento «nei porti e nelle aree di interesse nazio

nale individuate» (al femminile) con il decreto del presidente del consiglio. Infine la modifica di recente apportata a detto art.

105 con l'art. 9 1. 16 marzo 2001 n. 88 (non direttamente rile

vante nel presente giudizio, trattandosi di modifica sopravve nuta dopo l'emanazione dell'atto impugnato) parrebbe a sua

volta muovere dall'interpretazione sostenuta dallo Stato, in

quanto dispone che il conferimento di funzioni non operi «nei

porti finalizzati alla difesa militare ed alla sicurezza dello Stato, nei porti di rilevanza economica internazionale e nazionale, nonché nelle aree di preminente interesse nazionale individuate

con il d.p.c.m. 21 dicembre 1995» — distinguendo stavolta

chiaramente fra i porti e le altre aree — e che negli altri porti («di rilevanza economica regionale ed interregionale») «il con

ferimento decorre dal 1° gennaio 2002»: supponendosi dunque che prima esso non operasse.

A fronte di questi elementi testuali, sta però il fatto che, dal

punto di vista della ratio normativa, una delega come quella conferita con l'art. 59 d.p.r. n. 616 del 1977, disposta nel quadro della identificazione di funzioni accessorie e complementari ri

spetto a quelle spettanti alle regioni in materia di turismo, e mo

dellata sul criterio funzionale, in quanto limitata all'ipotesi in

cui «la utilizzazione prevista» — dei beni del demanio maritti

mo, comprensivi del litorale e delle aree demaniali immediata

mente prospicienti (art. 59 cit., 1° comma) — «abbia finalità tu

ristiche e ricreative», mal si concilierebbe con una aprioristica e

totale esclusione dalla operatività della delega medesima di tutti

i porti: e, specificamente, non tanto dei porti «di rilevanza eco

nomica regionale e interregionale» (secondo la classificazione

già prevista dall'art. 4, lc comma, lett. d, 1. 28 gennaio 1994 n.

84), quanto di quelli fra di essi che hanno solo funzione «turisti

ca e da diporto» (art. 4, 3° comma, lett. e, predetta 1. n. 84 del

1994), cioè dei porti turistici. Questi ultimi, infatti, rappresenta no una tipica utilizzazione di aree demaniali per finalità «turisti

che e ricreative». Ciò tanto più, in quanto dalla stessa delega erano escluse «le funzioni esercitate dagli organi dello Stato in

materia di navigazione marittima, di sicurezza nazionale e di

polizia doganale» (art. 59 cit., 1° comma, secondo periodo),

passando dunque in capo alle regioni solo funzioni attinenti al

l'utilizzazione dei beni per finalità turistiche e ricreative.

Né è senza significato che il d.p.c.m. 21 dicembre 1995, nel

l'identificare, attraverso l'elenco ad esso allegato, le «aree de

maniali marittime (...) escluse dalla delega di funzioni di cui al

l'art. 59 d.p.r. 24 luglio 1977 n. 616, in quanto riconosciute di

preminente interesse nazionale in relazione agli interessi della

sicurezza dello Stato e alle esigenze della navigazione maritti

ma» (art. 1), abbia indicato in modo del tutto indifferenziato sia

porti e ambiti portuali, sia altre zone demaniali: nell'elenco, al

n. 25 nell'ambito delle aree di pertinenza della capitaneria di

porto di Genova, figurava, insieme ad altri porti, il porto turisti

co di Lavagna, per il quale, nelle «note» dell'elenco, si invoca

vano esigenze della navigazione marittima, cioè uno degli indici

dell'assunto «preminente interesse nazionale», che secondo la

disposizione legislativa avrebbe dovuto essere posto a fonda

mento dell'esclusione di determinate aree dalla delega. Nulla, nel decreto in esame, poteva far pensare che i porti fossero indi

cati a puro scopo ricognitivo, e non al fine di positivamente escluderli dall'applicazione della delega.

