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sentenza 3 aprile 1997, n. 82 (Gazzetta ufficiale, 1aserie speciale, 9 aprile 1997, n. 15); Pres....

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sentenza 3 aprile 1997, n. 82 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 9 aprile 1997, n. 15); Pres. Granata, Est. Onida; Pres. cons. ministri (Avv. dello Stato Russo) c. Regione siciliana (Avv. Pitruzzella, Ingargiola) Source: Il Foro Italiano, Vol. 120, No. 5 (MAGGIO 1997), pp. 1321/1322-1325/1326 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23191179 . Accessed: 28/06/2014 14:06 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 141.101.201.39 on Sat, 28 Jun 2014 14:06:13 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sentenza 3 aprile 1997, n. 82 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 9 aprile 1997, n. 15); Pres.Granata, Est. Onida; Pres. cons. ministri (Avv. dello Stato Russo) c. Regione siciliana (Avv.Pitruzzella, Ingargiola)Source: Il Foro Italiano, Vol. 120, No. 5 (MAGGIO 1997), pp. 1321/1322-1325/1326Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23191179 .

Accessed: 28/06/2014 14:06

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

frode. Vi rientrano pertanto tutti i comportamenti fraudolenti,

che, in quanto tali, sono normalmente sorretti dall'elemento sog

gettivo della volontà dolosa.

Il fatto che tale severa previsione sia stata introdotta solo

successivamente, allorché il legislatore ha posto mano ad una

disciplina generale dell'igiene nella produzione degli alimenti e

delle bevande, e non fosse invece già presente nel codice penale, che pure contempla delitti ascrivibili al genus delle frodi ali

mentari, trova giustificazione in ragioni di carattere storico. Il

passaggio da una produzione alimentare su scala prevalentemente

artigianale quale quella tenuta presente dal legislatore del 1930, che comportava una diffusione di prodotti in ambiti territoriali

per lo più circoscritti, ad una produzione industriale di massa

nella quale la frode alimentare di una singola impresa è suscet

tibile di mettere a repentaglio la salute dell'intera collettività

nazionale, spiega l'opzione a favore di una specifica tecnica di

tutela penale dei valori coinvolti; una opzione che, diversamen

te dalla generalità degli illeciti penali, rispetto ai quali può tro

vare applicazione — entro limiti di pena predeterminati — l'i

stituto della sospensione condizionale, privilegia il principio del

l'effettività della espiazione della pena. Voler restringere l'applicazione di tale principio agli illeciti

meno gravi ed escluderla per le fattispecie manifestamente più

gravi, nelle quali il pericolo di danno alla salute si accompagna ad una attività fraudolenta, significa imputare al legislatore va

lutazioni irrazionali che in nessun modo sono desumibili dal

tenore letterale della disposizione contenuta nell'art. 6, 5° com

ma, 1. n. 283 del 1962. D'altra parte, la scelta del legislatore di accomunare delitti

e contravvenzioni nella previsione di cui all'art. 6, 5° comma, 1. n. 283 del 1962 si inserisce in una linea di politica criminale

che tende a sottoporre condotte particolarmente gravi nel co

mune sentire, pur qualificate come illeciti contravvenzionali, a

un regime penale più severo, che è generalmente proprio dei

delitti, come dimostrano le esclusioni oggettive di alcune con

travvenzioni dall'amnistia (art. 2 d.p.r. 16 dicembre 1986 n.

