sentenza 29 gennaio 1996, n. 15 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 7 febbraio 1996, n. 6);Pres. Ferri, Est. Zagrebelsky; Servizio riscossione tributi Trieste c. Pahor. Ord. Pret. Trieste 2marzo 1995 (G.U., 1 a s.s., n. 35 del 1995)Source: Il Foro Italiano, Vol. 119, No. 9 (SETTEMBRE 1996), pp. 2659/2660-2667/2668Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23191571 .
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2659 PARTE PRIMA 2660
I
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 29 gennaio 1996, n. 15
(Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 7 febbraio 1996, n. 6); Pres. Ferri, Est. Zagrebelsky; Servizio riscossione tributi
Trieste c. Pahor. Ord. Pret. Trieste 2 marzo 1995 (G.U., la
s.s., n. 35 del 1995).
Procedimento civile — Processo di esecuzione — Minoranza
linguistica slovena — Uso della propria lingua — Questione infondata di costituzionalità (Cost., art. 6, 10; cod. proc. civ.,
art. 122, 123; 1. cost. 31 gennaio 1963 n. 1, statuto speciale della regione Friuli-Venezia Giulia, art. 3).
È infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art.
122, 1 0 comma, c.p.c., nella parte in cui non consente al cit
tadino italiano appartenente alla minoranza linguistica slove
na, nel processo di esecuzione davanti al giudice avente com
petenza su un territorio dove sia insediata tale minoranza, di usare, su sua richiesta, la propria lingua negli atti da esso
compiuti, usufruendo per questi della traduzione in lingua ita
liana, nonché di ricevere gli atti dell'autorità giudiziaria o della
controparte tradotti nella sua lingua, in riferimento agli art.
6 e 10 Cost, e 3 statuto speciale Friuli-Venezia Giulia. (1)
II
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 30 giugno 1994, n. 271
0Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 6 luglio 1994, n. 28); Pres. Casavola, Est. Cheli; Rabensteiner, Putzer (Avv. De
Vergottini); interv. Pres. cons, ministri (Aw. dello Stato Sac
chetto). Ord. Pret. Bolzano 22 giugno 1993 (due) (G.U., la s.s., n. 5 del 1994).
Trentino-Alto Adige — Minoranze liguistiche — Processo pe nale — Uso della propria lingua — Questione infondata di
costituzionalità (Cost., art. 3, 24; statuto speciale Trentino
Alto Adige, art. 100; d.p.r. 15 luglio 1988 n. 574, norme di
attuazione dello statuto speciale per la regione Trentino-Alto
Adige in materia di uso della lingua tedesca e della lingua ladina nei rapporti dei cittadini con la pubblica amministra
zione e nei procedimenti giudiziari, art. 17).
È infondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di
legittimità costituzionale dell'art. 17, 6° comma, d.p.r. 15 lu
glio 1988 n. 574, nella parte in cui impedisce al cittadino di
esprimersi nella propria lingua madre, anche se diversa da
quella scelta per il processo, e prevede, quale sanzione per la formulazione degli atti in una lingua diversa da quella del
processo, la nullità assoluta ed insanabile degli atti stessi, in
riferimento agli art. 3 e 24 Cost, e 100 statuto speciale Trentino-Alto Adige. (2)
(1-2) Attraverso la sent. 15/96 (commentata da Cartabia, in Gazzet ta Giuffrè Italia Oggi, 1996, fase. 7) la corte opera una approfondita analisi della tutela costituzionale delle minoranze linguistiche con parti colare riguardo all'uso della propria lingua nel processo; ed infatti la corte stessa rileva espressamente come gli argomenti posti a fondamen to di tale decisione «sono destinati ad assumere una portata più ampia, con riguardo al diritto agli appartenenti alla minoranza slovena di far uso della propria lingua, in generale, nelle controversie di fronte al giu dice nelle quali trovi applicazione l'art. 122, 1° comma, c.p.c.». La corte giunge alla conclusione di escludere che, ai sensi ed agli effetti dell'art. 10 Cost., possano essere invocati come parametri costituzionali
gli art. 27 del patto internazionale per i diritti dell'Onu e ratificato in Italia con 1. 25 ottobre 1977 n. 881 e le norme contenute nel trattato di Osimo del 10 novembre 1975.
Nel merito la Corte costituzionale distingue tra la disciplina della lin
gua del processo e la garanzia dei diritti degli appartenenti alla comuni tà linguistica slovena nel processo, rilevando che la lingua del processo continua ad essere una, ma l'interessato può chiedere di far uso della
propria lingua, con la conseguenza che gli atti suoi, espressi in sloveno, saranno tradotti in lingua italiana e gli atti altrui, espressi in italiano, saranno tradotti in lingua slovena: a tutto ciò non è di ostacolo l'art. 122 c.p.c., il quale pertanto non deve essere dichiarato incostituzionale
(a meno, dice la corte, non si verifichino «contrastanti orientamenti dei giudici di merito»). Da sottolineare infine l'affermazione secondo cui la realizzazione di quanto indicato nella sentenza comporta l'esi stenza di strutture organizzative pubbliche, idonee allo scopo, le quali
Il Foro Italiano — 1996.
I
Diritto — 1. - La questione di legittimità costituzionale sotto
posta dal Pretore di Trieste all'esame di questa corte è se sia
conforme agli art. 6 e 10 Cost, e 3 1. cost. 31 gennaio 1963
n. 1 (statuto speciale della regione Friuli-Venezia Giulia) l'art.
122, 1° comma, c.p.c., in quanto, stabilendo in generale che
«in tutto il processo è prescritto l'uso della lingua italiana», non consente al cittadino italiano appartenente alla minoranza
linguistica slovena, nel processo di esecuzione davanti al giudice avente competenza su un territorio dove sia insediata tale mino
ranza, di usare, su sua richiesta, la propria lingua negli atti
da esso compiuti, usufruendo per questi della traduzione in lin
gua italiana, nonché di ricevere gli atti dell'autorità giudiziaria o della controparte tradotti nella sua lingua.