L'avvenuto annullamento del decreto, limitatamente alla

parte concernente il territorio della regione Liguria, non avrebbe

d'altra parte impedito allo Stato, almeno fino all'entrata in vigo re del d.leg. n. 112 del 1998, il cui art. 105 richiamava il

d.p.c.m. 21 dicembre 1995, di integrare, con riguardo a quel ter

ritorio, l'elenco delle aree escluse dall'applicazione della dele

ga: infatti l'art. 59, 2° comma, ultimo periodo, d.p.r. n. 616 del

1977 espressamente prevedeva che «col medesimo procedi mento l'elenco delle aree predette può essere modificato». Ma

nessun nuovo provvedimento relativo alle aree demaniali marit

time site nel territorio della regione Liguria è intervenuto dopo la sentenza di questa corte n. 242 del 1997, cit., che annullò pro

parte il decreto del 1995.

A sua volta l'art. 105, 2° comma, lett. /), d.leg. n. 112 del

1998, nel suo testo originario, si limitava a rinviare al d.p.c.m. 21 dicembre 1995, e dunque, si direbbe, all'intero contenuto di

Il Foro Italiano — 2003.

questo, che includeva, come s'è visto, anche i porti nell'elenco

delle aree sottratte alla delega. Ma allora, stante l'annullamento

parziale di tale decreto, se ne ricava che, con riguardo al territo

rio della regione Liguria, il conferimento di funzioni operava relativamente a tutte le aree demaniali, ad eccezione di quelle ove sono costituite autorità portuali, le cui attribuzioni sono

fatte salve dal medesimo art. 105, 1° comma. Tali autorità, in

fatti (costituite nei porti maggiori, riconosciuti di rilevanza eco

nomica internazionale o nazionale: cfr. art. 4, comma 1 bis, e

art. 6 1. n. 84 del 1994), esercitano fra l'altro, nell'ambito delle

rispettive circoscrizioni, le funzioni di concessione dei beni del

demanio (cfr. art. 8, 3° comma, lett. h, medesima 1. n. 84 del

1994). 6. - Poiché il porto turistico di Lavagna non fa parte della cir

coscrizione di competenza di un'autorità portuale, e non risulta

oggetto di alcuna altra norma di esclusione dall'ambito di appli cazione della delega, e poi del conferimento di funzioni alla re

gione, si deve concludere che l'atto impugnato nel presente giu dizio è stato emanato in violazione delle attribuzioni della re

gione medesima.

Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara che non

spettava allo Stato, e per esso al ministero dei trasporti e della

navigazione, autorizzare il subingresso della s.p.a. Porto di La

vagna nella concessione per la realizzazione e la gestione del

porto turistico di Lavagna; conseguentemente annulla il provve dimento del ministero dei trasporti e della navigazione, proto collo Dem 2A-2399, trasmesso alla regione Liguria con nota in

data 16 ottobre 2000 (protocollo Dem 2A-2400), e impugnato con il ricorso in epigrafe.

CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 28 novembre 2002, n.

493 (Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 4 dicembre 2002, n.

48); Pres. Ruperto, Est. Vaccarella; Mazzella c. Fall. soc.

Duomar e altra. Ord. App. Napoli 12 dicembre 1997 (G.U., la

s.s., n. 19 del 2002).

Fallimento — Istanza di chiusura — Rigetto — Reclamo —

Esclusione — Incostituzionalità (Cost., art. 3, 24; r.d. 16

marzo 1942 n. 267, disciplina del fallimento, art. 119).

E incostituzionale l'art. 119 l. fall., nella parte in cui esclude la

reclamabilità dinanzi alla corte d'appello del decreto di ri

getto dell'istanza di chiusura del fallimento. (1)

(1) La norma oggetto della pronuncia di accoglimento del giudice delle leggi è quella contenuta nell'art. 119, 2° comma, 1. fall, nella

parte in cui non viene prevista alcuna forma di controllo impugnatorio del decreto con il quale il tribunale respinga l'istanza del curatore o del debitore volta ad ottenere la chiusura del fallimento.