865; art. 3 d.p.r. 12 aprile 1990 n. 75) e dalle sanzioni sostituti

ve delle pene detentive (art. 60 1. 24 novembre 1981 n. 689). 3. - Per quanto riguarda la pretesa contrarietà del sopracitato

Cass. 1° marzo 1996, P.g. in proc. Annunziata, inedita, ha ribadito

che la contravvenzione prevista dall'art. 5, lett. b), costituisce reato

di pericolo presunto che deve essere ritenuto sussistente tutte le volte

che, per ragioni estrinseche o intrinseche attinenti — ad esempio —

a condizioni igieniche degli involucri o dell'ambiente, si debba ritenere

probabile la alterazione di una o tutte le componenti del prodotto. In

questo senso, Cass. 23 aprile 1996, Gianniello, inedita, ha stabilito per

l'appunto che colui che pone in commercio al dettaglio mitili in «confe

zioni» deve adottare tutte le precauzioni igienico-sanitarie riguardanti sia la conservazione di esse, sia i locali, i banchi e le modalità di esposi zione e di vendita; la corte ha tuttavia avvertito che non può esigersi che egli effettui anche le analisi del prodotto, perché il tempo necessa

rio per l'esperimento di esse determinerebbe il deperimento dell'alimen

to e quindi l'impossibilità di immetterlo al consumo. Da ultimo, v. Corte cost. 22 ottobre 1996, n. 356, id., 1997, I, 1307,

che ha dichiarato inammissibile una questione di legittimità costituzio

nale sollevata in materia di pubblicità ingannevole (art. 13 1. 283/62). Con ord. 30 dicembre 1996, n. 436 (G.U., la s.s., n. 3 del 1997), la

corte ha respinto un'analoga questione sollevata con ord. 15 aprile 1996

dal Pretore di Udine (G.U., la s.s., n. 28 del 1996). IV. - Per quanto riguarda il secondo dei profili sollevati dal Pretore

di Benevento, e cioè la pretesa contrarietà del 5° comma dell'art. 6

rispetto all'art. 27, 3° comma, Cost., la sentenza in epigrafe esclude

che il legislatore abbia ecceduto i confini della discrezionalità politica non potendosi dirsi estraneo all'ambito delle sue valutazioni diversifica

re talune categorie di reati e negare la concessione del beneficio in fatti

specie nelle quali la particolare gravità del reato emerga da elementi

diversi dalla loro formale qualificazione o dalla pena edittale prevista. In argomento, va segnalato che Bricola (op. cit., 102) aderisce al

l'osservazione già formulata da Pedrazzi, Sofisticazioni alimentari e

intemperanze legislative (a proposito di un disegno di leggej, in Riv.

it. dir. e proc. pen., 1962, 1080, per cui «la concessione dei benefici

si ispira a rilevazioni attinenti alla personalità e pericolosità del reo, mentre l'entità obiettiva del reato è uno degli elementi che influenzano

la prognosi di pericolosità» e pertanto il legislatore non potrebbe disco

starsi, in un settore particolare, da quella soluzione, escludendo dai

benefici alcune figure delittuose nominativamente indicate senza porsi in contrasto con una direttiva che ha valore di principio nell'ambito

del moderno diritto penale». V. Paone

5° comma dell'art. 6 all'art. 7, 3° comma, Cost, ed al principio in esso affermato secondo il quale le pene devono tendere alla

rieducazione del condannato, questa corte deve ribadire che,

pur essendo la finalità rieducativa qualità essenziale della pena, che l'accompagna dal suo nascere, nell'astratta previsione nor

mativa, fino a quando in concreto si estingue (sentenze n. 313

del 1990, Foro it., 1990, I, 2385, e n. 364 del 1988, id., 1988,

I, 1385), concorrono con essa finalità di difesa sociale, che il

legislatore è legittimato a perseguire purché le sue valutazioni

non eccedano i confini della discrezionalità politica e non si

trasformino in arbitrio (sentenze n. 282 del 1989, id., 1989, I,

3036, e n. 264 del 1974, id., 1975, I, 11). In questo senso la

sospensione della pena non può dirsi postulata dalla Costituzio

ne quale strumento assoluto e indefettibile per la rieducazione

del condannato, essendo anch'essa rimessa, alla pari degli altri

istituti di diritto penale, all'apprezzamento discrezionale del le

gislatore in via generale ed astratta prima ancora che a quello del giudice, da compiersi caso per caso. Spetta infatti al legisla tore stabilire, quale condizione per l'applicabilità di tale istitu