Per ragioni di rilevanza, la portata della questione proposta è circoscritta all'uso della lingua nel processo civile di esecuzio
ne, trattandosi nel caso specifico di un giudizio per pignora mento di crediti tributari presso terzi, come esposto nella narra
zione del fatto. È peraltro evidente che — non esistendo ragioni differenziatrici della tutela delle minoranze linguistiche e, nella
specie, di quella di lingua slovena, in questa o quella fase del
processo civile, sia esso di cognizione o sia di esecuzione —
gli argomenti posti a fondamento della presente decisione sono
destinati ad assumere una portata più ampia, con riguardo al
diritto degli appartenenti alla minoranza slovena di far uso del
la propria lingua, in generale, nelle controversie di fronte al
giudice, nelle quali trovi applicazione l'art. 122, 1° comma, c.p.c. 2. - La tutela delle minoranze linguistiche è uno dei principi
fondamentali del vigente ordinamento che la Costituzione stabi
lisce all'art. 6, demandando alla repubblica il compito di darne
attuazione «con apposite norme». Tale principio, che rappre
offrano tale servizio in maniera assolutamente gratuita e che non esisto no ragioni per escludere una competenza in materia anche del legislato re regionale «quantomeno nell'apprestamento di mezzi e nell'organizza zione di strutture volte a rendere effettivi i diritti linguistici delle mino ranze situate sul territorio della regione».
La sent. 271/94 (la relativa ordinanza di rimessione di Pret. Bolzano è massimata in Foro it., Rep. 1994, voce Trentino-Alto Adige, n. 19) contiene invece una decisione interpretativa di rigetto, attraverso cui la corte risolve la questione dimostrando l'inesattezza del presupposto sul quale l'ordinanza di rimessione si fondava. Il presupposto censurato era quello per cui, una volta operata da parte dell'imputato la scelta della lingua del processo, come diversa da quella materna, esso non avrebbe più avuto la possibilità di rendere dichiarazioni spontanee o di essere esaminato nella propria madre-lingua, rispetto al quale la cor te rileva come il diritto alla scelta della lingua del processo non si pre senta come alternativo, bensì come concorrente con il diritto attribuito in generale a tutti i cittadini appartenenti a minoranze linguistiche rico nosciute ad essere interrogati o esaminati, a propria richiesta, nella lin
gua materna. Un precedente specifico è costituito da Corte cost. 24 febbraio 1992,
n. 62, id., 1994, I, 3583, con nota di richiami, che ha dichiarato l'ille
gittimità costituzionale del combinato disposto degli art. 22 e 23 1. 24 novembre 1981 n. 689 e 122 c.p.c., nella parte in cui non consentivano ai cittadini italiani appartenenti alla minoranza linguistica slovena, nel
processo di opposizione ad ordinanze-ingiunzioni applicative di sanzio ni amministrative davanti al pretore avente competenza su un territorio dove fosse insediata la predetta minoranza, di usare, su loro richiesta, la lingua madre nei propri atti, usufruendo per questi della traduzione nella lingua italiana, nonché di ricevere tradotti nella propria lingua gli atti dell'autorità giudiziaria e le risposte della controparte. Sugli ef fetti di tale decisione, v. Trib. Trieste 6 aprile 1994, id., Rep. 1994, voce Friuli-Venezia Giulia, n. 11.
Per l'affermazione secondo cui, facendosi generico riferimento ai pro cedimenti davanti ad autorità giudiziaria avente competenza su un terri torio dov'è insediata la minoranza slovena, si può ad essa minoranza riconoscere la qualifica di minoranza linguistica riconosciuta ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 109 c.p.p., per cui sussiste il diritto del
l'imputato ad usare davanti all'autorità giudiziaria la propria lingua madre ai sensi del suddetto art. 109 c.p.p. e la violazione di tale diritto è causa di nullità della sentenza relativa, v. App. Trieste 10 ottobre
1992, ibid., voce Procedimento penale, n. 6, commentata da Bonamo
re, L'art. 109 c.p.p. causa ed effetto per il riconoscimento di una «co munità linguistica diversa» (art. 2 e 6 Cost.), in Cass, pen., 1994, 2238, del quale autore v. pure La parificazione fra processo penale e civile in cui sono parti le comunità linguistiche diverse (art. 2 e 6 Cost.) pro mossa da una sentenza additiva della Corte costituzionale sulla lingua degli atti (art. 122 c.p.c.), in Giusi, civ., 1994, I, 2349.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
senta un superamento delle concezioni dello Stato nazionale chiu
so dell'ottocento e un rovesciamento di grande portata politica e culturale, rispetto all'atteggiamento nazionalistico manifesta
to dal fascismo, è stato numerose volte valorizzato dalla giuris
prudenza di questa corte, anche perché esso si situa al punto di incontro con altri principi, talora definiti «supremi», che qua lificano indefettibilmente e necessariamente l'ordinamento vi
gente (sentenze nn. 62 del 1992, Foro it., 1994, I, 3534; 768
del 1988, id., 1989, I, 996; 289 del 1987, id., 1987, I, 2918, e 312 del 1983, id., Rep. 1983, voce Trentino-Alto Adige, n.
25): il principio pluralistico riconosciuto dall'art. 2 — essendo
la lingua un elemento di identità individuale e collettiva di im
portanza basilare — e il principio di eguaglianza riconosciuto
dall'art. 3 Cost., il quale, nel 1° comma, stabilisce la pari digni tà sociale e l'eguaglianza di fronte alla legge di tutti i cittadini, senza distinzione di lingua e, nel 2° comma, prescrive l'adozio
ne di norme che valgono anche positivamente per rimuovere
le situazioni di fatto da cui possano derivare conseguenze di
scriminatorie.