In verità, la disposizione non esclude espressamente l'impugnabilità del decreto di rigetto, ma tale esclusione è stata affermata tanto in lette ratura (Guglielmucci, Lezioni di diritto fallimentare, Torino, 2001, 305; Tedeschi, Manuale di diritto fallimentare, Padova, 2001, 595; Lo

Cascio, Il fallimento e le altre procedure concorsuali, Milano, 1995, 432; Sparano, La chiusura del fallimento e il completamento della li

quidazione coatta amministrativa, Padova, 1994, 256; Di Gravio, Sen

za reclamo il rigetto della (istanza di) chiusura del fallimento, in Dir.

fallim., 1992, I, 771; Satta, Diritto fallimentare, Padova, 1990, 353; Ferrara, Il fallimento, Milano, 1989, 592; De Semo, Diritto fallimenta re, Padova, 1968, 459; Andrioli, Fallimento (dir. priv.), voce dell'£>j

ciclopedia del diritto, Milano, 1967, XVI, 452; Bianchi d'Espinosa, Sul

procedimento di chiusura del fallimento, in Dir. fallim., 1955, II, 36; v.

però, in senso contrario, Apice, Soggetti e rapporti giuridici nelle pro cedure concorsuali, Padova, 2002, 285; Jorio, Le crisi d'impresa. Il

fallimento, Milano, 2000, 704; Ragusa Maggiore, Istituzioni di diritto

fallimentare, Padova, 1994, 478; Pajardi, Manuale di diritto fallimen tare, Milano, 1993, 657; Provinciali, Trattato di diritto fallimentare, Milano, 1974, III, 1771; più in particolare, per una lettura costituzio

nalmente orientata dell'art. 119 1. fall, tale da consentire il reclamo an

che avverso il decreto di rigetto, cfr. Cavalaglio, La chiusura del fai

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PARTE PRIMA

Diritto. — 1. - La Corte d'appello di Napoli dubita — in rife

rimento agli art. 3 e 24 Cost. — della legittimità costituzionale

dell'art. 119 r.d. 16 marzo 1942 n. 267 (disciplina del fallimen

to, del concordato preventivo, dell'amministrazione controllata

e della liquidazione coatta amministrativa), nella parte in cui

esclude la reclamabilità del decreto di rigetto dell'istanza di

chiusura del fallimento.

2. - La questione è fondata.

Poiché il rimettente — con motivazione confortata dall'o

limento, in Le procedure concorsuali. Il fallimento, trattato a cura di G. Ragusa Maggiore e C. Costa, Torino, 1997, III, 613; Bonsignori, Il

fallimento, in Trattato dir. comm. e dir. pubbl. econ., Padova, 1986, IX,

707), quanto in giurisprudenza (Cass. 12 settembre 1992, n. 10428, Fo ro it., Rep. 1993, voce Fallimento, n. 522; 28 aprile 1982, n. 2650, id.,

Rep. 1982, voce cit., n. 500; 22 maggio 1980, n. 3367, id.. Rep, 1980, voce cit., n. 499; 16 marzo 1979, n. 1569, id., 1980, I, 684; 21 maggio 1975, n. 2011. id., 1975, I, 2504; App. Roma 4 settembre 1993, id.,

Rep. 1994, voce cit., n. 615), sia argomentando a contrario dal fatto che è invece disciplinata l'ipotesi del reclamo avverso il decreto che dichiara la chiusura, sia argomentando nel senso che tale lacuna non re cherebbe un vulnus al curatore o al debitore una volta che l'istanza sia considerata riproponibile senza alcuna limitazione. Sulla base di questi rilievi si è escluso il rimedio del reclamo e la proponibilità del ricorso

per cassazione ai sensi dell'art. Ill Cost. (Cass. 24 marzo 1993, n.