to, che la condanna non superi un determinato ammontare, ma

non può dirsi estraneo all'ambito delle sue valutazioni diversifi

care talune categorie di reati e negare la concessione

del benefi

cio in fattispecie nelle quali la particolare gravità del reato emerga da elementi diversi dalla loro formale qualificazione (delitto o

contravvenzione) o dalla pena edittale per esse prevista. Il carattere di massa della produzione, della distribuzione e

del consumo dei prodotti alimentari, l'inanità di qualsiasi cau

tela adottabile dai singoli consumatori, che non si risolva nel

mero impraticabile rifiuto del rapporto di consumo, l'enorme

diffusività del danno potenzialmente connesso ad ogni compor tamento fraudolento nella produzione e del commercio di so

stanze alimentari costituiscono elementi che fanno apparire non

irragionevole la scelta del legislatore intesa a realizzare, nelle

frodi alimentari tossiche o comunque dannose alla salute, l'e

quilibrio tra le diverse finalità della pena, collegando la riedu

cazione ad alcuni aspetti — quali la qualificazione del reato

come contravvenzionale, l'entità della pena edittale e la sua even

tuale sostituibilità — ed attribuendo all'effettività dell'espiazio ne una specifica finalità di prevenzione, retribuzione e difesa

sociale.

Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara non fonda

ta la questione di legittimità costituzionale dell'art. 6, 5° com

ma, 1. 30 aprile 1962 n. 283 (modifica degli art. 242, 243, 247, 250 e 262 del testo unico delle leggi sanitarie approvato con

r.d. 27 luglio 1934 n. 1265. Disciplina igienica della produzione e della vendita delle sostanze alimentari e delle bevande), solle

vata, in riferimento agli art. 3, 1° comma, e 27, 3° comma,

Cost., dal Pretore di Benevento con l'ordinanza indicata in

epigrafe.

V. Paone

CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 3 aprile 1997, n. 82

(iGazzetta ufficiale, la serie speciale, 9 aprile 1997, n. 15); Pres. Granata, Est. Onida; Pres. cons, ministri (Aw. dello

Stato Russo) c. Regione siciliana (Aw. Pitruzzella, In

gargiola).

Sicilia — Operatori sanitari non medici — Formazione profes sionale — Tecnici di dialisi — Istituzione di nuova figura pro fessionale — Incostituzionalità (Statuto della regione sicilia

na, art. 17; 1. 23 dicembre 1978 n. 833, istituzione del servizio

sanitario nazionale, art. 6; d.leg. 30 dicembre 1992 n. 502,

riordino della disciplina in materia sanitaria a norma dell'art.

1 1. 23 ottobre 1992 n. 421, art. 6; d.leg. 7 dicembre 1993

n. 517, modificazioni al d.leg. 30 dicembre 1992 n. 502, art. 7).

Sono incostituzionali gli art. 1, 2, 3 della legge approvata dal

l'assemblea regionale siciliana il 24 marzo 1996, nella parte in cui disciplinano un'attività di formazione diretta al conse

Il Foro Italiano — 1997.

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1323 PARTE PRIMA 1324

guimento di titoli abilitanti o attestati inerenti ad una figura

professionale (tecnici di dialisi), in atto non prevista dalla le

gislazione statale. (1)

Diritto. — 1. - La questione è fondata.

