sentenza 29 luglio 2004; Pres. Rozakis; Scordino (Avv. Paoletti) c. Governo italianoSource: Il Foro Italiano, Vol. 128, No. 1 (GENNAIO 2005), pp. 1/2-15/16Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23200424 .
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Anno CXXX Roma, 2005 Volume CXXVIII
IL FORO
ITALIANO
PARTE QUARTA
GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E STRANIERA
CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL'UOMO; sentenza 29 luglio 2004; Pres. Rozakis; Scordino (Avv. Paoletti) c.
Governo italiano.
CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL'UOMO;
Diritti politici e civili — Diritto alla ragionevole durata del
processo — Indennità di espropriazione — Giudizio di de terminazione — Violazione aggravata della convenzione
(Cost., art. Ili; convenzione per la salvaguardia dei diritti
dell'uomo e delle libertà fondamentali, art. 6; d.l. 11 luglio 1992 n. 333, misure urgenti per il risanamento della finanza
pubblica, art. 5 bis; 1. 8 agosto 1992 n. 359, conversione in
legge, con modificazioni, del d.l. 11 luglio 1992 n. 333). Diritti politici e civili — Diritto ad un processo equo — In
dennità di espropriazione — Giudizio di determinazione — Legge sopravvenuta
— Ingerenza del potere legislativo
— Violazione della convenzione (Convenzione per la salva
guardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, art.
6; 1. 25 giugno 1865 n. 2359, espropriazioni per causa di pub blica utilità, art. 39; d.l. 11 luglio 1992 n. 333, art. 5 bis; 1. 8
agosto 1992 n. 359). Diritti politici e civili — Diritto di proprietà — Espropria
zione per pubblico interesse — Indennità — Liquidazione
pari al cinquanta per cento del valore di mercato — Ulte
riore tassazione per il venti per cento — Lasso di tempo tra l'espropriazione e la determinazione dell'indennità —
Violazione della convenzione (Protocollo n. 1 alla conven
zione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà
fondamentali, art. 1; 1. 30 dicembre 1991 n. 413, disposizioni
per ampliare le basi imponibili, per razionalizzare, facilitare e
potenziare l'attività di accertamento; disposizioni per la riva
lutazione obbligatoria dei beni immobili delle imprese, non
ché per riformare il contenzioso e per la definizione agevolata dei rapporti tributari pendenti; delega al presidente della re
pubblica per la concessione di amnistia per reati tributari;
istituzioni dei centri di assistenza fiscale e del conto fiscale;
d.l. 11 luglio 1992 n. 333, art. 5 bis', 1. 8 agosto 1992 n. 359).
Sussiste violazione aggravata dell'art. 6, par. 1, della conven
zione europea dei diritti dell'uomo, riguardo ad un giudizio di determinazione dell'indennità di espropriazione, durato
oltre otto anni, in cui è ravvisabile ulteriore manifestazione di
una pratica, in Italia, contraria alla convenzione, già rilevata
Il Foro Italiano — 2005 — Parte IV-1.
in precedenti arresti, derivante da una serie di inadempienze
all'esigenza di durata ragionevole. (1) Sussiste violazione dell'art. 6, par. 1, della convenzione euro
pea dei diritti dell'uomo, riguardo ad un giudizio di determi
nazione dell 'indennità di espropriazione, in cui il legislatore, intervenendo in assenza di preponderanti motivi d'interesse
generale, ha influenzato l'esito della lite, di modo che il giu
dice, applicando retroattivamente la sopravvenuta l. n. 359
del 1992, ha modificato in danno degli interessati l'indenniz
zo che essi potevano legittimamente attendersi ai sensi della l.
(1) Si tratta dell'ennesima condanna dello Stato italiano per l'ecces
siva durata del processo civile (su cui v., da ultimo, Corte eur. diritti
dell'uomo 29 gennaio 2004, Sorrentino Prota, e 17 luglio 2003, Luor
do, in Foro it., 2004, IV, 109, con nota di P. Gallo e osservazioni di
M. Fabiani). In relazione alla fattispecie, in cui, come si rileva dalle di
fese del governo in giudizio, oltre alla modifica legislativa delle regole di determinazione indennitaria, si erano succeduti ben tre giudici istruttori, e vi era stata interruzione per la morte dell'attore, la Corte
europea dei diritti dell'uomo ravvisa una manifestazione di quella che considera ormai una «pratica» italiana contraria alla convenzione, ri
sultante «d'une accumulation de manquements à l'exigence du délai
raisonnable». La sentenza conclude la vicenda in relazione alla quale era stata resa
la sentenza 27 marzo 2003, Scordino, id., 2003, IV, 361, di ricevibilità
del ricorso, a prescindere dal previo esaurimento delle vie interne (ri corso per cassazione), in considerazione dell'inadeguatezza del risar
cimento assicurato dalla giurisprudenza italiana in attuazione della 1. 24
marzo 2001 n. 89. A quella sentenza sono seguiti gli arresti delle se
zioni unite, correttivi dei precedenti orientamenti sia in tema di rapporti tra la giurisprudenza di Strasburgo con l'applicazione della legge Pinto, sia in tema di prova del danno non patrimoniale (Cass. 26 gennaio 2004, nn. 1340 e 1338, id., 2004,1, 693, con nota di richiami di P. Gal
lo, cui sono seguite Cass. 5 maggio 2004, n. 8529, id., Mass., 646; 2
luglio 2004, n. 12116, ibid., 910; 5 agosto 2004, n. 15093, ibid., 1177; nonché Cass., ord. 7 aprile 2004, n. 6894, sent. 17 marzo 2004, n. 5386, 2 marzo 2004, n. 4207, 10 aprile 2003, n. 5664, App. Bari, decr. 9 lu
glio 2004 e App. Torino, decr. 3 marzo 2004, in questo fascicolo, parte
prima, con nota di richiami). È da rammentare che su altro ricorso Scordino, attinente alla lesione
dall'imposizione di vincoli urbanistici di durata illimitata, la Corte eu
ropea ha deciso con sentenza 15 luglio 2004, che sarà riportata su un
prossimo fascicolo.
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PARTE QUARTA
n. 2359 del 1865, vigente al momento dell'introduzione della
causa. (2) Sussiste violazione dell'art. 1 del protocollo n. 1 alla conven
zione europea dei diritti dell'uomo, riguardo alla determina
zione giudiziale dell'indennità di espropriazione, liquidata, in
base all'art. 5 bis l. n. 359 del 1992, in misura corrispon
(2) L'applicazione dello ius superveniens in causa, è ritenuto contra rio al diritto ad un processo equo, giacché il cambiamento delle regole in corsa è ritenuto legittimo solo in presenza di «impérieux motifs
d'intérét général»: in altre pronunce (che la corte peraltro cita in moti
vazione) si è ritenuta la violazione del diritto al processo equo, per la
sopravvenienza di leggi che abbiano indotto il giudice a decisioni su
base diversa da quella prospettabile al momento d'introduzione della lite (Corte eur. diritti dell'uomo 28 ottobre 1999, Zielinski e altri, ine
dita; 9 dicembre 1994, Raffineries grecques Stran et Stratis Andreadis, inedita; 22 ottobre 1997, Papageorgiou, inedita).
La retroattività dei nuovi criteri di determinazione dell'indennità di
esproprio di cui all'art. 5 bis 1. 8 agosto 1992, è stata ritenuta legittima, al pari del sistema indennitario, da Corte cost. 16 giugno 1993, n. 283, Foro it., 1993,1, 2089, che, fatta eccezione per la norma penale, rimet
tendo alla valutazione del legislatore la scelta tra retroattività e irretro attività in ordine ai fini che intende raggiungere, ammetteva una disci
plina a carattere retroattivo, incidente sfavorevolmente anche su posi zioni di diritto soggettivo perfetto: i parametri denunciati furono in
quell'occasione la parità di trattamento e la ragionevolezza, la cui vio lazione venne esclusa in ragione della carenza di una disciplina per l'indennità di espropriazione dopo la dichiarazione d'incostituzionalità dell'art. 16 1. 22 ottobre 1971 n. 865 (per effetto di Corte cost. 30 gen naio 1980, n. 5, id., 1980, I, 273) e della 1. 29 luglio 1980 n. 385 (per effetto di Corte cost. 19 luglio 1983, n. 223, id., 1983,1, 2057), per do versi considerare solo suppletiva l'applicazione del criterio, del valore di mercato, di cui all'art. 39 1. 25 giugno 1865 n. 2359, che la stessa Corte costituzionale aveva già considerato non integrare l'«indennizzo» di cui all'art. 42, 3° comma, Cost. Nell'evidenziato vuoto normativo,
dunque, la previsione di retroattività appariva integrare il giusto bilan ciamento degli interessi, facendo ovviamente salvi i casi in cui fosse intervenuto il giudicato.
Di diverso segno le valutazioni dei giudici di Strasburgo, che pur non escludendo che in materia civile il legislatore munisca di efficacia re troattiva le nuove norme, l'applicabilità dello ius superveniens ai giudi zi in corso è giustificabile solo alla luce di «impérieux motifs d'intérét
général», laddove l'attributo «impérieux», stante la non significatività di imperiosi, o di carattere imperativo, che è proprio di tutti i comandi
legislativi, va tradotto come preponderanti o anche impellenti, con rife rimento sia alla prevalenza con altri interessi in gioco, sia all'urgenza che non tollera la sopravvivenza applicativa della vecchia norma.
