sentenza 29 maggio 1996; Pres. Parnisari, Est. F. Rossi; Azienda municipale igiene ambientaleTorino (Avv. Pacchiodo, Gallo) c. Falia-Salp (Avv. Brigandi)Source: Il Foro Italiano, Vol. 119, No. 9 (SETTEMBRE 1996), pp. 2905/2906-2913/2914Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23191612 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
zione che offre, e voglia por termine ad una mora creditoris.
In questo caso, l'offerta serve a porre la cosa direttamente a
disposizione del creditore.
Tanto precisato in diritto, è rimasto incontestato in causa che
la Toro assicurazioni potesse fare legittimamente ricorso alla
misura cautelare del sequestro liberatorio in quanto, pur essen
do certo il suo obbligo di risarcire i danni cagionati dal Di Roc
co Luigi, del quale era stata definitivamente accertata la re
sponsabilità penale, rimaneva incerta la quantificazione definitiva.
Il giudice penale, infatti, aveva determinato solo l'ammon
tanre della provvisionale per ognuna delle costituite parti civili, non già la liquidazione definitiva dei danni. L'importo fissato
in sentenza, comunque, sommato alla richiesta dell'Inail, supe rava il massimale assicurato, sicché i diritti delle persone dan
neggiate nei confronti dell'assicuratore, ex art. 27 1. 990/69, dovevano essere proporzionalmente ridotti sino alla concorren
za delle somme assicurate.
L'appellante, dunque, per liberarsi dalla mora non poteva fa
re ricorso alle forme previste dagli art. 1208 ss. c.c., non essen
do in grado di soddisfare tutti i requisiti di validità di una even
tuale offerta che l'art. 1207, 3° comma, pone come condizione
perché, in caso di rifiuto di accettare l'offerta fatta, si verifichi
no gli effetti della mora del creditore. Di qui l'astratta possibili tà di fare legittimo ricorso allo speciale istituto processuale pre visto dall'art. 687 c.p.c.
Passando all'esame dei motivi di gravame, deve rilevarsi che
i primi giudici hanno errato nell'affermare che la richiesta del
sequestro liberatorio può essere avanzata soltanto dopo che il
soggetto passivo abbia offerto il suo adempimento e che tale
pagamento sia stato rifiutato dal creditore. In tal modo, il tri
bunale ha identificato il sequestro speciale con l'istituto dell'of
ferta reale e non ha considerato che il debitore, a motivo della
contestazione esistente con il creditore, non vuole (o non può, come nella specie), offrire il pagamento incondizionato per evi
tare, appunto, che l'altro l'accetti. Il giudizio di merito, che
va instaurato dopo la concessione del provvedimento cautelare, ha la funzione di dirimere il contrasto e di accertare in maniera
definitiva l'obbligo del debitore e la spettanza della somma di
cui questo è sequestrante e sequestrato. Pienamente conforme al precetto fissato dall'art. 687 c.p.c.
è poi il deposito da parte della Toro assicurazioni, della somma
di lire 100.000.000 in un libretto bancario intestato agli aventi
diritto al risarcimento del danno provocato dal Colella, e la
messa a disposizione dello stesso titolo di credito a favore dei
danneggiati indicati nel ricorso, così come dichiarato nel ricorso
e messo a loro conoscenza per effetto della notifica. Infatti,
l'insegnamento giurisprudenziale prevalente, in perfetta aderen
za al dato testuale di tale norma (. . . il giudice può ordinare
il sequestro delle somme o delle cose che il debitore ha offerto
o messo comunque a disposizione del creditore . . .), è nel sen
so che il requisito di legge viene soddisfatto con la preventiva
offerta, sia pure non formale (messa a di sposizione), diretta
al creditore o a tutti i creditori (Cass. 1879/65, id., 1966, I,
316; 1340/70, id., Rep. 1970, voce cit., n. 61; Trib. Milano
13 dicembre 1990, id., 1991, I, 3436; Trib. Catania, decr. 9 marzo 1989, id., 1989, I, 2297).
Pur in presenza di tali considerazioni, l'impugnata decisione
va confermata.
Come rettamente ritenuto dai primi giudici, invero, la Toro
assicurazioni è colpevole di ingiustificato ritardo per non avere
posto tempestivamente l'importo del massimale assicurato a di
sposizione dei danneggiati e familiari delle vittime.
Risulta dalle sentenze penali prodotte in giudizio che il Di
Rocco Luigi, conducente l'autoarticolato assicurato, alle ore quat tro circa del 14 febbraio 1980, procedeva a velocità molto ele
vata pur essendo in atto una fitta nebbia e che, di fronte all'o
stacolo improvviso costituito dai veicoli fermi sulla carreggiata
per un precedente incidente, non riuscì in alcun modo a rallen
tare la corsa del pesante automezzo, sicché tamponò violente
mente l'autovettura Mercedes, distruggendola completamente e
cagionando la morte dei suoi quattro occupanti. Di fronte a
tali risultanze, emergenti anche dal rapporto della Polstrada e
da cui si evinceva con assoluta chiarezza la colpa del Di Rocco,
la Toro assicurazioni non aveva necessità alcuna di attendere,
così come sostiene, la decisione dei giudici di appello per ren
dersi conto della sicura responsabilità dell'assicurato e che l'en
tità dei danni, era superiore al massimale; pertanto, decorso
Il Foro Italiano — 1996.
lo spatium deliberandi necessario per gli accertamenti del caso, avrebbe dovuto porre l'ammontare corrispondente a disposizio ne delle vittime. Risulta in proposito che Guidi William e Ver
nocchi Maria Luisa, eredi del defunto Guidi Alfredo, misero
in mora l'appellante con lettera raccomandata del 10 marzo 1980; e l'Inail vi provvide il 18 aprile dello stesso anno.
La somma di cui è stato chiesto il sequestro liberatorio, dun
que, non era conforme all'obbligo della Toro assicurazioni es
sendo questa tenuta al pagamento, oltre al massimale, della sva
lutazione monetaria e degli interessi per tutto il periodo di mora.