Essa va decisa alla luce del quadro normativo definito dalle

leggi nazionali che disciplinano il servizio sanitario e l'ordina

mento universitario. Infatti, la regione siciliana ha bensì com

petenza sia in materia di «igiene e sanità pubblica» (art. 17, lett. b, statuto speciale), sia in materia di «istruzione media e

universitaria» (art. 17, lett. d, statuto speciale), sia infine in

materia di «istruzione professionale» (cfr. le norme di attuazio

ne dello statuto emanate con d.p.r. 16 febbraio 1979 n. 143, con riferimento alla competenza in materia di «legislazione so

ciale» di cui all'art. 17, lett. /, dello statuto): ma si tratta in

ogni caso di potestà «ripartita», da esercitarsi nel rispetto dei

principi della legislazione statale e della competenza riservata

allo Stato in tema di determinazione dei profili professionali

degli operatori sanitari e di requisiti per l'esercizio delle profes sioni sanitarie ausiliarie (art. 6, lett. q, 1. n. 833 del 1978, ri

chiamato dall'art. 1, 4° comma, d.p.r. 9 agosto 1956 n. 1111, come sostituto dall'art. 1 d.p.r. 13 maggio 1985 n. 256, conte

nente le norme di attuazione dello statuto siciliano in materia

di igiene, sanità pubblica ed assistenza sanitaria; e cfr. adesso

l'art. 6, 3° comma, d.leg. n. 502 del 1992), nonché in tema

di ordinamento degli studi e tipologia dei titoli di studio univer

sitari (art. 4, 1° comma, lett. b, d.p.r. 14 maggio 1985 n. 246, contenente le norme di attuazione dello statuto in materia di

pubblica istruzione). Da tale quadro normativo risulta, anzitutto, che la formazio

ne degli operatori sanitari non medici — in passato realizzata

fra l'altro nell'ambito delle specifiche attività di istruzione pro fessionale organizzate in particolare presso gli ospedali, e quin di nell'ambito del sistema sanitario regionalizzato, sia pure ri

servandosi allo Stato la fissazione dei requsiti per la determina

zione dei profili professionali, per l'ammissione alle scuole e

per l'esercizio delle professioni, nonché le disposizioni generali sui corsi (art. 6, lett. q, 1. n. 833 del 1978) — oggi fa capo ai corsi di diploma universitario istituiti ai sensi dell'art. 2 1. 19 novembre 1990 n. 341, recante «riforma degli ordinamenti

didattici universitari», ancorché in base ad una disciplina speciale. Infatti, le attività formative relative ai corsi per il personale

sanitario infermieristico, tecnico e della riabilitazione hanno luogo presso le strutture del servizio sanitario nazionale o istituzioni

private accreditate; le figure professionali da formare e i relativi

(1) La Corte costituzionale rileva come la legge reg. sic. si ponga in contrasto con l'art. 17, lett. d), statuto siciliano, il quale riconosce in materia alla regione una «competenza legislativa ripartita», da eser citarsi quindi nell'ambito dei principi fissati da leggi dello Stato, in base alle quali l'attività formativa professionale degli operatori sanitari non medici deve avvenire nell'ambito dei corsi di diploma universitario. La corte osserva inoltre come la regione resta ovviamente libera di di

sciplinare e organizzare attività di aggiornamento, qualificazione e per fezionamento, nell'ambito della propria competenza in tema di forma zione professionale, mentre è ad essa preclusa la possibilità di sostituire o anticipare l'ordinamento delle figure professionali e dei relativi titoli ed ordinamenti didattici.

Per la dichiarazione di incostituzionalità, per violazione dello stesso art. 17, lett. d), statuto siciliano, dell'art. 72 1. reg. sic. 11 maggio 1993 n. 15, che prevedeva la possibilità di svolgere, al di fuori dell'am bito ospedaliero, l'attività didattica e di formazione del personale para sanitario, v. Corte cost. 28 luglio 1993, n. 356, Foro it., 1993, I, 2748, con nota di richiami.

In ordine ai rapporti tra lo Stato e le regioni per la formazione degli operatori sanitari non medici, v. pure Corte cost. 3 febbraio 1994, n.

21, id., 1994, I, 972, con nota di richiami, la quale ha dichiarato che non spetta allo Stato il potere di definire i programmi e gli orari delle

singole materie dei corsi regionali per l'esercizio delle arti ausiliarie di ottico e/o odontotecnico.