Non può escludersi che il giudizio della Consulta potrebbe essere
oggi diverso (anche per il profilo, trattato più avanti, inerente la con
gruità dell'indennizzo), ove venisse denunciata, non solo, come allora, la violazione dell'art. 3 Cost., ma dell'art. Ili, riscritto in periodo suc cessivo alla pronuncia 283/93 (la quale osservava che la questione non era fondata «nei termini così puntualizzati»), che negli ideali del giusto processo incarna la lealtà che alla parte in giudizio è dato attendersi dal
sistema, senza che le vengano mutate le regole in corso. Resta da chiedersi, e l'interrogativo non è di poco conto per la deci
sione delle cause pendenti che abbiano conosciuto durante il loro corso il mutamento delle regole indennitarie (e non sono poche, soprattutto in
grado di legittimità), se l'indicazione dei giudici di Strasburgo debba condizionare il giudice nazionale al punto di enucleare un principio di
prevalenza della regola indennitaria più favorevole per l'espropriato parte in causa, e alla fine disapplicare l'art. 5 bis 1. 359/92. Il riferi mento all'operato dei giudici, nella sentenza Scordino, è costante, e sembra censurato quasi a preferenza di quella che tra le righe è conside rata come scarsa lealtà legislativa: basti rileggere il passo in cui i giudi ci europei rilevano che «la Cour d'appel de Reggio Calabria e la Cour de cassation n'ont pas omis de faire référence aux dispositions de la loi
critiquée pour étayer leurs décisions». Ove la qualificazione dell'esito della vicenda come risultato di un'omissione degli organi chiamati a decidere la controversia, ne presuppone la convinzione in ordine ad un loro potere-dovere di disapplicare la regola indennitaria sopravvenuta, tanto più che —
prosegue la corte — «elles», ovvero gli organi giudi ziari rammentati (non il legislatore), «ont modifié au détriment des in
téressés, avec effet rétroactif. l'indemnisation à la quelle ceux-ci pou vaient légitimement s'attendre».
Non può revocarsi in dubbio l'autorità della corte europea di postula re regole più restrittive di quanto i principi dell'ordinamento nazionale
possano concepire in ordine alle scelte legislative per la retroattività, nella prospettiva di tutelare il diritto della parte in giudizio ad attender si un giudizio equo, e nell'ambito di esso, che la propria posizione di
Il Foro Italiano — 2005.
dente a circa il cinquanta per cento del valore di mercato, ri
dotta del venti per cento a titolo d'imposta, e in considera
zione del tempo trascorso tra l'espropriazione e la fissazione
definitiva dell'indennità, risultando in tal modo compromesso il giusto equilibrio tra l'interesse generale e la tutela dei di
ritti fondamentali dell'individuo. (3)
vantaggio, per la quale ha esercitato il diritto di azione, non gli venga cambiata in corsa. Non sembra tuttavia rientri tra i compiti di quel giu dice l'apprezzamento in ordine alla ricorrenza, nell'ordinamento nazio
nale. di quei motivi preponderanti che a suo parere pur in teoria giusti ficherebbero l'applicazione in giudizio della legge retroattiva, ed a
formulare un giudizio in modo difforme (e senza motivazione, ad onta che nella narrazione dello svolgimento processuale, la corte europea ri
ferisce la giustificazione addotta in giudizio dal governo italiano, del
l'inserimento dell'art. 5 bis in una manovra finanziaria) da quanto ope rato dal giudice interno, che altro non fa che applicare una legge dello
Stato, transitata indenne al vaglio di costituzionalità, per di più consa
pevole delle ragioni giuridiche, politiche, ed economiche che l'hanno
determinata (il carattere finanziario dell'intervento legislativo è pre sente in numerose pronunce applicative dell'art. 5 bis, particolarmente come giustificazione del primato dell'edificabilità legale: Cass. 11 di
cembre 1996, n. 11037, id., 1997. I, 814, in motivazione; 8 genna io 1998, n. 97. id., Rep. 1998, voce Espropriazione per p.i., n. 205, e, in extenso, Riv. giur. urbanistica, 1998, 410, con nota di A. Russo, per non parlare della costante definizione della norma come norma di ri
forma economico-sociale: tra le altre, Corte cost. 8 maggio 1995, n.
153, Foro it., 1996,1, 1934): con l'alternativa di applicare il criterio del
prezzo di mercato, che non è quello corrispondente al «giusto indenniz zo» garantito dall'art. 42, 3° comma, Cost. Basti dire che poco più di un mese prima che la corte di Strasburgo commisurasse la sopravve nienza dell'art. 5 bis ai principi convenzionali del giusto processo, la Corte di cassazione smentiva agevolmente analoghe censure, concer nenti la sopravvenienza della normativa del risarcimento regolamentato
dell'occupazione appropriativa (sent. 11 giugno 2004, n. 11096, id., Mass., 824, che sarà riportata in un prossimo fascicolo), osservando che la funzione giurisdizionale è necessariamente applicativa delle disposi zioni vigenti (che il giudice interpreta con incondizionata autonomia, accertando e dichiarando la volontà della legge in relazione al caso
concreto), per cui, se la legge muta o se, con un'ulteriore legge, viene attribuito a precedenti disposizioni un determinato significato, il giudi ce non può non essere vincolato dalla volontà del legislatore, e non è
concettualmente configurabile un conflitto di attribuzione, per cui si
debba investire la Corte costituzionale, fra potere giudiziario e potere legislativo, né è concepibile uno straripamento di quest'ultimo, per es sere intervenuto a regolare un istituto di origine giurisprudenziale.
(3) L'inadeguatezza del trattamento indennitario assicurato dall'art. 5 bis 1. 359/92, non affermata nella fattispecie in modo assoluto, ma in considerazione del trattamento fiscale che ne segue a norma dell'art. 11 1. 30 dicembre 1991 n. 413, e inoltre della complessiva attesa degli espropriati, dal provvedimento di ablazione alla sentenza che ha con cluso il giudizio di determinazione, è ricollegata all'esigenza che il di ritto al rispetto dei beni debba assicurare un giusto equilibrio tra le esi
genze di interesse generale, e gli imperativi di salvaguardia dei diritti dell'individuo (Corte eur. diritti dell'uomo 23 settembre 1982, Spor rong e Lonnroth, in Foro it., 1985, voce Diritti politici e civili, n. 21), il che — come la stessa sentenza Scordino ribadisce — non comporta che l'indennizzo debba necessariamente corrispondere al valore di mercato
(così la sentenza 21 febbraio 1986, James, inedita; 9 dicembre 1994, Le saints monastères, inedita), anche se di recente si è rettificato che solo un indennizzo pari al valore del bene può essere ragionevolmente rap portato al sacrificio imposto, ma «questa regola non è senza eccezioni», come nel caso in cui l'apprensione dei beni privati sia stata disposta al fine di attuare mutamenti del sistema costituzionale del paese, di tale rilevanza quale il passaggio, in Grecia, dalla monarchia alla repubblica (Corte eur. diritti dell'uomo 28 novembre 2002, Koumantos, id., Rep. 2003, voce cit., nn. 310, 316, e Riv. amm., 2002, 1094). Ma il tratta mento in concreto assicurato dalle corti italiane nel caso Scordino, non è parso integrare un giusto equilibrio.
Anche a proposito della congruità del trattamento indennitario del l'art. 5 bis, va ricordato come essa sia stata più volte avallata dalla Corte costituzionale (sentenze 16 giugno 1993, n. 283, Foro it., 1993,1, 2089; 16 dicembre 1993, n. 442, id., 1994,1, 4), essendosi osservato, in
particolare, che la ritenuta d'imposta del venti per cento sull'indenniz zo espropriativo, quale reddito diverso, è estranea alla vicenda espro priativa (Corte cost. 283/93), mentre riguardo al trattamento tributario
dell'indennità, Corte cost. 25 luglio 2002, n. 395, id.. Rep. 2002, voce Redditi (imposte), n. 828, ha ritenuto l'infondatezza della questione di costituzionalità dell'art. Il 1.413/91.
Volendo riproporre la questione in ordine agli effetti della riscontrata
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GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E STRANIERA
En droit
I. Sur I'exception préliminaire du Gouvernement
59. - Le Gouvernement soulève de nouveau l'exception tirée
du non épuisement des voies de recours internes, concernant le
violazione della convenzione europea sul diritto interno, il riferimento
all'art. 1 del protocollo n. 1 (in particolare alla seconda frase del primo
paragrafo), che dunque pone in discussione in radice il sistema inden
nitario per l'espropriazione (la violazione dell'art. 6 ineriva, in modo
più circoscritto, alle cause in corso in cui si sia avuta successione di
leggi), va sottolineato, in primo luogo, che il giudizio di inadeguatezza non riguarda in via generale l'indennizzo garantito dall'art. 5 bis, giac ché oggetto del giudizio era il trattamento riservato in una particolare
fattispecie, in cui il giudizio finale d'inadeguatezza dell'indennizzo è
stato formulato in relazione ad un complesso di componenti, che ac
canto all'ammontare assicurato dalla norma in discussione, ha tenuto
conto del successivo trattamento fiscale, nonché della durata della vi
cenda (amministrativa e giudiziaria: la corte non ha però risposto al
l'eccezione del governo secondo cui, pur risalendo il decreto di espro
prio al 1983, l'espropriato aveva iniziato la causa di determinazione
dell'indennità solo nel 1990). È anche vero, tuttavia, non solo che la
durata della vicenda di specie, limitatamente alla fase giudiziale (otto
anni) non rappresenta il limite massimo statisticamente rilevabile, giac ché si sono date (e si danno) vicende in cui la durata è superiore (si
pensi all'ipotesi in cui lo ius superveniens è stato applicato in Cassa
zione. il che ha comportato la cassazione e successivo giudizio di rin
vio, cui può esser seguito ulteriore giudizio di legittimità), ma che la
sentenza della Corte d'appello di Reggio Calabria non aveva praticato, non essendovene evidentemente i presupposti, la decurtazione del qua ranta per cento, che è parte integrante del trattamento indennitario (ri levando semmai la mancata decurtazione come premio per chi ha ac
cettato l'offerta provvisoria d'indennità): è da presumere che il giudizio della corte europea sarebbe stato addirittura più pesante per un caso di
durata superiore, o in cui non ricorreva il presupposto per non operare la decurtazione.