Con queste sue norme, la Costituzione italiana partecipa del
l'attuale movimento sovranazionale a favore della convivenza
di gruppi umani dalla diversa identità entro le medesime orga nizzazioni politiche statali, un movimento gravido di possibili
conseguenze sul diritto pubblico interno e di cui è espressione il patto internazionale per i diritti civili e politici adottato il 16 dicembre 1966 dall'assemblea generale dell'Organizzazione delle Nazioni unite e ratificato dall'Italia con la 1. 25 ottobre
1977 n. 881. Dopo aver proclamato il principio dell'uguaglian
za, senza distinzioni di lingua, origine nazionale e nascita, nel
godimento dei diritti riconosciuti dal patto medesimo, nonché
l'impegno degli Stati ad agire secondo le loro procedure costitu
zionali per renderli effettivi, l'art. 27 stabilisce che «dans les
Etats où il existe des minoritès ethniques, religieuses ou lingui
stiques, les personnes appartenant à ces minoritès ne peuvent étre privèes du droit d'avoir, en commun avec les autres mem
bres de leur groupe, leur propre vie culturelle, de professer et
de pratiquer leur propre religion, ou d'employer leur propre
langue».
Tuttavia, il richiamo che l'ordinanza di rimessione, attraver
so l'art. 10, 1° comma, Cost., fa a questa norma non è confe
rente, ai fini della presente questione di legittimità costituzionale.
In primo luogo, per motivi formali, non si può dire, che in
questo, come in altri casi del medesimo genere, si abbia a che
fare fin da ora con il diritto internazionale generalmente rico
nosciuto, al quale l'art. 10, 1° comma, Cost, rinvia per incor
porarlo nell'ordinamento italiano, attribuendo a esso un valore
di norme costituzionali, pur escludendo la possibilità di deroga re ai principi fondamentali del nostro ordinamento (sent. n. 48
del 1979, id., 1979, I, 1644). Per quanto all'origine vi sia una
deliberazione dell'assemblea generale delle Nazioni unite, con
segnata a un testo che esprime un accordo internazionale che
ha da tempo ricevuto numerose adesioni e che è perciò efficace
come trattato multilaterale, e sebbene i principi ivi programma ti abbiano portata universale per la loro stessa intrinseca natu
ra, l'adesione a quel patto e la sua vigenza in Italia derivano
pur sempre da un atto di volontà sovrana individuale dello Sta
to espresso in forma legislativa. E ciò — se non impedisce di
attribuire a quelle norme grande importanza nella stessa inter
pretazione delle corrispondenti, ma non sempre coincidenti, nor
me contenute nella Costituzione — impedisce però di assumerle
in quanto tali come parametri nel giudizio di costituzionalità
delle leggi (ex pluribus, sentenze nn. 323 del 1989, id., Rep.
1989, voce Corte costituzionale, n. 67; 153 del 1987, id., 1987,
I, 1965, e, specificamente, sentenza n. 188 del 1980, id., 1981,
I, 318, nonché ordinanza di questa corte in composizione inte
grata per i procedimenti d'accusa, 6 febbraio 1979, id., 1979,
I, 897). Cosicché, una loro eventuale contraddizione da parte di norme legislative interne non determinerebbe di per sé —
cioè indipendentemente dalla mediazione di una norma della
Costituzione — un vizio d'incostituzionalità. Un rilievo, que
sto, che vale ancor più chiaramente per le norme contenute nel
trattato di Osimo del 10 novembre 1975, anch'esso sintetica
mente evocato dal giudice a quo, unitamente al patto interna
zionale sui diritti civili e politici, con riguardo all'art. 10 Cost. In secondo luogo, il richiamo contenuto nell'ordinanza di ri
messione all'art. 27 del patto suddetto risulta ininfluente, se
non addirittura controproducente, dal punto di vista del conte
1l Foro Italiano — 1996.
nuto di quest'ultimo, essendovi prevista la garanzia dell'uso della
lingua propria nella comunicazione tra i componenti della me
desima minoranza, come d'essere strumento della propria iden
tità culturale, ma non la garanzia dell'uso esterno di quella lin
gua nei rapporti con soggetti o autorità non appartenenti alla
stessa comunità, ciò che è, invece, il nucleo della questione in
esame.
3. - La minoranza linguistica slovena è destinataria, oltre che
della protezione prevista in generale dall'art. 6 Cost., di quella
disposta specificamente da altre norme. Alla X disposizione tran
sitoria della Costituzione — che, per il periodo anteriore all'ap
provazione dello statuto di autonomia speciale, prevedeva che
«alla regione del Friuli-Venezia Giulia... si applicassero] prov visoriamente le norme generali del titolo V della parte seconda, ferma restando la tutela delle mminoranze linguistiche in con
formità con l'art. 6» — ha fatto seguito l'art. 3 di tale statuto:
«Nella regione è riconosciuta parità di diritti e di trattamento
a tutti i cittadini, qualunque sia il gruppo linguistico al quale
appartengono, con la salvaguardia delle rispettive caratteristi
che etniche e culturali». A questa norma statutaria sarebbe sta
to necessario che seguisse — e non è seguita — una normativa
di attuazione, dedicata al rapporto tra gli appartenenti alla co
munità di lingua slovena e le autorità italiane. Tale carenza —
che la corte deve ancora una volta denunciare, a distanza di
più di trent'anni dall'entrata in vigore dello statuto speciale del
la regione Friuli-Venezia Giulia — se non la esonera dal ricerca
re, nei limiti dei suoi poteri, le soluzioni possibili entro le nor
me dell'ordinamento vigente, le rende tuttavia particolarmente difficili.
Può, per il momento, almeno in parte supplire a tale carenza
una disposizione del trattato tra la Repubblica italiana e la Re
pubblica socialista federativa di Jugoslavia firmato a Osimo il
10 novembre 1975 e reso esecutivo con la 1. 14 marzo 1977
n. 73. Esso, dopo aver confermato nel preambolo la «loyauté» delle due parti «envers le principe de la protection la plus ampie
possible des citoyens appartenant aux groupes ethniques (mino
rités), découlant de leurs Constitutions et de leurs droits inter
nes, que chacune des deux Parties realise d'une manière auto
nome, en s'inspirant également des principes de la Charte des
Nations Unies, de la Déclaration Universelle des Droits de l'Hom
me, de la Convention sur l'élimination de toute forme de discri
mination raciale et des Pactes Universels de Droits de l'Hom
me», all'art. 8 stabilisce che «chaque Partie... maintiendra en
vigueur les mesures internes déjà arrètées en application du Sta
tut» «Spécial annexé au Mémorandum d'Accord de Londres, du 5 octobre 1954» e che «assurera dans le cadre de son droit
interne le maintien du niveau de protection des membres des
groupes ethniques respectif (des minorités respectives), prévu par les normes du Statut Spécial échu».