I
TRIBUNALE DI TORINO; sentenza 29 maggio 1996; Pres. Par
nisari, Est. F. Rossi; Azienda municipale igiene ambientale
Torino (Avv. Pacchiodo, Gallo) c. Falia-Salp (Avv.
Brigandi).
TRIBUNALE DI TORINO;
Sindacati, libertà e attività sindacale — Condotta antisindacale — Procedimento — Legittimazione attiva — Sindacato auto
nomo lombardo — Esclusione (L. 20 maggio 1970 n. 300, norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della
libertà e dell'attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme
sul collocamento, art. 28).
Non avendo, a termini di statuto confederale, carattere nazio
nale, il sindacato Falia Salp difetta di legittimazione ad agire ex art. 28 l. 20 maggio 1970 n. 300. (1)
II
TRIBUNALE DI MILANO; sentenza 18 maggio 1996; Pres.
ed est. Mannacio; Soc. Mondialpol (Avv. Paganuzzi) c. Plu
deri e altri (Aw. Bollati) e Sai-Sindacato autonomista lom
bardo (Avv. Bollati).
Sindacati, libertà e attività sindacale — Diritto alle trattenute
sindacali — Sindacato autonomo lombardo — Esclusione (L. 20 maggio 1970 n. 300, art. 26).
Al Sindacato autonomista lombardo non compete il diritto alle
trattenute sindacali di cui all'art. 26 I. n. 300 del 1970 (fatti
specie precedente l'abrogazione a seguito del referendum). (2)
(1-2) Trib. Torino nega la legittimazione ad agire ex art. 28 1. 20
maggio 1970 n. 300 del sindacato leghista piemontese, dopo che nel corso del medesimo giudizio la Corte costituzionale (sent. 17 marzo
1995, n. 89, Foro it., 1995, I, 1735, con nota di richiami e nota di A. Cerri, Una risposta disattenta della corte sul requisito del carattere
nazionale del sindacato per la legittimazione al ricorso ai sensi dell'art. 28 del c.d. «statuto dei lavoratori»?, e id., 1996, I, 477, con nota di L. de Angelis, L'art. 28 dello statuto dei lavoratori dopo l'esito refe rendario), ha dichiarato manifestamente inammissibile, per difetto di rilevanza nel giudizio a quo, la questione di costituzionalità dell'art. 271 c.p., sollevata, in riferimento agli art. 2, 3, 18, 21, 24, 35 e 39
Cost., infondata la questione di costituzionalità dell'art. 28 1. 300/70,
sollevata, sempre in riferimento agli art. 2, 3, 18, 21, 24, 35 e 39 Cost., nella parte in cui preclude il diritto di difesa di gruppi sindacali (nella
specie, il sindacato leghista piemontese organizzati con connotazione non nazionale da Trib. Torino, ord. 11 gennaio 1994, id., 1994, I, 596, con annotazioni di P. Bellocchi e G. Fiandaca; anche in Riv. critica
dir. lav., 1994, 497, con nota di G. Cipriani, Nazionalità e antinazio nalità di un 'associazione sindacale: problemi di costituzionalità; in Riv.
it. dir. lav., 1994, II, 627, con note di P. Lambertucci, Alcune que stioni in tema di legittimazione attiva del sindacato nel procedimento ex art. 28 statuto lavoratori, e di L. Nogler, Considerazioni sui sinda cati autonomisti, sui sindacati delle minoranze etniche e sul concetto di nazione. In tema di legittimazione attiva del Sal, Salp, o Sav (Sinda cato autonomista veneto) ex art. 28 1. 300/70, cfr., in senso conforme
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2907 PARTE PRIMA 2908
I
Svolgimento del processo. — Con ricorso depositato in data
16 marzo 1992, promosso ex art. 28 1. 300/70, il sindacato Falia
Salp chiedeva che il Pretore di Torino, sentite le parti ed assun
te sommarie informazioni:
a) ordinasse all'Amiat il pagamento delle trattenute illegali ai lavoratori o, in subordine, provvedesse al pagamento in fa
vore dell'attrice pro quota-,
b) ordinasse all'azienda di tollerare che il Bellini, o altri rap
presentanti sindacali dell'esponente, al di fuori dell'orario e senza
pregiudizio del normale svolgimento dell'attività aziendale po tessero svolgere attività di proselitismo in tutte le sedi di lavoro
concretizzantesi nel parlare con i propri compagni di lavoro e
nel distribuire volantini sindacali;
c) prendesse qualsiasi altro provvedimento idoneo al raggiun
gimento dello scopo. All'udienza del 26 giugno 1992 si costituiva in giudizio l'A
miat depositando comparsa con la quale veniva contestato quanto affermato e dedotto da parte ricorrente nel ricorso introduttivo.
Il pretore autorizzava quindi parte convenuta a precisare con
memoria quali aspetti delle contestazioni allegate al fascicolo
della ricorrente potessero implicare inadempienza sotto il profi lo disciplinare, rinviando la causa all'udienza del 10 aprile 1992.
Il pretore decideva quindi la controversia col seguente decre
to del 24 aprile 1992, comunicato alle parti in data 27 aprile 1992:
«P.Q.M. Il pretore, visto l'art. 28 1. 300/70:
1) dichiarava che parte ricorrente ha legittimazione attiva con
riferimento alla procedura ex art. 28 citato;
2) dichiara nulla la clausola del ccnl sottoscritto dall'azienda, nella parte in cui prevede che l'inattività di un dipendente non
iscritto ad un'organizzazione stipulante il contratto nazionale, debba considerarsi accettazione tacita dell'impegno e versare una
determinata somma una tantum per le spese incontrate dai sin
dacati stipulanti tale contratto;
3) dichiara tenuta parte convenuta a consentire attività di pro selitismo e di distribuzione di volantini al sindacato ricorrente, in analogia con le modalità consentite agli altri sindacati ope ranti in azienda;
4) dichiara legittima la modifica dell'orario di intervallo la
vorativo disposta dall'azienda nei confronti di Gianni Bellini;
5) compensa le spese di lite fra le parti». Con ricorso depositato presso la cancelleria della sezione la
voro della Pretura di Torino il 12 maggio 1992, si costituiva
in giudizio l'Amiat opponendosi al decreto pronunciato dal pre tore il 24 aprile 1992 relativamente ai punti 1-2-3. L'azienda
ribadiva in primo luogo la sussistenza della legittimazione attiva
del Falia-Salp poiché aderente ad una associazione sindacale priva dei requisiti di diffusione nazionale richiesti per poter esperire la procedura ex art. 28 1. 300/70.