La più recente giurisprudenza, della corte di Strasburgo (particolar mente la precedente sentenza Scordino del 27 marzo 2003, id., 2003.
IV, 361) e della Cassazione (particolarmente Cass. 26 gennaio 2004, n.
1340, id., 2004, I, 693), tende ad assegnare alle pronunce della prima l'autorevolezza dell'interpretazione delle norme della convenzione. La
distanza tra tale affermazione e la conclusione che la norma interna
eventualmente in contrasto, deve essere disapplicata, è ancora tutta da
percorrere (anche se, almeno teoricamente, secondo Cass. 19 luglio 2002, n. 10542, id., 2002, I, 2606, con nota di R. Fuzio, spetterebbe al
giudice nazionale che ravvisi un contrasto con la disciplina nazionale, di dare prevalenza alla norma pattizia che sia dotata di immediata pre cettività rispetto al caso concreto, anche ove ciò comporti una disappli cazione della norma interna: per un'ampia ricognizione del rapporto tra
decisioni della Corte europea dei diritti dell'uomo e ordinamento na
zionale, v. l'ampia nota di L. Marzano a Cons. Stato, sez. I, 9 aprile 2003, n. 1926/02, id., 2004, III, 336; v. anche P. Pirrone, L'obbligo di
conformarsi alle sentenze della Corte europea dei diritti dell'uomo,
Milano, 2004, spec. 115 ss.), e l'eventuale disapplicazione dell'art. 5
bis implicherebbe uno sforzo di creazione della regola indennitaria, che
oltre ad esulare, con tutta evidenza, dalla iuris dictio, neppure potrebbe correttamente riapprodare alla regola del valore venale di cui all'art. 39
1. n. 2359 del 1865, che, di certo, è meno conforme al dettato costitu
zionale di quanto possa dirsi inadeguato l'indennizzo dell'art. 5 bis
(anche se il risarcimento del danno materiale che la corte europea ac
corda ai ricorrenti Scordino, attribuisce loro, a conti fatti, il valore ve
nale e gli interessi). Non sembra dunque che il giudice chiamato alla
determinazione dell'indennità possa essere considerato destinatario
dell'obbligo di cui all'art. 46, § 1, della convenzione, di conformarsi
alla sentenza Scordino: sembra non restare altra scelta, nella poco pro babile rielaborazione legislativa delle regole indennitarie, da poco rin
novate, che rimettere la questione alla Corte costituzionale. Un rinno
vato esame della legittimità costituzionale dell'art. 5 bis, oltre a quanto
sopra osservato in relazione alle cause in corso, non potrà non tener
conto della tendenziale definitività di quella regola indennitaria: l'art.
37 d.p.r. 8 giugno 2001 n. 327, t.u. delle disposizioni legislative e re
golamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità, reitera i
criteri della semisomma per i suoli edificabili e del valore agricolo me
dio per i suoli non edificabili, ma non ripropone la clausola di provvi sorietà di cui all'art. 5 bis «fino all'emanazione di un'organica disci
plina in materia di espropriazione per pubblica utilità». [S. Benini]
* * *
Il Foro Italiano — 2005.
grief tiré de la durée excessive de la procédure, qu'il avait sou
levée avant l'examen sur la recevabilité de la requète. Le Gouvernement se réfère à une jurisprudence de la Cour de
cassation du 26 janvier 2004 (paragraphe 44 ci-dessus) et sou
tient que le recours en cassation dans le cadre des recours
«Pinto» est un recours à épuiser. De ce fait, il reproche aux re
Per la comprensione della decisione riportata della Corte europea dei
diritti dell'uomo del 29 luglio 2004, va ricordato che l'indennità da
corrispondersi in caso di espropriazione per pubblica utilità è stata og getto dall'unità d'Italia in poi di numerosi e contrastanti interventi legis lativi e conseguente giurisprudenza, e di un acceso dibattito in dottrina
(v., per tutti, Salvia-Teresi, Diritto urbanistico, 7a ed., Padova, 2002, 16 ss.).
La 1. 22 ottobre 1971 n. 865, come modificata dalla 1. 28 gennaio 1977 n. 10, onde superare la molteplicità dei criteri per la determina
zione dell'indennità contenuta nella precedente legislazione speciale, ha posto a base della determinazione dell'indennità stessa il «valore
agricolo» del bene, anche per le aree comprese nei centri edificati urba
ni.
Corte cost. 30 gennaio 1980, n. 5, Foro it., 1980, I, 273, ha ritenuto
la illegittimità costituzionale del 5°, 6° e 7° comma dell'art. 16 1.
865/71, come modificato dalla 1. 10/77, che aveva adottato il valore
agricolo medio dei terreni secondo i tipi di coltura praticati nella regio ne agraria quale criterio per la determinazione dell'indennità di espro
priazione, senza fare specifico riferimento al valore dei terreni mede
simi in relazione alle caratteristiche e alla destinazione economica degli stessi. Presupposto di questa impostazione — è stato osservato — era
che la 1. 10/77 aveva operato lo scorporo dello ius aedificandi dalla
proprietà, essendo sempre il proprietario il soggetto legittimato a chie
dere la concessione e a lucrare di fatto quelle rendite che ineriscono alla
proprietà dei suoli edificabili.
Dopo oltre un decennio di incertezze, anche giurisprudenziali, l'art. 5
bis 1. 359/92 ha stabilito che l'indennità di espropriazione delle «aree
edificabili» va determinata nella misura di circa il cinquanta per cento
del «valore venale», ulteriormente ridotta dall'applicazione della rite
nuta fiscale del venti per cento di cui all'art. 11 1. 413/91. Per le «aree
non edificabili», è stato invece confermato sostanzialmente il criterio
del «valore agricolo» introdotto dalla 1. 865/71, con le maggiorazioni ad personam (c.d. indennizzo personalizzato) per taluni soggetti: fitta
voli, mezzadri, coloni, compartecipanti, proprietari diretti coltivatori.
Il criterio espropriativo di cui all'art. 5 bis 1. 359/92, è stato ritenuto
legittimo da Corte cost. 16 giugno 1993, n. 283, id., 1993, I, 2089, con
nota di Gambaro. Tanto premesso a riguardo del tormentato iter nel nostro ordina
mento dell'indennizzabilità in caso di espropriazione per pubblica uti
lità, la corte di Strasburgo con la sentenza riportata ha annullato i criteri
indennitari di cui all'art. 5 bis 1. 359/92, con riferimento al caso sotto
posto al suo esame, affermando che la normativa italiana è contraria
alla convenzione europea dei diritti dell'uomo del 4 novembre 1950,
per violazione del diritto di proprietà tutelato dall'art. 1 del protocollo addizionale, e del principio dell'indennizzo ragionevolmente collegato con il «valore venale».
A nulla sono serviti i recenti interventi delle sezioni unite della Cas
sazione italiana, che hanno ritenuto che l'indennità di cui all'art. 5 bis
1. 359/92 era conforme all'art. 1 del protocollo addizionale della con
venzione europea dei diritti dell'uomo (v. Cass., sez. un., 14 aprile 2003, n. 5902, e 6 maggio 2003, n. 6853, id., Rep. 2003, voce Espro
priazione per p.i., n. 308, e id., 2003,1, 2368). La sentenza della corte di Strasburgo segna una rottura con i principi
sull'indennità a corrispondersi al proprietario, nel caso di espropriazio ne per pubblica utilità, come disciplinata nelle Costituzioni dei paesi dell'occidente.
La libertà di iniziativa economica e la libertà di contratto sono anche
menzionate, direttamente o indirettamente, in varie Costituzioni occi
dentali (Cost, italiana, art. 41; Cost, spagnola, art. 38), ma accompa
gnate da restrizioni che rendono problematica l'esistenza di un loro nu
cleo stabile intangibile da parte dello Stato. La proprietà privata, estesa
ai mezzi di produzione, figura ancora garantita in Costituzioni come
quella italiana (art. 42, 43), quella spagnola (art. 33), quella tedesca fe
derale (art. 14), quella americana (V emendamento), ecc. e, in parte, nella stessa convenzione dei diritti dell'uomo. Ma le formule costitu
zionali o le interpretazioni della giurisprudenza conferiscono allo Stato
vastissimi poteri di conformare l'istituto e di apporvi limiti per la rea
lizzazione di «fini sociali» (Bognetti, Diritti dell'uomo, voce del Dige sto civ., Torino, 1989, V, 383 ss.).