Nel senso della infondatezza della questione di legittimità costituzio nale dell'art. 6, 1°, 3° e 4° comma, d.leg. 502/92, che regola l'interven to delle università nella elaborazione dei piani sanitari regionali e nella formazione professionale del personale infermieristico, v. Corte cost. 28 luglio 1993, n. 355, id., 1995, I, 62, con nota di richiami.

Con riguardo all'utilizzo presso enti pubblici, nella regione siciliana, del personale del settore della formazione professionale rimasto senza

incarico, v. Corte cost. 27 luglio 1995, n. 407, id., 1996, I, 430, con nota di richiami.

Il Foro Italiano — 1997.

profili sono individuati con decreto del ministro della sanità; l'ordinamento didattico è definito secondo quanto previsto dal

l'art. 9 1. n. 341 del 1990, di concerto fra il ministro della sanità

e quello dell'università e della ricerca scientifica; l'esame finale

abilita all'esercizio professionale; la titolarità dei corsi di inse

gnamento è affidata di norma a personale sanitario dipendente dalle strututre presso cui si svolge l'attività; ai fini dell'espleta mento dei corsi le regioni e le università attivano appositi pro tocolli d'intesa, attuati con accordi fra università ed istituzioni

sanitarie (art. 6, 3° comma, d.leg. n. 502 del 1992, modificato

dall'art. 7 d.leg. n. 517 del 1993). Il legislatore nazionale ha bensì previsto, in via transitoria,

la prosecuzione dei corsi di studio organizzati secondo l'ordina

mento preesistente, relativi a figure professionali individuate se

condo la nuova disciplina, ma ne ha stabilito la soppressione entro due anni a decorrere dal 1° gennaio 1994 (termine dunque scaduto il 31 dicembre 1995), garantendo solo il completamento

degli studi agli studenti iscritti al primo corso entro detto termi

ne; e ha disciplinato altresì i requisiti di accesso a tali corsi, identificati nel possesso del diploma di scuola secondaria supe riore di secodo grado, salva, per i posti non coperti da studenti

forniti di tale requisito, la possibilità di accesso degli aspiranti che abbiano superato il primo biennio di scuola secondaria su

periore (art. 6, 3° comma, cit., ultimi tre periodi). Sicché, scaduto il termine della fase transitoria, le uniche nuove

attività formative suscettibili di essere organizzate agli effetti del rilascio di diplomi abilitanti per l'esercizio di professioni infermieristiche, tecniche e della riabilitazione sono ormai quel le svolte nell'ambito dei predetti corsi di diploma universitario,

per figure e profili professionali stabiliti secondo il nuovo ordi

namento.

Diverse di queste figure sono state infatti previste e discipli nate con regolamenti del ministro della sanità in data 14 settem bre 1994 (nn. 665-669 e nn. 739-746) e 15 marzo 1995 (n. 183), i quali stabiliscono che il relativo diploma universitario, conse

guito ai sensi dell'art. 6, 3° comma, d.leg. n. 502 del 1992, abilita all'esercizio della professione (art. 2), e demandano ad un successivo decreto dello stesso ministro la individuazione dei

«diplomi» e degli «attestati», conseguiti in base al precedente

ordinamento, che sono equipollenti al diploma universitario ai fini dell'esercizio della attività professionale e dell'accesso ai pub blici uffici (art. 3).

Ora, fra le figure professionali individuate non vi è, ad oggi, quella di tecnico di dialisi; né quindi vi è alcun ordinamento didattico stabilito per il relativo corso di diploma.

In tale situazione, non possono ritenersi consentite alla regio ne, nemmeno attraverso lo strumento (previsto, come si è det

to, dalla legislazione nazionale) del protocollo d'intesa con l'u

niversità, la individuazione e l'organizzazione — come vorrebbe l'art. 1 della legge impugnata — «di scuole o di corsi di forma

zione per il conseguimento del titolo abilitante per il profilo professionale di tecnico di dialisi», per l'assorbente ragione che tale profilo non rientra, allo stato, fra quelli individuati dal l'autorità statale competente, e dunque non può essere rilascia to alcun «titolo abilitante» di tal genere.