Lo «statuto speciale» allegato al memorandum d'intesa fra
i governi d'Italia, del Regno unito, degli Stati uniti e di Jugo slavia concernente il Territorio libero di Trieste, cui fa riferi
mento il trattato di Osimo nell'art. 8 citato, stabiliva a sua vol
ta che «gli appartenenti al gruppo etnico jugoslavo nella zona
amministrata dall'Italia e gli appartenenti al gruppo etnico ita
liano nella zona amministrata dalla Jugoslavia godranno della
parità di diritti e di trattamento con gli altri abitanti delle due
zone» (art. 2, 1° comma) e che «gli appartenenti al gruppo etni
co jugoslavo nella zona amministrata dall'Italia e gli apparte nenti al gruppo etnico italiano nella zona amministrata dalla
Jugoslavia saranno liberi di usare la loro lingua nei loro rap
porti personali ed ufficiali con le autorità amministrative e giu diziarie delle due zone. Essi avranno il diritto di ricevere rispo sta nella loro stessa lingua da parte delle autorità, nelle risposte
verbali, direttamente o per il tramite di un interprete; nella cor
rispondenza, almeno una traduzione delle risposte dovrà essere
fornita dalle autorità. Gli atti pubblici conernenti gli apparte nenti ai due gruppi etnici, comprese le sentenze dei tribunali,
saranno accompagnati da una traduzione nella rispettiva lin
gua» (art. 5, 1° e 2° comma). Si può discutere, come in effetti si è discusso in dottrina e
in giurisprudenza, sul valore nel diritto pubblico interno del me
morandum d'intesa e dello «statuto speciale» ad esso allegato, trattandosi di testi comunicati alle due camere e da esse discus
si, ma senza addivenire ad alcuna deliberazione in vista della
loro ratifica ed esecuzione nell'ordinamento interno. Tuttavia,
11 rinvio che il trattato di Osimo — esso si per certo divenuto
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2663 PARTE PRIMA 2664
legge interna — fa, per assicurarne il rispetto, al «niveau du
protection de membres des groupes éthniques respectif..., prévu
par les normes du Statut Special échu» comporta che — dal
punto di vista interno, l'unico che rileva nel presente giudizio — quel «livello di protezione» faccia oggi certamente parte del
vigente ordinamento nazionale.
Questo è il quadro degli elementi normativi da considerare
per la risoluzione dei problemi posti con la questione di costitu
zionalità in esame. Anche alla stregua delle precedenti pronunce di questa corte in tema di protezione della lingua della mino
ranza slovena — alla quale si è riconosciuto (a iniziare dalla
scadenza n. 28 del 1982, id., 1982, I, 1814) lo status di «mino
ranza riconosciuta» e quindi anche la titolarità, attraverso i suoi
singoli appartenenti, di pretese di tutela secondo le norme costi
tuzionali e statutarie richiamate — le conseguenze che devono
trarsene sono quelle indicate di seguito. 4. - La giurisprudenza di questa corte in tema di tutela delle
minoranze linguistiche (sentenze n. 62 del 1992 e n. 28 del 1982) ha riconosciuto alle norme costituzionali e statutarie una dupli ce natura. Innanzitutto, quella di principi direttivi, richiedenti
l'apprestamento sia di norme ulteriori di svolgimento sia di strut
ture o istituzioni finalizzate alla loro concreta operatività. La
misura concreta di effettività di tali principi di tutela delle mi
noranze è infatti condizionata all'esigenza di leggi e misure am
ministrative e dipende perciò, per questo aspetto, da iniziative
essenzialmente politiche: iniziative rispetto alle quali le norme
costituzionali pongono le linee direttrici ma non possono rap
presentare un surrogato alternativo, attivabile attraverso il ri
corso alla Corte costituzionale.
In secondo luogo, però, l'esistenza di norme, ancorché nor
me di principio, le quali — come l'art. 3 dello statuto della
regione Friuli-Venezia Giulia — proclamano veri e propri diritti
costituzionali, non può ridursi al semplice auspicio di un inter
vento futuro dell'autorità politico-amministrativa, come sugge rirebbe il concetto di norme meramente programmatiche. Dalle
norme costituzionali in questione deriva sempre e necessaria
mente l'obbligo di ricercare una «tutela minima», immediata
mente operativa, sottratta alla vicenda politica e direttamente
determinabile attraverso l'interpretazione costituzionale dell'or
dinamento, anche per mezzo della valorizzazione di tutti gli ele
menti normativi esistenti, suscettibili di essere finalizzati allo
scopo indicato dalla Costituzione.
Nel ribadire le linee argomentative ora ricordate, la corte rile
va che tali elementi, assumibili come una sia pur parziale attua
zione della norma statutaria rispetto alla tutela della minoranza
linguistica slovena, possono essere rinvenuti per l'appunto nel
l'art. 8 del trattato di Osimo, che, richiamando l'indicazione
dell'art. 5 dello «statuto speciale» del 1954, trasferisce in una
norma interna immediatamente applicabile il relativo assetto di
tutela. Per quanto riguarda l'oggetto del presente giudizio, tale
articolo riconosce agli appartenenti alla comunità slovena: a) la libertà di usare la loro lingua nei loro rapporti personali e
ufficiali con le autorità giudiziarie; b) il diritto di ricevere rispo sta nella loro stessa lingua: nelle risposte verbali, direttamente
o per il tramite di un interprete; nella corrispondenza, per mez
zo della traduzione delle risposte; c) la pretesa che le sentenze
dei tribunali concernenti gli appartenenti alla loro comunità lin
guistica siano accompagnate da una traduzione.