E non va dimenticato, che le Costituzioni innanzi richiamate preve dono che l'espropriazione per pubblica utilità è consentita con paga mento di indennizzi inferiori al prezzo del valore di mercato del bene
(Cost, italiana, art. 41).
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PARTE QUARTA
quérants de ne pas avoir formé de pourvoi en cassation contre la
décision de la Cour d'appel de Reggio Calabria du ler juillet 2002.
60. - Les requérants demandent le rejet de l'exception. 61. - La Cour note que l'exception du Gouvernement a déjà
été rejetée dans sa décision sur la recevabilité du 27 mars 2003
Ci si deve quindi chiedere, quale impatto e rilevanza possa avere nel sistema italiano dell'espropriazione per pubblica utilità la decisione ri
portata della corte di Strasburgo, sia pure limitata ad un caso singolo, e come tale applicabile a quel caso singolo, anche tenuto presente che in data 30 giugno 2003 è entrato in vigore il d.p.r. 8 giugno 2001 n. 327, t.u. sulla espropriazione per pubblica utilità (sul quale, per tutti, cfr. Caringella-De Marzo-De Nictolis-Maruotti, L'espropriazione per pubblica utilità, Milano, 2003).
Al riguardo, va tenuto presente che quando si è posta la prospettiva di un'adesione della Comunità europea alla convenzione europea per la
salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, vi è stato un forte condizionamento per via del parere che la Corte di giustizia delle Comunità europee, su richiesta del consiglio dell'Unione europea, ha dato sulla compatibilità di un'adesione con il trattato istitutivo della stessa Comunità europea.
Rispondendo negativamente al quesito sottopostole, la Corte di giu stizia ha ritenuto che «allo stato attuale del diritto comunitario, la Co munità non ha la competenza per aderire alla convenzione» per due or dini di ragioni. In primo luogo, perché «nessuna disposizione del trat tato attribuisce alle istituzioni comunitarie, in termini generali, il potere di dettare norme in materia di diritti dell'uomo o di concludere accordi internazionali in tale settore». In secondo luogo, perché nemmeno l'ap plicazione dell'art. 308 lo consentirebbe dato che, anche, «se il rispetto dei diritti dell'uomo costituisce ... un requisito di legittimità degli atti
comunitari», l'adesione alla convenzione determinerebbe una modifi cazione sostanziale dell'attuale regime comunitario dei diritti dell'uo mo, in quanto comporterebbe l'inserimento della Comunità in un si stema istituzionale distinto, nonché l'integrazione del complesso delle
disposizioni della convenzione nell'ordinamento comunitario. E una tale modifica del regime comunitario della materia, «sia per la Comu nità che per gli Stati membri, rivestirebbe carattere costituzionale, ed esulerebbe per sua propria natura dai limiti dell'art. 235 (attuale 308)» (Mengozzi, Istituzioni di diritto comunitario e dell'Unione europea, Padova, 2003, 294).
E non vanno trascurate le elaborazioni dottrinali e giurisprudenziali sulle sentenze della corte di Strasburgo, che accertano una violazione della convenzione.
Certamente tali sentenze hanno valore dichiarativo, nel senso che ad esse non è dato di incidere nell'ordinamento dello Stato convenuto, sul
quale, tuttavia, incombono precisi obblighi in vista dell'eliminazione delle conseguenze della violazione della convenzione; ma si è anche
posto il problema se una decisione della corte di Strasburgo possa inci dere sui valori previsti dalla Costituzione dello Stato convenuto (Con forti-Raimondi, Corte europea dei diritti dell'uomo, voce dell'Enci
clopedia del diritto. Milano, 2002, aggiornamento VI, 327 ss.). Si richiama la dottrina giusprivatista, che avverte l'esigenza di rileg
gere nella carta europea, nella quale si vuole inserire «tutto», un testo, quello della convenzione che, a distanza di cinquant'anni, appare ine vitabilmente — come ogni opera umana — alquanto invecchiato (P. Rescigno, Convenzione europea dei diritti dell'uomo e diritto privato (famiglia, proprietà, lavoro), in Riv. dir. civ., 2002, I, 325 ss.). [D. Bellantuono]
* * *
I. - La sentenza 29 luglio 2004 della Corte europea dei diritti del l'uomo (la si veda riportata anche in Corriere giur., 2004, 1584, con nota di Conti, Scordino c. Italia, (pen)ultimo atto: la scure — non defi nitiva — di Strasburgo sull'indennità espropriativa) che si riporta sol leva la questione — ormai non più eludibile a livello operativo — del
rapporto tra le decisioni dei giudici interni e le sentenze dei giudici so vranazionali che interpretano le previsioni della convenzione per la sal
vaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (in dottrina, v., oltre alle riflessioni di Benini che precedono e ai contributi citati nelle sue osservazioni e nella nota di Marzano a Cons. Stato, sez. I, 9
aprile 2003, n. 1926/02, in Foro it., 2004, III, 336, le riflessioni di Conti nel commento appena citato e di Bultrini, Occupazione appro priala: l'intervento dirompente della Corte europea dei diritti del l'uomo, in Corriere giur.. 2001, 475).
Nel momento in cui queste brevi considerazioni vengono redatte la sentenza non risulta essere divenuta definitiva. Tuttavia, resta il nodo cruciale dell'incidenza che le indicazioni della corte europea sono de stinate ad avere nei percorsi argomentativi dei giudici italiani.
Il Foro Italiano — 2005.
(Foro it., 2003, IV, 361). Elle relève ensuite que la jurispruden ce de la Cour de cassation citée par le Gouvernement date du 26
janvier 2004, alors que la décision de la Cour d'appel de Reggio Calabria était devenue définitive à compter du 26 octobre 2003
(paragraphe 42 ci-dessus). 62. - La Cour considère que le Gouvernement fonde son
Il citato Cons. Stato 9 aprile 2003, ha rilevato che, a differenza di
quanto previsto nel trattato della Comunità europea (art. 244 e 256), nessuna norma della convenzione rende le sentenze della corte di Stra
sburgo direttamente eseguibili negli ordinamenti nazionali. In realtà, gli articoli richiamati riguardano l'efficacia esecutiva in relazione a prov vedimenti da cui discende un obbligo pecuniario.
In effetti, la regola generale, secondo la quale i principi enunciati nelle decisioni della Corte di giustizia s'inseriscono direttamente nel l'ordinamento interno, assumendo valore di fonte dei diritto e di i'us su
perveniens (la regola enunciata da Corte cost. 23 aprile 1985. n. 113, Foro it., 1985, I, 1600, è stata di recente ribadita da Corte cost. 20
aprile 2004, n. 125, e 14 marzo 2003, n. 62, id.. 2004, I, 2299 e 2300) trova il suo fondamento nell'esigenza di uniforme interpretazione del
diritto comunitario nell'ambito territoriale definito dal trattato, esigenza che si correla all'istituzione di una corte chiamata ad assicurare il ri
spetto del diritto, nell'interpretazione e nell'applicazione del trattato. Senza pertanto ipotizzare una totale sovrapposizione tra problemati
che legate all'applicazione del diritto comunitario e questioni poste dalle norme della convenzione, è difficile sottrarsi all'idea che la me desima esigenza di certezza ed uniforme applicazione delle regole operi anche con riferimento alla convenzione europea una volta che si consi derino l'obbligo delle alte parti contraenti di riconoscere ad ogni perso na soggetta alla loro giurisdizione i diritti e le libertà definiti dal titolo I della convenzione stessa (art. 1 di quest'ultima), l'istituzione della corte europea, chiamata ad assicurare il rispetto degli impegni derivanti
per gli Stati (ossia per tutti gli organi dello Stato, ivi inclusi i giudici) dalla convenzione e dai suoi protocolli (art. 19 della convenzione), la
competenza assegnata alla corte, che si estende a tutte le questioni con cernenti l'interpretazione e l'applicazione della convenzione (art. 32 della convenzione).
A fronte di tali indicazioni, si comprende che, per quanto generali possano essere le indicazioni della convenzione, esse sono destinate a divenire di stringente precettività a seguito delle puntualizzazioni inter
pretative della corte europea (al riguardo, v. le riflessioni di Scoca
Tarullo, La Corte europea dei diritti dell'uomo e l'accessione inver tita: verso nuovi scenari, in Riv. amm., 2000, 464).
A tal proposito, Cass. 19 luglio 2002, n. 10542, Foro it., 2002, I, 2606, con nota di Fuzio, ha condivisibilmente puntualizzato che il
«giudice nazionale, ove ravvisi un contrasto della disciplina nazionale, è tenuto a dare prevalenza alla norma pattizia, che sia dotata di imme diata precettività rispetto al caso concreto, anche ove ciò comporti una
disapplicazione della norma interna». Nello stesso senso, v. Cass. 11
giugno 2004, n. 11096, id., Mass., 824. e, per esteso, Corriere giur., 2004, 1467, con nota di Conti, La Cassazione ritorna su occupazione appropriativa e rispetto della Cedu.