Non vale in contrario riferirsi ai profili professionali definiti

dagli allegati al d.p.r. 29 dicembre 1984 n. 1219 (fra i quali, al n. 138, si trova quello, non già di «tecnico di dialisi», ma di «tecnico di anestesia, rianimazione, circolazione extracorpo rea e dialisi»). Si tratta dei profili professionali in cui si artico lano le qualifiche funzionali nelle quali è classificato il persona le dei ministeri ai fini dell'inquadramento previsto dall'art. 3 1. 11 luglio 1980 n. 312 (nuovo assetto retributivo-funzionale del personale civile e militare dello Stato), a tal fine identificati dalla apposita commissione paritetica per l'inquadramento di cui all'art. 10 della stessa legge, e per l'effetto stabiliti con de creto del presidente della repubblica proposto dal presidente del

consiglio dei ministri e dal ministro per la funzione pubblica. Tali profili dunque non coincidono con quelli previsti dall'ordi namento delle attività di formazione professionale, disciplinato ora dall'art. 6, 3° comma, d.leg. n. 502 del 1992, né possono giustificare l'organizzazione di attività formative con effetto abi litante all'esercizio di attività professionali.

2. - Parimenti, stante il quadro normativo descritto, non può giustificarsi la organizzazione ad opera della regione, nemmeno in via transitoria (essendo ormai scaduto, oltre tutto, il termine di ultrattività del precedente ordinamento, salvo il solo compie

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

tamento dei corsi già iniziati), di corsi definiti «integrativi teorico pratici», ma «finalizzati al conseguimento di un attestato di tec

nico di dialisi», riservati per di più a operatori con specifica

esperienza lavorativa nel settore, attestata da associazioni pro

fessionali, come previsto nell'art. 2 della legge impugnata. In

fatti, il rilascio di attestati (destinati verosimilmente ad essere

valutati, ai fini dell'equipollenza, in sede di eventuale futura

disciplina della relativa figura professionale, dettata dalla com

petente autorità statale) appare pur sempre preordinato a far

conseguire un titolo, nell'ambito di un ordinamento formativo

diverso da quello in vigore — in cui detta figura, come si è

detto, non è ancora contemplata — attraverso un'attività for

mativa diversa da quella unicamente oggi prevista a tale fine, cioè dai corsi di diploma universitario.

3. - La regione resta ovviamente libera di disciplinare e di

organizzare attività di aggiornamento, qualificazione e perfe

zionamento, nell'ambito della competenza ad essa spettante in

tema di formazione professionale (d.p.r. 16 febbraio 1979 n.

143, contenente le norme di attuazione dello statuto in mate

ria); e in questo ambito nulla vieterebbe di prevedere attività

di formazione o di aggiornamento, senza effetti abilitanti, per

gli operatori in atto impegnati nelle attività di assistenza ai ne

fropatici e di applicazione della dialisi: fermo restando però che

la regione non può né sostituire o anticipare l'ordinamento del

le figure professsionali e dei relativi titoli ed ordinamenti didat tici, né conferire ultrattività al preesistente ordinamento della

formazione professionale degli operatori sanitari, al di là dei

confini e dei termini previsti dalla legislazione statale.

Poiché gli art. 1 e 2 della legge impugnata sono volti invece

a disciplinare attività di formazione dirette al conseguimento di titoli abilitanti o di attestati inerenti ad una figura professio nale in atto non prevista, essi devono essere dichiarati costitu

zionalmente illegittimi; tale dichiarazione deve estendersi altresì

all'art. 3 della legge, che disciplina aspetti meramente procedu

rali, strumentali all'attuazione di quanto disposto negli articoli

precedenti. Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara la illegitti

mità costituzionale degli art. 1, 2 e 3 1. reg. sic. recante «prov vedimenti urgenti per la formazione e la qualificazione dei tec

nici di dialisi. Norme collegate con il piano sanitario regionale. Norme per la tipizzazione tissutale e in materia di ammissione

alle scuole di specializzazione», approvata dall'assemblea regio nale siciliana in data 24 marzo 1996.

CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 3 aprile 1997, n. 79

(iGazzetta ufficiale, la serie speciale, 9 aprile 1997, n. 15); Pres. Vassalli, Est. Ruperto; Mortarotti e altra c. Canta

messa; interv. Pres. cons, ministri. Ord. Trib. Asti 16 gen naio 1996 (G.U., la s.s., n. 17 del 1996).

Contratti agrari — Affitto — Risoluzione per grave inadempi mento — Sanatoria giudiziale — Questione infondata di co

stituzionalità (Cost., art. 3, 24, 42; 1. 3 maggio 1982 n. 203,

norme sui contratti agrari, art. 46).

È infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art.

46, 6° comma, l. 3 maggio 1982 n. 203, nella parte in cui

consente all'affittuario del fondo rustico di sanare in giudizio la morosità mediante il semplice pagamento dei canoni sca

duti, rivalutati e con gli interessi legali, senza prevedere altre

sì il pagamento delle spese processuali, in riferimento agli art.

3, 1° comma, 24, 1° e 2° comma, e 42, 2° comma, Cost. (1)

(1) I dubbi sulla legittimità della norma impugnata, sorti anzitutto

dal suo raffronto con la disciplina dettata in tema di locazioni urbane

dall'art. 55 1. 392/78 (sulla quale cfr., da ultimo, Cass. 8 agosto 1996,

Il Foro Italiano — 1997.

Diritto. — 1. - La sezione specializzata agraria del Tribunale

di Asti, in sede di giudizio di risoluzione per inadempimento di un contratto di affittanza agraria e di rilascio del fondo, dubita della legittimità costituzionale dell'art. 46, 6° comma, 1. 3 maggio 1982 n. 203, recante norme sui contratti agrari, nella parte in cui consente al conduttore di sanare la morosità

mediante il semplice pagamento dei canoni scaduti, rivalutati

e aumentati degli interessi legali, senza prevedere altresì il paga mento delle spese processuali.

Secondo il collegio rimettente, la norma censurata contraste

rebbe: a) con l'art. 3, 1° comma, Cost, per violazione del prin

cipio di uguaglianza, attesa la disparità di trattamento rispetto alla disciplina dettata, per le locazioni degli immobili urbani, dall'art. 55 1. n. 392 del 1978; b) con l'art. 24, 1° e 2° comma,

Cost., in quanto la norma stessa porrebbe una remora all'in

staurazione del giudizio da parte del proprietario, attribuendo

contestualmente un vantaggio eccessivo ed ingiustificato al con

duttore moroso, il quale, consapevole dell'inesistenza di ulterio

ri oneri a suo carico, può astenersi dal rispettare il contratto;

n. 7289, 7 agosto 1996, n. 7253 e Pret. Bologna, ord. 18 ottobre 1996, in questo fascicolo, parte prima), vengono fugati dalla Corte costituzio

nale, in base alla considerazione:

a) quanto alla prospettata violazione del principio di uguaglianza, che le fattispecie normative poste a confronto sono profondamente ete

rogenee, essendo diversamente strutturate e diversamente orientate sot to il profilo teleologico. A quest'ultimo riguardo si rammenta, in parti colare, la peculiare funzione economico-sociale (estranea alle locazioni di immobili urbani) che caraterizza il contratto agrario e la disciplina organica dettata dalla 1. 203/82, «intesa alla prioritaria salvaguardia della posizione dei coltivatori diretti, nella tendenziale valorizzazione

dell'impresa agricola ed a garanzia di un'equa remunerazione del lavo ro» (la sentenza 7 maggio 1984, n. 139, richiamata in motivazione, è

riportata in Foro it., 1984, I, 1153, con nota di D. Bellantuono). In ordine alla differenza tra la disciplina dei contratti agrari e quella in materia di locazioni urbane, va pure ricordata Cass. 21 ottobre 1994, n. 8659, id., Rep. 1995, voce Locazione, nn. 292, 293 (per esteso in

Giusi, civ., 1995, I, 976; Arch, locazioni, 1995, 375), che, considerata la diversità delle situazioni e delle finalità perseguite dalla prelazione agraria e da quella urbana, ha ritenuto manifestamente infondata, in riferimento all'art. 3 Cost., la questione di legittimità dell'art. 38 1.