In via subordinata chiedeva dare atto che agli aderenti alla
a Trib.Torino in epigrafe, Pret. Milano 23 novembre 1993, Foro it., Rep. 1994, vóce Sindacati, nn. 102, 103, e Pret. Vicenza, decr. 12 otto bre 1993, id., 1994, i, 594, con la citata nota di Bellocchi, entambe con rationes decidendi più o meno diverse; contra, Pret. Torino 30 aprile 1992, id., Rep. 1992, voce cit., n. 101. Va segnalato come Trib. Torino in epigrafe, abbia risolto la questione tenendo conto anche dell'esito referendario sull'art. 19 1. 300/70; per rilievi di costituzionalità, proprio a seguito dell'esito referendario, cfr. de Angelis, cit.
Trib. Milano 18 maggio 1996, in epigrafe, riforma, con motivazione incentrata sulla negazione che un'organizzazione statutariamente «mi sta» (nel senso di comprendere i lavoratori ed i piccoli imprenditori) possa usufruire del sostegno attribuito dallo statuto dei lavoratori ai
sindacati, Pret. Milano 2 febbraio 1995, Riv. critica dir. lav., 1995, 566, con nota di L. Franceschinis, Sindacati misti e fattispecie sinda cale. Nella medesima direzione Pret. Milano, decr. 16 giugno 1993, Fo ro it., Rep. 1994, voce cit., n. 45, e Riv. it. dir. lav., 1994, II, 49, con nota di V. Ferrante, Il Pretore di Milano nega natura sindacale al «.Sindacato autonomista lombardo», ha escluso la natura antisinda cale dell'omessa ritenuta da parte del datore di lavoro sul rilievo del carattere politico e non sindacale del Sai.
Sull'art. 26 1. 300/70, dopo il referendum abrogativo del 2° e 3° comma (la sentenza in epigrafe ed i provvedimenti sopra riportati ri
guardano fattispecie soggette al regime precedente), cfr. Pret. Nola
Pomigliano d'Arco, decr. 14 marzo 1996, e Pret. Milano 13 febbraio
1996, Foro it., 1996, I, 2264, con nota di richiami anche sul problema della individuazione del requisito della «nazionalità» del sindacato.
Il Foro Italiano — 1996.
Falia-Salp non compete il diritto di cui all'art. 23 statuto e che
pertanto gli stessi possono svolgere attività di proselitismo e vo
lantinaggio durante le pause lavorative, senza pregiudizio del
normale svolgimento dell'attività aziendale o, durante l'orario
lavorativo, previa autorizzazione aziendale.
Chiedeva inoltre di revocare la dichiarazione di nullità della
clausola del ccnl relativa alla trattenuta di lire 13.000 effettuata
a carico dei lavoratori, con vittoria di spese e onorari di pa trocinio.
Si costituiva in giudizio il sindacato Falia-Salp chiedendo che
il decreto pronunciato dal giudice ex art. 28 trovasse conferma
nel giudizio di opposizione. Seguivano alcune udienze per l'istruzione e la discussione del
la causa.
Il pretore, in data 5 novembre 1992, definiva il giudizio di
opposizione pronunciando in udienza il seguente dispositivo:
«P.Q.M. Il Pretore di Torino, sezione lavoro, visto l'art. 429
c.p.c., rigetta l'opposizione confermando integralmente il de
creto ex art. 28 1. 300/70, emesso il 24 aprile 1992; compensa
per metà le spese del giudizio di opposizione addebitando all'A
miat la residua metà che si liquida in lire 900.000 +Iva e Cpa». Contro tale sentenza, depositata in data 5 gennaio 1993, pro
poneva appello l'Amiat, con ricorso depositato in data 4 marzo
1993, chiedendone la riforma, in base a motivi variamente arti
colati.
Parte appellante si costituiva chiedendo respingersi l'impu
gnazione, col favore delle spese. In corso di causa, con ordinanza dell'11 gennaio 1994 (Foro
it., 1994, I, 594), comunicata alle parti mediante lettura nella
stessa udienza, il Tribunale di Torino dichiarava rilevante e non
manifestamente infondata la questione di legittimità costituzio
nale degli art. 271 c.p. e 28 1. 20 maggio 1970 n. 300, in rappor to agli art. 2, 3, 18, 21, 24, 35, 39, 1° comma, Cost. — nella
parte in cui precludono il diritto alla difesa di gruppi sindacali
organizzati con connotazione non nazionale — e disponeva, do
po le notifiche di rito, la trasmissione degli atti alla Corte costi
tuzionale e la sospensione del giudizio di appello. La Corte costituzionale, con sentenza depositata il 17 marzo
1995 (id., 1995, I, 1735), comunicata alla cancelleria del Tribu
nale di Torino in data 3 ottobre 1995, dichiarava la manifesta
inammissibilità della questione di legittimità costituzionale del
l'art. 271 c.p. in riferimento agli art. 2, 3, 18, 21, 24, 35 e
39, 1° comma, Cost, e dichiarava non fondata la questione di
legittimità costituzionale dell'art. 28 1. 20 maggio 1970 n. 300
sollevata in riferimento alle medesime norme.