Peraltro, se è vero che la norma di fonte internazionale, anche se non
costituzionalizzata, gode pur sempre di una capacità di resistenza ri
spetto alla contraria previsione interna sopravvenuta (v., ad es., Corte cost. 19 gennaio 1993, n. 10, Foro it.. 1993,1, 1374, che ritiene trattarsi di norme derivanti da una fonte riconducibile a una competenza atipica e, come tali, insuscettibili di abrogazione o di modificazione da parte di
disposizioni di legge ordinaria. Agli stessi risultati, ma valorizzando il fatto che la norma internazionale è sorretta non solo e non tanto dalla volontà che certi rapporti siano regolati in un certo modo, quanto dalla volontà che gli obblighi internazionali siano rispettati, v. Conforti, Di ritto internazionale, Napoli, 2002, 301), diviene consequenziale rico noscere che le indicazioni interpretative della corte europea vincolano il giudice interno, senza che sussista alcuna necessità di sollecitare l'intervento della Consulta.
Tale percorso potrà anche essere seguito, valorizzando i parametri della legge fondamentale ed eventualmente sollecitandone una lettura conforme all'esegesi delle previsioni della convenzione offerta dalla corte. Tuttavia, esso rappresenta una mera eventualità che non elide in alcun modo il dovere del giudice di non dare applicazione alla norma nazionale che reputi (o che sia stata giudicata dalla corte europea) con trastante con i dettami della convenzione.
Va aggiunto che, in senso contrario, ossia nel senso della necessità di
provocare il sindacato della Corte costituzionale non depone il novel lato art. 117 Cost. Quest'ultimo oggi dispone che la potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli ob
blighi internazionali. Tale norma, se per un verso, pare dissipare i dubbi sulla possibilità per il legislatore ordinario di sottrarsi ai vincoli inter
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GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E STRANIERA
exception sur des arguments qui ne sont pas de nature à remettre
en cause sa décision sur la recevabilité. Par conséquent,
l'exception doit ètre rejetée.
II. Sur la violation alléguée de I'article 6, § 1, de la Convention
63. - Les requérants allèguent une double violation de l'arti
nazionali manifestando la specifica volontà di disattendere l'obbligo pattizio, per altro verso, non appare dotata, anche per la specifica sedes, di alcuna efficacia innovativa quanto ai meccanismi di controllo della
legittimità della norma interna. In particolare, l'accostamento delle
norme costituzionali con quelle internazionali non rende necessario, in
caso di ritenuto contrasto con queste ultime, lo scrutinio della Consulta.
Se tale ricostruzione fosse esatta, ne dovrebbe discendere che, anche in caso di contrasto della disciplina con le norme comunitarie, occorre rebbe passare attraverso il filtro del giudice delle leggi, il che appare assolutamente contrastante con le acquisizioni raggiunte sul punto dalla stessa Corte costituzionale (Corte cost. 8 giugno 1984, n. 170, Foro it.,
1984,1, 2062, con nota di Tizzano). II. - Una rapida disamina delle indicazioni fornite dalla sentenza in
rassegna impone, in primo luogo, di sottolineare che, con riferimento ai casi nei quali venga in discussione l'applicazione del criterio indennita rio introdotto dall'art. 5 bis 1. 359/92 ad espropriazioni disposte prima dell'entrata in vigore di quest'ultimo, il giudice interno dovrebbe pren dere atto che la prevista retroattività si pone in contrasto con il diritto
all'equo esame della causa e fare applicazione della normativa vigente al momento dell'emanazione del decreto d'esproprio.
Peraltro, se si ritiene che la norma internazionale di carattere gene rale assuma efficacia precettiva (si sarebbe tentati di precisare, vinco
lante) per effetto delle decisioni della corte di Strasburgo, dovrebbe di scenderne un'ulteriore conseguenza: l'assimilabilità del fenomeno allo ius superveniens. Pertanto, il giudice del rinvio cui la causa sia stata
rimessa dalla Suprema corte per la determinazione dell'indennità alla
stregua dei criteri indennitari di cui all'art. 5 bis 1. 359/92, dovrebbe
prendere atto della decisione della corte europea e fare applicazione della disciplina previgente, senza essere vincolato dal principio di di
ritto enunciato dalla Cassazione.
Con riferimento ai casi nei quali l'espropriazione è stata disposta successivamente all'entrata in vigore dell'art. 5 bis, inevitabilmente il
giudice interno dovrà confrontarsi con le critiche svolte nella sentenza in rassegna a partire dal par. 97.
Al riguardo, va sottolineato il carattere non sintetico, ma apparente della motivazione. La conclusione che il giusto equilibrio è venuto a
mancare nel caso di specie avrebbe imposto in positivo l'indicazione
dei criteri che consentono di garantire quantomeno una soglia minima
necessaria di protezione dell'interesse del proprietario destinatario della vicenda ablativa. La corte di Strasburgo, invece, si è limitata a indicare tutti i fattori che avevano comportato una riduzione, al di sotto
del valore venale, dell'indennizzo, per poi giungere alla conclusione
della quale s'è detto. Il lettore attento cercherà delle linee guida ricostruttive nei par. 108
ss., nei quali la corte determina l'ammontare del risarcimento per il
danno materiale e noterà che la somma liquidata a tale titolo (euro 410.000) ascende a poco più di quanto richiesto dai ricorrenti, facendo
riferimento alla differenza tra l'indennità a valore pieno e quella deter
minata ex art. 5 bis, maggiorata degli interessi legali (euro 405.891,89), sostanzialmente ignorando la richiesta di rivalutazione e di rimborso
dell'imposta. Tale constatazione sollecita peraltro un'ulteriore riflessione connessa
alla stessa pertinenza al caso di specie delle considerazioni legate alla
corrispondenza dei criteri di cui all'art. 5 bis (e oggi all'art. 37 d.p.r. 8
giugno 2001 n. 327), dal momento che, una volta constatata l'illegitti mità dell'applicazione retroattiva di più ridotti parametri di stima del
l'indennizzo, non restava che sostanzialmente applicare quelli previ
genti, commisurando il risarcimento del danno alla differenza rispetto
all'originario indennizzo (in tal modo attingendo lo stesso risultato
economico inutilmente perseguito dal ricorrente nella controversia de
cisa da Cass. 17 febbraio 2003, n. 2382, id., Rep. 2003, voce Diritti
politici e civili, n. 119). L'incidenza negli ordinamenti interni delle pronunce della corte di
Strasburgo dovrebbe imporre un vaglio attento della rilevanza delle
questioni e un particolare rigore motivazionale, che, nella specie, non
sembrano essere stati la principale cura dei giudici sovranazionali.
Ad ogni modo, per non eludere il problema posto dal giudizio di ina
deguatezza espresso in relazione all'art. 5 bis, può rilevarsi che qualora si condividessero le censure espresse dalla sentenza in rassegna, non
resterebbe all'interprete che applicare l'unico criterio non arbitrario in
assenza di un intervento riduttivo legittimo del legislatore, ossia quello
legato alla stima del valore del bene. Per vero Corte cost. 16 giugno
Il Foro Italiano — 2005.
eie 6, § 1, de la Convention qui, dans ses parties pertinentes, di
spose: « 1. Toute personne a droit à ce que sa cause soit entendue é
quitablement (...) et dans un délai raisonnable, par un tribunal
(...), qui décidera (...) des contestations sur ses droits et obli
gations de caractère civil (...)». 64. - Plus particulièrement, les requérants se plaignent, d'une
part, de ce que l'adoption et l'application de l'article 5 bis de la
loi n° 359 de 1992 constitue une ingérence législative incompa tible avec leur droit à un procès équitable. D'autre part, les re
quérants se plaignent de la durée excessive de la procédure en
gagée à fin d'obtenir l'indemnité d'expropriation.
A. Durée de la procédure
65. - Les requérants allèguent que la procédure engagée afin
d'obtenir l'indemnité d'expropriation a méconnu le principe du
«délai raisonnable» tei que prévu par l'article 6, § 1, de la Con
vention.
66. - Le Gouvernement s'oppose à cette thèse et souligne les
difficultés objectives survenues pendant le procès, par exemple la nouvelle loi sur l'indemnité d'expropriation, le décès de
A. Scordino, le manque de magistrats. A ce propos, le Gouver
nement indique que l'affaire a été suivie par trois juges de
struction qui se sont succédé.
67. - La Cour rappelle que dans sa décision sur la recevabilité
du 27 mars 2003, elle a estimé qu'en octroyant la somme de
2.450 EUR, à titre de réparation du dommage non patrimonial en application de la loi Pinto, la Cour d'appel de Reggio Cala
bria n'avait pas réparé de manière appropriée et suffisante l'in
fraction alléguée par les requérants. 68. - La Cour note que la période à considérer a débuté le 25
mai 1990 et s'est terminée le 7 décembre 1998. Elle a done duré
environ huit ans et demi, pour deux instances.
69. - La Cour rappelle avoir constaté dans quatre arrets du 28
juillet 1999 (par exemple, Bottazzi c. Italie [GC], n° 34884/97, CEDH 1999-V), l'existence, en Italie, d'une pratique contraire à
la Convention résultant d'une accumulation de manquements à
l'exigence du «délai raisonnable». Dans la mesure où la Cour
constate un tei manquement, cette accumulation constitue une
circonstance aggravante de la violation de l'article 6, § 1.