In base a tale impostazione e con palese e quasi testuale rife
rimento alla predetta normativa, questa corte, nella sentenza
n. 28 del 1982, ha ritenuto che la «operatività minima» della
tutela delle minoranze riconosciute — e, nella specie, di quella slovena — implichi, oltre all'inammissibilità di qualsiasi sanzio ne che colpisca l'uso della propria lingua da parte degli appar tenenti alla minoranza protetta, il diritto «già ora... di usare
la lingua materna e di ricevere risposte dalle autorità in tale
lingua: nelle comunicazioni verbali, direttamente o per il trami
te di un interprete; nella corrispondenza, con il testo italiano
accompagnato da traduzione in lingua slovena»; e, nella senten
za n. 62 del 1992, ha affermato che il «nucleo minimale di tute
la per gli appartenenti alla minoranza riconosciuta» comprende «il 'diritto' di usare la lingua materna nei rapporti con le auto
rità giurisdizionali e di ricevere risposte da quelle autorità nella
stessa lingua», specificando questa affermazione (in relazione
al procedimento di opposizione a ordinanza-ingiunzione davan
ti al pretore, regolato dagli art. 22 e 23 1. n. 689 del 1981) con il riconoscimento della «facoltà..., nei giudizi davanti al
II Foro Italiano — 1996.
l'autorità giudiziaria avente competenza su un territorio dov'è
insediata la minoranza slovena, di usare, a... richiesta, la lingua materna nei propri atti, usufruendo per questi della traduzione
nella lingua ufficiale, oltreché di ricevere in traduzione nella
propria lingua gli atti dell'autorità giudiziaria e le risposte della
controparte». Le proposizioni ora richiamate esigono una duplice preci
sazione.
La tutela nel processo dell'identità linguistica dell'appartenente alla comunità di lingua slovena riguarda gli atti, provenienti
dall'interessato, non solo ufficiali (cioè quelli previsti dalla leg
ge processuale i quali confluiscono, insieme a quelli delle altre
parti e del giudice, nel processo), ma anche personali (v. art.
5, 1° comma, dello «statuto speciale» del 1954). Ciò vale a esclu
dere gli atti processuali compiuti per il tramite di avvocati e
procuratori, i quali, nel processo civile, normalmente fungono da tramite tra la parte e il giudice. Nell'esercizio di una profes sione come quella legale, che sicuramente presenta aspetti pub
blicistici, l'obbligo dell'uso della lingua ufficiale non appare di
scutibile. Né una deroga a tale obbligo potrebbe farsi derivare
dalla circostanza che il patrocinio si svolga a favore di un sog
getto di identità linguistica diversa e protetta, come quella slo
vena. Di per sé, infatti, la tutela dell'identità linguistica è perso
nale, poiché solo la persona appartenente alla comunità di lin
gua diversa da quella dominante può avvertire come una
menomazione della propria dignità l'imposizione, che fosse even
tualmente stabilita nei rapporti con l'autorità, della lingua uffi
ciale di questa.
Inoltre, si deve rilevare che, mentre l'art. 5 dello «statuto
speciale» citato si riferisce espressamente ai soli rapporti «verti
cali» tra il singolo appartenente alla comunità slovena e l'auto
rità giudiziaria, questa corte, nelle formulazioni della sentenza
n. 62 del 1992, vi ha inclusi i rapporti «orizzontali», afferman
do che la tutela dell'appartenente a quella comunità comprende anche la ricezione nella sua propria lingua delle risposte della
controparte. Così facendo, si è valorizzata la forza espansiva dei principi costituzionali e statutari nell'interpretazione della
disposizione dell'art. 5 dello «statuto speciale» e si è considera
to che la tutela dell'identità linguistica abbia una sua ragione d'essere in rapporto non tanto al giudice, quanto alla funzione
giudiziaria e quindi debba poter essere fatta valere nei confronti
di tutti gli atti attraverso i quali tale funzione si svolge nel pro
cesso, cioè necessariamente anche nei confronti degli atti prove nienti dalle altre parti.
5. - Alla stregua delle considerazioni che precedono e della
ricostruzione delle norme relative al caso in esame, l'intento
del giudice rimettente, favorevole alla tutela della lingua slove
na nel procedimento svolgentesi di fronte a lui, appare dunque
pienamente giustificato. Ma ciò non significa anche che la que stione ch'egli ha sollevato sia da dichiarare fondata. Infatti, il censurato art. 122, 1° comma, c.p.c. non si oppone affatto
alla traduzione in pratica di tale intento. Esso contiene una di
sposizione alla quale le norme di tutela della minoranza lingui stica — come individuate nel complesso costituito dagli art. 6
Cost., 3 dello statuto speciale del Friuli-Venezia Giulia e 8 del
trattato di Osimo — possono essere combinate; non una norma
incompatibile che si debba rimuovere.
Una cosa è infatti la disciplina della lingua del processo: un'al
tra è la garanzia dei diritti degli appartenenti alla comunità lin
guìstica slovena nel processo. Né l'art. 6 Cost., né l'art. 3 dello
statuto speciale del Friuli-Venezia Giulia, né l'art. 5 dello «sta
tuto speciale» del 1954 si occupano del processo; essi si preoc
cupano di garantire questi diritti nel (momento del) processo. Le due prospettive possono essere compatibili.
La lingua ufficiale del processo continua a essere una, ma
l'interessato può chiedere di fare uso della propria lingua, con
la conseguenza che gli atti suoi, espressi in sloveno, saranno
tradotti in lingua italiana, e gli atti altrui, espressi in italiano, saranno tradotti in lingua slovena. Una — quella italiana —
è, a norma dell'art. 122, la lingua nella quale si formano e
si esprimono gli atti del processo. L'altra — nella specie, la
slovena — è la lingua che si aggiunge alla prima, come modo
di tutela dell'identità linguistica del soggetto appartenente alla
comunità di minoranza.
L'atto che nasce in lingua straniera, dovrebbe dirsi nullo o
irricevibile, alla stregua dell'art. 122 c.p.c. Ma, se la lingua è
quella della minoranza slovena, in quanto «riconosciuta», esso
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
sarà tradotto per essere acquisito al processo. Viceversa, se si
forma nella lingua italiana — come atto del giudice, ovvero
di una parte e di un testimone non facenti parte della minoran
za di lingua slovena — apparterrà validamente ab origine al
processo ma dovrà essere portato a conoscenza dell'interessato
che ne abbia fatto richiesta nella traduzione in lingua slovena.