Con ricorso depositato in data 8 novembre 1995 l'Amiat chie
deva fissarsi udienza di discussione per la prosecuzione del
giudizio. Motivi della decisione. — Nel rito, deve essere respinta l'ec
cezione di nullità dell'appello per asserita inesatta indicazione
della parte ed irritualità della notifica, in quanto l'appello è
stato notificato alla parte qualificatasi nell'atto introduttivo co
me legittimata ad agire e l'atto ha perseguito lo scopo cui era
mirato, essendosi costituito in giudizio Bellini Gianni, quale rap
presentante legale della Falia-Salp.
1) Tanto premesso, va accolto, nei sensi di cui in motivazio
ne, il primo motivo di appello, con il quale l'Amiat, censuran
do la gravata sentenza, ha chiesto dichiararsi la carenza di legit timazione attiva dell'associazione sindacale Falia-Salp a promuo vere il ricorso ai sensi dell'art. 28 1. 300/70, con conseguente
rigetto di tutte le domande proposte in giudizio nei suoi confronti.
la) Con tale motivo di impugnazione della sentenza, che ha
dichiarato antisindacale il comportamento tenuto dall'azienda,
l'appellante denunzia violazione e falsa applicazione di legge,
eccependo che non può essere considerata nazionale l'associa
zione sindacale Confedersal (Confederazione sindacati autono
misti lavoratori) alla quale aderisce la Falia-Salp, che conse
guentemente non sarebbe legittimata ad esprire la procedura ex
art. 28 statuto lavoratori.
Al riguardo l'appellante ribadisce che l'art. 28 1. 300/70 è
esplicito nell'evidenziare che la particolare procedura repressiva della condotta antisindacale può essere promossa esclusivamen
te dagli organismi locali delle associazioni sindacali nazionali
che vi abbiano interesse. Ora, secondo l'appellante, mentre il
sindacato Falia-Salp può considerarsi «orgnismo locale», la Con
federsal, alla quale la Falia-Salp aderisce, non può invece rite
nersi un'associazione sindacale «nazionale», perché comprende
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
solamente i sindacati autonomisti di sei regioni (Piemonte, Lom
bardia, Liguria, Veneto, Emilia Romagna, Toscana).
Conseguentemente, secondo l'appellante, deve essere esclusa
la legittimazione attiva di forme di autotutela collettiva non or
ganizzata su base nazionale.
lb) Il primo giudice, premesso che la procedura ex art. 28
statuto lavoratori, legittima attivamente gli organismi locali del
le associazioni sindacali nazionali, a prescindere dalla «maggior
rappresentatività» che la stessa 1. 300/70 prevedeva solo a de
terminati fini (ex art. 19), ha ritenuto che una confederazione
operante su una parte del territorio nazionale comprendente le
sei regioni dell'Italia del nord di cui sopra, non può non consi
derarsi, sia pur tendenzialmente, diffusa a livello «nazionale», ancorché risultino escluse le altre regioni dello Stato italiano.
Dopo aver esaminato lo statuto confederale della Confeder
sal, alla quale aderisce il sindacato Falia-Salp, statuto dal quale si ricava che la confederazione si prospetta come insieme di fe
derazioni, suddivise nell'ottica dell'auspicata «federalizzazione»
dello Stato italiano, e che vengono distinte in Federazione nord, Federazione centro e Federazione sud (ex art. 5 dello statuto
in atti), il pretore ha osservato che, mentre in presenza di una
volontaria ed esplicitata limitazione del proprio ambito territo
riale da parte di una confederazione, ci si troverebbe di fronte
alla evidente e preventivata insussistenza del necessario caratte
re di diffusione sul territorio nazionale (carenza determinata dalla
esplicita scelta della stessa confederazione), viceversa nel caso
di specie la volontà della Confedersal risulta statutariamente mi
rata a realizzare la diffusione su tutto il territorio nazionale
dello Stato italiano, irrilevante essendo che questa sia prevista dall'art. 2 nell'interesse delle collettività dei «popoli italiani e
di tutte le risorse delle rispettive nazioni».
2) Con l'ordinanza in atti dell'I 1 gennaio 1994, cit., il tribu
nale ha ritenuto di dubbia costituzionalità il requisito del carat
tere «nazionale» del sindacato ai fini dell'esperibilità della spe ciale e diretta tutela di cui all'art. 28 dello statuto dei lavorato
ri, di fronte all'ipotesi di sindacato per sua natura non nazionale
ma previsto come federazione di diversi sindacati nazionali.
Questo giudice remittente ha osservato che l'art. 28 dello sta
tuto dei lavoratori non consente di estendere la tutela diretta
ad un sindacato così concepito e strutturato.
Né sarebbe possibile una interpretazione estensivo-adeguatrice,
per la presenza nel nostro ordinamento di una norma penale che prevede e punisce come reato la formazione di associazioni
a carattere antisindacale (art. 271 c.p.).
2a) Ha osservato in primo luogo il collegio che la sommato
ria di nazioni distinte prevista dallo statuto della Confedersal
non può considerarsi equivalente al concetto di nazione unitaria
previsto dall'art. 28 1. 20 maggio 1970 n. 300.
Il concetto di nazione non può essere poi ridotto a significato
puramente territoriale, ma ha una valenza più ampia, essendo
il territorio una componente della nazione che in esso tuttavia
non si esaurisce.
La nazione è invero una consapevole unità sociale (ancorché
plurietnica: su ciò v. infra) costituita da soggetti che sono stretti
da vincoli comuni, come la tradizione storica storica ed i costumi.
Taluni fattori della nazionalità elaborati dalla dottrina deb
bono considerarsi privi del carattere di indici rilevatori indefet
tibili di essa (ad es., l'elemento religioso, l'identità di lingua ed il fattore etnico). L'ordinamento vigente contempla anzi la
possibile compresenza e lo sviluppo di comunità differenziate
nell'ambito della comunità statale, assicurando ad esse parità di trattamento (art. 3, 1° comma, Cost.).