3491, id., Rep. 1993, voce cit., n. 521, ha infatti precisato che il decreto con il quale il tribunale fallimentare rigetti un'istanza di chiusura del fallimento non è impugnabile con ricorso per cassazione, ai sensi del l'art. 111 Cost., per difetto del requisito della decisorietà, perché, limi tandosi a lasciare aperta la procedura fallimentare, è perciò stesso mo dificabile e revocabile dallo stesso giudice che lo ha emesso ed inido neo ad acquistare autorità di giudicato, una volta ritenuta la non defini tività del provvedimento di diniego; così anche Cass. 21 maggio 1975, n. 2011, cit.).

Quale autorevole precedente il giudice invoca Corte cost. 23 giugno 1994, n. 253, /<i., ,1994,1, 2005, con nota di Capponi, Il reclamo avverso il provvedimento cautelare negativo (il difficile rapporto tra legislatore ordinario e legislatore costituzionale), cui si rinvia per l'ampio pano rama di dottrina, con la quale venne accolta la questione di legittimità costituzionale dell'art. 669 terdecies c.p.c. nella parte in cui nel testo

originario non prevedeva la facoltà di impugnare il provvedimento di

rigetto. Sul tema, cfr., poi, gli ulteriori contributi di Cicchitti, Sul re clamo contro il decreto di rigetto della domanda cautelare, in Riv. dir.

proc., 1998, 606; Guarnieri, Reclamabilità del decreto di rigetto della domanda cautelare, in Lavoro giur., 1997, 51; Vaccarella, Il proce dimento cautelare dopo l'intervento della Corte costituzionale sul re clamo avverso provvedimenti negativi, in Giust. civ., 1995, II, 511; Arieta, Reclamabilità del provvedimento di rigetto e struttura del re clamo cautelare, in Giur. costit., 1994, 2041; Frus, Sulla reclamabilità del decreto di rigetto della domanda cautelare, in Giur. it., 1995, I, 2. 577; Guarnieri, Note in tema di reclamabilità del provvedimento di ri

getto della domanda cautelare, in Mass. giur. lav., 1994, 669; Mammo ne, Incostituzionalità dell'art. 669 terdecies c.p.c. e parità delle parti nel processo cautelare, in Giust. civ., 1995, I, 659; Tommaseo, Rigetto della domanda cautelare e garanzia de! reclamo, in Corriere giur., 1994, 948; De Cristofaro, Struttura rescindente o sostitutiva del re clamo cautelare, in Giur. it., 1994, I, 2, 215; Consolo, Il reclamo cau telare e la «parità delle armi» ritrovata, ibid., I, 409; Id., I! reclamo cautelare, la sua struttura e l'art. 3 Cost., in Corriere giur., 1994, 376.

Facendo leva sul fatto che la piena riproponibilità di un'istanza non è circostanza equipollente ad un rimedio di rango impugnatorio, quanto meno per la diversità dell'organo chiamato ad esercitare il controllo e che pertanto la previsione di un rimedio non può essere fatta dipendere dall'esito del procedimento, la corte giunge alla conclusione della ille

gittimità della disposizione con una sentenza di accoglimento pura, sul

presupposto che non ci si trovi di fronte ad una norma di diritto vivente, ma ad una vera e propria norma che sottende un diniego.

Nella motivazione vengono richiamati come parametri di costituzio nalità violati tanto l'art. 3 che l'art. 24 Cost, ed anche in occasione del

precedente più volte evocato, la Consulta aveva utilizzato quelle norme

per stabilire il diritto della parte ad impugnare il provvedimento di ri

getto dell'istanza cautelare, pur se va osservato come una parte della letteratura che aveva invocato la pronuncia si era attestata sulla difesa dell'art. 24 Cost, più che sulla difesa del principio di eguaglianza, visto che le situazioni non erano proprio simili.

Eppure come già allora si era voluto escludere che la decisione se cundum eventum litis potesse influenzare l'adozione di un rimedio

piuttosto che un altro, ovvero un rimedio piuttosto che nessun rimedio, così pure ora il giudice delle leggi ha cura di evidenziare che la diver sità di contenuto di una pronuncia non può giustificare un diverso trat tamento impugnatorio.