Sulla traduzione di atti scritti o orali, dall'italiano allo sloveno
e dallo sloveno all'italiano, disporrà il giudice nell'ambito dei
suoi poteri di utilizzazione di interpreti e traduttori (art. 122, 2° comma, e 123 c.p.c.).
L'anzidetta valenza aggiuntiva o esterna al processo delle nor
me, costituzionali e non, di tutela della minoranza linguistica risulta del resto chiara dal loro stesso tenore. Da nessuna di
esse, infatti, può trarsi un qualsiasi intento innovativo rispetto alle procedure giudiziarie e alle loro forme. Non varrebbe in
senso contrario il riferimento alla situazione determinatasi nella
regione Trentino-Alto Adige, ove, a seguito dell'applicazione
degli art. 20 e 21 d.p.r. 15 luglio 1988 n. 574 (norme di attua
zione dello statuto speciale per la regione Trentino-Alto Adige in materia di uso della lingua tedesca e della lingua ladina nei
rapporti dei cittadini con la pubblica amministrazione e nei pro cedimenti giudiziari), può accadere o che il processo sia bilin
gue o che la lingua tedesca sia integralmente sostituita (non ag
giunta) a quella italiana, come lingua ufficiale del processo. Que sta più intensa tutela si giustifica (pur non essendo
concettualmente necessaria, come mostrano gli art. 38-40 1. cost.
26 febbraio 1948 n. 4, contenente lo statuto speciale per la Val
le d'Aosta) in presenza della norma statutaria (art. 99 d.p.r. 31 agosto 1972 n. 670) che espressamente «parifica» — cioè
rende fungibile — la lingua minoritaria a quella ufficiale dello
Stato. Nel caso della minoranza slovena, invece, l'art. 3 dello
statuto speciale della regione Friuli-Venezia Giulia afferma non
la parità delle lingue ma l'assai diversa parità dei diritti dei cit
tadini appartenenti a diverse comunità linguistiche, dal punto di vista della salvaguardia delle rispettive caratteristiche etniche
e culturali.
6. - Come questa corte, nelle sue decisioni sopra citate (cui adde sentenza n. 271 del 1994, id., 1996, I, 2659), ha già precisa
to, l'art. 6 Cost, e le altre norme che si pongono a tutela delle
minoranze linguistiche, da un lato, e l'art. 24 Cost., dall'altro,
hanno àmbiti di applicazione diversi. Mentre i diritti della dife
sa in giudizio, sotto il profilo in questione, sono finalizzati alla
«adeguata comprensione degli aspetti processuali», potendosi
supporre che questa venga a mancare «quando l'interessato non
abbia in concreto una perfetta conoscenza della lingua ufficia
le», «la garanzia dell'uso della lingua materna a favore dell'ap
partenente a una minoranza linguistica riconosciuta è, in ogni
caso, la conseguenza di una speciale protezione costituzionale,
accordata al patrimonio culturale di un particolare gruppo etni
co e, pertanto, prescinde dalla circostanza concreta che l'appar tenente alla minoranza stessa conosca o meno la lingua ufficia
le» (sentenza n. 62 del 1992). Conseguenze sulla validità degli atti processuali del mancato rispetto delle norme di garanzia
ricollegabili al principio dell'art. 6 Cost, si potranno dunque avere solo nel caso di «interferenza» tra i due ordini di proble
mi, quando cioè, oltre ad appartenere alla minoranza linguisti
ca, non si sia nelle condizioni di comprendere il contenuto di
atti altrui compiuti nella lingua ufficiale e si sia così menomati
nei propri diritti di azione e di difesa. Vi potrebbe allora essere
nullità per mancanza dei requisiti formali indispensabili per il
raggiungimento dello scopo (art. 156, 2° comma, c.p.c.) ma
in tal caso i problemi ex art. 6 perderebbero ogni autonomo
rilievo, finendo per essere assorbiti in quelli ex art. 24 Cost.
Né, d'altra parte, l'affermato carattere esterno, rispetto alla
disciplina degli atti del processo, della protezione degli apparte
nenti alla minoranza di lingua slovena può essere messo in con
traddizione logica con l'attuale disciplina dell'art. 109 c.p.c. ove
l'osservanza delle regole dettate a favore di cittadini apparte
nenti a una minoranza linguistica riconosciuta, quando tale os
servanza richiedano, è disposta in ogni caso — indipendente
mente cioè dalla conoscenza o dall'ignoranza della lingua italia
na—a pena di nullità. Questa disciplina dimostra soltanto che,
per il processo penale, il legislatore ha inteso andare più in là
di quanto costituisce il nucleo minimo necessario della tutela
della lingua, secondo una sua scelta discrezionale che non è ne
cessario trovi corrispondenza nel processo civile.
7. - L'attuazione pratica dei diritti delle minoranze linguisti
II Foro Italiano — 1996 — Parte 7-48.