3) L'ordinamento giuridico fa diretto richiamo al concetto
di nazione, di cui parlano, limitando l'indagine ai dati offerti
dalla Costituzione, gli art. 9, 2° comma («patrimonio storico
e artistico della nazione»), 11 («un ordinamento che assicuri
la pace e la giustizia tra le nazioni»), 16, 1° comma («ogni
cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi
parte del territorio nazionale»), 49 («tutti i cittadini hanno di
ritto di associarsi ... per concorrere con metodo democratico
a determinare la politica nazionale»), 67 («ogni membro del
parlamento rappresenta la nazione»), 87, 1° comma (il presi
dente della repubblica ... rappresenta l'unità nazionale»), 98,
10 comma («i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della
nazione»), 99, 1° comma («il consiglio nazionale dell'economia
e del lavoro è composto ... di esperti e rappresentanti delle
categorie produttive . . .»), 117, 1° comma («la regione ema
il Foro Italiano — 1996.
na . . . norme legislative . . . sempreché . . . non siano in con
trasto con l'interesse nazionale»), 120, 3° comma («la regio ne .. . non può limitare il diritto dei cittadini di esercitare in
qualunque parte del territorio nazionale la loro professione, im
piego o lavoro»), 126, 3° comma («il consiglio regionale . . .
può essere sciolto per ragioni di sicurezza nazionale»), 127, 3°
comma («quando una legge . . . regionale . . . contrasti . . . con
gli interessi nazionali»); cfr., altresì, l'art. 5 Cost, («la repub
blica, una ed indivisibile»). Al concetto di nazione fanno riferimento anche altre espres
sioni, e locuzioni derivate, quali «Italia, italiano», art. 1, 1°
comma («l'Italia è una repubblica democratica, fondata sul la
voro»); 11 («l'Italia ripudia la guerra . . .»); 12 («La bandiera
della repubblica è il tricolore italiano»); 51, 2° comma («la leg
ge può per l'ammissione alle cariche elettive parificare ai citta
dini italiani gli italiani non appartenenti alla repubblica»), «Pa tria» (art. 52, 1° comma: «La difesa della patria è sacro dovere
del cittadino»; e 59, 2° comma), «paese» (art. 3, 2° comma, e 47).
Significativamente, anche le norme che, nell'impianto costi
tuzionale, sono dirette a non tutelare la mera conservazione del
l'assetto istituzionale esistente ma a consentirne l'evoluzione, fanno esplicito richiamo al concetto di nazione. In particolare, l'art. 49 Cost., che è mirato ad assicurare il processo di trasfor
mazione delle istituzioni democratiche, precisa peraltro che il
diritto dei cittadini ad associarsi in partiti è riconosciuto in quanto diretto a determinare la politica nazionale.
Parimenti, la rappresentanza della nazione, attribuita ai mem
bri del supremo organo costituzionale cui è demandato di deli
neare le linee politiche direttive, deve essere esercitata senza al
cun vincolo di mandato riferibile all'area geografica degli elet
tori che hanno espresso ciascun parlamentare. Anche il divieto fatto alle regioni di limitare il diritto dei cit
tadini di esercitare in qualunque parte del territorio nazionale
la loro attività lavorativa è espressione del principio di unità
ed indivisibilità della repubblica e nel contempo comporta l'i
nammissibilità di differenziazione di discipline in materia di la voro fondate esclusivamente sulla relazione tra il cittadino e
l'area territoriale di appartenenza, nel senso che questa non può essere assunta — in difetto di ragionevoli motivi correlati alla
peculiarità di specifiche mansioni — a base di trattamenti diffe
renziati, dovendo assicurarsi a tutti i lavoratori parità di tratta
mento e di opportunità rispetto all'attività lavorativa, a prescin dere dalla relazione degli stessi con la regione considerata o con
altre regioni (cfr. Corte cost. 29 marzo 1961, n. 13, id., 1961,
I, 566). Ultimo, ma non l'ultimo, è insito nel riconoscimento dei di
ritti inviolabili dell'uomo nelle formazioni sociali all'imperativo funzionale dell'adempimento dei doveri inderogabili di solida
rietà politica, economica e sociale (ex art. 2 Cost.), solidarietà
che si sostanzia, in particolare, nella volontà di vivere insieme
per assicurare ai membri della comunità le condizioni essenziali
del reciproco benessere.
Atteso che il requisito nazionale non è contemplato nell'art.
39, 1° comma, Cost., secondo cui «l'organizzazione sindacale
è libera», il tribunale ha posto il dubbio che l'art. 28 statuto
lavoratori, nella parte in cui, ai fini della individuazione dei
soggetti legittimati ad agire in giudizio richiede che le associa
zioni sindacali abbiano carattere nazionale, con l'evidente esclu
sione della legittimazione delle associazioni sindacali che nazio
nali non siano, ancorché esistenti come sindacati di fatto, si
ponga in contrasto con l'art. 39, 1° comma, Cost., che non
pone alcun requisito all'organizzazione sindacale di cui afferma
la libertà.
Con sentenza 17 maggio 1995, n. 89, cit., la Corte costituzio
nale ha respinto ogni soluzione ampliativa delle ipotesi di legit timazione ad agire ex art. 28 1. 300/70 con riferimento al requi sito della dimensione nazionale, dichiarando non fondata la que stione di legittimità costituzionale della citata norma nella parte in cui consente la legittimazione attiva esclusivamente agli orga nismi locali delle associazioni sindacali nazionali.
Ha in proposito osservato la corte che: «il procedimento di
repressione della condotta antisindacale si aggiunge alle tutele
già assicurate alle associazioni sindacali, e rappresenta un mez
zo ulteriore per garantire in modo particolarmente rapido ed
efficace i diritti del sindacato. Il fatto che il legislatore abbia
riservato la relativa azione a determinati soggetti collettivi, ri
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PARTE PRIMA 2912
sulta coerente con la razionalità delle scelte posta a base di cri
teri per individuare la maggiore rappresentatività degli stessi,
più volte scrutinate positivamente da questa corte. In particola
re, la concezione che assume la dimensione organizzativa nazio
nale come indice di adeguato livello di rappresentatività (cfr.
la sentenza n. 54 del 1974, id., 1974, I, 963, e, soprattutto, la sentenza n. 334 del 1988, id., 1988, I, 1774) è apparsa idonea
a «consentire la selezione, tra i tanti possibili, dell'interesse col
lettivo rilevante da porre a base del conflitto con la parte im
prenditoriale». Più in generale e con riferimento all'unica norma costituzio
nale sulla quale si sofferma in proposito il giudice a quo, la
corte ha osservato come l'opzione nel senso di un livello rap
presentativo nazionale, oltre a corrispondere al ruolo tradizio
nalmente svolto dal movimento sindacale italiano, si uniformi
al principio solidaristico nel quale va inserito anche l'invocato
art. 39 Cost.