Sotto questo profilo la sentenza potrebbe aprire scenari imprevedibili perché se si accentua il profilo della irrilevanza del contenuto della de cisione che non funge più da discrimine del rimedio gravatorio (poiché

Il Foro Italiano — 2003.

rientamento della dominante giurisprudenza di legittimità e di

merito — esclude l'interpretazione della norma denunciata se

condo la quale il provvedimento che decide sull'istanza di chiu

sura sarebbe sempre reclamabile, è indubbia l'illegittimità co

stituzionale di una norma che, senza alcuna ragionevole giusti ficazione, consente o nega la proposizione del reclamo secun

dum eventum litis.

Ribadito il principio, enunciato nella sentenza n. 253 del 1994

(Foro it., 1994, I, 2005) a proposito del reclamo cautelare, se

deve corrispondere l'identità del rimedio all'identità del procedimen to), allora si deve anche pensare che potrebbe risultare ingiustificato il diverso trattamento fra l'impugnazione del decreto di rigetto del ricorso

per fallimento che avviene con il reclamo alla corte d'appello e l'impu gnazione della sentenza di fallimento che avviene con l'opposizione ex art. 18 1. fall.

Nel caso della chiusura è evidente la diversità della situazione so stanziale sottesa alla diversità della pronuncia: mentre il decreto di chiusura sancisce definitivamente, ove non impugnato, la cessazione della procedura con tutti gli effetti che ne conseguono (si pensi alla rie

spansione delle azioni dei creditori e alla riacquisita capacità del debi tore di disporre del patrimonio), il decreto che nega la chiusura stabi lizza ancora quegli effetti che però potrebbero essere poi rimossi.

Il fatto che debba essere vigorosamente affermato un diritto del de bitore alla celere chiusura del fallimento (oggi vieppiù da tutelare alla luce dell'art. 6 della convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo ed ora della 1. 24 marzo 2001 n. 89, su cui Bozza, La ragio nevole durata del giusto processo, la legge Pinto, e il processo falli mentare, in Fallimento, 2002, 299; Conte, Legge Pinto e giudizi falli mentari, in Dir. e giustizia, 2002, fase. 40, 64) e che per conseguenza debba essergli assicurato un adeguato livello di difesa, livello non dete riore a quello che spetta ad altri, non significa però dover utilizzare il

paradigma dell'art. 3 Cost., perché i diritti sostanziali vengono com

pressi in modo difforme. Assai più forte è invece il richiamo all'art. 24 Cost, nel senso che lo

strumento del reclamo ad un giudice diverso da quello che ha emesso il

provvedimento impugnato costituisce un mezzo di difesa assai più ade

guato di quello rappresentato dal rimedio racchiuso nella semplice re iterabilità dell'istanza, specie se si condividesse la tesi che la posizione del fallito va considerata come vera e propria posizione di diritto (cfr. Ragusa Maggiore, Istituzioni di diritto fallimentare, cit., 476; Pajardi, Manuale di diritto fallimentare, cit., 656; ma in senso opposto, Jorio, Le crisi d'impresa. Il fallimento, cit., 704), tale da connotare la natura

giurisdizionale del procedimento che tende ad lina pronuncia suscetti bile di incidere, con autorità di giudicato, sullo status del fallito e sui diritti di quest'ultimo e delle persone che hanno avuto rapporti con trattuali con lui (Cass. 25 marzo 1999, n. 2809, Foro it.. Rep. 1999, vo ce cit., n. 800).

L'estensione del rimedio del reclamo anche avverso il decreto di ri

getto rende poi necessario stabilire se anche il provvedimento della corte d'appello che neghi la chiusura sia ricorribile per cassazione, po sto che attualmente l'impugnazione di legittimità viene ammessa nei confronti del provvedimento pronunciato dalla corte di appello laddove confermativo della chiusura dichiarata in primo grado, assumendo que sto natura decisoria e definitiva (Cass. 25 giugno 1999, n. 6580, id..