70. - Ayant examiné les faits de la cause à la lumière des ar
guments des parties et compte tenu de sa jurisprudence en la
matière, la Cour estime que la durée de la procédure litigieuse ne répond pas à l'exigence du «délai raisonnable» et qu'il y a là
encore une manifestation de la pratique précitée.
Partant, il y a eu violation de l'article 6, § 1.
1993, n. 283, id., 1993, I, 2089, ebbe ad affermare che «l'integrale ri
storo del sacrificio negherebbe ogni incidenza sotto tale profilo agli
scopi di pubblica utilità che persegue il procedimento espropriativo;
scopi la cui realizzazione non può risultare impedita dall'esigenza di
una piena ed integrale riparazione dell'interesse privato del proprieta rio». Tuttavia, non sembra che ciò implichi l'illegittimità costituzionale
di un criterio indennitario commisurato al valore venale del bene, posto che. in astratto (ed è su questo piano che occorre muoversi in assenza di
una scelta legislativa concreta da verificare), non è affatto detto che la
realizzazione degli scopi di pubblica utilità sia impedita da un inden
nizzo commisurato al valore venale del bene.
In sostanza, pare che il riferimento della corte mirasse soltanto a
sottolineare che, nell'attuale momento storico, appare ragionevole e
giustificato un intervento riduttivo in funzione dei fini pubblici realiz
zati attraverso l'intervento di pubblica utilità, senza predicare una ne
cessità costituzionale della riduzione. Del resto, questa è proprio la po sizione espressa dalla corte europea nella sentenza che si riporta.
III. - La ricostruzione appena operata dei rapporti tra corte di Stra
sburgo e giudici nazionali può creare disagio nella misura in cui, svi
luppando potenzialità sinora poco avvertite persino nel rapporto con
l'ordinamento comunitario, realizza un controllo polverizzato tra le
corti di merito della legittimità delle leggi in un sistema caratterizzato
dal sindacato centralizzato della Corte costituzionale. Tuttavia, essa ap
pare consequenziale alla giuridicità del diritto internazionale quale si
manifesta essenzialmente nella capacità degli operatori giuridici interni
di dare concreta e stabile attuazione alle regole pattizie concordate da
gli Stati (Conforti, op. cit., 8). [G. De Marzo]
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PARTE QUARTA
B. Procès équitable
71. - Les requérants dénoncent une immixtion du pouvoir
législatif dans le fonctionnement du pouvoir judiciaire, en rai
son de 1'adoption et de l'application à leur égard de Farticle 5
bis de la loi n° 359 de 1992. Ils se plaignent notamment de ne
pas avoir bénéficié d'un procès équitable lorsqu'il a été décidé
du montant de leur indemnité d'expropriation, la question sou
mise aux tribunaux nationaux ayant été tranchée par le législa teur et non pas par le pouvoir judiciaire.
72. - A cet égard, les requérants observent que la disposition
litigieuse introduisait des critères de calcul de 1 indemnité d'ex
propriation, de fa?on à réduire celle-ci d'au moins 50% par rap
port à la somme à laquelle ils avaient droit selon la loi en vi
gueur au moment de 1'introduction de la procédure en indemni
sation devant la Cour d'appel de Reggio Calabria.
73. - Les requérants soutiennent que la loi litigieuse ne
répondait pas à un intérèt public essentiel et qu'elle tendait uni
quement à déterminer Tissue des procédures pendantes de ma
nière à favoriser 1'administration défenderesse.
74. - Les requérants font ensuite remarquer que 1'article 5 bis
de la loi a été jugé conforme à la Constitution par la Cour con
stitutionnelle, parce qu'il s'agissait d'une mesure provisoire et
qu'elle répondait à une conjoncture particulière. Or, cette dispo sition serait toujours en vigueur.
75. - Le Gouvernement soutient que l'application de l'article
5 bis de la loi n° 359 de 1992 en l'espèce ne soulève aucun pro blème au regard de la Convention.
76. - Le Gouvernement reconnaìt que l'article 5 bis litigieux a
été inspiré par des raisons budgétaires; il fait toutefois observer
que, compte tenu de son caractère provisoire, cette disposition a
été jugée conforme à la Constitution par la Cour constitution
nelle.
77. - Le Gouvernement fait observer que, d'après la jurispru dence de la Convention et le droit italien, le principe de non ré
troactivité n'est pas absolu. En outre, la loi litigieuse s'expli
querait par le besoin de combler le vide législatif créé par les ar
rets de la Cour constitutionnelle, qui avait annulé les lois du
Parlement italien tendant à modifier les critères de fixation
d'indemnités d'expropriation, par rapport au critère de la valeur
marchande tei que prévu par la loi n° 2359 de 1865.
78. - La Cour réaffirme que si, en principe, il n'est pas inter
dit au pouvoir législatif de réglementer en matière civile, par de
nouvelles dispositions à portée rétroactive, des droits découlant
de lois en vigueur, le principe de la prééminence du droit et la
notion de procès équitable consacrés par l'article 6 de la Con
vention s'opposent, sauf pour d'impérieux motifs d'intérèt
général, à l'ingérence du pouvoir législatif dans 1'administration
de la justice dans le but d'influer sur le dénouement judiciaire du litige (Zielinski et Pradal & Gonzales c. France [GC], n°
24846/94 et 34165/96 à 34173/96, § 57, CEDH 1999-VII; Raf fineries grecques Stran et Stratis Andreadis c. Grèce, arrét du 9
décembre 1994, sèrie A n° 301-B; Papageorgiou c. Grèce, arret
du 22 octobre 1997, Recueil des arrets et décisions 1997-VI). 79. - Dans le cas d'espèce, la Cour estime que, mème si les
procédures litigieuses n'ont pas été annulées en vertu de la loi
n° 359 de 1992, la loi en question a influencé le dénouement ju diciaire du litige (Anagnostopoulos et autres c. Grèce, n°
39374/98, §§ 20-21, CEDH 2000-XI), auquel l'Etat était partie. En effet, l'article 5 bis inclut expressément dans son champ
d'application les procédures pendantes et fixe définitivement les
termes du débat soumis aux juridictions de l'ordre judiciaire et
ce, de manière rétroactive (paragraphe 52 ci-dessus). La Cour
relève que la Cour d'appel de Reggio Calabria et la Cour de
cassation n'ont pas omis de faire référence aux dispositions de
la loi critiquée pour étayer leurs décisions. Ce faisant, elles ont
modifié au détriment des intéressés, avec effet rétroactif, l'in
demnisation à laquelle ceux-ci pouvaient légitimement s'atten
dre au sens de la loi n° 2359 de 1865 (voir paragraphes 17-18 ci
dessus), en vigueur au moment de 1'introduction du recours en
indemnisation devant les juridictions nationales. Par l'effet de
l'application de l'article 5 bis, les requérants ont été privés d'u
ne partie substantielle de l'indemnisation à laquelle ils pou vaient prétendre (paragraphes 29, 33 et 34 ci-dessus).
Il Foro Italiano — 2005.
80. - De l'avis de la Cour, le fait que les juridictions nationa
les se soient fondées sur la disposition critiquée pour décider de
la question de l'indemnité d'expropriation dont elles étaient sai
sies, se traduit en une immixtion du pouvoir législatif dans le
fonctionnement du pouvoir judiciaire en vue d'influer sur le
dénouement du litige.
Partant, il y a eu violation de 1'article 6, § 1, de la Conven
tion.
III. Sur la violation alléguée de I 'article 1 du Protocole n" 1
81. - Les requérants allèguent une double violation de l'arti
cle 1 du Protocole n° 1, ainsi libellé:
«Toute personne physique ou morale a droit au respect de ses
biens. Nul ne peut ètre privé de sa propriété que pour cause
d'utilité publique et dans les conditions prévues par la loi et les
principes généraux du droit international.
Les dispositions précédentes ne portent pas atteinte au droit
que possèdent les Etats de mettre en vigueur les lois qu'ils ju
gent nécessaires pour réglementer 1'usage des biens conformé
ment à l'intérèt général ou pour assurer le paiement des impòts ou d'autres contributions ou des amendes».
82. - Les requérants allèguent d'une part avoir supporté une
charge disproportionnée en raison du montant inadéquat de
l'indemnité d'expropriation. 83. - D'autre part, les requérants se plaignent de l'application
rétroactive de l'article 5 bis de la loi n° 359 de 1992.
84. - Il n'est pas contesté que les intéressés ont été privés de
leur propriété conformément à la loi, et que 1'expropriation
poursuivait un but légitime d'utilité publique. Dès lors, c'est la
seconde phrase du premier paragraphe de l'article 1 du Proto
cole n° 1 qui s'applique en l'espèce (Mellacher et autres c. Au
triche, arrèt du 19 décembre 1989, sèrie A n° 169, § 42).
A. Sur le montant de l'indemnisation accordée aux requérants
85. - Les requérants font observer que l'indemnité qu'ils ont
refue correspond à 40% de la valeur de leur bien. Selon eux, cela ne saurait ètre considéré comme une indemnisation
présentant un rapport raisonnable avec la valeur du bien.
86. - A cet égard, les requérants observent que l'indemnité
d'expropriation qui leur a été accordée par les juridictions na
tionals correspond à la moitié de la valeur marchande du ter
rain. Ce montant a ensuite été encore diminué de 20%, en raison
de l'impòt à la source prévu par la loi n° 413 de 1991.