Ciò, naturalmente, non esclude che lo stesso legislatore possa in futuro dettare nuove regole idonee a realizzare diversamente
«i principi di libertà e pluralismo sindacale additati dal 10 com
ma dell'art. 39 Cost.» anche prevedendo strumenti di verifica
dell'effettiva rappresentatività delle associazioni (sentenza n. 30
del 1990, id., Rep. 1990, voce Sindacati, n. 68). Ma il controllo
di compatibilità tra l'indice della dimensione organizzativa na
zionale e la realtà sociale esistente non può concludersi, allo
stato, che con la conferma della «non contrarietà del modello
statutario al disegno del costituente».
4) Tanto premesso, ai fini della verifica della qualificabilità come nazionale dell'associazione cui aderisce l'organismo sin
dacale ricorrente ex art. 28 statuto lavoratori va rilevato: che
in data 27 aprile 1991, in Torino, è stata costituita da alcuni
lavoratori dell'Amiat la Falia (Federazione autonomista lavora
tori igiene ambientale), aderente al Salp (Sindacato autonomi
sta lavoratori piemontesi); che la «costituzione» del Salp, avve
nuta in Torino il 22 giugno 1991, prevede, all'art. 2, la tutela
degli interessi dei «popoli» che costituiscono lo Stato italiano; che la «costituzione» della Confedersal, avvenuta in Milano il
4 novembre 1991 mira a realizzare la tutela di interessi dei «po
poli» italiani al fine di assicurare la partecipazione attiva delle
rispettive organizzazioni alla politica economica e sociale dello
Stato italiano (art. 2); che lo statuto della Confedersal contem
pla il perseguimento, da parte della Confederazione, degli inte
ressi nazionali dei «popoli» italiani; in particolare l'art. 4 pre vede che fanno parte della Confedersal la Federazione nord, la Federazione centro e la Federazione sud dei sindacati auto
nomisti dei lavoratori dipendenti, dei pensionati e delle casalin
ghe; l'art. 5 prevede poi che la Federazione nord, la Federazio
ne centro e la Federazione sud possono articolarsi sul piano territoriale in sindacati autonomisti «nazionali», in rappresen tanza dei rispettivi «popoli» italiani; l'art. 6 prevede inoltre l'ob
bligo, per le organizzazioni sindacali di categoria, di uniforma
re allo statuto confederale la propria azione e di adeguare allo
stesso il proprio statuto.
Difettano pertanto i requisiti di legge per l'ammissibilità alla
tutela prevista dall'art. 28 1. 300/70 per essere l'associazione
de qua non nazionale a termini di statuto confederale.
Né rileva a favore della tesi dell'associazione sindacale l'a
brogazione, a partire dal 28 settembre 1995 (ex art. 1, 2° com
ma, d.p.r. 28 luglio 1995 n. 312, in G.U. 29 luglio 1995, n.
176) dell'art. 19, lett. a), 1. 20 maggio 1970 n. 300.
Come noto, a seguito della risposta positiva dell'elettorato
al quesito referendario c.d. minimalista dell'art. 19 cit. sono
stati soppressi da tale disposizione la lett. a) «delle associazioni
aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul
piano nazionale» e l'inciso «non affiliate alle confederazioni»
nonché le parole «nazionali e provinciali» contenute nella lett. b). Come rilevato dalla più attenta dottrina, la abrogazione par
ziale dell'art. 19 ha trasformato il titolo III dello statuto dei
lavoratori in una legislazione servente al sistema contrattuale, che opera nei limiti dell'applicazione volontaria di quello, in
quanto il requisito per costituire rappresentanze sindacali azien
dali risiede, secondo il nuovo testo dell'art. 19, nella qualità di sindacato firmatario di contratti collettivi (ora anche azien
dali) «applicati nell'unità produttiva», circostanza che la Falia
Salp non ha neanche allegato, onde non può neppure essere
oggetto di indagine e verifica. Detta qualità di sindacato firma
tario di contratto collettivo applicato nell'unità produttiva è de
terminante sotto il nuovo parametro legale, ispirato ad un crite
Ii Foro Italiano — 1996.
rio di oggettività della capacità di rappresentanza degli interessi
sindacali, con la conseguente esclusione dalla sfera di diritti e
funzioni sindacali previste dal titolo III 1. 300/70 per quei sin
dacati che non risultano rispondere agli indici di rappresentati vità previsti dalla norma.
Per le suesposte, assorbenti argomentazioni, deve essere di
chiarato il difetto di legittimazione attiva del Falia-Salp a pro muovere il ricorso ai sensi dell'art. 28 1. 300/70, rigettandosi le domande proposte contro l'Amiat nel giudizio oggetto di gra vame e revocandosi il decreto in data 24 aprile 1992 del Pretore
di Torino.
II
Svolgimento del processo. — Walter Pluderi e gli altri sog
getti indicati nell'epigrafe della sentenza del Pretore di Milano
2 febbraio 1995, n. 310 nonché il Sai (Sindacato autonomista
lombardo) hanno fatto ricorso al Pretore del lavoro di Milano
convenendo davanti a tale giudice la s.p.a. Mondialpol. I ricorrenti hanno esposto di aver chiesto alla Mondialpol
— società della quale sono dipiendenti — di effettuare a loro
carico le trattenute per contributi sindacali dovuti al Sai, sinda
cato cui erano iscritti. La Mondialpol si era rifiutata. I ricor
renti assumevano l'illegittimità di tale comportamento e conclu
devano perché il pretore ordinasse alla Mondialpol di effettuare
le trattenute dei contributi e li versasse al Sai.