Rep. 2000, voce cit., n. 680; 7 novembre 1968, n. 3679, id., 1969, 1. 339; in passato però i giudici di legittimità erano stati più possibilisti, assumendo che la ricorribilità poteva riguardare solo alcune ipotesi di chiusura, quelle di cui ai nn. 1 e 2 dell'art. 118: cfr. Cass. 11 giugno 1958, n. 1930, id., 1959, I, 1842; 23 aprile 1969. n. 1307, id.. 1969, I, 2594). Se non ci si distacca dall'interpretazione tradizionale, il reclamo alla corte d'appello dovrebbe esaurire la fase di gravame sul decreto di reiezione dell'istanza di chiusura, una volta che la pronuncia non può essere qualificata definitiva in quanto resterebbe sempre reiterabile l'i stanza, ma non può escludersi che dietro l'angolo possa avvistarsi la scelta di considerare esperibile il ricorso per cassazione ai sensi del l'art. 111 Cost, in presenza del solo requisito della decisorietà difettan do quello della definitività, una volta ribadito che la riproponibilità di una domanda non costituisce un adeguato strumento di difesa per la

parte che vede negato un suo diritto in una decisione dell'autorità giu diziaria.

Quanto all'ulteriore argomento comparativo tratto dal d.leg. 270/99, va effettivamente rilevato che nella nuova disciplina dell'amministra zione straordinaria l'art. 76 prevede, per effetto del richiamo al prece dente art. 71. la reclamabilità del provvedimento di rigetto della richie sta di chiusura (Di Fusco-Pace, La nuova disciplina dell'amministra zione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza. Padova, 2001, 111; Alessi, L'amministrazione straordinaria delle grandi im

prese insolventi, Milano, 2000, 281; Beltrami, Bilancio finale e de creto di chiusura, in La nuova disciplina dell'amministrazione straor dinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza a cura di A. Casta gnola e R. Sacchi, Torino, 2000, 381; Lo Cascio, Commentario alla

legge sull'amministrazione straordinaria delle grandi imprese insol venti, Milano, 2000, 405). [M. Fabiani]

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

condo il quale non vi è equivalenza, quanto a qualità della tutela

giurisdizionale, tra riproponibilità dell'istanza al medesimo giu dice che già l'abbia respinta e reclamabilità davanti ad altro

giudice, è evidente come il diniego dell'esperibilità del reclamo si risolva, per chi abbia visto respingere la sua istanza di chiusu

ra, in un trattamento ingiustificatamente deteriore rispetto a

quello riservato a chi si opponga al decreto di chiusura.

Non essendo qualitativamente diversi — e, quindi, suscettibili

di diversa protezione —

gli interessi di chi insta per la chiusura

del fallimento e di chi ad essa si oppone (come dimostra, a tacer

d'altro, la circostanza che la giurisprudenza ritiene ammissibile

il ricorso ex art. 111 Cost, avverso il provvedimento di accogli mento del reclamo e, pertanto, di revoca della chiusura) l'irre

clamabilità del decreto di rigetto dell'istanza (peraltro, ritenuto

non ricorribile ex art. Ill Cost.) viola sia l'art. 3, per l'irrazio

nalità del diverso trattamento riservato a situazioni soggettive

speculari ma meritevoli di paritaria considerazione, sia l'art. 24

Cost., per la compressione degli strumenti di tutela giurisdizio nale delle ragioni di chi ha interesse alla chiusura del fallimento.

Le considerazioni appena svolte circa l'irrazionalità della

norma vigente per il fallimento sono confortate dal confronto

con l'omologa disciplina dell'amministrazione straordinaria, la

quale prevede la reclamabilità alla corte d'appello del decreto

sia che disponga sia che neghi la chiusura della procedura (cfr. il combinato disposto degli art. 76, 2° comma, e 71, 4° comma,

d.leg. 8 luglio 1999 n. 270). Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiarata l'illegit

timità costituzionale dell'art. 119 r.d. 16 aprile 1942 n. 267 (di sciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell'ammini

strazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), nella parte in cui esclude la reclamabilità dinanzi alla corte

d'appello del decreto di rigetto dell'istanza di chiusura del fal

limento.

CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 26 novembre 2002, n.

477 (Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 4 dicembre 2002, n.

48); Pres. Ruperto, Est. Marini; Rizzacasa (Avv. Chiola) c.

Soc. Enel. Ord. Cass. 2 febbraio 2002, n. 1390 (G.U., la s.s., n. 14 del 2002).

Notificazione e comunicazione di atti civili — Notificazione a mezzo del servizio postale — Perfezionamento per il noti

ficante alla data di ricezione dell'atto — Incostituzionalità

(Cost., art. 3, 24; cod. proc. civ., art. 149; 1. 20 novembre

1982 n. 890, notificazione di atti a mezzo posta e di comuni

cazioni a mezzo posta connesse con la notificazione di atti

giudiziari, art. 4).

E incostituzionale il combinato disposto dell'art. 149 c.p.c. e

dell'art. 4, 3° comma, l. 20 novembre 1982 n. 890, nella parte in cui prevede che la notificazione si perfeziona, per il notifi cante, alla data di ricezione dell'atto da parte del destinata

rio anziché a quella, antecedente, di consegna dell'atto al

l'ufficiate giudiziario. (1)

( 1 ) La questione di costituzionalità era stata sollevata dalla Corte di cassazione con ord. 2 febbraio 2002, n. 1390, Foro it., 2002, I, 2443, con osservazioni di R. Caponi. Una questione di legittimità costituzio nale formalmente diversa, ma sostanzialmente identica quanto al pro blema di fondo, era stata precedentemente sollevata dalla Corte di cas

sazione nella stessa causa: v. Cass., ord. 19 maggio 2000, n. 453, id.,

2000.1, 2513, con nota di R. Caponi, Le notificazioni a mezzo posta di

nuovo al giudizio della Corte costituzionale, e dichiarata manifesta mente inammissibile da Corte cost., ord. 27 luglio 2001, n. 322, id., 2001, I, 3021, con nota di R. Caponi. Interpretazione conforme a Co

stituzione e diritto vivente nelle notificazioni postali.

* * *

Il Foro Italiano — 2003.

Diritto. — 1. - La Corte di cassazione dubita, in riferimento

agli art. 3 e 24 Cost., della legittimità costituzionale degli art. 149 c.p.c. e 4, 3° comma, 1. 20 novembre 1982 n. 890 (notifica zioni di atti a mezzo posta e di comunicazioni a mezzo posta connesse con la notificazione di atti giudiziari), nella parte in cui dispongono che gli effetti della notificazione a mezzo posta decorrono, anche per il notificante, dalla data di consegna del

plico al destinatario anziché dalla data della spedizione. Tale disposizione si porrebbe in contrasto sia con la garanzia

costituzionale del diritto di difesa, in quanto esporrebbe il noti

La notificazione a mezzo posta si perfeziona per il notificante alla data di consegna all'ufficiale giudiziario: la parte non risponde delle negligenze di terzi.

1. - Finalmente! Una piccola battaglia di civiltà si conclude in modo

positivo. E opportuno riepilogare la vicenda. Un ricorso per cassazione, con

segnato il 17 novembre all'ufficiale giudiziario di Roma per la notifi cazione a mezzo del servizio postale a L'Aquila, è ricevuto dal desti natario tardivamente (il 29 novembre, quattro giorni dopo la scadenza del termine d'impugnazione ex art. 327 c.p.c.) a causa di un cattivo funzionamento del servizio postale. In riferimento agli art. 3 e 24 Cost., la Corte di cassazione solleva questione di costituzionalità dell'art. 149

c.p.c. nell'interpretazione giurisprudenziale secondo cui la notifica a mezzo del servizio postale si perfeziona alla data della ricezione del l'atto da parte del destinatario, anche se la parte notificante abbia tem