che e, tra esse, di quella slovena, implica, oltre alla specificazio ne normativa delle modalità di garanzia di tali diritti, anche
l'esistenza di strutture organizzative pubbliche, a disposizione dei giudici e a favore di soggetti interessati, idonee a fornire
gratuitamente le prestazioni richieste dalla necessità di converti
re da una lingua all'altra atti scritti e orali. La gratuità — tanto
per chi utilizza la lingua minoritaria, quanto per chi usa la lin
gua ufficiale — è da ritenersi condizione necessaria dell'attua
zione dei diritti delle minoranze lingi istiche nel processo (si ve
dano gli art. 20, 2° comma, e 25 del già citato d.p.r. 15 luglio 1988 n. 574). Se così non fosse, non solo si renderebbe oneroso
l'esercizio dei diritti di azione e di difesa in giudizio del cittadi no appartenente alla minoranza linguistica, con violazione del
principio di parità rispetto ai cittadini di lingua italiana, princi
pio stabilito specificamente dallo stesso art. 3 dello statuto spe
ciale, ma anche si renderebbe la posizione della parte di lingua italiana in giudizio con una controparte appartenente alla co
munità linguistica slovena irragionevolmente deteriore rispetto al caso normale di giudizio tra parti utilizzanti tutte la lingua ufficiale. Per questo motivo, i diritti in questione appartengono alla categoria di quelli che costano alla collettività, richiedendo
azioni positive da parte di strutture pubbliche ad hoc o di sog
getti privati chiamati a svolgere una funzione pubblica. La 1. 14 luglio 1967 n. 568 ha previsto il conferimento della
funzione di traduttore e interprete nei distretti di corte d'appel lo ove le esigenze di servizio lo richiedano e leggi successive
hanno determinato la misura dei compensi relativi. Non spetta a questa corte valutare la sufficienza di queste previsioni ai fini
dell'attuazione dei diritti in questione. Si può tuttavia aggiunge re che, pur vertendosi su una materia prossima a quella giuris dizionale ma che, per i motivi anzidetti, giurisdizionale propria mente non è, non esistono ragioni per escludere una competen za anche del legislatore regionale, quantomeno nell'apprestamento di mezzi e nell'organizzazione di strutture volte a rendere effet
tivi i diritti linguistici delle minoranze situate sul territorio della
regione, la cui costituzione in autonomia speciale è giustificata
per l'appunto, come nel caso del Friuli-Venezia Giulia, dall'esi
stenza di comunità etnico-linguistiche minoritarie e dall'esigen za di norme particolari di garanzia (cfr. sentenze nn. 289 del
1987 cit. e 312 del 1983 cit.). 8. - Le argomentazioni che precedono mostrano come alla
protezione dei diritti della minoranza linguistica slovena nei pro cessi civili non osti l'impugnato art. 122, 1° comma, del codice
di rito. A diversa soluzione — l'illegittimità parziale, come af
fermata nella sentenza n. 62 del 1992 di questa corte, in tema
di uso della lingua nello speciale procedimento pretorile di op
posizione a ordinanze-ingiunzioni amministrative — si potrebbe eventualmente addivenire solo di fronte a contrastanti orienta
menti dei giudici di merito, come fu in quella circostanza. Ma, in assenza di tale condizione, non c'è ragione di un'ulteriore
dichiarazione d'incostituzionalità, in sé non necessaria.
Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara non fonda
ta la questione di legittimità costituzionale dell'art. 122, 1° com
ma, c.p.c., sollevata, in riferimento agli art. 6 e 10 Cost, e
3 1. cost. 31 gennaio 1963 n. 1 (statuto speciale per la regione Friuli-Venezia Giulia), dal Pretore di Trieste con l'ordinanza
indicata in epigrafe.
II
Diritto. — 1. - Il Pretore di Bolzano dubita della legittimità costituzionale dell'art. 17, 6° comma, d.p.r. 15 luglio 1988 n.
574, nella parte in cui tale disposizione «impedisce al cittadino
di esprimersi nella propria madre-lingua, anche se diversa dalla
lingua del processo», nonché nella parte in cui «prevede, quale sanzione per la formazione degli atti nella lingua diversa da
quella del processo, la nullità assoluta e insanabile», deducen
do, per il primo profilo, la violazione dell'art. 24 Cost, e del
l'art. 100 dello statuto speciale e per il secondo la violazione
dell'art. 3 Cost.
Le due ordinanze di rimessione muovono dal presupposto che,
ai sensi della norma impugnata, l'imputato appartenente alla
minoranza linguistica tedesca che abbia scelto come lingua del
processo l'italiano non sia più legittimato a rendere dichiarazio
ni spontanee o ad essere esaminato, a sua richiesta, nella pro
pria lingua materna, con la conseguenza che gli atti processuali
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2667 PARTE PRIMA 2668
adottati in violazione di tale divieto verrebbero a incorrere in
una nullità assoluta e insanabile.
2. - La questione non è fondata nei termini di seguito precisati.
L'art. 100, 1° comma, dello statuto speciale del Trentino
Alto Adige dispone che «i cittadini di lingua tedesca della pro vincia di Bolzano hanno facoltà di usare la loro lingua nei rap
porti con gli uffici giudiziari e con gli organi e uffici della pub blica amministrazione situati nella provincia o aventi competen za regionale...». Al fine di dare attuazione a tale principio è
stato emanato il d.p.r. 15 luglio 1988 n. 574, che ha disciplinato l'uso della lingua tedesca, parificata nella regione a quella ita
liana nei rapporti con gli organi e gli uffici, amministrativi e
giurisdizionali, e con i concessionari di servizi di pubblico inte resse, nonché negli atti pubblici (art. 1,1° comma), statuendo,
tra l'altro, che gli organi, gli uffici ed i concessionari in questio ne «devono predisporre o adeguare le strutture organizzative al fine di consentire l'uso dell'una o dell'altra lingua» (art. 3,
1° comma). Per quanto concerne, in particolare, il processo penale, la
lingua da usare per gli atti processuali è quella materna dell'in
diziato o dell'imputato, lingua che può essere dichiarata dalla
persona inquisita — in sede di arresto in flagranza o di fermo
di polizia e di primo interrogatorio — ovvero individuata in
via presuntiva in base alla notoria appartenenza ad un gruppo
linguistico e ad altri elementi già acquisiti al processo (art. 14
e 15 d.p.r. n. 574). A chiusura di tale disciplina generale, l'art. 17, 1°, 2° e 3°
comma, dello stesso d.p.r. n. 574 prevede, peraltro, che l'impu
tato, dopo il primo interrogatorio e non oltre l'apertura del
dibattimento, «può decidere che il processo prosegua nell'altra
lingua», mediante dichiarazione sottoscritta dallo stesso impu
tato, resa una sola volta per ciascun grado del giudizio. A se
guito dell'esercizio di tale facoltà — prosegue il 6° comma dello
stesso articolo — «gli atti successivi vengono formulati nell'al
tra lingua a pena di nullità ai sensi del capoverso dell'art. 185
del precedente codice di procedura penale».