87. - Par ailleurs, les requérants soulignent que l'abattement
ultérieur de 40% prévu par l'article 5 bis, pour ceux qui s'oppo sent à l'offre d'indemnisation, n'a pas été appliqué dans leur
cas.
88. - Les requérants soutiennent qu'en l'espèce il n'y a aucu
ne raison d'utilité publique pouvant justifier une indemnisation
inférieure à la valeur marchande du terrain. A cet égard, les re
quérants allèguent que leur terrain a été exproprié pour permet tre à une société coopérative d'y construire des logements desti -
nés à des particuliers et que ces derniers, conformément au droit
interne (article 20 de la loi n° 179 de 1992), seront libres cinq ans plus tard de revendre le logement au prix du marché. Cela
signifie que 1'expropriation du terrain des requérants a en réalité
avantagé des particuliers. 89. - Les requérants font enfin observer qu'une longue pério
de s'est écoulée entre l'expropriation du terrain et la fixation
définitive de l'indemnité. Ils soulignent que la ville de Reggio Calabria n'a communiqué l'offre d'indemnisation qu'en 1989, soit six ans après le décret d'expropriation, et qu'à partir de
cette date seulement, il a été possible d'introduire un recours en
opposition devant la cour d'appel. 90. - A la lumière de ces considérations, les requérants esti
ment avoir supporté une charge excessive et demandent à la
Cour de constater la violation de l'article 1 du Protocole n° 1.
91. - Le Gouvernement soutient que la situation dénoncée est
compatible avec l'article 1 du Protocole n° 1. Il observe que, dans le calcul d'une indemnité d'expropriation, il faut recher
cher un équilibre entre l'intérèt privé et l'intérèt général. Par
conséquent, l'indemnité d'expropriation adéquate peut ètre infé
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GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E STRANIERA
rieure à la valeur marchande d'un terrain comme la Cour con
stitutionnelle l'a du reste reconnu (arrets n° 283 du 16 juin
1993, Foro it., 1993, I, 2089; n° 80 du 19 mars 1996, id., 1996, I, 1933, et n° 148 du 30 avril 1999, id., 1999,1, 1715).
92. - Se référant aux arrets de la Cour dans les affaires Les
saints monastères c. Grece (arrèt du 9 décembre 1994, sèrie A
n° 301-A), Lithgow et autres c. Royaume-Uni (arrèt du 8 juillet
1986, sèrie A n° 102; Foro it.. Rep. 1987, voce Diritti politici e
civili, n. 55) et James et autres c. Royaume-Uni (arrèt du 21
février 1986, sèrie A n° 98), le Gouvernement soutient que la
requète en question doit ètre examinée à la lumière du principe selon lequel les causes d'utilité publique (telles qu'une réforme
économique ou une politique de justice sociale) peuvent militer
pour un remboursement inférieur à la pleine valeur marchande.
Cela s'inscrit, selon le Gouvernement, dans une volonté politi
que de mettre en oeuvre un système dépassant le libéralisme
classique du XIXe siècle. Tout se résumé à la question de savoir
si l'écart entre la valeur marchande et l'indemnité payée est rai
sonnable et justifié. 93. - Le Gouvernement soutient que, à compter de 1993, les
requérants auraient pu obtenir une indemnité de 40% plus éle
vée s'ils avaient accepté l'indemnité d'expropriation offerte par l'administration. Il soutient ensuite que la valeur marchande du
terrain a été prise en compte dans le calcul effectué par les juri dictions internes, au sens de l'article 5 bis de la loi n°359 de
1992. Le Gouvernement observe qu'aux termes de cette dispo
sition, la valeur marchande du terrain est tempérée par un autre
critère, à savoir la rente foncière calculée sur la valeur inserite
au cadastre.
94. - Le Gouvernement en conclut que le système de calcul de
l'indemnité d'expropriation appliqué en l'espèce n'est pas dé
raisonnable et n'a pas rompu le juste équilibre. 95. - Quant au temps écoulé entre 1'expropriation et la fixa
tion définitive de l'indemnité, le Gouvernement observe que la
procédure devant la Cour d'appel de Reggio Calabria n'a été
introduite qu'en 1990, et estime que les requérants auraient pu
engager l'action civile dès 1983. Cela équivaut à dire qu'ils ont
contribué eux-mèmes à retarder le versement de l'indemnité.
En outre, le Gouvernement fait observer que le préjudice causé
par l'écoulement du temps est réparé par le versement d'inté
rèts.
96. - En conclusion, le Gouvernement demande à la Cour de
constater 1'absence de violation de la disposition invoquée. 97. - La Cour rappelle qu'une mesure d'ingérence dans le
droit au respect des biens doit ménager un «juste équilibre» en
tre les exigences de l'intérèt général et les impératifs de la sau
vegarde des droits fondamentaux de l'individu (Sporrong et
Lónnroth c. Suède du 23 septembre 1982, sèrie A n° 52, § 69;
Foro it.. Rep. 1985, voce cit., n. 21). Afin d'apprécier si la
mesure litigieuse respecte le juste équilibre voulu et notamment
si elle ne fait pas peser sur les requérants une charge dispropor
tionnée, il y a lieu de prendre en considération les modalités
d'indemnisation prévues par la législation interne. A cet égard, sans le versement d'une somme raisonnablement en rapport avec la valeur du bien, une privation de propriété constitue
normalement une atteinte excessive qui ne saurait se justifier sur
le terrain de l'article 1. Ce dernier ne garantit pourtant pas dans
tous les cas le droit à une compensation intégrale, car des ob
jectifs légitimes «d'utilité publique» peuvent militer pour un
remboursement inférieur à la pleine valeur marchande (Les
saints monastères c. Grèce, arrèt du 9 décembre 1994, sèrie A
n° 301-A, §§ 70-71). 98. - La Cour relève que les requérants ont re?u en l'espèce
l'indemnité la plus favorable prévue par l'article 5 bis de la loi
n° 359 de 1992. En effet, l'abattement ultérieur de 40% n'a pas été appliqué dans ce cas (paragraphes 33 et 37 ci-dessus).
99. - La Cour note ensuite que le prix définitif d'indemnisa
tion fut fixé à 82.890 ITL par mètre carré alors que la valeur
marchande estimée du terrain était de 165.755 ITL par mètre
carré (paragraphes 29, 33, 34 et 37 ci-dessus).
100. - En outre, ce montant a été ultérieurement réduit de
20% à titre d'impót (paragraphe 38 ci-dessus). 101. - Enfin, la Cqur ne perd pas de vue le laps de temps s'é
tant écoulé entre 1'expropriation et la fixation définitive de l'in
demnité (paragraphes 14 et 37 ci-dessus).
Il Foro Italiano — 2005.
102. - Eu égard à la marge d'appréciation que 1'article 1 du
Protocole n° 1 laisse aux autorités nationales, la Cour considère
le prix perfu par les requérants comme non raisonnablement en
rapport avec la valeur de la propriété expropriée (Papaclielas c.
Grèce [GC], n° 31423/96, § 49, CEDH 1999-11; Platakou c. Grece, n° 38460/97, § 54, CEDH 2001-1; Foro it., Rep. 2002,
voce cit., n. 135). Il s'ensuit que le juste équilibre a été rompu. 103. - Partant, il y a eu violation de l'article 1 du Protocole
n° 1.
B. Sur l'application de l'article 5 bis de la loi n 359 de 1992
104. - Les requérants se plaignent ensuite de l'application à
leur cas de l'article 5 bis de la loi n° 359 de 1992, dont l'adop tion est intervenue longtemps après 1'expropriation du terrain.
En conséquence, l'indemnisation à laquelle ils pouvaient légi timement s'attendre, au sens de la loi n° 2359 de 1865, a été
réduite de 50%.
105. - Le Gouvernement soutient que l'application rétroactive
de la disposition litigieuse ne pose aucun problème sous l'angle de l'article 1 du Protocole n° 1. Il réitère les arguments invoqués aux paragraphes 75-77 ci-dessus.
106. - La Cour note que les griefs des requérants à cet égard se confondent avec ceux qu'ils soulèvent sous l'angle de l'arti
cle 6, § 1, de la Convention, pour ce qui est de l'équité de la
procédure. Eu égard à la conclusion formulée au paragraphe 80,
elle n'estime pas nécessaire de les examiner séparément sous
l'angle de l'article 1 du Protocole n° 1.
IV. Sur l'application de l'article 41 de la Convention
107. - Aux termes de l'article 41 de la Convention,
«Si la Cour déclare qu'il y a eu violation de la Convention ou
de ses Protocoles, et si le droit interne de la Haute Partie con
tractante ne permet d'effacer qu'imparfaitement les conséquen ces de cette violation, la Cour accorde à la partie lésée, s'il y a
lieu, une satisfaction équitable».
A. Dommage matériel
108. - Les requérants sollicitent une somme correspondant à
la différence entre l'indemnité qu'ils auraient pergue au sens de
la loi n° 2359 de 1865 et celle qui leur a été accordée en fonc
tion de l'article 5 bis de la loi n° 359 de 1992. Cette somme
s'élève à 123.815,56 EUR par rapport à 1983, l'année de Im
propriation. La méme somme assortie de l'intérèt légal jusqu'en 2003 s'élève à 405.891,89 EUR. En indexant le capital en plus de l'intérèt légal, cette somme s'élève à 585.717,09 EUR.