pestivamente adempiuto a tutte le formalità (Cass. 453/00, cit.). La Corte costituzionale dichiara la questione di costituzionalità ma

nifestamente inammissibile, osservando che il consolidato indirizzo

interpretativo sul perfezionamento della notifica postale non è imposto dal tenore letterale dell'art. 149 c.p.c., né costituisce una regola gene rale dell'ordinamento, ed afferma che «la corte rimettente non ha nella

specie assolto l'onere di verificare, prima di sollevare la questione di

costituzionalità, la concreta possibilità di attribuire alla norma denun ciata un significato diverso da quello censurato e tale da superare i pro spettati dubbi di legittimità costituzionale» (Corte cost. 322/01, cit.).

Alla ripresa del processo, la Corte di cassazione constata di non poter adottare un'interpretazione conforme a Costituzione. Nel prevedere che l'avviso di ricevimento costituisca prova dell'eseguita notificazione, l'art. 4, 3° comma, 1. 890/82 imporrebbe di ritenere che la notifica a mezzo del servizio postale non si esaurisca con la spedizione, ma si

perfezioni anche per il notificante solo con la ricezione dell'atto da

parte del destinatario. Pertanto la Suprema corte solleva una questione di legittimità costituzionale sostanzialmente identica alla precedente, quanto al problema relativo al perfezionamento per il notificante della notificazione a mezzo posta, ma — per evitare una pronuncia d'inam missibilità — la fa precedere dall'infruttuoso tentativo di adottare

un'interpretazione adeguatrice dell'art. 149 c.p.c. e l'arricchisce con il riferimento all'art. 4, 3° comma, 1. 890/82 (Cass. 1390/02, cit.).

Con la pronuncia in epigrafe, la vicenda finalmente si conclude. Do

po aver riconosciuto che il giudice a quo ha vanamente cercato di adottare un'interpretazione alternativa rispetto a quella sospettata di il

legittimità costituzionale, la Corte costituzionale dichiara l'incostitu zionalità del combinato disposto dell'art. 149 c.p.c. e dell'art. 4, 3° comma. 1. 20 novembre 1982 n. 890 e fissa il perfezionamento della notificazione per il notificante alla data di consegna dell'atto all'uffi ciale giudiziario (facendo espressamente salvo il perfezionamento della notificazione per il destinatario alla data della ricezione).

Una soluzione analoga era stata già adottata dalla Corte costituzio nale in relazione alle notificazioni internazionali: v. Córte cost. 2 feb braio 1978, n. 10, Foro it., 1978,1, 550, con nota di A. Proto Pisani, e 3 marzo 1994, n. 69, id., 1995,1, 2336, citata in motivazione.

2. - Secondo la corte «è palesemente irragionevole, oltre che lesivo del diritto di difesa del notificante, che un effetto di decadenza possa discendere — come nel caso di specie — dal ritardo nel compimento di un'attività riferibile non al medesimo notificante, ma a soggetti diversi

(l'ufficiale giudiziario e l'agente postale) e che, perciò, resta del tutto estranea alla sfera di disponibilità del primo».

L'affermazione è preziosa, perché si presta ad una inevitabile gene ralizzazione: è palesemente irragionevole, oltre che lesivo del diritto di

difesa della parte, che un effetto di decadenza possa discendere dalla

negligenza nel compimento di un'attività riferibile non alla medesima

parte, ma a soggetti diversi e che, perciò, resta del tutto estranea alla

sfera di disponibilità della prima. La sentenza della Corte costituzionale reca così un autorevole con

forto ad una delle espressioni salienti del principio per cui la parte è te

nuta a sopportare la decadenza da un potere processuale solo quando essa derivi da una causa a lei imputabile. Tale principio può essere ri

cavato dall'art. 24 Cost., nonché dal nuovo testo dell'art. 111 Cost., nel

loro profilo di garanzia costituzionale dell'effettività del contradditto rio.

Nella legislazione ordinaria tale principio trova espressione nelle

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