392/78, nella parte in cui non contiene disposizione analoga a quella dell'art. 8, 7° comma, 1. 590/65 (che prevede la sospensione del termine di pagamento del prezzo nel caso in cui il coltivatore diretto che eserciti il diritto di prelazione abbia presentato domanda, ammessa all'istrutto

ria, per la concessione di mutuo); b) quanto alla denunciata violazione degli art. 24 e 42, 2° comma,

Cost., la corte osserva, invece, che nella previsione della norma impu gnata la sanatoria giudiziale della morosità impedisce unicamente l'ac

coglimento della domanda di risoluzione contrattuale per inadempimento, ma non esclude affatto che l'affittante possa ottenere, all'esito del giu dizio di risoluzione (che, verificata la sanatoria della morosità, dovreb

be essere definito con una pronunzia dichiarativa della cessazione della materia del contendere) e a norma dell'art. 91 c.p.c., la condanna del l'affittuario convenuto alla rifusione delle spese processuali sostenute.

Nel senso che la concessione del c.d. termine di grazia per il paga mento dei canoni scaduti (o di «conguagli» ad essi relativi: cfr. Cass. 18 marzo 1994, n. 2591, Foro it., Rep. 1994, voce Contratti agrari, n. 178), ai sensi dell'art. 46, 6° comma, 1. 203/82, costituisce un obbli

go — e non una facoltà — per il giudice, ma presuppone una richiesta

inequivoca (quindi, non subordinata alla mancata reiezione della do

manda risolutoria del concedente) da parte dell'affittuario moroso, v., da ultimo, Cass. 2 febbraio 1995, n. 1241, id., Rep. 1995, voce cit., n. 182, e 22 aprile 1995, n. 4585, ibid., n. 183; nonché Cass. 19 luglio 1995, n. 7866, ibid., n. 185; App. Palermo 8 aprile 1994, ibid., n. 187, annotata da A. Grasso, in Dir. e giur. agr. e ambiente, 1995, 654). Si ritiene, peraltro, che la norma in discorso non precluda la possibilità di pattuire una clausola risolutiva espressa ove il contratto di affitto

sia stipulato dalle parti con l'assistenza delle rispettive organizzazioni

professionali, ai sensi dell'art. 45 1. 203/82: v. Cass. 6 novembre 1991, n. 11810, Foro it., 1992, I, 2765, con nota di D. Bellantuono, e, da ultimo, Cass. 12 luglio 1996, n. 6328, id., Mass., 566.

Sulle condizioni di procedibilità e di proponibilità della domanda di

risoluzione per inadempimento del contratto di fondo rustico poste, ri

spettivamente, dall'art. 5, 3° comma (preventiva contestazione degli ad

debiti), e dall'art. 46, 1° comma (tentativo di conciliazione), della stes

sa 1. 203/82, cfr. Cass. 19 gennaio 1993, n. 633, 14 dicembre 1992, n. 13169, e Trib. Ascoli Piceno 9 luglio 1992, id., 1993, I, 381, con

nota di D. Bellantuono, Gli adempimenti preventivi per il giudizio di risoluzione dei contratti agrari all'esame delle sezioni unite della Cas

sazione, e, da ultimo, Cass. 30 ottobre 1995, n. 11343, id., Rep. 1995, voce cit., n. 184, e 28 novembre 1996, n. 10597, id., Mass., 933.

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