La Mondialpol si è costituita ed ha resistito per vari motivi
tra i quali acquisiva carattere decisivo ed assorbente l'afferma
zione che il Sai, essendo sindacato rappresentante congiunta mente dei dipendenti e dei datori, non poteva essere qualificato «sindacato» ai sensi delle leggi attributive di diritti connessi a
tale qualificazione. II pretore — con la sentenza sopra ricordata — ha accolto
la domanda del Sai respingendo le argomentazioni della resistente.
La s.p.a. Mondialpol ha fatto appello e il Sai e gli altri sog
getti indicati nella sentenza resistono.
Motivi della decisione. — Le parti concordano sull'afferma
zione di principio secondo cui il diritto riconosciuto dal pretore
(applicazione dell'art. 26 statuto lavoratori) presuppone la «qua lità sindacale» dell'associazione a favore della quale il contribu
to è versato. Questo presupposto emerge del resto con chiarezza
dal tenore letterale della norma invocata ed è sotteso a tutte
le norme dello statuto lavoratori attributive di facoltà alle orga nizzazioni dei lavoratori.
La qualità sindacale del Sai è negata da Mondialpol con ar
gomentazioni molto più complesse di quelle che la sentenza im
pugnata mostra di avere colto e considerato.
Mondialpol non nega affatto (di fronte allo statuto del Sai
che richiama, poi, ad altri effetti) che tale sindacato «rappre senti» gli interessi dei lavoratori.
Mondialpol — pur prendendo atto di ciò — rileva, traendo
il relativo dato di fatto dallo statuto del Sai, che il sindacato
in questione rappresenta anche gli interessi dei «piccoli impren ditori» e cioè di una categoria non proprio marginale di datori
di lavoro.
Mondialpol, dunque, ha rilevato il carattere «misto» del sin
dacato Sai ed ha affermato, in diritto, che il sindacato misto
non è — nel nostro attuale ordinamento — centro di imputa zione delle norme che attribuiscono «al sindacato» determinati
diritti. Rispetto a tale specifica ed articolata prospettiva di indagine
le risposte date dalla sentenza impugnata sono approssimative nel metodo e non corrette nel merito. La sentenza impugnata — sulla base di una definizione astratta di «organizzazione sin
dacale» (che nella propria ampiezza e genericità comprende an
che le associazioni che abbiano come scopo la tutela di interessi
collettivi di categorie di datori) non si è posto affatto il proble ma — specificamente prospettato dalla Mondialpol — di quale sia la «qualità sindacale» specificamente tutelata dall'ordina
mento del lavoro italiano e in particolare dalle norme statutarie
e dall'art. 26 statuto lavoratori.
Se il Sai «non è una bocciofila o un circolo del cinema» (se condo la irrilevante boutade della sentenza) esso non è neppure una organizzazione di soli lavoratori ma è certamente un'asso
ciazione che tutela anche determinate categorie di datori.
Costretta a fare i conti con questa realtà abbastanza singola re nel panorama sindacale italiano, la sentenza impugnata se
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
la cava con un espediente terminologico di nessun valore. La
sentenza rileva che lo stesso statuto del Sai prevede che i datori
di lavoro (piccoli imprenditori) facciano parte del Sai «separa tamente» dai lavoratori.
L'ossimoro «letterario» dello statuto del Sai — a parte le
facili ironie cui si presta — non ha senso giuridico. Nonostante l'affermata separatezza è il Sai unitariamente a
rappresentare gli interessi degli uni (dipendenti) e degli altri (da
tori). Non esiste un Sai dei dipendenti e un Sai dei piccoli im prenditori ma un solo Sai che è quello di cui allo statuto ricor
dato. Esso rappresenta unitariamente gli interessi dei dipendenti e dei datori.
È dunque confermato il carattere «misto» del Sai e quindi diventa necessario affrontare il problema centrale della causa
e cioè se un sindacato di tale tipo sia — per il nostro ordina
mento — un soggetto cui si possano riconoscere quei diritti che
tal ordinamento attribuisce al «sindacato».
La risposta a tale domanda è certamente negativa. La qualità sindacale — nel nostro ordinamento — è nozione
determinata da una serie di elementi: esperienze storiche, assetti
costituzionali, considerazioni teleologiche, interpretazione di nor
me costituzionali e ordinarie.
Sul piano storico è sufficiente rilevare che il sindacalismo ita
liano (al pari di quello degli altri Stati dell'Europa occidentale
di più antica tradizione operaia) è nato come associazione dei
lavoratori dipendenti (in particolare: operai) e che solo successi
vamente ebbe a svilupparsi un associazionismo datoriale. In Italia — come nel resto di Europa — il sindacalismo (dei dipendenti) nasce e resta conflittuale rispetto all'associazionismo datoriale.
Il nostro ordinamento attraversa l'esperienza del sistema cor
porativo. In questo, le corporazioni (nelle quali confluivano sin
dacati datoriali e sindacati di dipendenti) realizzarono una sorta
di incontro (in funzione di una «organizzazione unitaria delle
forze di produzione»: v. dichiarazione VI carta del lavoro) tra
le parti in conflitto e si ebbe un modello che — con tutte le
riserve e cautele dettate dalla diversità strutturale delle rispettive
organizzazioni — possiamo definire di «sindacato misto».
Tale esperienza — e la necessaria struttura normativa connes
sa — è stata cancellata con l'abrogazione delle corporazioni,
prima (1. 9 agosto 1943 n. 721) e dei sindacati corporativi, poi
(1. 23 novembre 1944 n. 369). L'ordinamento attuale ripropone, dunque, in via fattuale e
storica la separatezza tra i due associazionismi ed è dunque ab
bastanza evidente la conclusione che da ciò si deve trarre.