Quest'ultima norma viene censurata dal giudice a quo con
riferimento alla sua asserita rigidità, sul presupposto che, una
volta operata da parte dell'imputato la scelta della lingua del
processo, come lingua diversa da quella materna, non sarebbe
più concessa allo stesso imputato la possibilità di rendere di
chiarazioni spontanee o di essere esaminato nella propria madre
lingua. Tale interpretazione non può essere condivisa, dal momento
che trova il suo fondamento esclusivamente nella disciplina spe ciale emanata per il Trentino-Alto Adige con il d.p.r. 15 luglio 1988 n. 574, senza dare adeguato rilievo alle norme successiva
mente introdotte, in tema di lingua degli atti del processo pena
le, dal nuovo codice di procedura penale, approvato con d.p.r. 22 settembre 1988 n. 447.
L'art. 109, 2° comma, di detto codice emanato in attuazione
della direttiva n. 102 espressa nella legge di delegazione 16 feb
braio 1987 n. 81, ha garantito, infatti, in generale al cittadino
italiano appartenente ad una minoranza linguistica riconoscila
il diritto ad essere interrogato o esaminato nella madre-lingua
(con la conseguente redazione del relativo verbale in tale lingua, oltre che in quella ufficiale del processo), diritto attivabile a
richiesta dell'interessato davanti all'autorità giudiziaria avente
competenza, in primo o secondo grado, nel territorio di inse
diamento della stessa minoranza.
Tale garanzia, in quanto destinata a preservare l'effettività
del diritto alla difesa di cui all'art. 24, 2° comma, Cost., non
solo come difesa tecnica, ma anche come autodifesa, non può non spettare — indipendentemente dai contenuti particolari del
la disciplina introdotta per il Trentino-Alto Adige con il d.p.r. n. 574 — anche ai cittadini di linga tedesca della provincia di Bolzano, rispetto ai quali — sempre ai sensi dell'art. 109, 2°
comma, c.p.c. — restano peraltro salvi «gli altri diritti stabiliti
da leggi speciali e da convenzioni internazionali».
Nei confronti dei cittadini appartenenti al gruppo linguistico tedesco della provincia di Bolzano il diritto relativo alla scelta
della lingua del processo di cui all'art. 17 d.p.r. n. 574 non
si presenta, quindi, alternativo, bensì concorrente con il diritto
attribuito in generale a tutti i cittadini appartenenti a minoran
ze linguistiche riconosiute ad essere interrogati o esaminati, a
Il Foro Italiano — 1996.
propria richiesta, nella lingua materna: collegandosi il primo diritto all'art. 6 Cost., in relazione alle esigenze di tutela rico
nosciute a favore del patrimonio culturale di una particolare
minoranza, ed il secondo all'art. 24 Cost., in relazione all'esi
genza di far salvo, attraverso la difesa in giudizio, un diritto
inviolabile della persona umana.
Questa corte, ha già avuto modo di rilevare tale diversità dei
due piani di garanzia, quando ha sottolineato l'«interferenza»,
ma non la «coincidenza o sovrapposizione» tra la tutela spet tante alla minoranza linguistica riconosciuta, che si realizza non
costringendo gli appartenenti a tale minoranza ad usare nei rap
porti con le autorità pubbliche una lingua diversa da quella ma
terna, e la tutela connessa alla garanzia costituzionale del dirit
to di difesa riferita al singolo e suscettibile di realizzarsi, in
relazione all'esigenza di una corretta utilizzazione degli strumenti
processuali e di una adeguata comprensione degli stessi, attra
verso l'uso da parte dell'inquisito stesso della lingua materna
(v. sent. 62 del 1992). L'interferenza tra le due garanzie consen
te, in questo caso, all'imputato appartenente alla minoranza lin
guistica tedesca di scegliere, ai sensi della disciplina speciale po sta in sede di attuazione statutaria, la lingua del processo anche
in funzione delle esigenze della difesa tecnica, senza per questo dover rinunciare all'esercizio del diritto di autodifesa, ai sensi
dell'art. 109, 2° comma, c.p.p., nella propria lingua materna.
Per questi motivi, la Corte costituzionale, riuniti i giudizi, dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la que stione di legittimità costituzionale dell'art. 17, 6° comma, d.p.r. 15 luglio 1988 n. 574 (norme di attuazione dello statuto speciale in materia di uso della lingua tedesca e ladina nei procedimenti
giurisdizionali), in relazione agli art. 3 e 24 Cost., ed all'art.
100 dello statuto speciale del Trentino-Alto Adige, questione sollevata dal Pretore di Bolzano con le ordinanze di cui in
epigrafe.
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 26 luglio 1995, n. 391
(Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 16 agosto 1995, n. 34); Pres. Baldassarre, Est. Cheli; Re ed altri c. Comune di Va
lenza; interv. Pres. cons, ministri. Ord. App. Torino 9 di
cembre 1994 (G.U., la s.s., n. 10 del 1995).
Espropriazione per pubblico interesse — Indennità — Determi
nazione — Legge di conversione di decreto legge — Vizi nel
procedimento di formazione della legge — Questione infon
data di costituzionalità (Cost., art. 72, 77; 1. 8 agosto 1992
n. 359, conversione in legge, con modificazioni, del d.l. 11
luglio 1992 n. 333, misure urgenti per il risanamento della
finanza pubblica, art. 5 bis; 1. 23 agosto 1988 n. 400, discipli na dell'attività di governo e ordinamento della presidenza del
consiglio dei ministri, art. 15).
È infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art.
5 bis /. 8 agosto 1992 n. 359, di conversione del d.l. 11 luglio 1992 n. 333, nelle parti in cui, siccome introdotto con legge di conversione, non è stato sottoposto al vaglio preventivo della necessità e urgenza, tratta una materia (indennità di espro
priazione) estranea a quella tributaria regolata nel decreto legge, e in cui la legge è stata approvata, a seguito della fiducia
posta dal governo, senza specifica discussione e votazione da
parte delle camere, in riferimento agli art. 72 e 77 Cost. (1)
(1) Sui limiti del controllo, da parte della Corte costituzionale, degli interna corporis acta delle camere e del connesso problema della sinda cabilità da parte di questa dei regolamenti parlamentari, v. Corte cost., ord. 16 dicembre 1993, nn. 445 e 444, Foro it., 1994, I, 985, con nota di richiami, commentata da Cicconetti, in Giur. costit., 1993, 3664, con cui è stata ribadita la insindacabilità dei regolamenti parlamentari.
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