109. - Les requérants réclament en outre le remboursement de
l'impòt de 20% qui a été appliqué sur l'indemnité, indexé et as
sorti d'intérèts. Ce montant s'élève à 125.191,83 EUR.
110. - Le Gouvernement ne se prononce pas. 111. - La Cour vient de constater que 1'expropriation subie
par les requérants satisfaisait à la condition de légalité et n'était
pas arbitraire (paragraphe 84 ci-dessus). L'acte du gouverne ment italien que la Cour a tenu pour contraire à la Convention
est une expropriation qui eùt été légitime si une indemnisation
raisonnable avait été versée (paragraphe 102 ci-dessus). La Cour
n'a pas non plus conclu à l'illégalité de l'application de l'impòt de 20% en tant que telle (paragraphe 100 ci-dessus), mais a pris en compte cet élément dans l'appréciation de la cause. Enfin, la
Cour a constaté la violation du droit à un procès équitable des
requérants en raison de l'application à leur cas de l'article 5 bis.
112. - Compte tenu de ces éléments, statuant en équité, la
Cour estime raisonnable d'accorder aux requérants la somme de
410.000 EUR.
B. Dommage moral
113. - Les requérants estiment à 6.000 EUR la réparation du
préjudice moral subi par chacun d'eux en raison de la durée de
la procédure et à 6.500 EUR la réparation du préjudice moral
résultant de l'iniquité du procès et de l'atteinte à leur droit au
respect des biens. Au total, les requérants réclament done
50.000 EUR au titre du préjudice moral.
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PARTE QUARTA
114. - Le Gouvernement ne se prononce pas. 115. -
Compte tenu des circonstances de la cause, la Cour ne
s'estime pas suffisamment éclairée sur les critères à appliquer
pour évaluer le préjudice moral subi par les requérants et consi
dère dès lors que la question de l'application de l'article 41 ne
se trouve pas en état. Partant, il y a lieu de réserver la question et de fixer la procédure ultérieurement, en tenant compte de
l'éventualité d'un accord entre l'Etat défendeur et les requérants (article 75, § 1, du règlement).
C. Frais et dépens
116. - Factures à l'appui, les requérants réclament 17.905,99 EUR pour les frais et dépens encourus dans les procédures de
vant les juridictions nationales, dont 3.060 EUR pour la
procédure instituée dans le cadre de la loi «Pinto».
Pour ce qui est des frais encourus dans la procédure devant la
Cour, les requérants présentent une note d'honoraires et frais
rédigée sur la base du barème national et sollicitent le rembour
sement de 46.207,58 EUR, dont 2.207,58 pour frais, taxe sur la
valeur ajoutée (TVA) en sus.
117. - Le Gouvernement ne se prononce pas. 118. - La Cour estime qu'il y a lieu de réserver la question et
de fixer la procédure ultérieurement.
D. Intérèts moratoires
119. - La Cour juge approprié de baser le taux des intérèts
moratoires sur le taux d'intérét de la facilité de prèt marginai de
la Banque centrale européenne majoré de trois points de pour
centage.
Par ces motifs, la Cour:
1. Rejette, à Funanimité, l'exception préliminaire du Gouver
nement; 2. Dit, à Funanimité, qu'il y a eu violation de l'article 6, § 1,
de la Convention en raison de la durée de la procédure; 3. Dit, à Funanimité, qu'il y a eu violation de l'article 6, § 1,
de la Convention en raison de l'absence d'équité de la procédu re;
4. Dit, à Funanimité, qu'il y a eu violation de l'article 1 du
Protocole n° 1 ; 5. Dit, à Funanimité,
a) que l'Etat défendeur doit verser aux requérants, dans les
trois mois à compter du jour où l'arrèt sera devenu définitif, conformément à l'article 44, § 2, de la Convention, les sommes
suivantes:
(') 410.000 EUR (quatre cent dix mille euros) pour dommage matériel;
ii) tout montant pouvant ètre du à titre d'impòt sur ladite
somme;
b) qu'à compter de Fexpiration dudit délai et jusqu'au ver
semene ces montants seront à majorer d'un intérét simple à un taux égal à celui de la facilité de prèt marginai de la Banque centrale européenne applicable pendant cette période, augmenté de trois points de pourcentage;
6. Dit, par 6 voix contre 1, que la question de l'article 41 ne se trouve pas en état pour le dommage moral relatif aux viola tions constatées ainsi que pour les frais et dépens supportés de vant les juridictions nationales pour remédier auxdites viola
tions et que pour les frais encourus dans la procédure devant la
Cour; 7. Rejette, à Funanimité, la demande de satisfaction équitable
pour le surplus.
Il Foro Italiano — 2005.
CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNITÀ EUROPEE; sezione II; sentenza 11 novembre 2004, causa C-457/02; Pres.
Timmermans, Avv. gen. Kokott (conci, conf.); Niselli.
CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNITÀ EUROPEE;
Unione europea — Nozione di rifiuto — Residui di produ zione o di consumo idonei alla riutilizzazione — Rottami
ferrosi — Domanda di pronunzia pregiudiziale (Trattato
Ce, art. 234; direttiva 15 luglio 1975 n. 75/442/Cee del consi
glio, relativa ai rifiuti, art. 12).
La definizione di rifiuto contenuta nell'art. 1, lett. a), 1° com
ma, della direttiva del consiglio 15 luglio 1975 n. 75/442/Cee,
relativa ai rifiuti, come modificata dalla direttiva del consi
glio 18 marzo 1991 n. 91/156/Cee e dalla decisione della
commissione 24 maggio 1996 n. 96/350/Ce, non può essere
interpretata nel senso che essa ricomprenderebbe tassativa
mente le sostanze o i materiali destinati o soggetti alle opera zioni di smaltimento o di recupero menzionati negli allega ti li A e IIB della detta direttiva, oppure in elenchi equiva lenti, o il cui detentore abbia l'intenzione o l'obbligo di de
stinarli a siffatte operazioni. ( 1 ) La nozione di rifiuto ai sensi dell'art. 1, lett. a), 1° comma,
della direttiva 75/442, come modificata dalla direttiva 91/156
e dalla decisione 96/350, non dev'essere interpretata nel sen
so che essa escluderebbe l'insieme dei residui di produzione o di consumo che possono essere o sono riutilizzati in un ci
clo di produzione o di consumo, vuoi in assenza di tratta
mento preventivo e senza arrecare danni all'ambiente, vuoi
previo trattamento ma senza che occorra tuttavia un'opera zione di recupero ai sensi dell'allegato IIB di tale diretti
va. (2)
(1-2) La sentenza si può leggere in Foro it., 2004, IV, 588, con nota di richiami.
Se ne riproducono le massime per pubblicare le note di G. Amendola e V. Paone.
* * *
«Rifiuto»: non era autentica l'interpretazione italiana.
Premessa storico-normativa. L'ultimo tentativo del partito del non rifiuto si è servito del d.l. 8 luglio 2002 n. 138 (pubblicato in G.U. dello stesso giorno), convertito con 1. 8 agosto 2002 n. 178, ove, inopinata mente, compare una norma, l'art. 14, relativa alla «interpretazione au tentica della definizione di 'rifiuto' di cui all'art. 6, 1° comma, lett. a),
d.leg. 5 febbraio 1997 n. 22», la quale intende limitare tassativamente l'ambito dei rifiuti industriali attraverso un rigido riferimento alle ope razioni di smaltimento o recupero «codificate», da cui sarebbe escluso il «riutilizzo» (1).
La motivazione che aveva portato a questa innovazione legislativa ri sulta dalla relazione governativa al decreto, ove si legge che «nei pros simi giorni potrebbe prospettarsi il blocco dell'attività dell'industria si
derurgica, a causa del sequestro di intere partite di rottami ferrosi di
sposto dalla procura di Udine, in Friuli e nel porto di Marghera», dispo sto sulla base di una «interpretazione particolarmente restrittiva e con testabile della . . . definizione di 'rifiuto'», che potrebbe pregiudicare la
«competitività sul mercato» anche di altri settori (oltre la siderurgia, anche quelli della carta e del legno) in quanto se si applica la normativa sui rifiuti «il loro impiego diventa aleatorio a causa delle prescrizioni ambientali, tecniche e burocratiche che disciplinano il settore» (2).
Rinviando ad altre opere per un approfondimento (3), sembra suffi
(1) Per approfondimenti, citazioni e richiami a questa ed alle altre invenzioni del «partito del non rifiuto», cfr., da ultimo, Amendola, Ge stione dei rifiuti e normativa penale, Milano, 2003, cap. 3 e 4.
(2) Per maggiori dettagli circa i sequestri giudiziari di rottami ferrosi
operati ad Udine e a Trieste, confermati dal tribunale del riesame, cfr. Maglia-Santoloci, L'interpretazione autentica della definizione di ri
fiuto: un «amarcord» di legislazione ambientale, in RivistAmbiente, 2002, 1118 ss. Cfr. altresì Trib. Udine, ord. 14 giugno 2002, Foro it., 2002, II, 673, che, secondo la nota di Paone, ha «costituito il 'pretesto' che il partito del non rifiuto ha sfruttato per imporre, dopo vent'anni di tentativi non riusciti, una nozione restrittiva di rifiuto».
(3) Per approfondimenti, cfr. Amendola, L'interpretazione autentica della definizione comunitaria di rifiuto nel d.l. «omnibus», in Dir. pen.
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