Se nel passato la separatezza esprimeva la «conflittualità» an
che la separatezza attuale esprime — a livello storico, politico e sindacale — una eguale situazione di conflittualità.
Un secondo elemento a favore dell'opinione accolta si ricava
da considerazioni teleologiche e strutturali.
È vero che l'interesse colletivo che assume rilevanza nell'azio
ne dell'associazione di categoria può essere tanto quello del da
tore quanto quello dei dipendenti. Su tale rilievo si basano la già rilevata possibilità e la concre
ta esistenza di un associazionismo datoriale.
Ma non è vero che vi sia simmetria tra interessi dei datori
e interessi dei dipendenti. Autorevole dottrina ha osservato —
ineccepibilmente — che l'interesse dei datori (e quindi delle loro
associazioni «sindacali») può essere sinteticamente descritto co
me «interesse al profitto» quale effetto dell'esercizio della libe
ra iniziativa economica che si struttura nell'impresa. Gli interes
si dei lavoratori sono, invece, molteplici. Sinteticamente essi si possono raggruppare in due grandi ca
tegorie: à) interesse alle «condizioni materiali e morali» nelle
quali si svolge il lavoro subordinato («alle dipendenze e sotto
la direzione dell'imprenditore»: art. 2094 c.c.); b) interesse al
trattamento economico che è — per il dipendente — l'unico
mezzo di sostentamento. Gli interessi dei dipendenti si sviluppa no quindi in una dimensione che è anche direttamente e stretta
mente soggettiva (l'implicazione della persona come dipenden
te). Queste considerazioni non sono astratte ma prendono cor
po in valutazioni oggettive dell'ordinamento giuridico. Se si
pongono a confronto due norme di rilevanza costituzionale —
connesse quanto alla materia — e cioè l'art. 36 Cost, e l'art.
41 Cost, è facile scorgere la differenza degli interessi ad esse
sottesi. Mentre la seconda si limita a garantire l'esercizio della
libera iniziativa economica, il primo — che come è noto è im
mediatamente precettivo — incide direttamente sulla quantità
Il Foro Italiano — 1996.
e qualità del salario e quindi si inserisce direttamente nel «meri
to» dell'interesse del lavoratore. Altro dato normativo rilevante
è l'art. 39 Cost. Si è detto, a ragione, che il 1° comma di esso
è compatibile con la esistenza di sindacati misti ma si è osserva
to — altrettanto correttamente — che l'ultimo comma di esso
presuppone necessariamente la qualità conflittuale del sindacato.
In linea formale esso presuppone la «separatezza» degli agen ti contrattuali. Ma tale separatezza non può che essere conflit
tuale se si riflette al contenuto obbligatorio del contratto collet
tivo quale è descritto dall'art. 2071 c.c.
Gli interessi — che il contratto assume come contenuto del
regolamento — sono oggettivamente contrapposti e dunque l'art.
39, ultimo comma, Cost, conferma il carattere conflittuale del
sindacato.
Sono poi imponenti in tal senso i dati ricavabili dallo statuto
lavoratori.
La 1. 20 maggio 1970 n. 300 è — in positivo — una legislazio ne di sostegno dei sindacati dei (soli) dipendenti e dà quindi per scontato il carattere conflittuale delle relazioni industriali
e dei loro protagonisti. Entro tale corpus di disposizioni acquistano rilievo decisivo
gli art. 28 e 17 statuto lavoratori.
Quanto al primo si ricorda che la Cassazione ha definito il
comportamento antisindacale come quello che nega il conflitto
(v. Cass. 17 gennaio 1990, n. 207, Foro it., 1990, I, 2591), af
fermazione che presuppone la natura conflittuale del sindacato
e la legittimità istituzionale del conflitto stesso.
Chiude definitivamente il cerchio la norma sui c.d. sindacati
di comodo (art. 17 statuto lavoratori). La norma — che riprende ed attua principi di diritto sovra
nazionale (sempre interpretati nel senso della non configurabili tà di sindacati misti) — è di un tenore letterale inequivocabile. Essa dice: «È fatto divieto ai datori di lavoro e alle associazioni
di datori di lavoro di costituire o sostenere — con mezzi finan
ziari o altrimenti — associazioni sindacali di lavoratori».
È evidente che se è vietata la costituzione da parte dei datori
di associazioni di lavoratori, è vietata anche la costituzione con
giunta di associazioni di carattere misto. Il senso dell'art. 17
come del resto quello della convenzione Oil n. 87 del 9 luglio 1948 (dalla quale deriva) è quello di vietare ogni ingerenza del
l'una parte nei confronti dell'altra.
Il divieto di cui all'art. 17 ha — per quanto riguarda il caso
di specie — nessun'altra valenza se non quella di confermare
che nel nostro ordinamento la qualità sindacale non esiste se
non «nella conflittualità». Un sindacato misto — non conflit
tuale per le esposte ragioni — non può essere destinatario dei
diritti che il nostro ordinamento attribuisce al «sindacato».
TRIBUNALE DI BARI; ordinanza 29 febbraio 1996; Pres. Ra
gni, Rei. Noviello; Caprio (Avv. Ferrara) c. Pappapicco
(Avv. Amorese).
TRIBUNALE DI BARI;
Procedimenti cautelari — Procedimento possessorio — Ricorso
per l'attuazione del provvedimento — Dichiarazione di inam
missibilità — Reclamo — Ammissibilità (Cod. proc. civ., art. 669 duodecies, 669 terdecies, 703).
È ammissibile il reclamo avverso il provvedimento con cui il
pretore dichiara inammissibile il ricorso per la determinazio
ne della modalità di attuazione di provvedimento possessorio,
già confermato in sede di reclamo. (1)
(1) Non risultano precedenti editi in termini. Da ultimo, circa la inammissibilità del regolamento avverso l'ordi
nanza declinatoria della competenza resa in procedimento cautelare, v.
Corte cost. 26 maggio 1995, n. 197, e Cass. 29 luglio 1995, n. 8373,
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